Dizionario marinaresco: i “gatti di bordo”

Una curiosità dal sito Ocean4future 

GATTI 640px Sailors surround the ships cat Convoy asleep in a miniature hammock on board HMS HERMIONE Gibraltar 26 November 1941. A6410

Oggi torniamo a guardare attraverso il sapiente oblò di Capitan Bitta, alla scoperta di nuovi termini marinareschi, partendo dai … gatti. Buona lettura.

simon cat on board

Uno dei più celebri gatti di marina, Simon

I gatti, nell’antichità, erano ritenuti animali magici e numerose leggende e superstizioni erano diffuse tra i marinai; considerati animali intelligenti e porta fortuna erano oggetto di cure e attenzioni da parte degli equipaggi (se non altro perché mangiavano i topi). Si riteneva che i gatti avessero poteri miracolosi nel proteggere le navi dalle intemperie per cui le mogli dei pescatori, a volte, tenevano in casa anche dei gatti neri, nella speranza che sarebbero stati in grado di usare la loro influenza per proteggere i loro mariti in mare. A bordo, si credeva che fosse un evento fortunato se un gatto si avvicinava a un marinaio sul ponte, ma un presagio negativo se arrivava solo a metà strada e poi tornava indietro. Un’altra credenza popolare era che i gatti potessero scatenare tempeste attraverso la magia immagazzinata nelle loro code. Se un gatto di una nave cadeva o veniva gettato in mare, si pensava che avrebbe evocato una tempesta tale da fare affondare la nave e, ammesso fosse riuscita a salvarsi, sarebbe stata maledetta con nove anni di sventure. Inoltre, se un gatto si leccava la pelliccia contropelo, significava che stava arrivando una tempesta di grandine, se starnutiva significava pioggia e se era “vivace” significava vento.

GATTO Calico cat 1

Di fatto alcune di queste credenze hanno un fondamento di verità perché i felini sono in grado di percepire lievi cambiamenti meteorologici grazie al loro orecchio interno che è molto sensibile e gli permette di … cadere sempre in piedi. Inoltre, l’abbassamento della pressione atmosferica, che di solito anticipa l’arrivo di un tempo burrascoso, spesso rende i gatti nervosi e irrequieti. Superstizioni e credenze che sono cosmopolite: i marinai giapponesi ritengono che il calico, (vedi foto in alto),  un gatto di una specie particolare di tre colori (みけねこmike-neko), salendo sull’albero maestro della nave, possa tenere lontani gli spettri dei naufraghi.

CURIOSITÀ
Alcuni marinai ritenevano che il gatto polidattile (dotato di un numero di dita superiore al normale a causa di un’anomalia congenita) fosse più adatto per catturare animali nocivi, convinti del fatto che tali gatti, avendo più dita, avessero più equilibrio sulle imbarcazioni e in alcune parti del mondo i gatti polidattili sono anche chiamati “gatti di bordo”.

PERSONAGGI HEMINGWAY 640px Ernest Hemingway with cat 1954

Hemingway, un grande marinaio, nella sua casa di Key West
(Florida) aveva una colonia felina di soli gatti polidattili
che, tra l’altro, gli è sopravvissuta e viene mantenuta con
una rendita a vita. Quando si dice nascere fortunati.

Terminologia marinaresca

Ma, a parte questi simpatici felini, nell’area prodiera del ponte di coperta, troviamo un’altra “gatta”. Di cosa si tratta? È una struttura (una mastra) posta trasversalmente affinché l’acqua, che può penetrare dagli occhi di cubia, non possa scorrere all’interno dell’imbarcazione ma fuoriesca da due ombrinali (fori laterali) posti subito prima di essa. La parola GATTA deriva dal francese gatte e, a sua volta, dal latino gabătascodella. È detto anche LAVARELLO definito dal Guglielmotti (1889) come… “Specie di chiudenda a prua, innanzi agli occhi delle cubìe, perché non si spanda l’acqua degli ormeggi nel salpare, o de’ marosi nel navigare“.

giannetti gatta 911x1024

 

Esistevano anche le TESTE DI GATTO (o GRU DI CAPONE), delle robuste travi di legno che anticamente erano posizionate sulle due fiancate della prua di una nave. Venivano utilizzate per sostenere l’ancora quando veniva calata o sollevata per riportarla nel suo alloggiamento una volta sospesa al di fuori della nave. Lo scopo era quello di fornire una trave abbastanza pesante per sostenere il peso dell’ancora e, allo stesso tempo, di tenere l’ancora lontana dalle murate di legno per evitare danni.

giannetti testa di gatto 1024x785

 

Vi domanderete perché questo nome? In passato l’estremità sporgente di questa trave era scolpita per assomigliare al volto di un gatto (o di un leone), da qui il nome inglese cathead.
Buon vento a tutti e arrivederci a presto.

