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Il barchino saltatore Grillo e l’azione di Pola

Dal sito Ocean4future ancora un articolo di storia della Prima Guerra Mondiale

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Ricordo una lezione di Storia Navale, tenuta dall’Ammiraglio Dell’Alba durante la quarta classe in Accademia Navale. Raccontando l’impresa di Luigi Rizzo, accennò il precedente tentativo di forzare il porto di Pola con dei mezzi decisamente bizzarri, i barchini saltatori.

Dopo tanti anni, visitando lo splendido Museo Navale di Venezia, mi soffermai su una reliquia di quell’azione condotta da quattro marinai coraggiosi in una notte di maggio del 1918, un evento navale della Prima guerra mondiale certamente meno noto di quello di Luigi Rizzo o di Rossetti e Paolucci che credo sia meritevole di essere raccontato.

Mappa del 1897 del litorale austriaco nellAlto Adriatico dove si possono individuare le citta obiettivo dei forzamenti italiani

Il teatro delle operazioni in Alto Adriatico, mappa del 1897

Nel 1918, la potente flotta austro-ungarica continuava ad essere presente con tutta la sua potenza in Adriatico. Sebbene numericamente inferiore a quella italo-franco-britannica, era composta da eccellenti navi, comandate da validi comandanti che sapevano sfruttare al meglio le acque dalmate, colpendo con i propri sommergibili il naviglio nemico e bombardando le coste italiane dal mare.

Una delle basi maggiori della flotta austriaca era a Pola, capoluogo istriano, dove erano ridossate le unità della I Squadra di Linea, fior fiore della Flotta austro-ungarica, composta da quattro corazzate classe Tegethoff da 21000 tonnellate e tre da 15.000 tonnellate classe Zrinyi. Una minaccia presente e costante per l’Italia che, subendo i loro bombardamenti dal mare, non riusciva ad ingaggiarla in un confronto diretto in alto mare.

Lo Stato Maggiore della Regia Marina italiana, nell’impossibilità di ottenere uno scontro in mare, ricercava nuove soluzioni per poter attaccare in porto le navi nemiche. Già dal 1916, aveva effettuato numerosi attacchi con dei piccoli motoscafi siluranti, denominati M.A.S. (motoscafo armato silurante), comandati da giovani ufficiali coraggiosi e disposti a tutto, il cui motto, Memento Audere Semper (da cui M.A.S.), era stato coniato dallo stesso Gabriele d’Annunzio durante la beffa di Buccari, uno dei rari casi in cui da un acronimo fu coniato un motto.

MAS CAVALLETTA VENEZIA

Fra le tante idee emerse in seno alla Regia Marina italiana va ricordata quella di forzare le ostruzioni del porto di Pola, impiegando un mezzo decisamente innovativo, il barchino saltatore, un motoscafo in grado di “scavalcare” le ostruzioni per poter poi attaccare con i siluri le navi in porto.

L’idea maturò dopo l’azione di forzamento del canale di Fasana, condotta nella notte tra il 1° ed il 2 novembre 1916, durante la quale si utilizzarono dei pesi per abbassare le ostruzioni metalliche poste all’imboccatura del canale. L’ingegnere Attilio Bisiodirettore della SVAN di Venezia ed ideatore dei primi MAS, nel giugno del 1917 presentò al viceammiraglio Paolo Thaon di Revel un progetto di un barchino (piccolo motoscafo) in grado di penetrare nelle basi navali nemiche scavalcando le reti di ostruzione. L’idea piacque e fu avviato il progetto per la costruzione di questi mezzi innovativi.

grillo schema disegno

L’impresa si presentava comunque complessa e pericolosa per la attiva sorveglianza del nemico e per le numerose linee di difesa (ostruzioni) che sbarravano gli ingressi.

Le unità erano dei motoscafi dotati di due catene Galles continue munite di ramponi, che servivano ad aggrappare il mezzo all’ostruzione ed a farlo progredire su di essa facendogliela superare. Nel momento dell’azione, i motori di propulsione venivano sgranati dall’elica ed accoppiati con l’asse motrice delle catene che diventavano quindi la forza trainante. In pratica, il mezzo aveva quattro pulegge dentate (due a poppa e due a prua) sulle quali scorrevano le due catene tipo Galles dotate di ramponi che consentivano al mezzo di arrampicarsi sopra le ostruzioni portandolo dall’altra parte.

gatena gallesLa manovra era facilitata dalla possibilità di variare l’assetto longitudinale del mezzo, con lo spostamento di pesi da prora a poppa. Fu calcolato che avrebbe potuto superare il tipo di ostruzioni in opera nella rada di Pola in circa 2 minuti e 40 secondi. Tra un’ostruzione e l’altra il mezzo ritornava quindi alla sua propulsione normale per poter raggiungere velocemente la successiva. I motoscafi avevano un dislocamento di otto tonnellate ed una lunghezza di sedici metri. Erano propulsi da due motori elettrici Rognini e Balbo su un asse, per 10 CV complessivi ,ed erano armati con due siluri da 450mm.

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Di questo tipo, furono segretamente costruiti nell’arsenale di Venezia quattro barchini saltatori denominati Cavalletta, Pulce, Locusta, Grillo, al comando rispettivamente dei Tenenti di vascello Speziale, Da Zara, Castellani e dal Capitano di corvetta Pellegrini. Il primo impiego di questi mezzi malgrado il valore e la tenacia dei comandanti, non fornì nelle prove i risultati sperati. Ma quegli audaci comandanti non si diedero per vinti e furono quindi eseguiti sei tentativi di forzamento della munitissima base di Pola. Quello di maggior successo fu quello del Grillo comandato da Mario Pellegrini.

