Museo Sacrario delle Bandiere delle Forze Armate al Vittoriano

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Il Sacrario delle Bandiere al Vittoriano, raccoglie e custodisce le Bandiere di guerra dei Reparti disciolti, delle Unità navali radiate dal quadro del naviglio dello Stato, nonché le Bandiere degli Istituti militari e delle unità appartenenti ai Corpi armati dello Stato disciolte.
Presso il sacrario sono custoditi anche cimeli, particolarmente importanti relativi alle guerre combattute dalle Forze armate italiane. Fa parte del complesso il sacello del Milite Ignoto, in cui furono tumulate nel corso di una solenne cerimonia il 4 novembre del 1921le spoglie non identificate di un soldato caduto nel corso del primo conflitto mondiale.
Nel piano superiore, in due ampie gallerie annesse alla Cripta del Milite Ignoto, sono raccolte e custodite, all'interno di grandi vetrine ricavate in nicchie sulle pareti del monumento, le bandiere di guerra dei reparti disciolti dell'Esercito, dell'Aeronautica e dei Corpi armati dello Stato.
Tale area fu inaugurata nel 1968, in occasione del cinquantenario della vittoria nella Prima Guerra Mondiale. Le bandiere che vi sono custodite provengono dal Museo di Castel Sant'Angelo da dove, il 24 maggio 1935, erano state traslate. Il Museo Sacrario della Marina, ubicato nei locali a piano terra, fu inaugurato il 14 giugno 1961, nel quadro delle manifestazioni indette per celebrare i cento anni di vita della Marina Militare.
Il MAS 15 con cui, nei pressi di Premuda, Luigi Rizzo effettuò, all'alba del 10 giugno 1918, il suo audace attacco contro una forte formazione navale austriaca, che culminò con l'affondamento della corazzata SZENT ISTVAN. Accanto ad esso vi è il Siluro lenta corsa o "maiale" mezzo d'assalto tipico della 2^ Guerra Mondiale con cui furono violate le più munite basi navali del nemico, da Gibilterra ad Alessandria, da Haifa a Suda, da Algeri ai porti italiani occupati dai tedeschi, affondando corazzate e incrociatori, piroscafi e petroliere, piccole unità navali e grossi scafi.
Il MAS silurante di Luigi Rizzo, il "maiale" di Tesei e Vicentini, come pure la parte dello scafo del sommergibile Scirè, recuperato nelle acque di Haifa, molti anni dopo il termine del conflitto, sono documento dell'eroismo dei marinai italiani. Intorno a questi tre cimeli bellici, sono raccolte nelle sale le bandiere e gli stemmi di combattimento che già appartennero alle unità della Marina Militare Italiana che dal 1861 ad oggi sono state impiegate, in pace come in guerra, su tutti i mari del mondo.
Vi sono, tra le altre, le bandiere della Fregata Re di Portogallo, che si battè valorosamente a Lissa, della corazzata Duilio, che al suo nascere rivoluzionò la tecnologia navale dell'epoca, degli incrociatori Cristoforo Colombo, Liguria, Piemonte, che portarono il tricolore ad ogni angolo del mondo, dei dirigibili Città di Iesi e Città di Ferrara; della Leonardo da Vinci, colpita da un triste destino, dell'incrociatore Carlo Alberto, che partecipò attivamente alle esperienze di Guglielmo Marconi.
Vi sono inoltre le insegne dei cacciatorpediniere e delle torpediniere che combatterono nella guerra di Libia, nel primo e nel secondo conflitto mondiale, tra cui quella del caccia Da Recco, unico superstite della classe "Navigatori". Vi sono poi le bandiere del Vittorio Veneto e dell'Italia, corazzate dell'ultimo conflitto, di solo alcuni sommergibili oceanici e mediterranei; del Doria e del Duilio, che parteciparono sia al primo che al secondo conflitto mondiale.
La più antica bandiera attualmente conservata nel sacrario è quella della fregata Garibaldi, già borbonica Borbone, incorporata nella Regia Marina nell'anno 1860. Fra quell'anno e i giorni nostri si snoda, attraverso le bandiere di combattimento del Sacrario, la cronistoria della Marina Italiana, le cui pagine bianche sono idealmente riempite dal commosso ricordo delle navi che scomparvero combattendo.

Giorni e orario di visita:

Da Martedì a Domenica dalle 9.30 alle 15.00
Lunedì e festivi il Museo rimane chiuso

Ingresso gratuito da Via dei Fori Imperiali - Tel. 06/47355002

Galleria delle foto

Visita Virtuale

Fonte: Sito Ufficiale Marina Militare

Carmagnola, nasce il COMAC Centro Operativo Modellismo

 

LOGO COMAC 1Il gruppo A.N.M.I di Carmagnola nato nel 1990 ha vissuto un buon periodo nei primi 15/20 anni, poi per motivi comuni a tutti i gruppi è iniziata una lenta decadenza che, posso affermare, si sta arrestando ora. Con un nuovo Consiglio Direttivo e con un giovane e vulcanico neo Presidente sono emerse energie e sinergie tali da poter scommettere in un roseo futuro.
Dopo anni e anni di sogni riposti nel cassetto, finalmente una scintilla ha acceso la voglia di dar loro corpo. Il Presidente ascoltando un socio anziano, bravissimo modellista, in un direttivo e poi parlandone con i consiglieri e soci ha buttato sul tavolo un'ipotesi che ci ha trovato più che entusiasti : “Ragazzi, e se aprissimo un laboratorio di modellismo? “. Nasce quindi un intenso intersecarsi di idee e proposte. Sappiamo che pastoie burocratiche, difficoltà a reperire fondi e, non ultimo, il boicottaggio da parte di alcuni potrebbe far fallire una splendida idea, ma come disse qualcuno, l'unione fa la forza, e quindi con tenacia tutta marinara: “Avanti Tutta”.
Decidiamo di aprire il C.O.M.A.C. ( Centro Operativo Modellismo ANMI Carmagnola), con l'aiuto di Enti, piccole donazioni, appoggi e tanto lavoro, otteniamo un locale da adibire a scuola per i primi allievi. Il COMAC è aperto a tutti, giovani, anziani e portatori di handicap. Il numero di iscritti per ora è limitato, le lezioni porteranno i migliori che vorranno continuare ad essere il corpo docente del futuro, in maniera tale da dare continuità al progetto ed è la base affinché tutto l'impianto viva reggendosi da solo, vendendo i modelli prodotti in maniera tale da autofinanziarsi e oltretutto dare un'opportunità di lavoro. Le incognite sono dietro l'angolo, ogni passo deve essere fatto calcolando i rischi, cercare di prevederli e correggere la strada in corso d'opera. Grande aiuto lo avremo da altri gruppi di modellisti sul territorio piemontese e non solo, contatti con entità fuori regione che ci appoggiano non solo moralmente, ma con consigli che riteniamo più che utili. La strada è lunga e tortuosa, ma chi ben comincia...
Alla fine del mese in occasione della festa della Marina, dopo una bella serata con gli amici che ci appoggiano e dopo una festa organizzata per i futuri Marinai, cioè bambini da 0 a 12 anni, a tema piratesco, ci vedrà il mattino seguente all'epilogo di quanto abbiamo messo in cantiere.
Gruppi piemontesi di modellisti con cui ci gemelleremo, gruppi ANMI, il Consigliere Nazionale, autorità civili, con amici e/o solo curiosi taglieremo il nastro.
E allora ne siamo sicuri :“ L'APOTEOSI”

Clicca qui per vedere alcune foto dei lavori preparatori e del montaggio delle attrezzature.

Tutte le notizie le potete trovare sia nella pagina Facebook del COMACche in quella del Gruppo ANMI di Carmagnola

Soci fondatori

 

Cosa si prova su una nave nella tempesta

"Salite" a bordo di queste navi porta container durante una tempesta in pieno oceano, dove le onde raggiungono altezze di 8/9 metri d'altezza.

Navi tempesta

Queste navi cargo, per il trasporto dei container o del gas, hanno dimensioni gigantesche e sono costruite in modo da resistere alle tempeste che possono incontrare sulle loro rotte intorno al mondo. Ma nonostante questo fa impressione guardare come si inclinano e si deformano a causa del mare in tempesta. Le immagini registrate all’interno e all’esterno di queste imbarcazioni mostrano come queste, nonostante raggiungano i 300 metri di lunghezza (per stazze lorde che superano le 100mila tonnellate), soffrano incredibilmente la forza della natura. A rischio ogni volta non solo l’incolumità dell’equipaggio, ma anche il carico che queste navi trasportano. Principalmente container, il cui numero si misura in TEU (acronimo di twenty-foot equivalent unit), che indica un container di 20 piedi (6,096 m) di lunghezza x 8 piedi (2,4384 m) di larghezza x 8,5 piedi (2,5908 m) di altezza, che può pesare fino a 21.600 chili. Per avere un’idea di cosa riescono a trasportare queste navi controllate la misura in TEU delle navi sotto, non crederete a vostri occhi.

1. LPG/C Venere

Questa è una nave porta gas che sta attraversando un uragano.