Paolo Giannetti

in anteprima, un gruppo di marinai circonda il gatto di bordo “Convoy” mentre dorme su un’amaca in miniatura a bordo della HMS HERMIONE–  Autore fotografo ufficiale della Royal Navy, Beadell, SJ File:Sailors surround the ship’s cat “Convoy” asleep in a miniature hammock on board HMS HERMIONE, Gibraltar, 26 November 1941. A6410.jpg – Wikimedia Commons

 

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Entrato in Accademia nel 1977 (Corso SAOREN) ha prestato servizio e comandato numerose unità navali, specializzandosi nel tempo in Idrografia (Idrographic Surveyor di categoria “A” ) e Oceanografia con un Master presso la Naval Postgraduate School di Monterey, California. Appassionato divulgatore ha creato Capitan Bitta, detto il “Gianbibbiena, un personaggio immaginario che racconta con brevi scritti curiosità di nautica, meteorologia e astronomia

FONTE: OCEAN4FUTURE

Il barometro marino, uno strumento antico ma ancora molto utile

Dal sito Ocean4future un argomento che interessa tutti

STRUMENTI Barometre aneroide 01

I marinai sanno che quando la pressione atmosferica scende non è un buon segno. Ma come fanno ad accorgersene? Semplice, utilizzando il barometro, uno strumento nautico che misura la pressione locale e può aiutare a prevedere l’andamento meteorologico in mare.

Il barometro fu scoperto circa quattro secoli fa da un italiano, Evangelista Torricelli. Una scoperta rivoluzionaria dal punto di vista scientifico che abbiamo sotto gli occhi di tutti, essendo presente in quasi tutte le case. Ne raccontiamo la storia e le sue evoluzioni tecnologiche partendo dai primi che si basavano sugli effetti della pressione atmosferica su un tubicino pieno di mercurio.

Come  funzionavano i barometri a mercurio?
In realtà, come vedremo, il sistema di funzionamento di questi strumenti era molto semplice.

STRUMENTAZIONE Barometer by Charles Frodsham view 2 London date unknown mahogany mercury metal glass Shugborough Hall Staffordshire England DSC00451

Barometro a mercurio di Charles Frodsham, London, conservato a Shugborough Hall – Staffordshire, England Barometer by Charles Frodsham, view 2, London, date unknown, mahogany, mercury, metal, glass – Shugborough Hall – Staffordshire, England – DSC00451.jpg – Wikimedia Commons

I primi barometri erano composti da un tubicino di vetro trasparente, posizionato verticalmente al suolo, con l’estremità superiore chiusa e quella inferiore aperta su una vaschetta piena di mercurio, un metallo allo stato liquido, molto denso e sensibile ai cambiamenti di pressione e di temperatura. Per dargli solidità erano inseriti in eleganti contenitori in ottone o in legno. Il funzionamento è molto semplice. Il livello di mercurio sale o scende all’interno del tubo a seconda delle variazioni della pressione dell’aria.

STRUMENTAZIONE principio baroemtro a mercurio Prinzip Torricelli

Principio di funzionamento del barometro a mercurio di Torricelli – Fonte e autore Volker Sperlich: “Übungsaufgaben zur Thermodynamik mit Mathcad” (2002) Fachbuchverlag Leipzig Prinzip Torricelli.jpg – Wikimedia Commons

Tutto incominciò nel XVII secolo, nel 1643, quando un brillante matematico italiano, Evangelista Torricelli, allievo di Galileo Galilei, inventò il primo strumento di misura per misurare la pressione atmosferica. Si trattava di un tubo di vetro chiuso a un’estremità e aperto dall’altra, con una sezione di un centimetro quadro, della lunghezza di un metro, riempito di mercurio, metallo allo stato liquido caratterizzato da una alta densità, posto verticalmente in una vaschetta, anch’essa contenente mercurio. In pratica si creava un sistema di vasi comunicanti. Torricelli osservò che quando la pressione dell’aria (triangolo bianco) aumentava, spingeva verso il basso il mercurio all’esterno del tubo e, di conseguenza, il livello di mercurio all’interno del tubo aumentava. Qualora la pressione diminuiva avveniva il contrario ovvero il livello diminuiva. Questo comportamento si prestava quindi ad effettuare una misurazione precisa ed istantanea della pressione atmosferica.

