La flotta bananiera italiana

Da  "Il museo del mare di Tortona"  lo spunto per una vicenda oramai dimenticata e conosciuta da pochi che vale la pena ricordare

Bananiera Bottego

 

"Nel post del MUSEO DEL MARE DI TORTONA, questo mese narriamo le vicende di una flotta realizzata appositamente per il commercio delle banane, attività propiziata dalla lungimiranza del Duca Luigi Amedeo di Savoia-Aosta, il quale nel 1920, creò nell’allora Somalia italiana, il Villaggio Duca degli Abruzzi, comunemente chiamato Villabruzzi (a circa 50 km a nord di Mogadiscio) dimostrando così di essere non solo un grande esploratore, ma anche un valido imprenditore.
Il duca realizzò praticamente dal nulla tutte le necessarie strutture sociali, compreso il telefono, il telegrafo, una farmacia, un ufficio postale, spacci vari, scuole, una stazione dei Carabinieri, una dogana. Inoltre (nel più assoluto rispetto delle tradizioni culturali e religiose) nel villaggio furono anche costruite nei primi anni venti una chiesa e una moschea, il bazar e il mercato italiano, un ospedale, un cimitero cattolico e uno musulmano. Infine fu creata la "Sais", la Società agricola italo-somala, che fu la maggiore ditta a gestione privata della colonia somala.
Nel 1926, la colonia agricola arrivò a comprendere 16 villaggi, popolati da circa 3000 Somali e 200 coloni italiani con le loro famiglie. Vi sorse uno stabilimento per la lavorazione della canna da zucchero e poi divenne anche un importante centro produttivo di banane
Le merci erano trasportate fino al porto della capitale con una apposita linea ferroviaria, la Mogadiscio-Villabruzzi, ed infine imbarcate sulle navi bananiere."
 
 
LA FLOTTA BANANIERA ITALIANA
 
Come da oramai consolidata tradizione, trarremo spunto da uno dei numerosissimi modelli di navali esposti al Museo del mare di Tortona per narrare una storia interessante e poco conosciuta della flotta creata appositamente per il trasporto delle banane in Italia.
La storia delle navi bananiere italiane ebbe inizio quando crisi del '29 mise in ginocchio i trasporti marittimi e un quarto della flotta italiana finì in disarmo.
Servivano idee radicali, in quanto la grande depressione aveva portato anche alla crisi del cotone (il più importante prodotto commercializzato in Somalia) il cui prezzo era diminuito del 50%.
Un armatore genovese, Andrea Marsano, decise quindi di puntare su un mercato in forte espansione ma ancora poco conosciuto in Italia, quello delle banane.
In epoca di fabbriche e miniere, la banana poteva diventare il frutto operaio per eccellenza, perché pur senza posate si poteva consumare senza toccarne la polpa con le mani e la sua coltivazione si presentava come la più redditizia dell'epoca.
BIBLIOGRAFIA
 
RambIII
 
Il modello qui visibile, raffigura quella che sarà la più longeva delle sette navi bananiere italiane, realizzato dal Com.L.C. Franco Pernigotti, prezioso collaboratore del nostro Museo.
 
postale
 
Costituita nel 1931 la Società di Navigazione Italo-Somala, Marsano ordinò in Svezia tre bananiere da circa 3.120 tonnellate di portata lorda, la Capitano Bottego, la Duca degli Abruzzi e la Capitano Cecchi, tutte battezzate con nomi di esploratori italiani del Corno d’Africa.
 
Bananiera Bottego
 
Si trattava in assoluto delle prime navi bananiere costruite per una compagnia italiana.
Per il trasporto delle banane disponevano di quattro celle frigorifere (isolate con sughero granulato) della capacità di 2872 metri cubi, con due gruppi refrigeratori ad anidride carbonica (alimentati da quattro compressori e prodotti dalla ditta J. & E. Hall Ld. di Dartford).
Le stive erano tre, con una portata lorda di 3118 tpl* ed una netta di 1950 **tpn.
Le loro non grandi dimensioni consentivano sia di limitare i costi di pedaggio per l’attraversamento del Canale di Suez (essendo questi calcolati sulla base del tonnellaggio delle navi che lo attraversavano), sia di massimizzare il coefficiente di carico.
La velocità, che oscillava tra i 15,5 ed i 16,5 nodi, era relativamente elevata per delle navi da carico, al fine di minimizzare i tempi della traversata e preservare così la freschezza del carico di banane: Capitano Bottego e gemelle risultarono le più veloci navi in servizio sulla rotta tra l’Italia e la Somalia, che percorrevano in dodici giorni, poco più della metà del tempo impiegato dai piroscafi postali della società Tirrenia.
Oltre alle stive per le banane ed altre merci, la Capitano Bottego e le gemelle erano provviste anche di alcune cabine nelle quali potevano trovare posto fino a dodici passeggeri (erano destinate ai concessionari dei terreni somali in cui erano coltivate le banane).
L’apparato propulsivo era costituito da due motori diesel a 6 cilindri da 2550 cavalli, su due eliche, che consentivano una velocità di crociera di 15 nodi ed una massima di 16,5.

