Saipem sperimenta i primi droni wireless sottomarini totalmente autonomi

FlatFish e Hydrone sono grandi come una Fiat 500 e possono rimanere dormienti alla profondità marine. Sono stati progettati per monitoraggio, manutenzione e interventi fino a 3mila metri di profondità

Drone saipem

Jules Verne li avrebbe descritti come mostri subacquei, ma in realtà sono droni wireless autonomi dell'italiana Saipem e rappresentano l'avanguardia mondiale del settore. Si pensi al monitoraggio, alla manutenzione e agli interventi che riguardano l'estrazione di idrocarburi nelle profondità marine, il trasporto di gas, le dorsali oceaniche in fibra ottica. Sono grandi come una Fiat 500, si affidano a un motore elettrico, si spostano in ogni direzione e soprattutto sono più autonomi di una Tesla. 

Bisogna però fare una premessa per comprendere la portata di questa innovazione: normalmente le operazioni sottomarine via drone o robot si fanno impegnando una nave, personale, logistica e un cavo. Sì, nel mondo i robot sottomarini sono tutti al "guinzaglio". Quelli liberi di solito assomigliano a un siluro (Auv - autonomous underwater vehicle), sono costretti al continuo movimento ma non possono spostarsi verticalmente lungo la colonna d'acqua. Inoltre non fanno ricostruzione 3D e non hanno sensoristica avanzata. Ecco spiegato perché Saipem può concedersi di inaugurare un nuovo capitolo di Ventimila leghe sotto i mari.

FlatFish e Hydrone, ma il "pianale" è lo stesso

Saipem nel 2014, grazie a un accordo con Shell, ha dato il via al progetto FlatFish, ovvero un drone a guida autonoma che volendo può essere anche comandato a distanza. Di fatto come nell'automotive è nato una sorta di pianale che ha consentito lo sviluppo di altre due declinazioni dello stesso prodotto: Hydrone-R e Hydrone-W.

FlatFish è la versione più leggera dotata esclusivamente di apparecchiature e sensori per il monitoraggio. Hydrone-R sale di potenza e dispone anche di bracci per interventi fisici. Hydrone-R è il modello più potente in assoluto per far fronte a compiti critici.
 
Flatfish First dive for seatrials
 
Saipem FlatFish
 

Sono stati sviluppati tutti presso Sonsub, il centro di eccellenza Saipem per le innovazioni tecnologiche sottomarine situato a Marghera. Chiudendo gli occhi li si può immaginare nelle profondità oceaniche, soli e circondati dal buio. Il commiato dagli umani magari è avvenuto settimane o mesi prima su pontili, piattaforme petrolifere oppure su gommoncini. Il tema di fondo è che la "colonizzazione" sostenibile del mare in atto è diventata più complessa sia per il numero delle infrastrutture che per le esigenze green crescenti, e questi droni riducono anche i rischi e abbassano i costi.

Una sentinella del mare

A prima vista il FlatFish appare come uno sgraziato parallelepipedo dagli angoli smussati. In realtà è un miracolo di efficienza idrodinamica con sensoristica modulare e personalizzabile capace di un'autonomia di 48 ore e una velocità massima di 4 nodi. La sua principale attività è quella di monitorare qualsiasi tipo di infrastruttura o dispositivo o condizione alla profondità massima di 3mila metri. Grazie a telecamere stereoscopiche, sistemi laser e radar effettua una ricostruzione tridimensionale che gli consente di generare una nuvola di punti digitalizzati che serve a localizzarsi e procedere con la sua missione. 

Droni per intervenire sott'acqua

Sfruttando lo stesso "pianale" Saipem ha sviluppato Hydrone-R e Hydrone-W, due versioni di drone che alla sensoristica di ispezione abbinano anche bracci operativi e rispettivamente due livelli di potenza differenti. L'Hydrone-R è il più versatile poiché in grado di ripulire superfici, girare manovelle, azionare valvole non-remotate, afferrare oggetti, misurare i livelli di corrosione in modalità contactless, etc. Il suo raggio d'azione è di 300 metri se cablato e circa 10 chilometri in modalità wireless

 

Hydrone R

Hydrone-R
 

L'Hydrone-W è invece la versione più potente in assoluto normalmente impiegata per operazioni critiche. Per esempio quando si realizza un pozzo, per questioni normative, deve essere posizionato sul sito un sistema di chiusura istantanea da azionare in caso di anomalie. Questo robot è capace di brevissimo tempo di mettere a disposizione tutta la sua potenza per chiudere valvole di emergenza.