Stazza lorda: 2708 t
Portata lorda: 3090 t
Lunghezza x Altezza: 74.94 m x 14.2 m
TEU: assente in quanto la nave trasporta gas liquido

 2. MSC Busan

La Busan è una nave portacontainer sta attraversando una tempesta, il video mostra come si deforma il suo interno sotto la pressione delle onde che colpiscono lo scafo

Stazza lorda: 89954t
Portata lorda: 104904 t
Lunghezza x Altezza:  324.86m × 42.8m
TEU: 8089

3. Skagen Maersk

Una nave portacontainer che batte bandiera svedese in piena tempesta oceanica

Stazza lorda: 92198 t
Portata lorda: 110387 t
Lunghezza x Altezza:  346.98m × 42.9m
TEU: 8160

4. Astongate

Una nave battente bandiera cambogiana, che doveva trasportare delle vetture dal porto di Toyama in Giappone  a Vladivostok in Russia. Purtroppo delle 64 auto che sono partite ne sono arrivate solo 12 a causa della tempesta incontrata

 

5. OOCL Belgium

La nave portacontainer durante la tempesta Hercules nell’Oceano Nord Atlantico

Stazza lorda: 39174

Portata lorda: 40972 t

Lunghezza x Altezza: 245m × 32.28m
TEU: 2.992

FONTE: Logo 3nz repubblica

Forze Armate, Cassa di previdenza per il personale militare graduato

FORZE ARMATE, CASSA DI PREVIDENZA PER IL PERSONALE MILITARE GRADUATO

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E' costituita fra il Personale Militare Graduato appartenente alle Forze Armate una "Cassa Mutua di Previdenza ed Assistenza, Ecco come dispone l’articolo 1 della bozza concertata con la nostra Amministrazione per quanto riguarda la Cassa Graduati.” E’ quanto si legge in una nota diramata dal delegato Co.Ce.R. Esercito Marco Votano.
"Un obiettivo che personalmente perseguo dall’inizio del mandato e che grazie ad un gruppo di colleghi di Categoria delle tre Forze Armate, unitamente alla buona volontà di Stato Maggiore Difesa sul tema, adesso è ad un passo dal concretizzarsi.
Pronta la bozza restano solo un paio di limature e già con il primo vettore normativo utile potremo finalmente vedere costituita, al pari delle altre categorie in Servizio permanente, una cassa di previdenza.
Vediamo adesso nel dettaglio le previsioni introdotte:
La 'Cassa' si prefigge esclusivamente scopi mutualistici assistenziale e previdenziali nei confronti dei Soci e sarà sottoposta alla vigilanza del Ministero della Difesa.
In relazione a tali scopi la Cassa assumerà iniziative atte a elevare il benessere materiale e morale dei Soci.
I versamenti per i soci Ordinari della quota sociale di iscrizione e quello della quota mensile anticipata saranno effettuati secondo le modalità indicate nell’apposito Regolamento ed il contributo minimo obbligatorio degli iscritti in favore del fondo previdenziale della Cassa è pari al 2 per cento dell'80 per cento dello stipendio annuo lordo comprendente la tredicesima mensilità (circa 25/28 € mensili).
Inoltre, sarà facoltà del singolo iscritto aumentare la percentuale di contribuzione alla Cassa.
In particolare, tramite questo strumento si potrà erogare un "Premio di Anzianità", costituire un Conto da corrispondere all'atto della cessazione di appartenenza alla Cassa, concedere ai Soci prestiti nello spirito della mutualità e nel rispetto di un apposito Regolamento redatto a cura del Consiglio di Ammirazione e di promuovere qualsiasi altra iniziativa per favorire la socialità ed il benessere materiale e morale dei Soci.
Il Conto individuale di Anzianità (C.I.A.) sostanzialmente sarà costituito dalle quote mensili anticipate che il Socio verserà alla "Cassa". Dette quote, alla fine di ogni anno saranno incrementate di una aliquota dell'avanzo di esercizio, le quali, saranno pagati al momento in cui il Socio cessa di far parte della "Cassa".
Sarà corrisposto dunque un "Premio di Anzianità" al Socio che appartenga alla "Cassa" da almeno sei anni e cessi di farne parte per collocamento a riposo “a qualsiasi titolo”, per dimissioni dall'impiego o per licenziamento.
Non si applicherà il limite minimo di sei anni per i Soci che ne perdano la qualità per decesso o per collocamento a riposo a seguito di invalidità permanente che sia essa causa o non causa di servizio.
Il credito sarà concesso ai Soci mediante prestiti estinguibili a scelta del richiedente o in unica soluzione o in quote mensili.
Il patrimonio Sociale della "Cassa" dovrà essere investito secondo quanto deliberato dal Consiglio d’Amministrazione per la tutela degli scopi sopra accennati.
I Soci saranno Onorari ed Ordinari, saranno Soci Onorari il Ministro della Difesa ed i Sottosegretari di Stato per la Difesa, mentre, saranno Soci Ordinari tutti i Graduati delle Forze Armate, in attività di servizio.

Schema

(In caso di decesso del Socio, agli aventi causa spetterà sia la liquidazione del Conto Individuale di Anzianità sia pure il premio di anzianità).
Per quanto riguarda la “portabilità” della cassa, altro punto dove abbiamo insistito, la qualità di Socio della "Cassa" è conservata dai Soci che transitino nei ruoli di qualsiasi altra amministrazione o Ente Pubblico.
Il consiglio di Amministrazione sarà composto da sette Consiglieri titolari di cui un Ufficiale Generale di Brigata o equivalente, quale Presidente e altrettanti supplenti tutti nominati dal Ministero della Difesa e uno dei quali, indicato dal Consiglio Centrale di Rappresentanza.
Codesto Consiglio di Amministrazione durerà in carica tre anni.
Sarà costituito inoltre il Collegio dei Revisori formato da 5 membri obbligatori più due supplenti, nominati con decreto del Ministro della Difesa acquisito il parere non vincolante del Consiglio Centrale di Rappresentanza.
Tre sono tratti dal personale in servizio in rappresentanza di ciascuna Forza Armata e sono proposti dal rispettivo Capo di Stato Maggiore di Forza Armata, uno designato dalla Corte dei Conti e uno dal Ministero dell’Economia e Finanze.
Altro importante punto innovativo della nostra Cassa sarà il sistema “contributivo” della stessa, che non solo ci permetterà di avere un maggiore premio ma garantirà la sostenibilità della stessa rendendo impossibile la formazione di buchi di bilancio o sofferenze di liquidità.
L’erogazione del premio, verosimilmente avverrà quasi immediatamente, al momento del congedo o per altri fatti sopra enucleati.
Le percentuali del tasso di interesse per i prestiti saranno estremamente competitive e l’elargizione senza particolari formalità.
L’ammontare dell’eventuale finanziamento richiesto non dovrà superare, in ordine alla sua restituzione, il momento del congedo."

FONTE: INFODIFESA.png.3r17tgx.partial

 

 

 

I 17 fari più spettacolari del mondo

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Sono i guardiani del mare e ce ne sono davvero tantissimi. Ma questi qui non li potete proprio perdere: ecco i fari più belli del mondo!

Di forme, colori e dimensioni diverse, le sentinelle del mare, fortezze piene di fascino e mistero, dal passato antichissimo, servono ancora oggi a far da guida ai marinai e ai naviganti, per illuminare i loro percorsi nelle ore nutturne e farli arrivare tranquillamente a destinazione. Abbiamo fatto un giro intorno al mondoe abbiamo selezionato per voi i 17 fari più belli: seguiteci da un continente all'altro, un faro vi farà da sentinella: vi verrà immediatamente voglia di partire!

 

Torre d'Ercole, Spagna 

Questo è il faro più antico del mondo che è attualmente ancora in funzione: la Torre de Hércules, situata a Punta Herminia, in Spagna, risale all'epoca romana e oggi è il simbolo della Galizia. La costruzione è a pianta quadrata e misura 68 metri d'altezza: un punto di riferimento da moltissimi secoli per gli uomini di mare che si avventurano per questa costa, piena di pericoli per la navigazione!

 

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Kiz Kulesi/Torre di Leandro, Turchia 

Kiz Kulesi, letteralmente Torre della Ragazza ma chiamata anche Torre di Leandro, è probabilmente uno dei luoghi più famosi della Turchia intera e di sicuro è uno dei più romantici: situata infatti all'ingresso sud del Bosforo, a metà strada tra Europa e Asia, questa torre fu fatta erigere dall'imperatore Alessio I nel 1110. Da qui potrete gustarvi una vista di Istanbul a 360°, magari mentre siete seduti ad assaporare piatti tipici turchi nel ristorante all'interno del faro!

 

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Rubjerg Knude Fyr, Danimarca

 

Andate a vedere questa meraviglia prima che sia tardi! Il faro di Rubjerg Knude, infatti, potrebbe sparire molto presto, coperto dalla sabbia della stessa duna su cui sorge, nei pressi di Lonstrup, nel nord della Danimarca. In questo lembo di terra danese, la furia del mare e la forza del vento rendono mobile gran parte del territorio e lo accomunano alle dune del deserto, capaci di inghiottire qualsiasi cosa: un faro semiscomparso in mezzo al deserto che si affaccia sul Mar Baltico, il fascino è assicurato!

 

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Faro di Peggy’s Point, Canada 

 

Il Canada conta un'infinità di fari, ma questo, in Nuova Scozia, vi conquisterà: la torre, che fino a pochi anni fa era adibita ad ufficio postale, emerge tra le rocce di un piccolo villaggio di pescatori ed è il posto giusto per scattare foto meravigliose. Dunque, munitevi di macchina fotografica e di tanta voglia di scoprire, perché se amate i fari siete nel posto giusto: solo in Nuova Scozia ce ne sono circa 150, tutti bellissimi. Buon viaggio!

 

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Svörtuloft, Islanda

Andiamo in Islanda e diamo potere al colore! I fari qui sono generalmente colorati e quello di Svörtuloft, uno dei più popolari, è di un bellissimo arancio acceso che cattura l'attenzione e fa risaltare la torre, in mezzo all'azzurro del cielo e del mare. Il faro sorge su una meravigliosa scogliera, le onde vi si infrangono giorno e notte per un'emozione unica!

 

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Faro Monumental de La Serena, Cile 

 

A metà tra un faro vero e proprio e un castello medievale, questo è un posto che resta nell'anima dei viaggiatori e che, non a caso, nel 2010 è stato dichiarato Monumento Nazionale del Cile. Imponente e maestosa, la costruzione è addolcita dai colori caldi che la caratterizzano. Il tramonto al faro di La Serena è imperdibile, non dite che non vi avevamo avvisati!

 

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Faro di Lindau, Germania 

 

Spostiamoci ora sulle rive del lago di Costanza, che raccorda la Germania all'Austria e alla Svizzera. Precisamente andiamo a Lindau, luogo magico della Baviera, in cui potrete ammirare uno dei fari più belli al mondo stagliarsi rigoroso sulle acque dolci del lago. Da qui, poi, godetevi la panoramica mozzafiato sulle Alpi Svizzere. Non chiederete altro dalla vita!

 

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Faro di Pigeon Point, California (USA) 

 

Probabilmente questo è uno dei fari più conosciuti al mondo, costruito nella seconda metà dell'Ottocento per guidare le navi di fronte alle coste californiane, nonché uno dei più grandi d'America. Qui, all'interno del faro, si può soggiornare, ci si può rilassare nella jacuzzi all'aperto e ci si può meravigliare davanti alle bellezze naturali, visto che la torre è immersa in un parco storico. Intorno a voi solo il rumore del vento e il profumo dell'oceano.