Torricelli, dopo aver bloccato l’estremità aperta, rovesciò il tubo e lo appoggiò verticalmente su una ciotola contenente del mercurio. L’accorgimento di chiudere l’estremità era ovviamente per non far entrare aria nel tubo formando così il vuoto (un concetto innovativo per l’epoca) al di sopra della colonna di mercurio. Perché usò il mercurio e non altre sostanze? Perché se avesse usato l’acqua, essendo meno densa del mercurio, la pressione dell’aria avrebbe sollevato il livello molto più in alto. In altre parole sarebbe stato necessario avere un tubo più lungo di quello necessario per contenere il mercurio, rendendo lo strumento poco pratico. Torricelli aveva compreso che era il peso dell’atmosfera a causare lo scorrere del mercurio nel tubicino e scrisse che “Sulla superficie del liquido che è nella ciotola c’è il peso di un’altezza di cinquanta miglia di aria.” Lo strumento da lui inventato fu chiamato, in suo onore, barometro torricelliano.

In seguito gli scienziati notarono che questo cambiamento era correlato all’andamento del tempo meteorologico per cui le variazioni meteo erano strettamente legate alle variazioni della pressione atmosferica. Osservando gli spostamenti dei livelli nella colonnina si potevano prevedere con molta precisione cambiamenti significativi del tempo come l’arrivo di temporali o del bel tempo.

Oggi sappiamo che l’arrivo di aria più fredda, legata al passaggio di un fronte freddo, fa aumentare localmente il peso della colonna d’aria e quindi la pressione al suolo, mentre quello di aria più calda (essendo più leggera) la fa ovviamente diminuire, come al passaggio di un fronte caldo. In parole semplici quando una nube temporalesca si avvicina la pressione misurata dal barometro tende a scendere, a seguito delle correnti convettive più calde che dal suolo alimentano la nube. Questo è un campanello di allarme importante che i naviganti dovrebbero conoscere bene. Sarà sempre il nostro barometro ad indicarci quando il temporale, accompagnato da raffiche e da rovesci di pioggia (outflow) incomincerà ad allontanarsi, anticipato da una risalita brusca della pressione.

Quale è il valore della pressione atmosferica al suolo?
A livello del mare, la pressione atmosferica spinge il mercurio nell’ampolla verso l’alto e fa salire, in condizioni standard, il livello nel tubo ad un’altezza di circa 760 mm (circa 30 pollici). Torricelli dedusse quindi che il peso di questa colonna si opponeva alla pressione atmosferica e che  aumentando la pressione il livello si alzava. Un’intuizione geniale che è alla base della meteorologia moderna.

Perché varia?
La pressione atmosferica cambia continuamente ed è legata al surriscaldamento delle masse d’aria locali ed alla quota di misura. Per comodità il valore standard pressione è di un atmosfera (1 atm) al suolo che è equivalente a circa 760mm di mercurio. Per l’esattezza 760 mm equivale a 1,0132 bar. I subacquei sanno che la pressione di atmosfera aumenta di un’atmosfera ogni dieci metri sott’acqua. Se dal suolo salissimo in quota scopriremmo che la pressione diminuisce man mano che saliamo fino ad annullarsi. Diminuendo la pressione, la misurazione nel tubo da un valore sempre minore (da 760 mm scenderà fino a zero salendo in quota). Per avere un‘idea, la pressione sulla cima del Monte Everest (circa 8840 metri) è leggermente inferiore ad un terzo della pressione atmosferica standard a livello del mare (circa 0,3 atm).

