LUIGI DURAND DE LA PENNE, TESEO TESEI E TUTTI GLI EROI DELLA X MAS CI PERDONINO

di Ferdinando Fedi

x mas 1939Probabilmente i responsabili della Rai, che hanno cacciato Enrico Montesano da un programma televisivo per aver indossato una maglietta recante un simbolo della Decima Flottiglia Mas, non hanno mai sentito parlare di Luigi Durand de la Penne, di Teseo Tesei e delle altre 34 medaglie d’oro al valor militare appartenenti a quella speciale Unità della Marina militare, molte delle quali “alla memoria”, per aver sacrificato la vita per il nostro Paese.

Il primo di essi, il 19 dicembre 1941, nelle acque del Mediterraneo fu l’autore di uno degli episodi più nobili che si possano verificare durante un conflitto. Rischiò di perire per salvare centinaia di vite umane, anche se appartenenti a una forza navale nemica. Il suo nome, Luigi Durand de la Penne, divenne leggendario in Inghilterra – purtroppo meno in Italia – e il suo gesto è ancora oggi citato in tutti i testi di diritto umanitario. La Decima Flottiglia Mas, cui apparteneva, era stata costituita dalla regia Marina italiana nella Seconda guerra mondiale per portare a termine attacchi alle navi nemiche con l’uso di piccoli battelli subacquei chiamati, appunto, Mas. Mas stava per Motoscafo armato silurante, ma si dice anche che avesse preso il nome dal motto utilizzato da Gabriele D’Annunzio (memento audere semperricordati di osare sempre) durante l’assalto con i mezzi subacquei a Buccari. Era un siluro modificato dove prendevano posto due sommozzatori che, nella fase finale dell’azione, dovevano essere in grado di nuotare sino all’obiettivo. Per tali incursioni, una novità assoluta nell’ambito della guerra navale del periodo, servivano equipaggiamenti speciali e uomini speciali, fortemente motivati, la cui azione era diretta contro il potenziale bellico e non contro gli uomini.

La missione che vide protagonista Durand de la Penne era partita dal porto della Spezia, base operativa della flottiglia. Il sommergibile Scirè – su cui erano imbarcati operatori e barchini – la sera del 18 dicembre raggiunse le acque egiziane, al largo del porto di Alessandria, dove erano giunte le corazzate britanniche Valiant e Queen Elizabeth, nonché la petroliera Sagona. Durand de la Penne aveva come obiettivo il Valiant, ma una volta piazzato l’esplosivo sul fondo della carena della nave fu individuato dagli inglesi e catturato. Rinchiuso in una stiva sotto la linea di galleggiamento, adiacente al deposito delle munizioni, l’ufficiale chiese di parlare con il comandante della nave, il Capitano di Vascello Charles Morgan. Voleva riferire che aveva piazzato degli ordigni esplosivi e che di lì a poco la corazzata sarebbe esplosa. L’equipaggio doveva, pertanto, essere messo in salvo. Così avvenne, ma l’interrogatorio finalizzato a conoscere il posizionamento delle cariche non ebbe esito neppure quando Durand de la Penne fu nuovamente rinchiuso in cella, destinato a saltare con tutta la nave. Solo per una fortuita coincidenza, l’onda d’urto seguita all’esplosione causò l’abbattimento del portellone metallico che sigillava la stiva e consentì a de la Penne di mettersi in salvo. Catturato ancora una volta, fu tradotto in un campo di prigionia in India e, successivamente all’armistizio dell’8 settembre, rimpatriato. In seguito, gli inglesi dichiararono di aver subito dalla Marina italiana la più grande batosta che un singolo uomo abbia mai potuto infliggere ad una flotta e il comandante Morgan, nel frattempo divenuto Ammiraglio, al termine della guerra chiese e ottenne di appuntare al coraggioso ex nemico la medaglia d’oro al valore militare che la Marina gli aveva conferito.

Sul pluridecorato Teseo Tesei ci sarebbe poco da aggiungere, oltre al fatto che si fece esplodere deliberatamente insieme al proprio mezzo pur di non compromettere la missione di attacco al porto di Malta. Sono a lui intestati reparti militari, aeroporti, istituti scolastici, circoli. Speriamo che nessuno si accorga che si tratta della stessa persona che ha inventato i Mas e che della flottiglia è stato uno dei fondatori, sennò sarà necessario procedere a numerose ridenominazioni! Da questi uomini era composta la X Mas, unità decorata con la medaglia d’oro appuntata alla bandiera della Marina militare, innanzi alla quale anche il Presidente della Repubblica china il capo. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, la X Mas – al pari di tanti altri reparti di alpini, bersaglieri, e marinai – si divise. Una parte si unì alla Repubblica sociale, continuando a combattere al fianco dei tedeschi, un’altra parte proseguì le attività belliche insieme agli Alleati.