 

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Faro di Neist Point, Isola di Skye, Scozia

 

La posizione davvero privilegiata, su un'alta scogliera a picco sul mare, e la sua architettura insolita, impreziosita da decorazioni bianche e gialle, fanno di questo faro una meta imperdibile: lasciate l'automobile ai bordi della strada e incamminatevi lungo il sentiero che vi conduce qui. Il posto è di quelli spettacolari, in mezzo a una natura selvaggia che regala spesso grandi emozioni ai viaggiatori: con un po' di pazienza qui è possibile avvistare balene e delfini. Buona permanenza!

 

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Faro di Favàritx, Minorca, Spagna 

 

Sull'isola di Minorca ci sono ben sette fari, uno più bello dell'altro, ma questo di Favàritx, a nord est, è davvero incantevole: è alto 21 metri ed è inconfondibile, con le sue eleganti strisce bianche e nere che sovrastano un paesaggio quasi lunare, fatto di splendide calette, mare cristallino e di rocce di ardesia scura. Sferzato dal vento di tramontana, questo posto rapisce il cuore.

 

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Faro di Fanad Head, Donegal, Irlanda

 

Pittoresco e pieno di fascino, questo faro sorge su una roccia che emerge dall'oceano Atlantico, in un angolo di paradiso al nord dell'Irlanda. Edificato nel 1817, è tutt'ora in uso. Fate un salto qui per innamorarvi delle atmosfere nordiche della penisola di Fanad, piena di villaggi di pescatori immersi in una natura selvaggia e mozzafiato. Impossibile resistere!

 

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Faro di Green Point, Sudafrica 

 

Spostiamoci a Città del Capo, in Sudafrica, per restare stupiti di fronte al faro di Green Point, davvero superlativo: con le sue strisce bianche e rosse ammalia i turisti col bellissimo contrasto cromatico che crea con il verde della natura circostante e il blu intenso del mare. Salite sulla cima della torre per ammirare la città da una prospettiva unica!

 

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Faro di Tourlitis, Grecia

 

Uno spettacolo per gli occhi e per il cuore: è il faro di Tourlitis, che sorge su una piccola roccia dalla forma originale e bellissima, proprio in mezzo al mare, e che è diventato una delle principali attrazioni turistiche dell'isola di Andros, nell'arcipelago delle Cicladi. Non avete bisogno di altri elementi, siete dentro a una favola, andate a vedere di persona!

 

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Faro di Cape Byron, Australia 

 

Il faro della baia di Byron, a nord di Sydney, impressiona i visitatori con la sua costruzione romantica, che a primo impatto fa pensare a un castello, bianco e raffinato contro l'azzurro del cielo. Qui non vi annoierete di certo: visitate il Museo Marittimo e poi divertitevi ad avvistare balene con un binocolo. E poi lasciate spazio al sogno, lanciando un'occhiata sull'oceano che si estende a perdita d'occhio di fronte a voi.

 

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Faro di Yeda, Arabia Saudita 

 

Con i suoi 113 metri di altezza, quello di Yeda è il faro più alto del mondo, una torre da guinness dei primati che si trova a Jeddah, in Arabia Saudita, sul Mar Rosso. Se non soffrite di vertigini lasciatevi conquistare dal panorama che vi attende, oltre che dallo stile avvenieristico del faro. Bello, vero?

 

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Faro Los Morrillos, Portorico

 

Scogliere selvagge, pascoli verdi e le inconfondibili acque turchesi del mare caraibico: siamo a Cabo Rojo, sotto il faro Los Morillos, maestoso ed elegante. All'interno potrete ammirare bellissime esposizioni d'arte. Poi salite in cima alla scala a chioccola per un panorama d'eccezione: di sole e d'azzurro.

 

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Faro di Dondra Head, Sri Lanka

 

Nella punta più a sud dello Sri Lanka, sull'oceano Indiano, questo faro è talmente bello che sembra essere uscito da un libro di illustrazioni d'autore o da una tela d'artista: i colori vividi del mare e delle palme che lo circondano fanno risaltare il bianco della costruzione e la fatica dei 200 gradini che vi aspettano per raggiungere la cima vale la vista. Ci raggiungete?

 

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Volete conoscere la destinazione ideale in base al vostro budget? Lasciatevi ispirare dalla funzione "Ovunque" di Skyscanner.
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A questi 17 fari aggiungo una chicca:

Il faro di Prídrangaviti in Islanda è probabilmente il più isolato del mondo.

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I Trabucchi del Gargano… musei a cielo aperto

Dal blog degli amici dell'Eco B&B Pizzicato di Vico del Gargano

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un articolo molto interessante sui Trabucchi del Gargano. Esperienza che io ho vissuto in prima persona e che consiglio di fare a chi è "di passaggio" dalle parti di Vieste o Peschici. Fermarsi a mangiare su un trabucco e magari farsi raccontare la loro storia mentre vi gustate il panorama mozzafiato del mare di fronte è una sensazione unica. Provare per credere!

Alla scoperta dei trabucchi, suggestivi anche in autunno

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Gabriele D’annunzio li definì “strane macchine da pesca tutte composte da tavole e travi simili a dei ragni colossali”, l’architetto americano Bernard Rudofsky “architetture senza architetto”.
Entrambe le definizioni esprimono bene quello che sono i trabucchi: ragni giganti simili a palafitte che, pur non essendo stati progettati da architetti o ingegneri, da secoli sfidano le tempeste ed assolvono la loro funzione.
Questi marchingegni si usavano per pescare e venivano costruiti principalmente con il legno dei pini d’Aleppo, alberi molto diffusi nei boschi dell’Adriatico, particolarmente resistenti alla salsedine ed al Maestrale, che sul Gargano soffia spesso.

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Anche se sembrano “fragili”, i trabucchi sono ben ancorati sulla roccia e resistono alle intemperie.
E’ per questo che ancora oggi la costa garganica è disseminata di trabucchi, uno dei più antichi è quello di San Francesco, ma ce ne sono molti altri come, ad esempio, quello di San Nicola, quello di Monte Pucci e quello di Manaccora.
Alcuni trabucchi sono diventati dei ristoranti, molto caratteristici, dove si può gustare il pesce dopo averlo pescato. È un’esperienza indimenticabile assistere alla “calata” dell’enorme rete che intrappola decine di cefali e mormore fresche, che vengono cucinati all’istante e gustati di fronte al mare.
Questo avviene a punta Manaccora, vicino Peschici, dove Elia Ranieri prepara un ottimo piatto locale “u ciambott”, sorta di zuppa fatta con pane secco e pesci a pezzi, con pomodoro fresco. Si può mangiare anche sul trabucco di Mimì (a Punta San Nicola) e a Monte Pucci, tra le alte falesie di calcare bianco.
Ad oggi sono ben quattordici i trabucchi funzionanti sulla costa tra Vieste e Peschici, che vengono preservati anche grazie all’Associazione I Trabucchi del Gargano, formata dai trabuccolanti del territorio e patrocinata dall’ente del Parco nazionale del Gargano.

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Qui trovate la mappa completa di tutti i trabucchi presenti sulla costa del Gargano

(fonte Parco Nazionale del Gargano).

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E queste sono alcune foto fatte da me al Trabucco di Monte Pucci

FONTE: logotrabucchi

Il bacino Ferrati di Taranto, il più grande del Mediterraneo

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 Il bacino di carenaggio in muratura Ferrati di Taranto, il più grande del Mediterraneo

Il bacino di carenaggio è una complessa costruzione utilizzata per effettuare a secco controlli, manutenzioni periodiche e riparazioni allo scafo di natanti, in particolare alla carena e alle sue appendici.

24 marzo 2016

Fabio Dal Cin

Bacino Taranto25E' mattino presto quando si avvicina la sagoma di una nave che inizia la manovra di avvicinamento verso il bacino che, ormai allagato, è pronto ad accoglierla al suo interno. Una manovra delicata, l'ingresso in bacino, che richiede professionalità e grande lavoro di squadra, ma la sosta di una nave in bacino è fondamentale per svolgere lavori di manutenzione impossibili in galleggiamento.

Il bacino di carenaggio è una complessa costruzione, indispensabile per eseguire controlli, manutenzioni e riparazioni allo scafo di natanti, in particolare alla carena e alle sue appendici. Esistono due tipi di bacini, fissi (quelli tradizionali in muratura) e mobili, detti bacini galleggianti. I bacini fissi sono vaste conche rettangolari con pareti per lo più in calcestruzzo o pietra da taglio, disposte in modo da potere essere messe in diretta comunicazione col mare. Il lato a mare, detto “bocca”, è chiuso di solito mediante un galleggiante d’acciaio, la “barca-porta” o “battello-porta”, che può essere fatto affondare impiegando come zavorra acqua di mare e disposto simmetricamente rispetto al piano longitudinale di simmetria del bacino. La barca-porta è guarnita, lungo i fianchi e il fondo, con un paglietto di canapa con cui fa tenuta nella propria sede, ricavata sulle fiancate e sul fondo del bacino.

La base della Marina di Taranto ospita uno storico bacino in muratura, il Ferrati, il più grande del Mediterraneo, capace di ospitare navi delle dimensioni della portaeromobili Cavour. Lungo 250 metri, largo più di 50, è stato costruito nel 1916 ed è intitolato a Edgardo Ferrati, illuminato ingegnere del genio navale, famoso per aver diretto la costruzione di importanti unità tra cui Benedetto Brin, Vittorio Emanuele e Conte di Cavour  e, soprattutto, per il geniale intuito nella progettazione di soluzioni navali e sistemi di difesa avveniristici.

Bacino Taranto18L’attività del Bacino Ferrati è stata interrotta per circa tre anni, dal 2010 al 2013, per lavori di consolidamento statico, inseriti nel programma di ristrutturazione del nostro ottocentesco arsenale, il “Piano Brin”. Il primo intervento cantieristico di rilievo, dopo la ristrutturazione, è stato quello su nave Garibaldi, entrata in bacino a gennaio 2014.
L’ammodernamento dell’infrastruttura ha rappresentato un punto di partenza per il rilancio dell’
Arsenale e dell’economia locale, in particolare delle imprese specializzate nel settore navalmeccanico. Infatti, negli ultimi anni, l’Arsenale Militare Marittimo di Taranto, insieme alComando Logistico, ha avviato una politica di uso duale delle proprie strutture, in particolare dei bacini di carenaggio, destinandole anche alla manutenzione di navi mercantili, con l’obiettivo di autofinanziarsi e, contestualmente, sostenere l’industria navalmeccanica e portuale della città.