*TPL tonnellate di portata lorda: tutto il carico mobile (quindi il peso massimo) che una nave può trasportare

**TPN tonnellate di portata netta: insieme di pesi paganti(merci e passeggeri) che una nave può imbarcare 
 
Postale1
Nel dicembre 1935 anche il regime fascista decise anch’esso di investire nel business delle banane, costituendo la Regia Azienda Monopolio Banane (R.A.M.B.) per trasportare e commercializzare in Italia le banane prodotte nella colonia della Somalia italiana.
 
Ministero colonie
 
Nel 1936 la Regia Azienda Monopolio Banane fu venduta al Ministero delle Colonie (dall’anno seguente, Ministero dell’Africa Italiana), tuttavia, la Capitano Bottego e le sue gemelle non furono vendute alla R.A.M.B., bensì requisite d’autorità dal governo italiano e trasferite a tale compagnia.
La R.A.M.B. edificò depositi nelle principali città italiane e, per il trasporto delle banane, si avvalse all'inizio delle navi frigorifero già esistenti ed in seguito, dal 1937, face costruire 4 nuove e moderne bananiere, battezzate dall'acronimo della azienda: RAMB I, RAMB II, RAMB III, RAMB IV, che dovevano avere un'autonomia sufficiente per la rotta Mogadiscio-Napoli senza soste intermedie.
Di queste, due vennero costruite dal Cantiere Ansaldo di Sestri Ponente (le Ramb I e III) e due dai Cantieri Riuniti dell'Adriatico, negli stabilimenti di Monfalcone (le Ramb II e IV).
 
Ramb1
 
Le quattro RAMB erano munite di quattro stive e di quindici picchi di carico (dodici da cinque tonnellate, uno da 30 a prua, uno da 15 a poppa ed uno da 1500 kg per l'apparato motore), potevano imbarcare 2418 tonnellate di carico, nonché dodici passeggeri, due dei quali in appartamenti di lusso con camera da letto, salotto e servizi e dieci in camerini a due letti, uno dei quali provvisto di bagno, mentre per gli altri vi era un bagno ogni due camerini. Le navi erano anche dotate di un ponte riservato esclusivamente ai passeggeri (separato da quelli per l'equipaggio), di una sala da pranzo con vista su tutti i lati tranne che a poppa e di due verande-fumatoi vetrate. Le sistemazioni dei passeggeri erano anche provviste di aria condizionata.

L'equipaggio contava 120 uomini.
Le misure differivano leggermente:
Lunghezza 122,00 m (per I e III) e 116,78 m (per II e IV)
Larghezza 14,60 m (per I e III) e 15,20 m (per II e IV)
Il pescaggio era, per tutte di 7,77 m.
Stazza lorda 3667 t I, 3685 t II, 3660 t III e 3676 t IV
L'apparato propulsivo era costituito da due motori diesel FIAT di potenza compresa, a seconda delle fonti, tra i 6800 ed i 7200 CV, che azionavano due eliche permettendo una discreta velocità di crociera di 17-18 nodi ed una massima di 19,5. Avevano una scorta di 1250 tonnellate di nafta.

[Nella fotografia, il varo della RAMB I] 
 
 
Piantina
 
L’imbarco delle banane avveniva a Mogadiscio (dove confluivano quelle prodotte nel comprensorio di Villabruzzi o Villaggio Abruzzi, fondato nel 1920 dal Duca omonimo in Somalia) ed alle foci del Giuba. Da qui, venivano trasportate a Genova, Napoli, Venezia e Fiume.
 