Duole che si possano semplificare episodi così importanti della storia del nostro Paese, ma soprattutto che possano essere vanificate gesta eroiche e umanitarie compiute dai più valorosi reparti della Seconda guerra mondiale. Almeno ai piani più alti della nostra principale emittente si dovrebbero maggiormente approfondire i fatti, e non fermarsi ai simboli solo per soddisfare impulsi che mal si conciliano con la verità storica. Soprattutto a coloro che hanno dato la vita per il Paese chiediamo perdono per non aver saputo tramandare, in modo corretto, comportamenti che tuttora dovrebbero costituire un esempio, almeno per tutti i rappresentanti delle istituzioni.

FONTE:Logoopinione

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Il caso del Regio sommergibile Scirè: violazione di un sacrario

Il caso del Regio sommergibile Scirè: violazione di un sacrario

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Relitti: reliquie del mare non supermercati per cacciatori di ricordi
Troppo spesso i relitti sono divenuti luoghi di odiosa depredazione da parte di incoscienti subacquei alla ricerca di ricordi. E’ avvenuto recentemente anche sulla Costa Concordia, pochi giorni dopo il naufragio. Ritengo che dovrebbe esistere un limite etico e morale per evitare che i relitti, veri e propri sacrari del mare, siano violati. Questo non vuol dire impedire la ricerca e l’esplorazione di queste memorie del passato ma far si che esse non si trasformino in un oltraggio alla memoria di coloro che persero la vita per la nostra Patria.

Oggi vorrei raccontarvi la storia del regio sommergibile italiano Scirè vittima, come vedremo, dell’oltraggio di subacquei senza scrupoli che si appropriarono anche di parte dei miseri resti dell’equipaggio.

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Tutto iniziò il 10 agosto del 1942 quando il regio sommergibile Scirè, battello di appoggio dei reparti speciali della Regia Marina italiana (i famosi uomini gamma della X Mas), durante una missione di attacco al porto di Haifa, venne scoperto da alcuni ricognitori britannici a poche miglia dall’imboccatura del porto. Quattro cacciatorpediniere inglesi  con l’impiego di bombe di profondità lo obbligarono a riemergere per poi affondarlo con i cannoni di bordo. Le vicine batterie costiere fecero il resto, dandogli il colpo finale e provocandone il rapido affondamento prima ancora che l’equipaggio avesse il tempo di abbandonarlo.

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Il comandante Bruno Zelik nella camera di manovra dello Scirè

Per completarne la distruzione, una corvetta inglese, l’HMS Islay, effettuò un ultimo passaggio con il lancio di altre sei cariche di profondità. Fu una vera ecatombe. Con lo Scirè perirono il comandante Bruno Zelik, altri sei ufficiali, 15 sottufficiali, 19 sottocapi, 8 marinai dell’equipaggio e due ufficiali, 4 sottufficiali, 2 sottocapi e 3 marinai incursori della X MAS.

Dopo la guerra, il suo relitto, adagiato su un fondale di 35 metri, venne fatto oggetto di saccheggio da parte degli uomini dello Shayetet 13 per cui la Marina Militare Italiana fece un accordo con la Marina israeliana per sigillarne il relitto ed i poveri resti dell’equipaggio. Dal 2 al 28 settembre 1984 la nave Anteo della Marina Militare Italiana eseguì le operazioni di recupero dei marinai e la messa in sicurezza dello scafo chiudendone gli ingressi.

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Lo scafo del sommergibile Scirè – foto del COMSUBIN

Non tutti sono a conoscenza che questa missione fu ordinata per evitare che visite di subacquei dilettanti, in cerca di emozioni e ricordi, trafugassero delle reliquie dai resti dello scafo. Nelle cronache del tempo non si parlò solo di oggetti ma anche dei resti delle ossa di alcuni dei nostri caduti.

Ad illustrare i non facili risultati dell’operazione di recupero dei resti dei corpi, cominciata il 7 settembre e conclusa il primo ottobre, fu l’allora sottosegretario alla Difesa Tommaso Bisagno, che precisò che “i resti ritrovati tra le lamiere del sommergibile sono assolutamente non identificabili. Gran parte dei resti umani sono stati trovati dai sommozzatori a poppa e nella parte centrale del sottomarino, segno che gli uomini si erano lì rifugiati, dopo le esplosioni delle prime bombe di profondità, per cercare la salvezza fuoruscendo dallo scafo“. Le cronache dell’epoca riportarono che ventidue piccole cassette, sigillate nel tricolore, furono allineate sul ponte di poppa di nave Anteo, mentre il cappellano del comando Subacquei e Incursori, don Antonio Vigo, celebrava la santa messa davanti all’equipaggio schierato sull’attenti ed a capo scoperto. La cerimonia fu presenziata dal sottosegretario alla Difesa Tommaso Bisagno, dal contrammiraglio Massimo Benedetti in rappresentanza del Capo di Stato Maggiore della Marina, dall’ambasciatore d’Italia in Israele Corrado Taliani, e dal comandante in capo della forza navale israeliana ammiraglio Almog.  