In tale ambito, nel marzo 2015, è stato messo in secco il Dimonios, un traghetto Ro-Pax del Cantiere Navale Visentini, unità gemella del Norman Atlantic. Si è trattato della nave più grande mai ospitata in un bacino militare dal dopoguerra e, in assoluto, seconda solo alle corazzate che presero parte al secondo conflitto mondiale.

La manovra d’immissione di una nave in bacino è complessa e richiede grande coordinamento tra il personale del bacino, l’equipaggio della nave e i mezzi di supporto (imbarcazioni, rimorchiatori).

Nella prima fase il bacino è allagato, aprendo le valvole principali. In seguito la barca porta (la parete che separa l’interno del bacino dallo specchio d’acqua circostante) è movimentata da un rimorchiatore che la terrà in posizione tale da non interferire con la manovra dell’unità che deve essere immessa.
A questo punto la nave, con il supporto dei rimorchiatori, si porta sull’allineamento d’ingresso del centro del bacino e si avvicina lentamente fino a passare i cavi di ormeggio per poi tonneggiarsi (spostare la nave utilizzando i soli cavi) fino alla posizione centrale. Una volta in posizione il personale del bacino corregge la posizione della nave utilizzando dei paranchi, per assicurarsi che sia perfettamente centrata rispetto al piano delle taccate (sostegni in legno posti sullo scalo del bacino sui quali, dopo lo svuotamento del bacino, poggia la nave). Nel frattempo la barca porta è riposizionata per chiudere il bacino.

Bacino Taranto7Inizia quindi la fase di svuotamento del bacino. Utilizzando potenti pompe il livello dell’acqua comincia a scendere. A 2 metri circa dalle taccate parte l’intervento dei sommozzatori specializzati, che s’immergono per verificare che l’unità si adagi correttamente.

La fase di appoggio sulle taccate rappresenta un momento molto delicato della manovra che richiede ronde continue nei locali interni dall’equipaggio, per verificare che non vi siano problemi strutturali connessi con l’appoggio sulle taccate.
L’ingresso in bacino, dalla fase d’ingresso dell’unità allo svuotamento e posizionamento sulle taccate, dura circa 10 ore.Bacino Taranto11

Una manovra delicata e lunga, quindi, ma che consente, una volta messa in secco la nave, di eseguire interventi manutentivi che non si possono svolgere in galleggiamento per i quali è indispensabile utilizzare un bacino.

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FONTE: Logo Notiziario MM online


Il mare fa bene al cervello e rende felici. Lo dice la scienza

Uno studio condotto in dieci anni di ricerca scientifica dimostra come l'acqua rilasci sostanze chimiche collegate alla felicità.

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Se siete malati di viaggi (una malattia che si chiama ‘wanferlust‘) questa notizia è per voi. Stare vicino all’acqua stimola il cervello. E’ quanto risulta da uno studio condotto in dieci anni di ricerca scientifica che dimostra come questo elemento rilasci sostanze chimiche collegate alla felicità, come la dopamina, la serotonina e l’ossitocina.

Lo riporta il sito ericazuanon.com che cita il libro di Wallace J. Nichols ‘Blue Mind: The Surprising Science That Shows How Being Near, In , On, Or Under Water Can Make You Happier, Healthier, More Connected, And Better At What You Do’ (‘Mente Blu: la scienza sorprendente che mostra come stare vicino, sopra, dentro o sotto l’acqua possa renderti più felice, più sano, più connesso e migliore in ciò che fai’).

Lo studio dimostra come l’acqua – e quindi, mare, lago o fiume – porti al cervello cinque benefici fondamentali per la felicità:

1. Il colore blu da’ sollievo
A quanto pare il colore blu è anche il colore preferito del mondo. L’autore cita un progetto di ricerca del 2003, in cui è stato chiesto a 232 persone in tutto il mondo di indicare il proprio colore preferito. Ancora una volta è risultato essere il blu.

2. Stare lungo la costa rende più rilassati
Secondo uno studio citato nel libro, per calmarci a livello di subconscio, basta anche solo osservare un paesaggio marittimo: guardare immagini della natura, infatti, fa attivare le parti del nostro cervello associate “a un atteggiamento positivo, alla stabilità emotiva e al recupero di ricordi felici”.

3. L’acqua ringiovanisce le menti stanche
In uno studio del 1995 pubblicato su Environmental Psychology sono stati analizzati il rendimento e la concentrazione di due gruppi di studenti: uno a cui erano state assegnate stanze con vista più paesaggistica (alberi, laghi, prati) e un altro a cui erano state date stanze su vedute più urbane. Il primo gruppo non solo dava risultati più brillanti, ma dimostrava anche una maggiore capacità di attenzione.

4. Guardare le fotografie fa bene, ma l’acqua nella vita reale fa meglio
Secondo le risposte inviate durante uno studio con l’applicazione Mappiness (più di un milione), non solo le persone sono più serene quando stanno all’aria aperta, ma sono più felici del 5,2% quando si trovavano vicino a un corpo d’acqua.

5. L’acqua ci riporta al nostro stato naturale
Siamo connessi all’acqua fin dal principio della nostra vita. Il corpo è mediamente composto per il 75% da acqua e il mantenimento della quantità adeguata di idratazione è basilare per il corretto funzionamento dei nostri organi.

FONTE: Logo Siviaggia

 

Il mare più sporco del mondo: il Mediterraneo

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Il mare più sporco del mondo? E' il Mediterraneo: farcito di spazzatura galleggiante (soprattutto plastica), impregnato di idrocarburi e altri inquinanti.

I dati raccolti da Greenpeace e da un'organizzazione ambientalista spagnola, Oceana, parlano chiaro.

Il Mediterraneo è un mare relativamente piccolo; ha una superfice di 2 milioni e mezzo di chilometri quadrati, e misura 4.000 chilometri dalle coste del Vicino Oriente fino allo Stretto di Gibilterra. E' anche un mare «chiuso»: il ricambio completo dell'acqua avviene all'incirca in 90 anni. Ed è un mare invaso di spazzatura, sostiene Greenpeace - che da un paio di mesi sta perlustrando il «mare nostrum» con la sua nave Rainbow Warrior (in questo momento si trova nella zona spagnola, ed è per questo che ieri il quotidiano El País ha dedicato ampio spazio all'allarme sullo stato del Mediterraneo). Infatti presso le coste spagnole si contano 33 pezzi di spazzatura galleggianti per metro quadro, di cui tre quarti sono pezzi di plastica: dai frammenti ai sacchetti e le bottiglie.

La plastica «è la spazzatura più comune ed è la causa di gran parte dei problemi per la fauna e gli uccelli marini», afferma Greenpeace. In mare aperto la densità di spazzatura galleggiante si abbassa: può arrivare però fino a 35 pezzi per chilometro quadrato. Ma il peggio sta sul fondo: in media nei fondali mediterranei si contano 1.935 «pezzi» per chilometro quadrato, che è la densità più alta di tutti i fondali oceanici del pianeta. C'è poi l'inquinamento fluido, o liquido: secondo uno studio di Oceana (citato da El País), nel Mediterraneo navigano fino a 10 grammi di idrocarburi per litro.

Per quanto piccolo, il Mediterraneo è però un mare molto frequentato: un terzo della navigazione mercantile mondiale lo attraversa, e circa il 20% del traffico petrolifero; in media ogni anno 12mila navi solcano queste acque. Tanto traffico è di sicuro una fonte di inquinamento, ma non la prima: la gran parte della contaminazione presente nelle acque del Mediterraneo viene dalla terraferma, e questo è un dato che fa riflettere. Nel bacino mediterranea sboccano 69 fiumi, che portano ogni anno 283 chilometri cubi d'acqua: questi fiumi, e i sistemi di drenaggio pluviale, sono la fonte più diretta di contaminazione marina perché vi trasportano ogni sorta di reflui (solidi e liquidi) dalle zone urbane e industriali dell'interno. Spagna, Italia e Francia insieme generano il 60% dell'inquinamento che affluisce al Mediterraneo.

Sulle coste mediterranee vivono circa 150 milioni di persone a cui si aggiungono circa 200 milioni di visitatori annuali: scarichi urbani e turismo costiero sono l'altra grande fonte di inquinamento. La contaminazione liquida non è meno preoccupante. E anche qui c'è un dato che fa riflettere: l'inquinamento di routine, afferma Oceana, è assai più pericoloso di quello provocato dalle grandi catastrofi (come gli incidenti che provocano grandi dispersioni di petrolio o carburante). I ricercatori di Oceana sottolineano che ogni anno 400mila tonnellate di idrocarburi sono scaricate in mare, illegalmente e in via del tutto irregolare. Un incidente con sversamento e «marea nera» attrae attenzione e sarà tamponato con misure d'emergenza; non così il «normale» inquinamento.

Tutto questo si riflette in primo luogo sulla fauna marina: si pensi che il 20% delle tartarughe marine nel Mediterraneo centrale, una specie molto studiata, mostra contaminazione da idrocarburi. Preoccupante anche la contaminazione da mercurio di molte specie di pesce che finiscono sulle tavole degli umani.

Le due organizzazioni ambientaliste spagnole dicono che per riparare a questo stato di cose sono necessarie diverse azioni, dalla diminuzione dei consumi alla moltiplicazione degli impianti di depurazione, al controllo sullo stato delle imbarcazioni, al lavoro educativo. La prima cosa è sapere che ogni cosa che usiamo sulla terraferma va a finire in mare, e che il problema fa affrontato all'inizio della catena dell'inquinamento, non alla fine.

Fonte: Logo animalinelmondo

Il Pirata dei Caraibi ... e non solo!

Pubblico con vero piacere un invito fatto dal Presidente della Sezione A.N.M.I di Carmagnola, per la Festa della Marina organizzata per il  27 e 28 Giugno 2015

Pirata dei caraibi

 

Non prendere impegni per
Sabato 27 giugno e domenica 28 giugno 2015, a Carmagnola due giorni speciali con i Marinai per la "Festa della Marina 2015"
Particolare attenzione è stata riposta (il sabato) verso tutti coloro che hanno figli piccoli, nipoti e piccoli amici.... tra una frittura di pesce un bicchiere di vino, un gelato è uno spettacolo gratuito per i bambini una serata di gioia insieme agli amici di sempre "I Marinai di Carmagnola..."
Vi prego di aiutarci passando parola ad amici, familiari, soci, etc.