Porto1
 
Nei viaggi di andata dall’Italia alla Somalia, le bananiere trasportavano invece merci varie, soprattutto alimenti deperibili per la popolazione delle colonie. La creazione di una capillare rete di distribuzione in Italia e nei Paesi amici, insieme ai ridotti tempi di trasporto ed ai bassi costi di gestione, resero il commercio delle banane somale estremamente redditizio; nel 1939 il consumo di banane in Italia aveva raggiunto i 450.000 quintali.
[Nella foto la RAMB III mentre sta scaricando alla banchina di ponente della stazione marittima di Venezia] 
 
Bananiera mimetica
 
Il progetto prevedeva inoltre installazioni che, se necessario, permettevano la trasformazione in incrociatori ausiliari, armati con 4 pezzi da 120/40 mm in coperta e due, elevabili sino a sei, mitragliere da 13,2 mm.
I materiali per la militarizzazione delle navi furono posti in deposito a Massaua per due unità ed a Napoli per le altre due
 
Bananiera mimetica1
 
Lo scafo, in acciaio, con forme più da nave militare che mercantile, era diviso in sette compartimenti da sei paratie stagne trasversali.
La nave aveva un ponte principale, un ponte di sovrastruttura completa con castello e tughe a centro nave, un cassero di 16,33 metri a prua ed una tughetta a poppa.
Il profilo dell'unità era caratterizzato da due alberi da carico (uno a prua ed uno a poppa) e da un fumaiolo a centro nave
 Ramb2
 
La dichiarazione di guerra colse di sorpresa molte navi mercantili italiane, e la flottiglia delle sette bananiere non fece eccezione.
Delle tre motonavi della serie "Duca degli Abruzzi", soltanto la Capitano Cecchi si trovava in Mediterraneo allo scoppio delle ostilità: la terza unità, la Duca degli Abruzzi, era infatti anch’essa in Africa Orientale. Insieme ad esse rimasero bloccate in Africa Orientale anche tre delle quattro RAMB: la RAMB I, la RAMB II e la RAMB IV, tutte intrappolate a Massaua come anche la Capitano Bottego.
La conversione ad incrociatore ausiliario non poté avere luogo per tutte, dal momento che quando la dichiarazione di guerra che le sorprese a Massaua, vi era materiale sufficiente soltanto alla conversione di due unità e venne impiegato per trasformare la RAMB I e la RAMB II.
Dopo un lunghissimo tempo passato in porto, tra la fine di febbraio e la fine di marzo 1941, quando la Somalia stava per cadere, le poche navi che avevano scafi e macchine in buone condizioni, velocità non troppo bassa ed autonomia sufficiente lasciarono Massaua per tentare di raggiungere porti amici o benevolmente neutrali in Francia (per i sommergibili) ed in Giappone (per le navi di superficie).
Le uniche bananiere ritenute in grado di affrontare la traversata con qualche probabilità di successo erano le RAMB I, la RAMB II (entrambe requisite dalla Regia Marina e trasformate in incrociatori ausiliari e la RAMB IV che nel frattempo era divenuta una nave ospedale).
[Nell'immagine la Capitano Cecchi
 
Piantina2
 
Nel porto di Massaua e nel grande golfo interno dell’isola di Dahlak Kebir (il Gubbet Mus Nefit) restavano una quindicina di piccole unità militari, e ventiquattro unità mercantili: diciotto italiane (Adua, Antonia C., Arabia, Capitano Bottego, Brenta, Clelia Campanella, Colombo, Giove, Impero, Giuseppe Mazzini, Moncalieri, Nazario Sauro, Riva Ligure,
Romolo Gessi (già Alberto Treves), Tripolitania, Vesuvio, Urania, XXIII Marzo) e sei tedesche (Gera, Frauenfels, Liebenfels, Crefeld, Lichtenfels ed Oliva)
Con l’approssimarsi delle truppe inglesi, il Comandante di Marisupao, Ammiraglio Bonetti, dispose che alcune unità si spostassero nel grande golfo interno di Dahlak
Kebir per autoaffondarsi, affidando ad altre il compito di autoaffondarsi in posizioni tali da rendere impossibile l’accesso alle installazioni portuali di Massaua.
Il “suicidio” collettivo iniziò già il 3 aprile 1941, ma non vi è certezza della sorte di molte unità né di dove giacciono eventualmente i loro relitti.
La decisione di procedere all’autoaffondamento creò una sorta di cimitero di navi, uno a Massaua e l’altro nel grande golfo interno di Dahlak Kebir.
Delle navi militari la torpediniera Orsini, al comando del Tenente di Vascello Giulio Valente, prima di autoaffondarsi concorse alla difesa del porto.
Al sopraggiungere delle prime colonne blindate britanniche, aprì subito il fuoco con i suoi pezzi da 102/45 e 40/39, rallentando la marcia delle truppe britanniche nei pressi di Embereni, poi, esaurite tutte le munizioni, nella tarda mattinata dell’8 aprile il Comandante Valente decise l’autoaffondamento, aprendo le valvole Kingston e rompendo alcuni tubi di macchina. Fu escluso l'impiego di ordigni esplosivi data la vicinanza della nave ospedale RAMB IV e dell'ospedale a terra. 
 