Di fronte a questi morti, nel nome di Gerusalemme, simbolo di pace, nel nome del nostro Dio comune…“, così don Antonio Vigo, rivolse la sua omelia, breve e perfetta, per semplicità, per solennità, per equilibrio. Purtroppo, come vedremo, negli anni successivi la storia travagliata del relitto non ebbe fine.

Un sacrario da rispettare
Si ritiene che ancor oggi il sommergibile contenga all’interno dello scafo i resti di alcuni dei membri dell’equipaggio. Questa convinzione è legata al fatto che dalle cronache del tempo si sa che due corpi furono rinvenuti (spiaggiati) nel 1942. In seguito, nel 1984, come abbiamo accennato, altri quarantadue resti dell’equipaggio furono recuperati dai palombari della nave Anteo. Mancano purtroppo ancora sedici corpi all’appello.

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La posa di una targa a ricordo sul sommergibile da parte dei palombari del COMSUBIN

Nel 2002, si venne a conoscenza, dalla televisione israeliana, che lo sportello del battello era stato nuovamente aperto, presumibilmente dai sommozzatori della USS Apache. Era noto che la nave, specializzata nel recupero di sommergibili affondati, stava in quel periodo effettuando  una esercitazione congiunta con la Marina israeliana, e le confidenze tra i marinai erano arrivate fino ai media.  A seguito della protesta ufficiale della nostra ambasciata, Israele rispose che la loro Marina aveva solo collaborato a disincagliare le ancore delle unità americane che si erano attorcigliate attorno allo Scirè, e non aveva svolto alcuna azione che potesse considerarsi come violazione di un luogo di sepoltura in mare. Il Comando della Sesta Flotta americana, che gestiva l’esercitazione, riferì che si era trattato di un’esercitazione congiunta con gli israeliani senza alcuna intenzione di sollevare e recuperare parti del sommergibile italiano.

Ma ciò che trovarono i sommozzatori del COMSUBIN fu drammatico. Pochi mesi dopo il “presunto incidente”, una nuova missione per la messa in sicurezza del sommergibile Scirè fu inviata sulla posizione del relitto, nuovamente con il supporto di Nave Anteo.  Lo scopo della missione, vista l’impossibilità di riportare a galla tutto il battello, fu di sigillare nuovamente tutte le aperture del relitto, generatesi dopo quel presunto scellerato tentativo di recupero.

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chionnaCiò che scoprirono fu inequivocabile
Lascio la parola al CF (AN) Palombaro Gianpaolo Trucco che partecipò di persona alla missione:
Verificammo i danni che avesse subito il nostro sommergibile e confermammo il brutale tentativo di recupero posto in atto il mese prima: una grossa catena era stata passata tra la poppa del sommergibile ed il timone, come a formare due mezzi colli, e gli accessi allo Sciré, occlusi durante la missione del 1984, erano stati aperti. Il dispiacere e l’amarezza furono grandi, non aver rispettato ciò che rappresentasse quel relitto era per noi incomprensibile. Provvedemmo a richiudere lo Scirè ed a porre una targa realizzata nell’officina dell’Anteo per onorare i nostri uomini. 

Ci consolò, tuttavia, aver saputo che i nostri stessi sentimenti fossero provati da molti israeliani, tanto che tra i loro organi di stampa ci fu qualcuno che intervenne dicendo: “Come reagiremmo noi israeliani, come reagirebbero le nostre Forze Armate, se la Marina Militare di un paese straniero mandasse una sua unità ad esercitarsi sul relitto di un nostro glorioso sommergibile?».

L’ammiraglio Francesco Chionna (nella foto a lato), partecipò anche lui all’operazione e,  in una breve intervista, rilasciò questa breve poesia: “ … ma tu glorioso Scirè sei rimasto solo in quelle acque dove incontrasti la morte … intorno c’è solo il ricordo che corre a tempi lontani, di quando anche il nemico temuto, ai marinai d’Italia rendeva gli onori …”.

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Ricordiamoci di queste parole quando ci immergeremo sul prossimo relitto. I resti dello Scirè e di alcuni suoi marinai sono ancora sul fondo … lasciamoli riposare in pace.

Il rispetto per coloro che hanno perso la vita in mare e giacciono negli abissi è un dovere di tutti. Fatelo per la memoria di quelle persone che il fato non fece tornare più dai loro cari.

Andrea Mucedola

 

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FONTE:Logo Ocean4future

 

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Nuovi gradi per le Forze Armate

Nuova nomenclatura per i gradi della categoria graduati e sergenti/brigadieri.