Sabato "I Marinai in piazza....."
Nel porticato adiacente piazza Martiri a Carmagnola:
Ore 19.00 Fritto Misto di pesce...... e altre sorprese....
Ore 21.00 Spettacolo per bambini " I Pirati dei Caraibi" (Vedi locandina...)
Domenica
Ore 10.30 ritrovo presso Sede;
Ore 11.00 consueto alzabandiera;
Alle 12.OO Messa in memoria dei Soci deceduti presso la chiesa adiacente Umberto I, via del Porto, Carmagnola
Alle ore 13.00 Innagurazione COMAC, scuola di modellismo.... e successivo rinfresco offerto dal' Anmi a tutti gli intervenuti....
Spero interverrete numerosi..
Vi aspettiamo......
tra qualche giorno pubblicheremo programma completo... ,
colgo l' occasione per porgerVi da parte mia e di tutto il Direttivo del Gruppo gli auguri per una serena Pasqua a tutti voi e alle vs. Famiglie.
Un abbraccio


Giuseppe Di Giugno
Presidente del Gruppo "G.Dominici"
Carmagnola

Intelligence ed Enigma

Logo Voce del marinaio grande

di Claudio53

Nella Seconda Guerra Mondiale l'intelligence ha svolto un ruolo fondamentale fra gli opposti schieramenti. I risultati più rilevanti furono ottenuti da parte del Regno Unito tramite il centro di crittoanalisi di Betchley Park che mise a segno importanti risultati che influenzarono l’esito del conflitto. Solo alla fine degli anni sessanta iniziarono a filtrare le prime notizie sul lavoro svolto presso Betchley Park, che trovarono conferma negli anni settanta e ottanta quando molti documenti su Ultra Secret furono declassificati e resi di dominio pubblico.
Enigma era una macchina elettromeccanica con cui si cifravano e decifravano i messaggi. Brevettata il 23 febbraio 1918 dal tedesco Arthur Scherbius (brevetto n° DE 416219), per costruirla fu preso a modello il principio del disco cifrante descritto dall’italiano Leon Battista Alberti, architetto, filosofo, matematico, umanista, vissuto nel 1400 a Genova. La macchina fu commercializzata in ambito civile a partire dal 1923, per contrastare lo spionaggio industriale, ma non ebbe molto successo.
Dopo aver scoperto che durante la Grande Guerra la Gran Bretagna aveva decriptato i codici tedeschi a seguito dell’affondamento di una nave germanica, la Kriegsmarine nel 1926 e l’Esercito e l’Aeronautica tedeschi nel 1929 adottarono Enigma per le comunicazioni segrete, apportando al modello commerciale modifiche tecniche per migliorarne la inviolabilità.
L’impiego di una macchina cifrante non passò inosservato ed incominciarono ad interessarsi all’argomento i servizi intelligence delle altre nazioni. I servizi segreti francesi nel novembre del 1931 riuscirono a corrompere un funzionario dell’Ufficio cifra tedesco, Hans Thilo Schmidt nome in codice Asche (cenere), che passò loro sia il manuale di istruzioni per la macchina Enigma che il manuale delle istruzioni; elementi fondamentali per la cifratura Enigma. Contemporaneamente i servizi segreti polacchi, convinti che la prima Nazione ad essere invasa in caso di Guerra sarebbe stata la loro, erano riusciti ad intercettare una valigia diplomatica contenente una macchina Enigma e chiesero alla Francia il materiale in loro possesso per tentare di violarne il codice. Iniziò così in Polonia un meticoloso lavoro che nel 1932, impiegando matematici ed ingegneri guidati dal matematico Marian Rejewski, portò alla progettazione di una macchina chiamata Bomba che simulava il funzionamento di una macchina Enigma a 3 rotori e che consentì di decrittare il 75% dei messaggi intercettati. Tra il 1938 ed il 1939 però i tedeschi fecero modifiche sostanziali alla macchina cifrante che azzerarono quasi completamente i successi dei polacchi; i rotori impiegati erano sempre tre ma questi venivano scelti fra 5 tipi diversi.
Alla vigilia dell’invasione della Polonia fu effettuata a Pyry, vicino Varsavia, una riunione tra esperti di crittografia britannici, francesi e polacchi; quest’ultimi illustrarono quanto fatto da loro e consegnarono i progetti della “Bomba” ai britannici ed ai francesi.
Mentre la Francia non impiegò mai il materiale ricevuto, l’intelligence britannica creò una speciale sezione che aveva il suo centro operativo a Bletchley Park dove fu organizzata un’attività di decifrazione su vasta scala delle comunicazioni radio tedesche per violare le chiavi di codifica di Enigma con l’aiuto di grandi matematici, come Alan Turing, che per velocizzare la decrittazione dei messaggi riprogettò una nuova e più potente Bomba (la “Bomba di Turing”).
Ma come funzionava Enigma? L’aspetto, come già detto, era quello di una macchina da scrivere con una tastiera ed un quadrante con delle lettere che si accendevano ad ogni battito di tasto, con la particolarità che un tasto accendeva altre lettere tranne che quella battuta. Le lettere dell’alfabeto riportate erano 26 ed il sistema era a due vie, cioè se un operatore premeva il tasto “A” sulla prima tastiera e si accendeva la lettera “M”, premendo il tasto “M” si accendeva il tasto “A”. Quindi due operatori in possesso della stessa macchina potevano cifrare e decifrare un messaggio.
Fra la pressione del tasto A e l’accensione della lettera M c’erano dei congegni elettromeccanici ed elettrici che consentivano di modificare (cifrare o decifrare) ciò che veniva battuto.

Enigma1

Internamente alla macchina Enigma venivano inseriti dei rotori che su un lato avevano 26 lettere dell’alfabeto oppure, in altre versioni, un numero da 1 a 26 e dall’altro lato dei pioli elettrici. Lettere/numeri e pioli erano collegati internamente al rotore tra loro secondo un determinato schema non modificabile dall’operatore.
Mentre il modello commerciale aveva solo tre rotori, quelli militari ne avevano 5 tra cui ne venivano scelti 3 in base ad un cifrario giornaliero.
I 3 rotori erano predisposti per essere uniti fra loro meccanicamente ed elettricamente e potevano muoversi secondo un meccanismo tipo contatore in cascata: ad ogni 26 scatti del primo rotore si aveva uno scatto del secondo e ad ogni 26 del secondo si aveva uno scatto del terzo. Questo incrementava le possibili combinazioni per cui, tornando al nostro esempio, premendo il tasto A una seconda volta non si accendeva più la lettera M ma un’altra lettera, ad esempio la G, e ripremendo nuovamente la A, per effetto della rotazione dei rotori, un’altra lettera ancora e così via.

Rotori macchina Enigma

Per cifrare e decifrare un messaggio era quindi necessario che gli operatori delle stazioni trasmittenti e riceventi posizionassero inizialmente i rotori nella stessa identica maniera.
Nel cifrario di cui abbiamo parlato precedentemente, oltre ai rotori da impiegare, era necessario che fosse indicata anche la posizione di partenza dei tre rotori giornalieri.
Non contenti di tali modifiche, per incrementare ulteriormente la cifratura, le Forze Armate tedesche aggiunsero, nascosto da un pannello sul frontale della macchina, 26 prese elettriche, corrispondenti alle lettere. Mediante 13 cavetti che avevano alle estremità 2 spinotti, era possibile collegare due lettere fra di loro consentendo la sostituzione di una lettera con un’altra, ovvero una permutazione, facendo aumentare di molto le possibili combinazioni. Anche i collegamenti da effettuare erano riportati nel cifrario giornaliero.

Prese elettriche machina Enigma

Una macchina Enigma con tutte le predette predisposizioni tecniche che abbiamo elencato consentiva di ottenere 15 milioni di milioni di possibilità di combinazioni.
In definitiva per impiegare per cifrare o decifrare un messaggio l’operatore, dopo aver aperto il cifrario in corrispondenza del mese e giorno interessato, doveva:
• prelevare i tre rotori indicati;
• inserire i rotori nella macchina nell’ordine stabilito (Walzenlage);
• regolare gli anelli dei rotori sulla tripletta di lettere segnate (Ringstellung);
• collegare i cavetti con gli spinotti secondo lo schema previsto (Steckerverbindungen).
La macchina era alimentata da una batteria da 4 volts ed aveva un interruttore di accensione a 4 posizioni: spento, luminosità normale, luminosità ridotta e alimentazione esterna. Quando la batteria era scarica era possibile collegare Enigma ad una fonte di energia esterna, tramite due morsetti posti vicino all’interruttore elettrico. Si poteva per esempio collegare alle batterie di un camion che erano composte da un insieme di elementi da due volts.
A questo punto la macchina era pronta a cifrare (o decifrare) un messaggio che veniva trasmesso suddividendo o raggruppando il testo a gruppi di 5 lettere in modo da non far distinguere la lunghezza delle singole parole trasmesse.
All’inizio della Guerra venne adottata dalla Kriegsmarine una macchina Enigma in versione navale chiamata dai britannici M3 identica a quella impiegata dall’Esercito e dall’Aeronautica tedesca con i 5 rotori tradizionali ma con cifrari della Marina. In seguito, nel 1942, furono aggiunti ulteriori 3 rotori, di esclusivo uso della Kriegsmarine. Quando questo venne scoperto da Bletchley Park tale tipo di macchina fu contraddistinta dalla sigla M4. I rotori aggiuntivi erano più sottili in modo che due di loro potessero sostituire un rotore tradizionale. Ciò consentiva di impiegare la stessa macchina che poteva funzionare a 3 rotori (scegliendoli fra 5) ma anche di criptare e decriptare i messaggi impiegando sulla macchina ben 4 rotori (scegliendo fra gli 8 rotori in dotazione, due fra i 5 normali e due fra i 3 esclusivi per la Marina), ovvero aumentando considerevolmente le combinazioni possibili.
Nel compilare i messaggi venivano inseriti nel testo anche segnali brevi (codegroups) che consentivano di contrarre il testo e di conseguenza di ridurre anche il tempo di trasmissione. In questo modo si rendeva anche meno intercettabile l’individuazione della posizione, in mare o a terra, delle stazioni trasmittenti che poteva essere effettuata mediante triangolazioni della direzione di intercettazione (coincidente con la direzione dove il segnale era più intenso).
I libri dei segnali maggiormente usati erano quelli relativi all’avvistamento dei convogli (Kurzsignalheft) e quello per i messaggi meteo (Wetterkurzschlüssel). In pratica si trattava di libri in cui erano contenute sigle che i comandi e/o le unità si scambiavano in mare per dare ordini, per avvistamenti, per rapporti sul nemico e quant’altro necessario. La Marina usava ben 14 diversi cifrari di cui il principale era quello che a Bletchley Park chiamavano Dolphin impiegato sia per i sommergibili che per le navi di superficie sia in acque metropolitane che in Atlantico.
A rendere più complesso il sistema, la messaggistica fra le unità della Kriegsmarine prima di essere trasmessa veniva criptata prima con una chiave “Allgemein” e poi con un’altra, Offizier”. Infine, anche per i cifrari furono prese delle precauzioni; erano stampati su carta rossa, con un inchiostro rosso che al contatto con l’acqua era solubile.