Docking station per la ricarica

In Saipem hanno proprio pensato alle docking station dei portatili quando hanno iniziato a immaginare una struttura subacquea capace di ospitare i droni. Già perché la tana del drone può essere simile a una piattaforma oppure a un mini-hangar. In entrambi i casi è presente un gancio induttivo per lo scaricamento dei dati e per la ricarica. Quest'ultima può essere alimentata tramite un cavo collegato alle infrastrutture esistenti (piattaforma, nave) oppure a una boa con generatore eolico, oppure ad altre sorgenti. In pratica la docking station è un punto di connessione, potenza e comunicazione con il mondo esterno. Molti operatori del settore energia hanno campi operativi in fondo al mare che dispongono già di potenza e segnale: basta connettersi con un cavo.

Internet delle cose sottomarine

Per eliminare il cavo di collegamento al drone è necessario impiegare tecnologie di comunicazione wireless. Saipem in verità ne adotta diverse poiché la migliore efficienza si ottiene sfruttando le singole peculiarità dei modem ottici e quelli acustici. Recentemente però è stata introdotta una nuova soluzione grazie alla collaborazione con la startup italiana WSense – nata dai laboratori dell'Università Sapienza di Roma. Si parla di Internet of Underwater Things (IoUT), ovvero una sorta di internet delle cose sottomarine. In pratica le infrastrutture posizionate anche ad altissima profondità possono essere dotate di sensori intelligenti capaci di comunicare in modalità wireless con i droni subacquei, sulla falsariga degli hot spot cittadini.

 

Hydrone R 2

Hydrone-R

 

“Le tecnologie che abbiamo sviluppato consentono la comunicazione acustica su più frequenze (da qualche KHz a 200KHz) e l'uso ibrido di modem di comunicazione acustici ed ottici, gestendo i flussi da trasmettere su diversi modem di comunicazione in modo dinamico in base alle condizioni del canale e alle necessità applicative”, spiega WSense

Dopodiché la creazione di nodi intelligenti multifunzione permette l'attivazione di reti capaci di veicolare dati di ogni tipo. Non solo. WSense ha sviluppato anche la una modalità mesh che consente al segnale di essere re-inoltrato da nodi sensori intermedi coprendo aree di decine di chilometri. Le docking station poi permettono di far confluire tutto verso la superficie ed eventualmente a distanza con i sistemi satellitari. Nello specifico sott'acqua i droni wireless autonomi sfruttano la rete di comunicazione WSense per il lungo raggio, l'acustico per il medio (centinaia di metri) e l'ottico di precisione per la prossimità.Ipoteticamente si potrebbe immaginare uno scenario dove a un Hydrone-R viene dato l'incarico di rilevare il livello di corrosione di una valvola di un impianto di estrazione del gas. Grazie ai suoi sensori ed ai sistemi di comunicazione di WSense sarebbe in grado di arrivare in loco, raccogliere dati di ogni tipo ed eventualmente intervenire fisicamente su alcuni componenti. E se in remoto via satellite un operatore volesse agire direttamente potrebbe farlo proprio grazie a questa rete di comunicazione mista. Da rilevare che persino la latenza è calmierata da un sistema di intelligenza artificiale che consente al drone di escludere comandi anomali in successione.

Una soluzione per il Golfo del Messico

Una soluzione per il Golfo del Messico Vi sono zone del pianeta dove ogni anno si replicano eventi climatici straordinari. Nel Golfo del Messico l'appuntamento con gli uragani costringe le piattaforme e gli specialisti delle estrazioni a condurre costantemente ispezioni di valutazione del danno. Il problema è che la densità di operatori si deve confrontare con il numero limitato di navi disponibili per gli interventi. Come dicevamo i droni cablati tradizionali hanno bisogno di personale, una nave di appoggio, logistica, etc. I droni wireless invece possono essere posizionati anche mesi prima nelle docking station installate sui fondali e poi attivati quando se ne ha bisogno. Il tutto in ottica anche di pay-per-use o condivisione fra aziende diverse. Gli Hydrone possono essere lasciati nel mare fino a 12 mesi. In sintesi si riducono i rischi per il personale umano, si riducono i mezzi e anche la CO2 prodotta.

FONTE:Logo wired

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