(di LA19/09/22 

190922 gradiL’art.7 della legge nr.119 del 5 agosto 2022 “Disposizioni di revisione del modello di Forze armate interamente professionali, di proroga del termine per la riduzione delle dotazioni dell'Esercito italiano, della Marina militare, escluso il Corpo delle capitanerie di porto, e dell'Aeronautica militare, nonché in materia di avanzamento degli ufficiali. Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale” ha istituito una nuova nomenclatura per i gradi della categoria graduati e sergenti/brigadieri.

Quello che viene affermato da diverse voci è la necessità di un riordino che accolga le legittime aspettative del personale ed il ripristino di un appeal per i giovani visto il calo degli arruolamenti volontari con l’obiettivo di snellire e modernizzare le nostre forze armate. Appeal…

Quindi considerato che l'attuale modello di Difesa ha registrato negli ultimi anni un calo di interesse all’arruolamento volontario nelle carriere iniziali delle forze armate e quindi l’appeal è sceso, abbiamo la necessità di istituire, eliminare, ridenominare ed inventare periodicamente nuovi gradi da attribuire al personale.

Ecco, quindi, che l’art.7 della legge su menzionata che modifica il d.lgs 66/2010 ridenomina le qualifiche dei sergenti nonché dei gradi e delle qualifiche dei volontari in servizio permanente.

Sinteticamente riportiamo le modifiche agostiane:

Esercito italiano

“primo caporal maggiore” - “graduato”;

“caporal maggiore scelto” - “graduato scelto”;

“caporal maggiore capo” - “graduato capo”;

“caporal maggiore capo scelto” - “primo graduato”;

“caporal maggiore capo scelto qualifica speciale” - “graduato aiutante”.

“sergente maggiore capo qualifica speciale” - “sergente maggiore aiutante”.

Marina Militare

“sottocapo di 1^ classe scelto” - “sottocapo scelto”;

“sottocapo di 1^ classe scelto qualifica speciale” - “sottocapo aiutante”.

“secondo capo scelto qualifica speciale” - “secondo capo aiutante”.

Aeronautica Militare

“primo aviere capo scelto” - “primo graduato”;

“primo aviere capo scelto qualifica speciale” - “graduato aiutante”.

“sergente maggiore capo qualifica speciale” -“sergente maggiore aiutante”.

Arma dei Carabinieri

“appuntato qualifica speciale” - “appuntato aiutante”

“brigadiere capo qualifica speciale” - “brigadiere capo aiutante”.

Pare che molti uomini in divisa si chiedano “perché?”. Era necessario questo ulteriore stravolgimento della denominazione dei gradi? Probabilmente sono altre le questioni da affrontare e cercare di risolvere nelle nostre forze armate e non certo fumo negli occhi o contentini di vario genere.

Con il riordino dei ruoli e delle carriere (D.lgs. 29 maggio 2017, n. 94) abbiamo già assistito ad una riforma folkloristica che ha prodotto nuovi gradi e qualifiche costellati di stelle e stelline affiancati da fregi e soggoli di dubbio gusto ridenominando i nuovi gradi con delle perifrasi. Eppure il riordino era “ispirato dall’esigenza di meglio valorizzare le professionalità e le esperienze del personale non dirigente, con particolare riferimento ai ruoli dei graduati di truppa, dei sergenti e brigadieri e dei marescialli, nonché di realizzare un più armonico sistema di avanzamento, tale da premiare il merito e uniformare il trattamento del personale all’interno del comparto Difesa e Sicurezza. La definizione dei nuovi gradi per le qualifiche e le cariche speciali, introdotte proprio con il riordino delle carriere, rappresenta il punto di arrivo di questo importante processo”È avvenuto?

Ora a distanza di qualche anno, ci risiamo. Nuovi gradi, nuove denominazioni!!!

Rende più produttivi o più soddisfatti i militari con una stellina in più sulle spalle o con la ridenominazione del grado? Passa attraverso questo la definizione più netta dei ruoli, il miglioramento delle condizioni lavorative ed operative o la professionalizzazione delle forze armate?

Pare siano allo studio altre proposte per riformare i gradi dei sottufficiali. Attendiamo con ansia la prossima “riforma”...