Affondate
 
Nella foto si può vedere la barriera costituita dalle navi autoaffondate all'imbocco del porto di Massaua, con in primo piano il piroscafo Brenta. 
 
societa navigazione
 
La Duca degli Abruzzi, fuggita da Chisimaio alla caduta della Somalia si rifugiò nel porto di Diego Suarez, nel Madagascar sotto il controllo della Francia di Vichy.
 
Ramb1bis
 
RAMB I
Allo scoppio delle ostilità, la nave fu trasformata in incrociatore ausiliario con gli armamenti presenti nel porto di Massaua.
La Ramb I limitò la propria attività bellica come “nave corsara” ad una singola ed infruttuosa incursione in Mar Rosso nell'agosto 1940 alla ricerca di naviglio mercantile nemico, missione che fu interrotta proprio perché non risultò possibile trovare navi da attaccare.
 
Affondamento
 
 Quando la caduta la dell’Africa Orientale Italiana, all'inizio del 1941apparve inevitabile, la RAMB I ricevette l'ordine di abbandonare Massaua e cercare rifugio in Giappone. Il 20 febbraio la RAMB I salpò da Massaua per destinazione Nagasaki al comando del capitano di corvetta Bonezzi. Il 27 febbraio 1941 alle ore 5,10, la RAMB I venne avvistata dall'incrociatore leggero neozelandese HMNZS Leander, da 7.200 tonnellate ed armato con 8 cannoni da 152 mm, poco ad ovest delle Maldive. La motonave italiana tentò di ingannare il nemico, fingendosi una nave inglese, ma senza successo. Il comandante decise quindi di accettare battaglia ed issato il tricolore, alle 11.53 la Ramb I aprì il fuoco. Il tiro della nave italiana pur impreciso, colpì alla terza salva il ponte di coperta dell'unità neozelandese, senza però che il proiettile scoppiasse. Mezzo minuto dopo il primo colpo italiano, il Leander reagì sparando una prima bordata e riducendo la distanza, continuò a fare fuoco con maggiore precisione colpendo ripetutamente la motonave con cinque bordate; constatati i notevoli danni subiti e con un incendio sottocoperta, il comandante Bonezzi decise di arrendersi, dando ordine di ammainare la bandiera, accendere le micce per l'autoaffondamento ed abbandonare la nave. Mentre l'incendio si estendeva verso poppa, si verificò una violenta esplosione sotto il ponte di comando, con fumo e fiamme che s'innalzarono per decine di metri mentre la nave si appruava. Alle 12.43 la violenta esplosione della polveriera pose fine all'agonia della nave italiana, che s'inabissò cinque minuti più tardi. Il Leander recuperò tutti i superstiti della nave italiana il cui equipaggio registrò la perdita di due uomini e fu trasferito nei campi di prigionia di Colombo (Ceylon), dove arrivò il 2 marzo 1941.

RambII

RAMB II
Come la RAMB I, la RAMB II all’inizio della guerra fu trasformata in incrociatore ausiliario installandovi l’armamento ad essa riservato.
Anche per la RAMB II gli ordini furono di cercare rifugio in Giappone.
Salpò da Massaua il 22 febbraio, al comando del capitano di corvetta di complemento Pasquale Mazzella, anch’essa con destinazione Nagasaki.
Venne superato dapprima lo stretto di Perim, eludendo la sorveglianza operata dalla Royal Navy e dalla Royal Air Force, quindi lo stretto di Bab el-Mandeb e il golfo di Aden, per poi passare tra Capo Guardafui e Ras Hafun ed entrare così nell'Oceano Indiano.
Opportunamente camuffata, non ebbe particolari problemi, al di là di alcuni sporadici avvistamenti, rapidamente elusi. Nei primi giorni di marzo la RAMB II transitò a sud delle Maldive, continuando a procedere verso sudest, mentre tra il 10 ed il 15 del mese transitò nelle acque dell'Indonesia, dapprima passando a nordovest di Timor, quindi puntando verso nord e passando nello stretto delle Molucche, per poi fare rotta verso nordest, in direzione del Giappone.