Cifrario

Tra gli Stati Maggiori tedeschi, dopo un primo utilizzo della macchina Ultra, fu impiegata una diversa macchina cifrante, molto più evoluta, che impiegava un solo operatore ed aveva 12 rotori: la Lorenz. Per far fronte alla nuova esigenza e poter essere aiutati nel decriptare cercando tutte le combinazioni possibili non era più sufficiente la Bomba di Tuning e fu costruita una macchina ancora più potente usando la tecnologia a valvole. In tal modo è nato “Colossus” il primo calcolatore al mondo.
Tutto quanto rappresentato complicava notevolmente il compito dell’intelligence britannica e per facilitare il lavoro del personale di Bletchley Park l’Ammiragliato britannico, con il Servizio Intelligence, pianificò delle operazioni per cercare di impossessarsi di unità nemiche, o in combattimento o con azioni mirate, in modo da recuperare a bordo la macchina Enigma e relativi cifrari il cui possesso avrebbe fortemente abbreviato il pesante lavoro di decodifica dei messaggi cifrati tedeschi da parte del gruppo di crittografi britannici.
L’operazione principale prese il nome di “Primrose” e fu pianificata principalmente per catturare un U-Boot con gli apparati crittografici e relativi codici. Tali operazioni consentirono di recuperare il 12 febbraio 1940 i rotori VI e VII da un componente dell’equipaggio dell’U-Boot U-33, il 30 aprile 1940 un testo in chiaro ed il corrispondente testo cifrato sul rimorchiatore tedesco Schiff 26 e l’8 maggio 1941 una macchina completa sull’U-Boot U110.

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FONTE: Logo Voce del marinaio

La bandiera di combattimento delle Unità della Marina Militare

Contrammiraglio (GN)r Gabriele Giorni

Gabriele GiorniLa Bandiera di guerra o di combattimento è affidata ad ogni Reggimento ed è custodita presso l'ufficio del Comandante. Essa accompagna il Reparto in tutta la sua vita operativa sia in tempo di pace che di guerra. È il simbolo dell'onore del Reparto stesso, delle sue tradizioni, della sua storia e del ricordo dei suoi Caduti. Va difesa fino all'estremo sacrificio. È dinanzi alla bandiera di guerra che il militare presta il suo giuramento.
La bandiera di combattimento ha un significato simbolico anche nella vita spirituale. Il vero soldato è disposto a dare la vita per la Bandiera, cioè per la Patria, per tutti noi portandola nel cuore prima ancora di onorarla esteriormente. E se in guerra talvolta è possibile la resa, nella lotta che l'uomo conduce quotidianamente per la sua dignità questa possibilità non è mai concessa.
La bandiera di combattimentoLa Bandiera navale nazionale è il simbolo della Patria e della sovranità della nazione. La gente del mare ha sempre mantenuto egualmente vivo e forte il legame con la Patria e ha affermato il senso d'appartenenza nazionale, considerando il proprio bastimento parte viva della Nazione, simboleggiata dalla bandiera nazionale. Nel tempo questa esigenza, unita anche alla necessità di identificazione della nazionalità, si è consolidata nella prescrizione di esporre su ogni Unità navale la Bandiera, spesso differenziata da quella nazionale. E' simbolo di armamento del bastimento: essa viene alzata all'asta di poppa o al picco dell'albero poppiero e va tenuta bene a segno, mai a tre quarti, a mezz'asta, aggrovigliata o arrotolata all'asta.
Il rispetto per la Bandiera, l'osservanza delle consuetudini riguardanti il suo uso, la sua esposizione e conservazione, fanno parte dell'etica navale. Le navi militari in navigazione alzano la Bandiera di navigazione al picco dell'albero poppiero o alla sagola esterna dritta della crocetta principale dell'albero unico. Talvolta la bandiera viene alzata all'asta di poppa in occasione di cerimonie, oppure all'ingresso o all'uscita dai porti, in particolare all'estero.
Le Unità da guerra quando danno fondo effettuano il cambio Bandiera alzando all'asta di prua la bandiera di bompresso o jack e procedendo nel contempo ad ammainare la Bandiera di navigazione alzando quella di porto all'asta di poppa. Le Unità militari portaeromobili, anche in porto, alzano la Bandiera in posizione di navigazione se hanno in corso delle attività di volo.
La bandiera di combattimento defilaLa cerimonia di consegna della "bandiera di combattimento" è un momento particolarissimo della vita della nave: dopo tutte le varie attività di progettazione, costruzione, prove in mare e consegna ufficiale alla Forza Armata, ecco la solenne cerimonia di consegna di questa bandiera che le navi da guerra alzano appunto in battaglia. Significativa la realizzazione con tessuto di pregio e decorata con ricami, che viene consegnata al Comandante dell'Unità all'inizio della vita operativa della nave e che durante l'intera vita viene custodita a bordo con cura particolare, in una teca di pregio, ubicata in prossimità della cabina del Comandante. La solennità di questa cerimonia è testimoniata da alcune rarissime immagini d'epoca che riguardano la consegna delle Bandiere di guerra alla Divisione Regi Esploratori (unità intermedie fra l'incrociatore leggero ed il grande cacciatorpediniere operanti fra le due guerre mondiali e destinate ad operare con la squadra con compiti d'esplorazione navale non essendo ancora affermata la ricognizione aerea), avvenuta nel porto di Genova l'8 dicembre 1931. Peraltro il fascino della cerimonia è rimasto immutato nel tempo anche in occasione di recenti manifestazioni come quella di consegna al Sommergibile Todaro avvenuta il 14 ottobre 2009 nel porto di Chioggia (VE) alla presenza del Sottosegretario alla Difesa, del Capo di Stato Maggiore della Difesa, del Capo di stato Maggiore della Marina e di autorità civili e militari. La Bandiera di Combattimento è stata consegnata al Comandante del Todaro dall'Associazione Nazionale Marinai d'Italia di Chioggia e Messina e, come da tradizione, la bandiera viene portata a bordo dal più giovane Ufficiale dell'Unità.
La teca dove viene custoditaAl passaggio in riserva dell'Unità, la Bandiera di combattimento passa in consegna al Museo storico delle bandiere militari. In navigazione le navi da guerra non ammainano mai la Bandiera, poiché tale atto significherebbe la resa al combattimento. Quando non siano in corso attività operative particolari, al tramonto viene effettuata la cerimonia dell'ammainabandiera che si conclude con la rialzata della stessa. In porto le navi militari alzano la Bandiera, anche al bompresso, alle 08:00, l'ammainano al tramonto. L'alzabandiera viene eseguito rapidamente, mentre l'ammainabandiera viene eseguita lentamente. L'alza ed ammaina bandiera vengono sempre eseguiti alla presenza dell'Ufficiale o del Sottufficiale in comando di guardia e spesso alla presenza del Comandante. Vengono resi gli onori con il fischio in apposita cerimonia, più o meno solenne, in relazione all'importanza ed alla tipologia dell'Unità. Sulle navi che sono sede di comando superiore la cerimonia si svolge alla presenza del picchetto con la tromba, talvolta con la fanfara. Nel corso della cerimonia tutto il personale che si trova in coperta e a terra in prossimità della nave interrompe le attività, si volge verso la Bandiera e saluta sull'attenti. Durante la notte la Bandiera, ripiegata con cura, viene custodita dalla Guardia di Coperta.
Divisione Esploratori 1931Il personale che sale a bordo di un'Unità militare che abbia la Bandiera alzata o che ne scende, le rende onore prima di entrare o uscire, ponendosi brevemente sugli attenti e salutando militarmente rivolto verso la Bandiera. Le imbarcazioni appartenenti alle unità militari quando si trovano in mare espongono la Bandiera sia nei giorni festivi, sia quando trasportano il Comandante dell'Unità o un Ammiraglio, sia durante la permanenza in acque territoriali straniere.

 

Fonti:
- www.internetsv.info/flag.html
- www.trentoincina.it/mostrapost.php?id=335
- La foto del 1931 sono state gentilmente concesse dall'album di famiglia del Sig. Marino Miccoli figlio del Sig. Antonio, capocannoniere puntatore telemetrista, imbarcato sull'Esploratore "Leone Pancaldo" affondato il 30 aprile 1943.

Articolo originale da: Logo vocedelmarinaio

La grande avventura del San Giorgio. Un episodio poco noto della storia della Marina

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Un episodio poco noto della storia della Marina

Le navi hanno un nome e un’anima.