formula

I primi barometri marini erano costituiti da piccoli tubi di vetro, che ricordavano i termometri, protetti da cilindri di ottone, e appesi o racchiusi in scatole protettive in legno. Questi barometri erano calibrati in modo da poter leggere sulla scatola oltre che il valore di pressione, anche semplici indicazioni: Bel tempo” o Fair, “pioggia” o Rain,tempesta” o Storm. Questi barometri nautici erano studiati per essere appesi nelle plance delle navi per un’immediata lettura da parte del navigante. I primi barometri torricelliani erano comunque già molto precisi ma … avevano un problema, si basavano per funzionare sul mercurio, un metallo particolare (è l’unico ad essere allo stato liquido) ma molto velenoso. Quelli di una certa età ricorderanno i termometri a mercurio che quando si rompevano riempivano il pavimento di palline argentee. Ci giocavamo ingenuamente senza capirne la forte tossicità per l’organismo che può avvenire sia per ingestione che per inalazione dei vapori o anche per semplice contatto. Questo fattore nel tempo portò alla sostituzione del barometro a mercurio con altri tipi di barometri. Infatti, con l’avanzare della tecnologia, sebbene i barometri marini al mercurio fossero e (sono) ancora considerati più precisi, furono sostituti da quelli aneroidi.

how aneroid barometer worksUn barometro aneroide è costituito da una piccola cella di metallo con una molla contenuta in una scatola metallica. La cellula è circondata da una lega metallica di rame e berillio. Man mano che la pressione dell’aria all’esterno della cella cambia, la molla all’interno si espande, o si contrae, e questi movimenti fanno muovere una lancetta posta sul quadrante frontale del barometro. 

I barometri aneroidi, spesso presenti nelle nostre case come oggetto ornamentali, hanno in genere un solo quadrante con una lancetta di misura che indica diverse misurazioni e condizioni meteorologiche. Sul suo quadrante si nota un’altra lancetta (spesso dorata) che può essere fatta ruotare con le dita (essendo libera) tramite un bottone zigrinato. Una domanda che molti fanno è a che cosa serva. Si tratta di un semplice indice che, posizionato in un certo momento della giornata sulla lancetta del barometro, essendo slegato da qualsiasi meccanismo, in un periodo successivo fa comprendere se c’è stato un aumento o una diminuzione di pressione.

 

STRUMENTAZIONE 640px Design of aneroid barometer aneroid cell

Mechanical design di un barometro aneroide di Feingerätebau Fischer/GDR autore foto FranzKK Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 – Design of aneroid barometer aneroid cell.JPG – Wikimedia Commons

Per poter ottenere delle misure precise il barometro deve essere sempre regolato (calibrato) sulla pressione atmosferica, ridotta a livello del mare, e quindi calibrato di volta in volta, in funzione della altezza in cui ci troviamo, semplicemente spostando delicatamente una vite posta sulla cassa sul retro. Per calcolare la riduzione ricordatevi che ogni 80 metri questo valore può essere stimato intorno a 10 millibar, per cui se la pressione media è di 1012 mbar, se viviamo in collina  a 8oo metri di quota, la riduzione da apporre sarà di circa 100 mbar.

Questo per esser precisi ma serve veramente ai fini predittivi dell’andamento della pressione? In realtà no. Quello che ci interessa è la variazione dell’indice, in crescita o in decrescita, fattore che ci indica se stiamo andando verso il tempo buono o cattivo.

Nel XX secolo fu sviluppato il barometro marino digitale, che funziona traducendo le letture elettroniche della pressione atmosferica e delle variazioni di temperatura in … elementari previsioni meteorologiche. Per farlo utilizza degli algoritmi che tengono conto dell’umidità, della pressione, della temperatura dell’aria e, in certi casi, della velocità del vento rilevata. I moderni barometri digitali competono per precisione con i barometri al mercurio che sono ormai sempre meno diffusi e li troviamo presenti anche … nei moderni orologi digitali. 

STRUMENTAZIONE 2019120310 Casio ProTrek PRW 60Y 1AER barometer 2019

Orologio digitale, in basso a destra viene indicata la pressione atmosferica (1009 bar) – Autore foto VSchagow 2019120310 Casio ProTrek PRW 60Y-1AER barometer 2019.jpg – Wikimedia Commons

A cosa servono i barometri in campo nautico?
Sin dai tempi antichi, la possibilità di fare una previsione meteorologica accurata è stato sempre un fattore importante per i naviganti. Poter prevedere l’arrivo di una linea temporalesca consentiva al capitano di modificare la sua rotta prima di essere sorpreso da mare mosso e vento forte. Il barometro marino fu quindi sviluppato tecnicamente e commercialmente per offrire ai marinai un mezzo conveniente e portatile per prevedere i cambiamenti atmosferici in mare. Nonostante i mezzi oggigiorno disponibili, il barometro marino non è scomparso dalle plance, e viene di solito accoppiato ad altri indicatori meteorologici come termometri e anemometri.