FONTE: Logo difesaonline

 

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Compendio sicurezza e difesa marittima

Per tutti gli appassionati il supplemento alla Rivista Marittima del mese di Giugno 2022

Compendio cop

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Prefazione

Sono molto fiducioso dell’apprezzamento che questo corposo e articolato lavoro editoriale dedicato alla «sicurezza e difesa marittima» saprà riscuotere. Lo sono per molteplici ragioni. Innanzitutto, per la valenza dei suoi contenuti e per la visibilità garantita dalla pubblicazione come Supplemento alla Rivista Marittima, lo storico e longevo mensile strategico della Marina Militare con i cui lettori mi fa piacere condividere queste mie riflessioni. Un piacere alimentato anche dal fatto che nel biennio 2019-2021, quando ero Sottocapo di Stato Maggiore della Marina, ho seguito il percorso di sviluppo e affinamento di questo elaborato la cui pubblicazione avviene mentre assolvo il mio attuale incarico di Comandante in capo della Squadra navale, l’Alto comando nazionale in cui risiede la massima competenza, prontamente disponibile, per ciò che riguarda trasversalmente la gestione operativa delle Forze sul mare e dal mare. Ma prima ancora che da militare e da addetto ai lavori, la mia soddisfazione per la pubblicazione di questo lavoro la provo da cittadino di una nazione come l’Italia, con un destino da sempre legato ineludibilmente al mare e le cui prospettive di sviluppo sostenibile e prosperità inclusiva sono, oggi più che mai, proiettate nella dimensione marittima. Gli analisti definiscono Secolo Blu la fase storica in cui viviamo e che lasceremo in eredità alle nuove generazioni, perché a livello globale gli specchi acquei del pianeta — e in particolare gli spazi marini — vedono accrescere la propria rilevanza strategica. Ciò accade sia per le ricchezze e i flussi ininterrotti di navi, passeggeri, merci, energia, materie prime, risorse ittiche, «terre rare», transazioni digitali che gli spazi marini custodiscono e assicurano, sia per la costante capacità di creare sponde e canali di relazione. Gli «interessi marittimi» assurgono così al rango di «interessi vitali», senza dimenticare ovviamente le indispensabili funzioni di portata globale che gli specchi acquei garantiscono per la sopravvivenza della specie umana relativamente ai cicli climatico-ambientali, di genesi e rigenerazione delle riserve idriche e di ampliamento delle condizioni favorevoli alla vita sulla Terra. A queste funzioni si sta velocemente affiancando un moderno «bisogno virtuale» che l’umanità sta elevando al grado di simil-vitale e a cui i mari sono altrettanto funzionali nell’ospitare quell’intricato sistema di oltre 1,3 milioni di chilometri di cavidotti sottomarini che assicura quasi per intero la continuità del traffico digitale mondiale. Affinché l’intera gamma di fabbisogni quotidiani dei cittadini possano, quindi, essere soddisfatti senza soluzione di continuità, gli «interessi vitali» sempre più coincidenti con quelli marittimi e i «legami» devono oltremodo sinergizzarsi; in primis attraverso la salvaguardia e promozione di una dimensione marittima sicura — ove i prioritari interessi di security devono discendere in forma coordinata e sistemica da quelli di safety — che si traduce in vie di comunicazione marittime protette e sempre aperte, così come in spazi marini stabili e non gravati da contenziosi di territorializzazione. Questa è, a mio avviso, la sintesi del concetto di sicurezza e difesa marittima: un connubio fondamentale, oggi più che in passato, per lo sviluppo economico, la stabilità internazionale, la prosperità e la pacifica convivenza tra i popoli. Da ciò, il compito cruciale in capo alle Marine militari di garantirle, avvalendosi delle proprie innate e strategiche capacità di controllo dei mari e di proiezione — con le fondamentali operazioni di presenza, sorveglianza, deterrenza e prontezza d’intervento — che oggi devono guardare necessariamente alla strategica contiguità e continuità d’azione tra l’alto mare e le fasce costiere e litorali. Questi storici ruoli delle Forze marittime, associati all’esercizio delle intrinseche funzioni di guardia costiera e polizia dell’alto mare, concorrono infatti alla protezione e promozione, a livello regionale e globale, di interessi nazionali che — soprattutto per le società avanzate — sono sempre più aggregati in «sistemi di interessi nazionali» variamente multiformi sul piano tematico e ampiamente distribuiti su quello geografico. L’Italia, con la sua Marina Militare, è storicamente e integralmente calata in questo contesto! Sopra e sotto i mari, dentro e fuori dal Mediterraneo, nelle nostre basi a fianco al personale delle altre Forze armate con cui cooperiamo nei teatri operativi fuori area, ovunque chiamata a operare, la Squadra navale ha dato, dà e darà il massimo per mari, cielo e terra, incluso il contributo alle attività spaziali e di difesa cibernetica. Il tutto, anche nel moderno approccio multidominio, rispetto al quale gli intrinseci connotati dello Strumento Militare Marittimo — in termini di multidimensionalità d’azione e naturale attitudine a cogliere ogni favorevole opportunità d’integrazione interforze, cooperazione interistituzionale, collaborazione interagenzia e interoperabilità multinazionale — costituiscono abilitanti strategici irrinunciabili, da preservare, arricchire e valorizzare nel superiore interesse del paese.