7 marzo 2016 Enrico Cernuschi -

Le navi hanno un nome e un’anima. Spesso le tre cose (nave, nome e anima) coincidono. Un celebre caso è quello del San Giorgio, veterano di tutte le guerre italiane dall’epoca dell’entrata in servizio, nel 1910, alla difesa di Tobruch nel 1940-1941. Libri, articoli e documentari furono dedicati a quella nave, da allora fino a oggi. In teoria, quindi, si sa tutto sul San Giorgio. Manca però un tassello. Un piccolo dettaglio di appena 364 tonnellate di stazza.
Il nomeSan Giorgio fu infatti portato, in quegli anni, anche da un piroscafetto della Società Anonima di Navigazione a vapore Istria varato nel 1914 e iscritto, dal 12 maggio 1940, nei ruoli del Naviglio Ausiliario dello Stato con la caratteristica F. 95. Ma con un nome e un patrono del genere non ci si poteva mica limitare ai pur dignitosissimi compiti del pilotaggio.
E infatti, ecco che nell’aprile 1941, data la mancanza, o quasi, di navi da guerra italiane in Alto Adriatico al momento della guerra con la Jugoslavia, la nostra vedetta passa in prima linea col proprio cannone prodiero da 57/43 (era un pezzo del 1887, un’annata evidentemente ottima per i cannoni). Imbarcato, da buon vaporetto, un plotone da sbarco di marinai, il nostro andò a occupare, sparacchiando qua e là quando era necessario, più di un’isola in Dalmazia per due settimane di fila. Nel 1942 diventò poi un posamine, imbarcando una dozzina di armi per volta da posare, tra un pattugliamento e l’altro, nei canali dell’arcipelago. Mestiere pericoloso, certamente, ma non più di quello di tante altre navi e dei loro uomini di quei tempi o nel corso di ogni guerra. Questo almeno, fino alle ore 17.25 del 18 febbraio 1943.
In quel momento, come registra il Diario di Supermarina, qualcuno nella Sala operativa (il progenitore dell’attuale CINCNAV, a Santa Rosa) credette di aver capito male. Il messaggio, trasmesso in chiaro, diceva“Avvistato e attaccato il nemico, nave San Giorgio combatte”. Il vecchio incrociatore era affondato più di due anni prima. Seguì, pochi minuti dopo, un altro marconigramma, trasmesso precedentemente in codice e appena decifrato:“45° 02N 13° 35 E (a sud di Capo Promontore, in Istria, n.d.a.) attaccato da Smg. con lancio di un siluro che passa sotto lo scafo senza esplodere. Lancio bombe di profondità”. Le bombe disponibili erano solo 4, ma la reazione della nave italiana lanciata a tutta velocità (in verità, 10 nodi) risalendo la scia del siluro era stata rapida e precisa. Avvistato il pur sottile periscopio d’attacco, il San Giorgio tirò contro quel bersaglio 3 colpi col pezzo di prora. Poco dopo il battello avversario, l’inglese Thunderbolt, emerse. Nel rapporto di missione del comandante britannico si afferma di aver lanciato, da meno di 500 metri, contro una corvetta. Come promozione su campo non c’era male per quel piroscafetto. Le notizie inglesi affermano poi che il sommergibile, sottoposto alla caccia antisom avversaria, emerse per “attaccare” la nave italiana. Peccato che la distanza iniziale tra le due navi fosse di 5.500 yard per poi salire, nel corso di un quarto d’ora, a oltre 8.000 tra il battello che filava a 17 nodi e il vaporetto che lo incalzava a, sì e no, 11 producendo un gran fumo nero con la propria vecchia macchina a triplice espansione alimentata a carbone e i fochisti che spalavano e sudavano come dannati. Le proporzioni tra il battello inglese, da 1.326 tonnellate e lungo 84 metri fuori tutto, e i 38 metri del San Giorgio erano le stesse della lancia del comandante Achab contro Moby Dick.
Il duello tra il cannone da 102 mm inglese, il quale tirò 66 granate in risposta al fuoco del 57 italiano (32 proietti sparati in quella fase) non produsse danni reciproci, come rilevò subito, e onestamente, il rapporto di missione italiano. I britannici scrissero, invece, di aver messo a segno diversi colpi sul bersaglio, probabilmente ingannati dalla densa nuvola di fumo che usciva dal fumaiolo della nave. Alla fine, riparate le avarie minori riportate quando era in immersione, il Thunderbolt, visto che la luce stava calando (due to the failing light) ed essendo ormai in una zona di fondali sufficienti, pensò bene di immergersi e allontanarsi. Probabilmente lo spirito di San Giorgio, patrono di Genova, non volle infierire.
Il Thunderbolt fu poi affondato, il 12 marzo 1943, davanti a Capo San Vito, in Sicilia, dalla corvetta italiana Cicogna. Il San Giorgio continuò la propria guerra in Adriatico. Naufragò, nel corso di una violenta mareggiata, il 12 febbraio 1944 alle foci del Po. Recuperato dopo la fine del conflitto riprese a navigare sotto le consuete vesti civili di onesta nave da carico misto dal passato insospettabile. Il santo, come sempre marinaio in pectore, passò poi la mano a un bel caccia conduttore entrato in servizio nel 1955 e, nel 1987, all’attuale nave d’assalto anfibio. C’è poco da fare: il mottoArremba San Zorzo è una questione di anima, di nave e di santo guerriero, tutti insieme in ogni tempo e in ogni età, senza questioni di taglia.

Primo San Giorgio

FONTE: Logo Notiziario MM online

 

La rosa dei venti-Non tutti sanno che ....

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La Rosa dei Venti rientra tra i simboli più diffusi nella nautica, ma non solo, è, infatti,  ricorrente nelle varie pubblicità, nei libri o nei quotidiani; tutti ne abbiamo vista almeno una, ma qual è il vero significato e da dove nasce?

La rosa dei venti è un diagramma, apparentemente molto semplice, che rappresenta la provenienza dei venti. Il suo nome deriva dalla disposizione dei rombi, sovrapposti come i petali di una rosa. La riproduzione a noi più nota è quella ad 8 punte, ognuna delle quali identifica un punto cardinale (primario o secondario) ed un vento caratteristico del mar Mediterraneo;

Fin qui non troviamo nulla di nuovo, ma qual è la storia della Rosa dei Venti?

Ai tempi di Omero, la navigazione mediterranea, si svolgeva prevalentemente utilizzando punti di riferimento costieri noti e visibili, mentre, nelle rare traversate in alto mare, era generalmente sufficiente osservare la posizione del sole o delle stelle. In caso di cielo coperto, invece, l’unico aiuto ai naviganti era rappresentato dalla propria conoscenza dei venti che, spirando da direzioni generalmente costanti, permettevano di seguire le rotte desiderate. Ai greci furono i primi ad orientarsi con ben otto venti (Boreas il Nord; Kaikias il Nord-Est; Apeliotes, l’Est; Euros, il Sud-est; Notos, il Sud; Lips, il Sud-Ovest; Zephyros, l’Ovest; e Skiron il Nord-Ovest) e generalmente facevano coincidere ogni vento con la direzione da seguire per una particolare rotta. La Torre dei Venti d’Atene era considerata un enorme rosa dei venti sulla quale, otto creature semidivine indicavano le direzioni dei venti.

Plinio, studioso romano ed esperto di navigazione, riprese gli studi ellenici e rappresentò una Rosa dei Venti ad 8 punte specifica per i naviganti, nel I secolo d.C.. poi, fu il primo a tradurre i nomi in latino.

Solo nell’anno 1000 però ci fu un nuovo progresso delle tecniche di navigazione ed una nuova evoluzione della rosa dei venti, dovuto dal crescente traffico commerciale con l’Oriente, che stimolò il perfezionamento dei sistemi di navigazione in generale; anche se, la creazione di una bussola efficace da impiegarsi a bordo delle navi, molto probabilmente risale solamente al XIII secolo, dimostrato dall’esistenza di una carta nautica con una rosa dei venti divisa in ben 64 settori, ottenuti dividendo gli otto venti classici (ormai nominati, da Nord in senso orario: Tramontana, Greco, Levante, Scirocco, Ostro, Libeccio, Ponente, Maestro) in quattro Quarte ciascuno.

Ma perché proprio questi nomi?

I nomi dei venti, tuttora in uso,  derivano dal fatto che, nelle prime rappresentazioni cartografiche,  la rosa dei venti era raffigurata al centro del Mar Ionio oppure vicino all’isola di Malta. Questo pertanto, divenne sia il punto di riferimento per indicare la direzione di provenienza del vento,  sia un ausilio per l’orientamento delle navi (che anticamente erano spinte solo dai venti portanti). In quella posizione, le navi che provenivano da “NE” giungevano approssimativamente dalla Grecia, da cui il nome Grecale; da “SE” giungevano navi provenienti dalla Siria, da cui il nome Scirocco; a “SO” vi è la Libia da cui il nome Libeccio.Da “NO” giungevano invece le navi salpate da Roma (Magistra) ed essendo la via “maestra”, quella che conduceva a Roma, il vento proveniente da Nord-Ovest prese il nome di Maestrale.

Ai tempi in cui Venezia era la repubblica marinara dominante nel Mediterraneo orientale, la rosa dei venti era posizionata invece sull’isola greca di Zante. In questo caso la Tramontana proveniva dai monti dell’Albania e, la via maestra che dava il nome al Maestrale, indicava la via per Venezia. Infine, il nome Ostro, che indica il vento proveniente da sud, deriva dal latino Auster (vento australe).

FONTE: logo Sailornet

Le onde congelate del Massachussets

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Non è un segreto che l'inverno americano quest'anno sia stato particolarmente gelido, basti pensare a New York ancora tutta ghiacciata. Nonostante i disagi, però, il freddo ha prodotto anche cose sorprendenti, come il fenomeno delle onde congelate a Nantucket, un'isola del Massachusetts. Il fotografo Jonathan Nimerfroh è riuscito a catturare queste onde in alcune bellissime immagini che ha postato sul suo profilo Instagram e su Twitter. Quando l'onda raggiunge il picco, la sua consistenza diventa simile a quella di una granita. Il fenomeno è spettacolare, ma anche molto difficile da osservare.

Date un'occhiata alle foto postate su Twitter.

 

Le sventure della Willie Dee

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"Mentre discendevo lungo fiumi indifferenti,
M’avvidi di non essere più in mano ai manovranti."

(A. Rimbaud, Le Bateau ivre, 1871)

 

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Nell’ipotetico Museo del Fallimentoche proponevo qualche tempo fa, la famigerata nave cacciatorpediniere USS William D. Porter (DD-579) avrebbe un posto d’onore.
Il resoconto delle sue imprese belliche è talmente tragicomico da sembrare frutto di una sceneggiatura, ma se pure alcuni aneddoti sono con tutta probabilità leggende, la nomea che l’accompagnò nei suoi quasi due anni di servizio fu purtroppo meritata.

La carriera della “Willie Dee“, com’era soprannominata la Porter, cominciò con un incarico formidabile.
Appena dopo il varo, infatti, la nave venne assegnata a una missione segretissima e di vitale importanza: scortare Franklin Delano Roosevelt attraverso l’Atlantico — infestato dai sottomarini nazisti — fino al Nord Africa, dove il Presidente avrebbe dovuto incontrare per la prima volta Stalin e Churchill. Il vertice dei Tre Grandi sarebbe passato alla storia come la conferenza di Teheran, e assieme agli incontri successivi (il più celebre dei quali tenutosi a Jalta) avrebbe contribuito a modificare l’assetto europeo post-bellico.
Eppure, proprio a causa della Willie Dee, il meeting rischiò di non accadere mai.

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Le cacciatorpediniere sono navi agili e veloci, pensate appositamente per fare scudo e proteggere vascelli più grandi. La Porter dunque ricevette il 12 novembre 1943 l’ordine di raggiungere il resto della flotta che scortava la nave da guerra USS Iowa, una corazzata di 45.000 tonnellate a bordo della quale era già salito il Presidente assieme al Segretario di Stato e a una moltitudine di altissime cariche politiche e amministrative.