Ora che abbiamo imparato a leggerlo, ricordiamocelo la prossima volta che andremo per mare: un semplice strumento che non può mancare nella dotazione nautica di ogni amante del mare.

Andrea Mucedola

in anteprima barometro aneroide, XX secolo Barometre aneroide 01.jpg – Wikimedia Commons

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Ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.

 

Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi – il periscopio Parte III

La controversia non rimane senza strascichi. I rapporti tra l’Officina Galileo e il Ministero della Marina si “raffreddano”, le commesse verso la Galileo diminuiscono rispetto al passato, ed i soci sono molto preoccupati

Glauco

Anche perché́ la Galileo è impegnata nella diversificazione nel settore elettrotecnico, di cui il Triulzi non era responsabile, che richiede continui investimenti ed è in continuo passivo (per alcune scelte industriali non attentamente valutate). Fortunatamente il Telops trova immediato successo all’estero, e vengono sviluppati nuovi modelli tra i quali quelli a “visione diretta binoculare” e  a “visione multipla”.

Paolo Triulzi

amm. Carlo MirabelloAi primi del 1905 erano in consegna i periscopi a visione binoculare per la Marina Imperale Russa e la direzione della Galileo invita il Ministro della Marina, l’Ammiraglio Carlo Mirabelloa vederli. Il ministro accetta di buon grado ma, essendo impegnato, invia a Firenze … l’Ing. Gioacchino Russo, molto probabilmente ignorando la vicenda Telops/Cleptoscopio. Quando il Triulzi viene a conoscenza della visita del Russo protesta con il Martinez e smonta il periscopio, Per cui quando il Russo vede il tubo ottico è senza le lenti e le parti terminali del periscopio!

Per evitare ulteriori inconvenienti, il 12 aprile 1905 viene depositata la domanda di brevetto e viene concordata una presentazione a Roma direttamente con il ministroIl montaggio sulla terrazza del ministero della marina, ad opera del Martinez, avviene il 16 aprile ma solo il 19 il ministro è disponibile per la visita, unitamente ad altre importanti autorità della Marina, tra le quali il Capo di Stato Maggiore Ammiraglio G. Chiesa.

Benché nessuna prova comparativa tra il Telops e il Cleptoscopio sia mai stata effettuata, tutti rimangono favorevolmente sorpresi dalle performances del Telops, anche se ritengono che la possibilità̀ di visione contemporanea da parte di più persone del Cleptoscopio rappresenti un potenziale vantaggio operativo. Conseguentemente il Triulzi realizza una versione a “doppio sistema di visione” in cui, spostando una levetta, si può̀ passare dalla visione diretta monoculare a quella indiretta bioculare su vetro smerigliato.

telops 2

Ma i rapporti con la Regia Marina italiana continuano ad essere difficili, come si evince dall’acquisto di 25 telemetri in Gran Bretagna.

Come diretta conseguenza Paolo Triulzi lascia la società il 30 giugno 1906.
«Mi sono così trovato in grave disagio rispetto alla Società della Galileo, la quale, per altri affari mal riusciti, nei quali non avevo a che fare, perché́ estranei alle mie mansioni, si avviava alla liquidazione. Decisi allora di ritirarmi da quell’azienda nella quale per 26 anni avevo esplicato con grande zelo e assiduità̀ l’attività dei miei anni migliori, riuscendo a farla apprezzare anche all’Estero per i riflettori parabolici per proiettori, che l’Officina era riuscita a produrre con molta perfezione mediante le macchine da me ideate. Il Consiglio di Amministrazione della Galileo nell’accettare le mie dimissioni dovette riconoscere che il mio allontanamento avveniva per colpa della Società stessa che non aveva rispettato alcuni articoli della Convenzione che ad essa mi legava, fra i quali l’obbligo di corrispondermi regolarmente lo stipendio.»

tessta del telopsIn base alla convenzione tra Paolo Triulzi e la “S.A. Officina Galileo dell’Ing. G. Martinez & C.” il Triulzi rimaneva detentore dei brevetti presi a suo nome: «… Egli [il Triulzi] non avrà̀ diritto a nessuna indennità né compenso per la costruzione che dall’Officina fosse proseguita degli apparecchi del quale Egli più specialmente si occupava nel passato, fatta eccezione si capisce per la riproduzione di apparecchi protetti da brevetti presi a nome di Esso Triulzi.»