Ammiraglio di squadra Aurelio De Carolis
Comandante in Capo della Squadra Navale

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Nave Amerigo Vespucci incontra in mare la portaerei americana USS George H.W. Bush

Nel 1962 la portaerei americana USS Independence incrociando la rotta della Nave scuola chiese di identificarsi. Alla risposta “Nave Scuola Amerigo Vespucci", la salutò con l'espressione rimasta nella storia "Siete la nave più bella del mondo".

02Vespucci Bush

6 settembre 2022 UPICOM

Il primo settembre 2022, a bordo del Vespucci, è stata aggiornata una pagina tra le più iconiche della storia del veliero.

Correva l'anno 1962 quando, sotto le stelle del cielo estivo nel mezzo del Mediterraneo, la portaerei americana USS Independence (CVA 62 Forrestal-class), incrociando la rotta della Nave scuola chiese a quest'ultima di identificarsi attraverso una comunicazione a lampi di luce.

Alla risposta “Nave Scuola Amerigo Vespucci - Marina Militare Italiana" l'altra unità la salutò con l'espressione destinata a rimanere nella storia: “you are the most beautiful ship in the world", siete la nave più bella del mondo.

60 anni dopo un'altra portaerei americana, la USS George H.W. Bush (CVN 77 Nimitz-class), ha incrociato la rotta di Nave Vespucci in transito da Manfredonia a Taranto nel basso Adriatico. Il comandante, Capitano di Vascello David-Tavis Pollard, in ricordo dello storico evento avvenuto con la USS Independence, ha chiesto via radio “siete il veliero Amerigo Vespucci della Marina Militare Italiana?"

Alla risposta affermativa del Capitano di Vascello Massimiliano Siragusa, gli americani hanno risposto: “after 60 years you're still the most beautiful ship in the world" (dopo 60 anni siete ancora la nave più bella del mondo).

Si è trattato di una incredibile opportunità di rinforzare il legame tra la Marina Militare e la US Navy, nel solco della tradizione guardando al nuovo che avanza, iconicamente rappresentato dagli allievi del neonato corso Aghenor imbarcati.

(le foto sono del fotografo Massimo Sestini e del 1° LGT (FN) Gian Carlo Cadeddu della Marina Militare)

Vedi il video dell'evento sul canale YouTube Marina

 

 

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U.S.S. Thresher, la storia dell’affondamento del sottomarino che influenzò le scelte tecniche dei battelli subacquei moderni

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L’U.S.S. Thresher (SSN-593) fu il primo battello della classe omonima di sottomarini nucleari di attacco della Marina Militare statunitense.

 All’epoca in cui fu costruito, il Thresher era il più veloce e silenzioso sottomarino del mondo, creato appositamente per cercare e distruggere i sottomarini sovietici.

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Il suo sonar (sia passivo che attivo) era in grado di rilevare altri sottomarini e navi ad una portata maggiore dei suoi predecessori. Inoltre, era stato designato a sperimentare il prototipo del più avanzato missile anti-sommergibile della Marina Navale statunitense, il SUBROC. L’UUM-44 SUBROC fu il primo ed unico missile anti-sommergibile a lungo raggio lanciato dal U.S.S. Thresher. Tutto iniziò all’inizio degli anni ’50 quando la tecnologia dei sonar divenne cosi avanzata da consentire la scoperta dei sottomarini nemici ad una distanza tale da richiedere l’utilizzo di armi di maggior portata.

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UUM-44 SUBROC

Nel giugno del 1958, il Naval Ordnance Laboratory intraprese lo sviluppo di un missile subacqueo-aereo alimentato con un razzo solido. Il nuovo missile fu chiamato SUBROC (“Submarine Rocket”) o Mk 28. Il primo lancio avvenne nell’agosto del 1959, ma numerosi problemi tecnici ne rallentarono il programma. Il siluro missile veniva lanciato dai tubi lancia siluro che dovevano essere riempiti con acqua prima di ogni lancio. Sebbene il Thresher fosse il primo battello a sperimentarlo, in realtà non riuscì a completarne lo sviluppo. Il sottomarino affondò tragicamente il 10 aprile 1963 durante un test di immersione a circa 350 km a Est di Boston, Massachusetts, portando con se tutti i 129 membri dell’equipaggio.

Un inizio non facile

Esistono eventi che lasciarono un segno nella storia dei sottomarini. L’affondamento del U.S.S. Thresher fu uno di quelli. Non tanto per la sua sfortunata storia ma per le lesson learned che seguirono il suo incidente. La storia merita di essere racconta e partiamo dall’inizio.