Schema ramb

Il 18 marzo, venne ricevuto un dispaccio radio il quale avvertiva che il Giappone, essendo ancora neutrale, non poteva consentire l'ingresso nei propri porti di navi da guerra appartenenti a Stati belligeranti. In considerazione di tale informazioni, i cannoni e mitragliere vennero rimossi e nascosti nelle stive, mentre le loro piazzole vennero occultate. La nave, avendo così perso le “stellette”, venne ribattezzata Calitea II. Il 21 marzo venne ricevuto un nuovo ordine che mutava la destinazione in Kobe che veniva raggiunta il 23 marzo 1941.
Nel maggio 1941 la nave venne data in gestione alle Linee Triestine per l'Oriente, con sede a Trieste e successivamente la motonave si trasferì a Tientsin, dove si trovava nel settembre 1941. A partire dal dicembre 1941 la Calitea II, mantenendo equipaggio italiano, riprese il mare noleggiata dal Governo giapponese, trasportando munizioni ed altri carichi d'interesse bellico a Bali, Giava e Sumatra. A fine agosto 1942 venne inviata per lavori di riparazione a Kobe.
Alla proclamazione dell'armistizio, l'8 settembre 1943, la Calitea II si trovava ancora ai lavori a Kobe e,come da ordini ricevuti, venne autoaffondata dal suo equipaggio la mattina del 9 settembre.

Schema ramb2

 Poche settimane dopo l'autoaffondamento la Calitea II venne riportata a galla dai giapponesi ed utilizzata come trasporto ausiliario (specialmente per viveri) e venne ribattezzata Ikutagawa Maru il 3 ottobre 1943.
Il 24 dicembre 1943, terminati i lavori di riparazione la motonave prese il mare alla volta di Sasebo, ed il 1 gennaio 1944 venne assegnata alla Flotta Combinata ed aggregata alla Flotta dell'area sudoccidentale (Nansei Hōmen Kantai) svolgendo, per tutto l’anno, intensa attività nei mari delle Indie Orientali e sfuggendo agli attacchi dei sottomarini americani
Il 12 gennaio 1945 la Task Force 38 della US Navy lanciò l'operazione «Gratitude»: velivoli statunitensi attaccarono naviglio aeroporti ed installazioni terrestri giapponesi nell'Indocina sudorientale. L'Ikutagawa Maru, ormeggiata a Saigon, venne colpita durante una delle incursioni aeree statunitensi ed affondò.

Ospedale

RAMB IV
A differenza delle Ramb I ed II, convertite in incrociatori ausiliari, la Ramb IV rimase inattiva per alcuni mesi nel porto di Massaua, disarmata ed utilizzata come nave alloggio.
In previsione della futura ed inevitabile caduta dell’Africa Orientale Italiana, negli ultimi giorni del dicembre 1940, la Regia Marina decise di trasformare la Ramb IV in una nave ospedale, per poter salvare e ricondurre in patria almeno parte dei feriti e malati gravi e del personale sanitario presente nell'A.O.I.

Ospedale

Ridipinta pertanto secondo le norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra per le navi ospedale (scafo e sovrastrutture bianche, fascia verde interrotta da croci rosse sullo scafo e croci rosse sui fumaioli), la nave, dotata di attrezzature sanitarie e personale medico reperibili in Africa Orientale, venne requisita ed iscritta nel ruolo del Naviglio ausiliario dello Stato il 7 febbraio 1941. Dotata di 272 posti letto, la RAMB IV nei primi mesi del 1941 stazionò a Massaua come ospedale galleggiante.
L'8 aprile 1941, subito prima della caduta della città ormai assediata dalle truppe britanniche, la Ramb IV lasciò quel porto diretta verso nord, progettando di chiedere ed ottenere il permesso di transitare per il canale di Suez, onde poter raggiungere l'Italia ove portare gli oltre duecento infermi, tra feriti e malati, imbarcati.