Pertanto la Galileo, o chi ad essa sarebbe subentrata, poteva utilizzare i disegni dei periscopi per onorare gli ordinativi in essere, ma doveva negoziare una nuova convenzione col Triulzi per nuove ordinazioni. A seguito della difficile situazione economica, la S.A. Officina Galileo dell’Ing. G. Martinez & C. viene messa in liquidazione agli inizi del 1907 e a metà anno l’attività e il personale vengono trasferiti alla “Società Anonima Officine Galileo.

periscopio a doppia visione galileo

Direttore della Società [S.A. Officine Galileo] fu nominato il Prof. Pasqualini, “alter ego” del quale rimase l’Ing. Martinez. Presidente e amministratore della nuova società fu l’Ing. Giuseppe Orlando dei Cantieri Navali di Livorno, vice-presidente il Comm. Angelo Volpi conte di Misurata. Nel consiglio entrò anche … il Senatore Comm. Guglielmo Marconi.

Senza il Triulzi le Officine Galileo hanno sì la capacità di costruire e aggiornare i modelli da lui realizzati, ma mancano della mente per realizzarne di nuovi. Si era tentato nel marzo del 1907 di farlo tornare, ma la trattativa con l’Ing. Orlando non dà l’esito auspicato «e fu danno reciproco», «... la Società Anonima “Officine Galileo” mentre ha acquistato dalla liquidazione alcuni articoli dell’attivo ed ha intrapreso la continuazione per conto della liquidanda di alcuni lavori in corso di esecuzione, non ha assunto nessuno dei debiti della liquidanda stessa e quindi nemmeno quello che essa ha verso il suddetto Sig. Paolo Triulzi per i servizi prestati»

smg classe Galuco

 

Sommergibili Classe Clauco (1903) Fonte: USMM

Nel frattempo, il 16 luglio 1906 l’ing. Cesare Laurentiaveva lasciato la Regia Marina e assunto la carica di direttore generale dei “Cantieri del Muggiano” della FIAT San Giorgio di La Spezia. Qui progetta e costruisce sommergibili, diventandone ben presto un riconosciuto pioniere.

In quel periodo all’Arsenale di Venezia erano in costruzione i cinque sommergibili della Classe Glauco (1903), prima classe di sommergibili realizzata dopo lo sperimentale Delfino e progettata dall’allora maggiore del Genio Navale Cesare Laurenti.I dati di varo e consegna dei sommergibili alla Regia Marina sono indicati nella Tabella 1 a continuazione.

classe glauco

Sopmm classe glauco

 Sommergibili Classe Clauco (1903) Fonte: USMM

Nella relazione del Consiglio di Amministrazione che accompagna il primo bilancio d’esercizio della Officine Galileo (1907-1908) si legge: «Abbiamo temporaneamente sospeso la costruzione di apparecchi radio-telegrafici per ragioni di indole interna, ma abbiamo in compenso stipulato una convenzione colla Società Fiat S. Giorgio che ci riserva l’esclusivo diritto della riproduzione e vendita del Cleptoscopio Russo-Laurenti già da noi provveduto con ottima soddisfazione a varie Marine estere e alla R. Marina italiana.»”

Poiché alle “varie Marine estere” erano stati venduti soltanto periscopi del tipo Telops, la Officine Galileo ha soltanto cambiato il nome da Telopsa Pericleptoscopioe con tale nome ha venduto alla Regia Marina … il Telops a doppio sistema di visione! Correttamente Paolo Triulziscrive che «le Officine Galileo continuarono a costruire periscopi tipo Telops, avendo solo cambiato il nome degli inventori» e che «le varianti dei nuovi periscopi consistono in cambiamenti di dimensioni e di forme per soddisfare comodità̀ diverse e nuove esigenze d’impiego».

Tra queste varianti abbiamo il “doppio sistema di visione” – visione diretta e visione indiretta su vetro smerigliato – quest’ultima una prerogativa del Cleptoscopio. I disegni del Telops passarono alla Officina Galileo, alcuni per onorare gli ordini in essere ed altri, senza alcun diritto, nel periodo della liquidazione della vecchia società.

periscopio composito 197

Ma chi ha venduto i periscopi alla Regia Marina violando i diritti ed i brevetti del Triulzi?
L’ing. Orlando, Presidente della Officine Galileo, di fronte al quale Giulio Martinez, «troppo docile e facile a cedere», o più semplicemente perché alla fine «tutti tengono famiglia», non ha saputo difendere le ragioni del Triulzi, o lo stesso Martinez quando era ancora proprietario della Officina Galileo?