Il contratto per la costruzione del sottomarino, capo serie di una nuova classe di battelli a propulsione nucleare, fu aggiudicato dal cantiere navale di Portsmouth il 15 gennaio 1958. Il battello fu varato il 9 luglio 1960 e consegnato alla Marina degli Stati Uniti il 3 agosto 1961. Erano gli anni ’60, in piena guerra fredda, ed il sottomarino conduceva lunghe prove nell’Atlantico occidentale e nel Mare dei Caraibi. Questi test avevano il compito di effettuare una valutazione approfondita delle sue innovative caratteristiche tecnologiche e delle nuove armi imbarcate.

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Il varo del sottomarino U.S.S. Thresher

Nelle acque antistanti Charleston, Carolina del Sud, il Thresher, destinato alla sperimentazione del SUBROC, subì un certo numero di problemi tecnici. Dopo una breve  sosta nel New England, venne inviato in Florida per ulteriori test. Mentre era ormeggiato a Port Canaveral, Florida, il sottomarino fu accidentalmente colpito da un rimorchiatore che danneggiò uno dei suoi serbatoi di zavorra. Dopo le necessarie riparazioni nella base di Groton, Connecticut, il Thresher fu inviato prima a Key West per effettuare dei test di sicurezza, e quindi nel cantiere navale di Portsmouth, il 16 luglio 1962, per iniziare una sosta lavori di sei mesi, post-shakedown, per esaminare i sistemi ed effettuare le riparazioni e le correzioni necessarie. Questo fa comprendere che durante i test in Florida qualcosa non andò bene. Come i marinai sanno molto bene, le lavorazioni delle soste lavori spesso si prolungano oltre il tempo previsto dalla tabella di marcia e solo l’8 aprile del 1963 il sottomarino fu dichiarato nuovamente idoneo al trasferimento.

L’affondamento

Il 9 aprile 1963, il Thresher, comandato dal LtCDR John Wesley Harvey, partì da Portsmouth alle 08:00 e si riunì con la nave di salvataggio sommergibili USS Skylark alle 11:00 per iniziare le prime prove di immersione subacquea dopo i lavori in un area sita a circa 190 miglia ad Est di Cape Cod, Massachusetts.

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U.S.S. Skylark ASR 20

Quel pomeriggio il sottomarino condusse una prima prova di immersione e, in seguito, una seconda immersione a metà della profondità di prova. I documenti della U.S.N. riportano che rimase immerso tutta la notte e ristabilì le comunicazioni subacquee con lo Skylark solo alle 06:30 del 10 aprile per avviare nuovi test di immersione. Seguendo le procedure standard, il U.S.S. Thresher si immerse lentamente comunicando ogni 30 piedi di profondità con la nave appoggio per controllare l’integrità di tutti i sistemi. Mentre il Thresher si avvicinava alla profondità di prova, il USS Skylark ricevette comunicazioni confuse sul telefono subacqueo che indicavano … minor difficulties, have positive up-angle, attempting to blow“, e poi un messaggio finale ancora più confuso che includeva il numero “900“. Quando il Skylark non ricevette ulteriori comunicazioni, gli osservatori di superficie realizzarono con terrore che il sottomarino Thresher si era inabissato con tutto il suo equipaggio.

A metà pomeriggio ben quindici navi della Marina si diressero verso l’area dell’incidente. Il mattino del giorno successivo, giunti sul posto, si resero conto che la speranza di trovare il USS Thresher era praticamente nulla. Il battello era scomparso ad oltre 2000 metri di profondità. Inutile dire che la notizia fece immediatamente il giro del mondo. Fino a quel momento non erano mai scomparsi sottomarini nucleari a simili profondità.

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Iniziò una vasta ricerca subacquea usando la nave oceanografica della Marina statunitense U.S.N.S. Mizar e furono ritrovati frammenti dello scafo del Thresher a circa 2600 metri sotto la superficie, in sei sezioni principali. A seguito dell’implosione dello scafo la maggior parte dei detriti si era diffusa su un’area di circa 134 chilometri quadrati.

Le ricerche sul relitto

Nell’estate del 1963, il batiscafo Trieste fu imbarcato sul USS Point Defiance e trasportato attraverso il Canale di Panama fino a Boston.

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Batiscafo Trieste

Grazie al batiscafo vennero eseguite due serie di immersioni sul campo dei detriti: la prima serie il 24-30 giugno e la seconda serie a fine agosto/inizio settembre, ritrovando artefatti e fotografando le principali sezioni del Thresher, tra cui la vela, la cupola del sonar, le varie sezioni dello scafo fino ai timoni di poppa. Il Laboratorio di Ricerca Navale degli Stati Uniti impiegò per la ricerca magnetometri protonici altamente sensibili, forniti dalla Divisione Strumenti di Varian Associates, Palo Alto, in California, che erano stati imbarcati a bordo del U.S.N.S. Mizar.