Ospedale schematica

Essendo la nave regolarmente denunciata e registrata presso le autorità di Ginevra, ed essendo stati stabiliti dai trattati internazionali, sin dal 1869, la neutralità ed il diritto di transitare nel canale di Suez sia in tempo di pace che di guerra, il progetto era teoricamente realizzabile, ma in realtà il Regno Unito aveva affermato, sin dalla prima guerra mondiale, che solo le proprie autorità avevano il diritto di consentire o vietare il transito tra Suez e Porto Said. Qualora gli inglesi non avessero accordato il permesso di passare per il canale, era stato deciso che la Ramb IV si sarebbe diretta nello Yemen o nell'Arabia Saudita, nazioni neutrali, per farvisi internare.
In realtà gli inglesi non si limitarono a negare il passaggio, ma inviarono il cacciatorpediniere Kingston ad intercettare la nave ospedale, che fu abbordata e catturata al largo di Aden la sera dell’ 8 aprile.

Nave fiamme

L'unità fu ricondotta a Massaua, ormai in mano britannica. Le autorità britanniche decisero di incorporare la nave nella Royal Navy, continuando ad impiegarla come nave ospedale nel Mar Rosso e, dai primi mesi del 1942, nel Mediterraneo orientale, dove operò lungo le coste della Libia e dell'Egitto.
Nel primo mattino del 10 maggio 1942, in buone condizioni di visibilità, la nave ospedale venne attaccata al largo di Alessandria d'Egitto, dove era quasi giunta proveniente da Tobruk con a bordo 95 uomini di equipaggio e 269 infermi imbarcati nella città libica, da bombardieri Junkers Ju 88 della Luftwaffe, che la colpirono con alcune bombe, incendiandola.
Morirono 165 uomini e 155 furono i feriti.
Divorata dalle fiamme, la RAMB IV, dopo alcuni tentativi di vincerle anche grazie all’equipaggio del cacciatorpediniere HMS Kipling, inviato in aiuto da Alessandria insieme all'Harrow e all'Hasty, dovette infine essere abbandonata e finita a cannonate dall'Hasty.

RambIII3

RAMB III

Ho scelto di tenere per ultima la vicenda della RAMB III poiché dopo varie vicissitudini. cambi di bandiera e un affondamento, fu l'unica delle quattro RAMB a sopravvivere sino ai giorni nostri.

[ RAMB III nel porto di Ancona] 

Ramb3 requisita

Il giorno seguente la dichiarazione di guerra, la RAMB III venne requisita a Genova dalla Regia Marina,
Iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato e trasformata in incrociatore ausiliario con l'imbarco dell’armamento composto da quattro cannoni da 120/45 mm e due mitragliere da 13,2 mm. In seguito vennero aggiunti anche scarica-bombe per bombe di profondità.
Dal 19 giugno 1940 la nave venne assegnata alle scorte dei convogli tra Italia e Libia e poi a quelli verso Grecia ed Albania.
Nella notte dell'11 novembre 1940 la RAMB III, al comando del capitano di fregata richiamato Francesco De Angelini, era in mare quale scorta, con la torpediniera Nicola Fabrizi, ad un convoglio di quattro mercantili (piroscafi da carico Premuda, Capo Vado ed Antonio Locatelli, motonave passeggeri Catalani).
Alle 1,15 del 12 novembre il convoglio fu avvistato dalla 7ª Divisione incrociatori britannica (incrociatori leggeri Orion, Ajax e Sydney e cacciatorpediniere Nubian e Mohawk), inviata nel canale d'Otranto per attaccare convogli italiani.
Ne scaturì uno scontro nel quale tutti e quattro i trasporti furono affondati od incendiati; la RAMB III sparò 17 salve con i propri quattro cannoni da 120 mm, per poi ritirarsi e lasciare il luogo dello scontro. 