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L’equipaggio della Willie Dee all’epoca era composto da 125 marinai, capitanati dal comandante Wilfred Walter. Ma in quei tempi di guerra, necessitando di un vasto numero di soldati, l’esercito arruolava anche ragazzi che erano ancora studenti, o che si erano sempre e soltanto occupati della fattoria di famiglia. Gran parte degli incidenti militari era causato proprio dall’inesperienza delle reclute, senza adeguato addestramento e costrette a imparare sul campo dai propri errori. La quasi totalità dell’equipaggio della Willie Dee non era mai salito su una nave prima di allora (inclusi i 16 ufficiali, di cui soltanto 4 avevano precedenti esperienze in mare), e il battesimo di fuoco di una missione top secret aumentò sicuramente la pressione psicologica nella ciurma.

Fatto sta che la Willie Dee debuttò fin dall’inizio sotto una cattiva stella. Dimenticandosi di salpare l’ancora.
Mentre il comandante Walter stava facendo manovra per uscire dal porto di Norfolk, si udì un terribile fracasso di lamiere contorte. Affacciandosi, l’equipaggio vide che l’ancora non era stata sollevata del tutto e, restando a mezz’aria sul lato della nave, aveva sventrato il parapetto del vascello ormeggiato al suo fianco, distruggendo le scialuppe di salvataggio e squarciando vari altri equipaggiamenti. La Willie Dee aveva riportato soltanto dei graffi e, dato il ritardo, il comandante Walter poté soltanto porgere delle affrettate scuse prima di salpare di gran carriera verso la Iowa, lasciando alle autorità portuali il compito di risolvere il pasticcio.
Ma non era finita lì. Durante le successive 48 ore, la Willie Dee sarebbe precipitata in un maelstrom di vergognosa incompetenza.

Dopo neanche un giorno di viaggio, proprio mentre la Iowa e le altre navi stavano entrando in una zona notoriamente infestata dagli U-boat tedeschi, una fortissima esplosione scosse le acque. Tutte le unità, convinte di essere sotto attacco, cominciarono frenetiche manovre diversive, mentre i tecnici radar in massima allerta scandagliavano i fondali alla ricerca dei sottomarini nemici.
Finché un’imbarazzata comunicazione non arrivò alla Iowa da parte del comandante Walter: la detonazione era dovuta a una delle loro cariche di profondità che era accidentalmente caduta in acqua, perché la sicura non era stata inserita in maniera corretta. Per fortuna l’esplosione era avvenuta senza danneggiare la nave.
Come se sganciare una bomba involontariamente non fosse abbastanza, le cose si fecero ancora più disperate nelle ore successive. Poco dopo infatti un’onda anomala scaraventò fuori bordo un marinaio, che non venne più ritrovato. A neanche un’ora da questa tragedia, la sala macchine della Willie Dee subì un’avaria e perse di potenza, lasciando la cacciatorpediniere ad arrancare in posizione arretrata rispetto al resto della flotta.

A questo punto, a bordo dell’Iowa il nervosismo per le gaffe della Willie Dee era palpabile. Sotto gli occhi di tutte quelle alte cariche, il Capo delle Operazioni Navali, l’Ammiraglio Ernest J. King, prese personalmente il microfono radio per redarguire il comandante Walter. Quest’ultimo, conscio che le opportunità di una missione di alto profilo come quella stavano velocemente trasformandosi in una catastrofe, promise mestamente di “migliorare la performance della nave“. E, in un certo senso, lo fece, causando il disastro definitivo.

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La flotta in missione attraverso l’Oceano, pur proseguendo a tutta velocità, avrebbe impiegato più di una settimana ad arrivare a destinazione. Era dunque di cruciale importanza svolgere delle esercitazioni di guerra, in modo che gli equipaggi (come si era già visto, piuttosto inesperti) fossero preparati a un eventuale attacco a sorpresa.
Il 14 novembre, al largo delle Bermuda, il capitano della Iowa decise di dimostrare a Roosevelt e agli altri passeggeri come la sua nave fosse in grado di respingere un attacco aereo. Furono liberati dei palloni sonda come bersagli, mentre il Presidente e gli altri funzionari venivano fatti accomodare sul ponte a godersi lo spettacolo dei cannoni che li abbattevano a uno a uno.
Il comandante Walter e il suo equipaggio, a più di cinque chilometri di distanza, restavano a guardare mentre cresceva la loro voglia di partecipare all’esercitazione e riscattare la propria immagine. Quando la Iowa mancò alcuni palloni, che entrarono nel raggio di tiro della Willie Dee, Walter ordinò di fare fuoco. Allo stesso tempo, diede il via a un’esercitazione di siluri.

Sottocoperta due membri dell’equipaggio, Lawton Dawson e Tony Fazio, si assicurarono che gli inneschi fossero disattivati — altrimenti i siluri sarebbero partiti veramente — e comunicarono l’ok al ponte di comando. L’ufficiale di coperta ordinò il fuoco, e il primo “finto” torpedine venne attivato. Poi il secondo, “fuoco!“. E il terzo.
A quel punto, l’ufficiale di coperta sentì l’ultimo rumore che avrebbe voluto udire. L’inconfondibile sibilo di un vero siluro che prendeva il largo.
Comprendere appieno l’orrore che l’ufficiale deve aver provato in quel momento non è difficile, se si tiene conto di un dettaglio. La simulazione di norma richiedeva che si stabilisse come bersaglio di prova una delle navi in vista. Il bersaglio più vicino era la Iowa.

La Porter aveva appena sparatounsiluro contro il Presidente degli Stati Uniti!

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A bordo della Willie Dee, scoppiò il pandemonio. Un luogotenente si avvicinò di corsa al capitano Walter, e gli chiese se avesse dato il permesso di lanciare una torpedine. La risposta non fu certo un aforisma bellico di quelli che passano alla storia: “Diamine, no, io… aaaah… io — COSA?!“.
Rimanevano due minuti scarsi prima che il siluro esplodesse sulla fiancata della Iowa, affondandola assieme alle più importanti personalità dell’America intera.
Walter ordinò immediatamente che venisse lanciato l’allarme, ma il più stretto silenzio radio era stato decretato per scongiurare il rischio di intercettazioni, vista la pericolosa posizione in cui si trovava la flotta. Così si decise di utilizzare una lampada di segnalazione.
Ma, in preda a un giustificato panico, il giovane marinaio che aveva il compito di avvertire la Iowa del tragico errore andò in confusione. Così alla nave madre cominciarono ad arrivare messaggi incomprensibili: “Un siluro sta allontandosi dalla Iowa!“; poi, poco dopo “La nostra nave sta andando indietro tutta!“.
Il tempo era agli sgoccioli e, comprendendo che con il codice Morse non ne sarebbero mai venuti fuori, il comandante Walter decise di rompere il silenzio radio. “Lion, Lion, virate a destra!” “Idetificatevi e ripetete. Dov’è il sottomarino?” “Siluro in acqua, virate a destra! Emergenza, virate a destra, Lion, virate a destra!”
A quel punto il siluro era stato avvistato anche a bordo della Iowa. La nave eseguì una manovra di emergenza, aumentando la velocità e virando a dritta, mentre tutti i cannoni sparavano verso il proiettile in arrivo. Il Presidente Roosevelt chiese all’agente dei Servizi Segreti che lo accompagnava di spostare verso il parapetto la sua sedia a rotelle, così da poter vedere meglio il siluro. A quanto si racconta, il bodyguard si mise addirittura a sparare in acqua con la sua pistola, come se i suoi proiettili avessero potuto fermare il missile.
Nel frattempo sulla Willie Dee era sceso il più spettrale silenzio, mentre tutti osservavano impietriti la scena, trattenendo il fiato in attesa dell’esplosione.

Quattro minuti dopo essere stato sparato il proiettile scoppiò nell’acqua, poco distante alla Iowa, provvidenzialmente senza danneggiarla. Il Presidente annotò in seguito sul suo diario: “Lunedì scorso esercitazione d’armi. La Porter ha sparato una torpedine verso di noi per sbaglio. L’abbiamo vista — ci ha mancato di 300 metri“.

Con tutta la buona volontà, un simile incidente non poteva passare in sordina — anche perché a quel punto era forte il sospetto che nella ciurma della Willie Dee si nascondesse un infiltrato, e che il maldestro errore celasse un vero e proprio tentativo di attentato. Così la Iowa ordinò alla Porter di lasciare il convoglio e di ritornare a una base americana nelle Bermuda; a orecchie basse, Walter e il suo equipaggio fecero inversione e, una volta entrati in porto, vennero accolti da un plotone di Marines che li arrestarono in blocco. Seguirono giorni di interrogatori e indagini, e Dawson, il marinaio ventiduenne che aveva dimenticato di disinserire l’innesco del siluro, venne condannato a 14 anni di lavori forzati. Venuto a sapere della pena, fu Roosevelt in persona che si attivò per concedere la grazia al povero ragazzo.

Il resto del convoglio nel frattempo arrivò illeso in Africa e Roosevelt (nonostante un tentativo, questa volta reale, di attentato) riuscì a siglare con Churchill e Stalin i primi fra quegli accordi che, a guerra finita, avrebbero cambiato il volto dell’Europa.
La Willie Dee fu invece spedita al largo dell’Alaska, dove non avrebbe potuto arrecare danni, e divenne a poco a poco una sorta di mito marinaresco. Altri aneddoti, mai verificati, cominciarono a circolare sul conto di questa “pecora nera” della flotta statunitense, come quello del marinaio ubriaco che una sera per sbaglio sparò un colpo di cannone verso la base militare sulla costa, distruggendo le aiuole di un comandante. Ironiche leggende via via più esagerate, che la resero il perfetto capro espiatorio, la farsesca antieroina su cui sublimare ogni timore di fallimento.
L’eco delle infami gesta precedeva la Willie Dee in ogni porto, in cui invariabilmente la nave veniva salutata via radio con lo sberleffo “Non sparate! Siamo repubblicani!“.

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Finì per inabissarsi durante la battaglia di Okinawa — ingloriosamente affondata da un aereo già abbattuto, che le esplose sotto la chiglia.
E probabilmente, quel giorno, molti marinai tirarono un sospiro di sollievo. La nave americana più sfortunata della storia riposava infine sul fondo dell’oceano.

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FONTE: Logo Bizzarrobazar Ridotto

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