I magnetometri furono utilizzati in combinazione con videocamere subacquee sospese sulla stessa linea elettrica utilizzata per trainare le videocamere stesse. Le luci risultavano in posizione più elevata rispetto alla camera riducendo così il fenomeno del back scattering. Fu la prima volta che si applicò questo principio, oggigiorno usato da tutti i fotografi subacquei.

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Il metodo, chiamato LIBEC, per Light behind the camera, utilizzava lampade elettroniche sospese ad alta intensità poste su un trespolo al di sopra del fondo dell’oceano, permettendo di effettuare delle sezioni fotografiche di 120 piedi di lunghezza del fondo marino e rivoluzionò  le tecniche fotografiche future. Grazie al LIBEC furono raccolte 5250 foto, che furono assiemate sul pavimento di una palestra della U.S. NAVY a Washington, DC. Gli scienziati ebbero così il modo di “passeggiare” vagando sul mosaico per comprendere la geomorfologia  del fondo marino intorno alle sezioni del relitto. Il successore del Trieste, il batiscafo Trieste II, effettuò ulteriori operazioni sul relitto del U.S.S. Thresher, recuperando anche qualche struttura dello stesso.

Le lezioni acquisite dal punto di vista oceanografico furono importanti e contribuirono a mettere le basi per la ricerca degli abissi degli anni successivi. Queste operazioni di ricerca su alti fondali, mai tentate prima, contribuirono soprattutto alla definizione delle procedure di emergenza da impiegare per il salvataggio degli equipaggi dei sottomarini a quote superiori a quelle raggiungibili con metodi convenzionali.

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Il Trieste II fu successivamente ricostruito e rimesso in servizio nel 1969 come Hull X-1; il battello fu poi designato nel 1971 veicolo di immersione subacquea di soccorso per la marina statunitense con il numero di fiancata DSV-1.

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Queste per l’epoca straordinarie fotografie subacquee, gli artefatti recuperati dal Trieste e le valutazioni tecnologiche sulla storia del sottomarino americano (dalla progettazione agli eventi della sua breve vita) permisero alla commissione d’inchiesta di concludere che l’USS Thresher subì un guasto ad un sistema di tubazioni di acqua salata, che risultarono brasate invece che saldate.

In seguito, Robert Ballard, che aveva partecipato all’analisi dei dati, dichiarò che, durante l’immersione profonda, una tubatura interna si era rotta ed aveva allagato la sala macchine; lo spegnimento automatico del reattore nucleare aveva tolto l’alimentazione elettrica al sottomarino che così aveva iniziato la sua drammatica discesa verso gli abissi, ormai impossibilitato a riemergere.

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La sala dove fu ricostruito il mosaico della
foto del fondale dove scomparve il Thresher,
Washington, courtesy US Navy

Il sottomarino nucleare incominciò ad affondare senza freni, fino alla quota del limite di rottura dello scafo dove implose. Questa la versione iniziale. Per completezza, in tempi più recenti, a seguito di nuove ispezioni subacquee, si ipotizzò che la causa dell’incidente poteva essere stata diversa. Il sottomarino andò perso a causa di un’esplosione accidentale di uno dei suoi siluri che causò un grave danno alle tubature dell’impianto idraulico di bordo, scatenando i problemi citati dalla commissione di inchiesta. Dalle risultanze dell’inchiesta emerse la necessità di mettere in essere numerose modifiche tecniche e la revisione delle procedure di emergenza per i battelli nucleari, molte delle quali sono ancora in vigore oggi.

Al USS Thesher, capo classe della sua serie, seguirono altri battelli ma, come tradizione, la classe fu ribattezzata Permit con il nome del secondo battello della stessa classe,  ma questa è un’altra storia.

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La sua perdita fu uno spartiacque per la Marina Militare statunitense che portò all’attuazione di un rigoroso programma di certificazione per la sicurezza dei sottomarini noto come SUBSAFE.

SUBSAFE

Esso prevede quattro fasi: Design, Materiali, Fabbricazione e Testing. Tale processo viene applicato nella fase di progettazione dei nuovi sottomarini, durante tutto il ciclo di vita, i periodi di test e quella della stesura dei manuali di manutenzione dei sottomarini. Durante ogni fase vengono effettuati, riveduti, approvati e registrati i test di controllo di qualità per migliorare il ciclo di vita dei nuovi sottomarini. Di fatto il programma SUBSAFE è  iniziato nel 1963 e da allora solo un sommergibile (tra l’altro non-SUBSAFE-certified) l’U.S.S. Scorpion, è stato perso in mare, un motivo di orgoglio per la USN.

Andrea Mucedola

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Ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.

 

FONTE:Logo Ocean4future

News Marina Militare,, U.S.S. Thresher, la storia dell’affondamento del sottomarino che influenzò le scelte tecniche dei battelli subacquei moderni

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