 Ramb3 navigazione
 
La RAMB III ritornò quindi ad essere impiegata sulle rotte per la Libia, specie sulla rotta Napoli-Tripoli, quale trasporto della carne.
La nave non serviva solo come scorta: alle sue regolari soste di manutenzione in diversi porti, contribuiva alla difesa dei porti come parte delle forze antiaeree e ai membri del suo equipaggio, in particolare agli ufficiali, venivano assegnati importanti premi e medaglie.
Dopo che il Corpo d'Africa tedesco conquistò la Cirenaica, la RAMB III fu la prima nave a salpare a Bengasi.
Il 30 maggio 1941 l'unità era ormeggiata nel porto di Bengasi, dove, a causa dell'affollamento del porto, la nave aveva la prua che sporgeva di un trentina di metri dalla diga foranea.
Alle 19,30 venne colpita da un siluro lanciato dal sommergibile britannico Triumph.
Fino a quel momento la RAMB III aveva preso parte a 86 missioni militari, prima sulle rotte tra Brindisi e l'Albania, e poi tra Napoli e Tripoli o Bengasi.
Il siluro danneggiò gravemente la prua, ma, grazie alla tenuta stagna delle stive frigorifere, la nave non affondò.
Appruata, si posò soltanto sul fondale del porto.
Non essendo possibile eseguire i necessari lavori di riparazione con i mezzi a disposizione in loco, venne presa la decisione di asportare l'intera parte prodiera, gravemente lesionata ed allagata.
L'incrociatore ausiliario venne zavorrato in modo da ovviare all'appruamento e ripristinare l'assetto longitudinale e trasversale. Venne presa la decisione di affrontare la navigazione verso l'Italia a marcia indietro, con l'ausilio del traino da parte un rimorchiatore. A tale scopo, sono state necessarie diverse altre regolazioni: il timone della nave fu stato fissato al suo centro, la lubrificazione delle parti rotanti venne regolata per adattarsi alla nuova direzione di movimento e un paio di timoni aggiuntivi furono aggiunti ai lati della nave, in caso di emergenza.
I timoni erano in realtà grandi pezzi di lamiera che potevano essere abbassati nel caso in cui il l'assetto della nave dovesse essere regolato.
In queste circostanze, la nave navigò navigato sul Mediterraneo attraversando più di 900 miglia nautiche utilizzando solo il proprio motore.
L'uso di rimorchiatori sarebbe stato richiesto solo in casi di massima emergenza.
Fece rotta per Brindisi, ove arrivò il 25 agosto e successivamente, per Trieste, ove giunse il 20 settembre 1941. Qui venne sottoposta ai lavori di riparazione e ricostruzione della parte prodiera.
La costruzione della nuova prua durò fino al gennaio 1943, quando entrambe le parti della nave furono portate in un bacino di carenaggio e attaccate l'una all'altra.
La ricostruzione fu completata il 23 luglio 1943. 
 
RambIII tedeschi
 
All'8 settembre 1943, la RAMB III si trovava nel porto di Trieste.
Durante il tentativo di uscire da porto per consegnarsi agli Alleati, fu abbordata e catturata da marinai tedeschi.
Incorporata nella Kriegsmarine come trasporto e ribattezzata Kiebitz (Pavoncella), partecipò il 13 novembre 1943 all'operazione «Herbstgewitter» ("Tempesta d'autunno"), che prevedeva una serie di operazioni anfibie per il recupero delle isole di Veglia, Cherso e Lussino, occupate dai partigiani iugoslavi. 
 
Ramb3 affondata
 
Successivamente venne rinforzato l’armamento e predisposta per la posa delle mine; così armata la nave svolse l’attività di posamine nelle acque dell'Adriatico.
Il 5 novembre 1944, nel corso di un bombardamento aereo statunitense su Fiume, venne la RAMB III, ora Kiebitz fu colpita da tre bombe sganciate da quadrimotori statunitensi. 
 
Ramb3 fiume
 
In seguito a un furioso incendio provocato da una bomba che aveva colpito un deposito di carburante, affondò, adagiandosi su un fondale di circa 20 metri di profondità.
[La RAMB III in affondamento a Fiume] 
 
Ramb3 rinnovata
 
Alla fine del conflitto, nel 1947 venne recuperata dagli jugoslavi e trainata da un rimorchiatore della “Brodospas” proveniente da Spalato, nei cantieri Uljanik di Pola, dove venne accuratamente ricostruita tra il 1948 e il 1952.
Inizialmente ribattezzata Mornar (Marinaio) venne usata come nave scuola per gli allievi ufficiali della Marina iugoslava.
Il nuovo armamento della nave fu su quattro cannoni da 88 mm ex tedeschi, 4 cannoni Bofors 40 mm, 6 impianti 20 mm Flakvierling anche questi di origine tedesca, due M2 Browning 12,7 mm ed un impianto antisommergibili. Alcune modifiche strutturali portarono ad una lunghezza fuori tutto di 117 metri con 5,6 metri di pescaggio medio. 
 