I tentativi

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L’ultima azione
La notte tra il 13 e il 14 maggio, dopo essere stato rimorchiato da un cacciatorpediniere fino nelle vicinanze di Pola, il barchino saltatore Grillo, comandato dal neo capitano di corvetta Mario Pellegrini fu rimorchiato nei pressi della prima linea di ostruzioni del porto di Pola dal MAS 95 guidato dal Capo timoniere di prima classe Gino Montipò, lo stesso che aveva partecipato alla “Beffa di Buccari” con Gabriele D’Annunzio che, per la sua audacia, gli aveva dato lo pseudonimo di Filibustiere del Carnaro.

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L’azione del Grillo, dipinto di Klaudus

Le numerose linee di ostruzione da superare prima di arrivare in posizione di lancio dei siluri erano composte da briccole di legno, conficcate profondamente nel basso fondale la cui parti emerse erano collegate da catene, cavi di acciaio e reticolati di filo spinato. Il Grillo doveva quindi superare in maniera occulta numerosi sbarramenti per non essere scoperto ma, già dopo il primo, venne individuato e sottoposto al fuoco nemico. Con notevole coraggio i marinai italiani continuarono la loro missione, superando la seconda e la terza di linea di sbarramento. Al superamento della quarta però un mezzo austriaco partì dalle acque del porto, puntando decisamente verso l’imbarcazione italiana. Sotto il fuoco delle artiglierie terrestri, delle navi ed ora anche del mezzo austriaco, il Grillo fu trivellato di colpi e Pellegrini comprese che non c’era più scampo. Con estrema lucidità decise di autoaffondare il barchino, agendo lui stesso sulle valvole di allagamento e regolando le cariche di autodistruzione. I quattro marinai italiani si lanciarono quindi in mare e vennero raccolti dalle fredde acque dagli Austriaci e fatti prigionieri; uno di loro, gravemente ferito, Francesco Angelino, in seguito, subì l’amputazione del braccio.

Per ironia della sorte, dal porto di Pola gli Austriaci lanciarono due razzi illuminanti che furono erroneamente interpretati dal cacciatorpediniere italiano di scorta come indice di successo dell’azione del Grillo. Due giorni dopo, la notizia fu pubblicata da tutti i giornali del Regno d’Italia e la Camera dei Deputati rese omaggio a Pellegrini e ai marinai italiani che diventarono in breve degli eroi nazionali. All’equipaggio del Grillo: capitano di corvetta Pellegrini, 2° Capo Milani, Marinaio Angelino e Fuochista Corrias fu concessa la medaglia d’oro al Valor Militare.

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Cimelio del Grillo conservato presso il Museo Storico Navale di Venezia

I resti del barchino saltatore Grillo vennero in seguito recuperati dagli Austriaci, come risulta dalle foto seguenti. In particolare, si nota che l’esplosione delle cariche attivate da Pellegrini avvenne con successo, distruggendo la parte poppiera. Invece, i due siluri, sebbene sicuramente danneggiati, non scoppiarono. Il mezzo navale fu studiato a lungo dalla marina austriaca ma non ebbe seguito.

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In questa foto si notano bene le grandi pulegge delle catene Galles

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Rientrato in Patria il 28 novembre 1918, il comandante Pellegrini, per l’audace azione compiuta, fu promosso capitano di fregata.

mario pellegriniMario Pellegrini fu un ufficiale di grandi qualità e esperienza, che proveniva dai Ruoli Normali di Stato Maggiore della Regia Accademia Navale di Livorno da dove era uscito con il grado di Guardiamarina nel 1902. Nel grado di Tenente di Vascello aveva partecipato al conflitto italo-turco del 1911-12 e con l’incrociatore corazzato Francesco Ferruccio, aveva partecipato alle azioni di appoggio alle Compagnie da sbarco sulla spiaggia di Tobruk il 22 dicembre 1911 e all’azione di bombardamento contro le coste dell’Asia Minore. Durante la Prima guerra mondiale, nell’incarico di Direttore di Tiro dell’incrociatore Libia, aveva combattuto contro una formazione austriaca condotta dall’esploratore Helgoland. Nel gennaio 1917 ebbe il comando della torpediniera 11 con la quale, nell’ottobre dello stesso anno, partecipò alla delicata fase del ripiegamento della IIIa Armata dall’Isonzo, guadagnandosi una Croce di Guerra al Valor Militare. Il 10 dicembre successivo partecipò con Luigi Rizzo al fortunato attacco nella rada di Trieste, che culminò con l’affondamento della corazzata Wien ad opera di Rizzo, venendo decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare. Nell’aprile 1918 assunse il comando del Battaglione “Bafile” della Brigata Marina e nel maggio, promosso Capitano di Corvetta, si offerse volontariamente al tentativo di forzamento del porto di Pola con il barchino Grillo. Dopo la guerra assunse il comando di una squadriglia di cc. tt. dal novembre 1918 e, in seguito, del Regio Esploratore Premuda e del comando MARINA ZARA. Da capitano di vascello, nel marzo 1925, ricoprì l’incarico di Capo di Stato Maggiore prima del Comando in Capo del Dipartimento M.M. di Taranto e poi di quello di La Spezia. Non ultimo comandò le Regie Navi Cavour e Brindisi. Collocato a domanda in ausiliaria, nel dicembre 1928, fu promosso contrammiraglio nel luglio 1932 e ammiraglio di divisione nella riserva nel dicembre 1936. Morì a Modena il 2 aprile 1954.

Andrea Mucedola

Bibliografia
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Ufficio Storico della Marina
wikipedia

 

Ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.

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