Galeb
 
Successivamente ebbe il nome definitivo di Galeb (Gabiano) venendo utilizzata come nave di rappresentanza per i viaggi del presidente Tito.
Il Galeb, in veste di nave di rappresentanza presidenziale, fino alla morte di Tito, avvenuta nel 1980, effettuò 549 giorni di crociera, 308 dei quali con Tito a bordo, percorrendo 86.062 miglia, visitando 18 stati di tre continenti, Europa, Asia ed Africa ed ospitando 102 tra capi di stato e di governo. Tra gli uomini di stato ospiti a bordo Paolo I e Federica di Grecia, l'Imperatore d'Etiopia Haile Selassie, Re Hassan del Marocco, il presidente egiziano Nasser, il Primo Ministro indiano Nehru, il Presidente dell'Indonesia Sukarno, il Presidente del Ghana Nkrumah, il Presidente della Tunisia Bourguiba, Sirimavo Bandaranaike, (Primo Ministro di Ceylon e prima donna al mondo ad essere Primo Ministro), il Primo Ministro della Birmania U Nu, il Presidente della Guinea Sékou Touré, l'Arcivescovo di Cipro Makarios, il leader sovietico Khruščёv, il Presidente americano Kennedy, il leader cubano Fidel Castro.
Dopo la morte di Tito, la nave, effettuò l'ultimo viaggio in veste di yacht di stato nel 1989.
[in alto Josip Broz Tito e Jovanka Broz, sotto, l'ex RAMB III trasformata in panfilo presidenziale] 
 
Ramb ruggine
 
Con il disfacimento della ex-Jugoslavia la nave divenne proprietà del governo della nuova Federazione Jugoslava. Nel corso della guerra fra la Croazia e la vecchia Federazione Jugoslava la nave venne utilizzata dalle forze federali per il blocco navale delle coste croate e nel 1992 partecipò all'evacuazione delle forze federali dalla Croazia. Successivamente dopo essere stata radiata dalla Marina Federale e ceduta al governo del Montenegro la nave finì ormeggiata in stato di abbandono presso le Bocche di Cattaro.
Alcuni anni dopo venne venduta ad un uomo di affari greco per un eventuale restauro che non venne realizzato, rimanendo così ad arrugginire ormeggiata in un porto nei pressi di Fiume 
 
Ramb3 museo
 
La città di Rijeka (Fiume) in Croazia , ha deciso nel 2019, di trasformare l'ex yacht del maresciallo Tito, Galeb, già motonave bananiera italiana e incrociatore ausiliario RAMB III in museo galleggiante.
[Lo stato dei lavori di restauro al 13 ottobre 2021] 
 
Nota aggiuntiva fornita da Barca A Vela Ginpao estratta a sua volta da Wikipedia
 
La Ramb III, impiegata con compiti di scorta nel Mediterraneo, colpita da un sommergibile inglese nel porto di Bengasi, riuscì a rientrare in Italia e trasportata a Trieste, presso il Cantiere San Marco per i lavori di ripristino che erano quasi terminati, quando in seguito agli eventi che seguirono l'armistizio la nave venne abbandonata. Catturata dai tedeschi venne ribattezzata Kiebitz e utilizzata come posamine. Il 5 novembre mentre era alla fonda nel porto di Fiume venne affondata durante un bombardamento alleato della città. Alla fine della seconda guerra mondiale venne recuperata dagli jugoslavi nel 1947 e riattata a Pola con lavori che durarono dal 1948 al 1952 e ribattezzata Galeb. Nella Marina jugoslava alternò compiti di nave scuola per allievi ufficiali a quello di nave di rappresentanza del dittatore Tito. Con il collasso della Jugoslavia la nave venne assegnata al governo del Montenegro e lasciata abbandonata presso le Bocche di Cattaro. Alcuni anni dopo venne venduta ad un uomo di affari greco per un eventuale restauro che non venne realizzato ed è attualmente ormeggiata in un cantiere nei pressi di Fiume in attesa che venga deciso il suo destino. 
 
RambIII wikipedia1
 
Foto del 2008
 
 
Un grazie particolare al Museo del mare di Tortona per i preziosi contributi che ci regala tramite la sua pagina Facebook
 
 

News varie dal mare, La flotta bananiera italiana

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