«Ma non solo non si ebbe un atto di doverosa resipiscenza verso di me, anzi, per esimersi da qualsiasi riconoscimento fu detto e scritto, qua e la, che in Germania era stato da molto tempo ideato uno strumentino ottico per uso dei medici, denominato cistoscopio, che aveva qualche analogia col periscopio. Si vede che in quel speciale strumentino i grandi costruttori ottici di quel paese non avevano riscontrate le proprietà̀ necessarie per condurli a una soluzione conveniente del problema ottico per la navigazione subacquea. Se in Germania, a quel tempo, si fossero prodotti dei periscopi, la ditta Friedrich Krupp non avrebbe commesso di tali strumenti alla antica Officina Galileo, per i sui cantieri navali di Kiel Garden».

Dalla documentazione del fondo CNR, il preciso ricercatore scrive, nella bozza di testo per la mostra di Chicago del 1933, che il Cleptoscopio è stato fornito solo per i primi due sommergibili della Regia Marina e pertanto, se escludiamo il Delfino, i primi due sono stati il Glauco e lo Squalo.

Il terzo sommergibile, il R. smg. Narvalo, è stato varato il 21 ottobre 1906 ed è stato consegnato alla Regia Marina solo il 16 maggio 1907: sette mesi dopo il varo contro i tre mesi delle unità precedenti e successive.

rsmg narvalo 1907

Perché?
Se l’anonimo estensore della mostra ha riportato correttamente, la spiegazione è una sola: hanno dovuto aspettare la consegna del nuovo tipo di periscopio! E sulla base delle date, il periscopio per il Narvalo è stato fornito dalla S.A. Officina Galileo dell’Ing. G. Martinez & C. e la fornitura è stata poi proseguita dalla “S.A. Officine Galileo” ad essa succeduta.

Il Triulzi inutilmente protesta con la Officine Galileo per la violazione dei suoi diritti. Scrive alle Marine di diverse nazioni, tra le quali la US Navy che aveva acquistato periscopi a visione binoculare, proclamandosi l’inventore e il solo detentore dei brevetti con cui i periscopi da loro acquistati sono stati costruiti. Inutilmente si rende disponibile alla fornitura di parti di ricambio, o a migliorarne le prestazioni, introducendo successivi brevetti, e/o cercando accordi con qualche industria interessata ai suoi brevetti e a quelli futuri.

E soltanto nel 1914 si piegherà̀ ad accettare un accordo con le Officine Galileo, un accordo definito “leonino” e in cui rinuncia a ogni diritto per i suoi brevetti relativi ai periscopi sino al momento detenuti.

«Ma la cessione di tali diritti deve considerarsi come una ingiusta imposizione e non come risultato di una libera contrattazione, per la posizione ben differente delle parti contraenti: la Società̀ delle Officine Galileo disponendo di larghi mezzi avrebbe potuto, qualora avessi ricorso ai Tribunali, prolungare indefinitivamente il litigio senza sentirne aggravio, mentre io sarei andato in- contro a sicuro esaurimento. Il caso mio rassomiglia a quello al quale fu costretta la Finlandia nel 1939, per salvare qualche cosa nell’ingiusta aggressione della Russia.
Così dovetti fare io!!!»

Gian Carlo Poddighe

Parte1

 

 

Parte2  

 

Parte3

 

 

FONTE: Logo Ocean4future

La battaglia di mezzo agosto, 11 agosto 1942 – parte I

Dal sito Ocean4future i dettagli delle famosa "Battaglia di mezzo Agosto"

STORIA MARINA UK ITALIANA MEZZO AGOSTO 640px HMS DIDO firing at night against Italian torpedo boats of Cape Bon Tunisia 13 August 1942. A11247

La battaglia di Mezzo Agosto, denominata dai britannici Operazione Pedestal, fu uno dei più violenti scontri aeronavali della seconda guerra mondiale nel Mediterraneo tra le Forze dell’Asse e un imponente convoglio britannico, originato dalla necessità per gli Alleati di rifornire l’isola di Malta che consideravano la sicurezza dell’isola un elemento fondamentale nel teatro Mediterraneo.

Nel 1942, l’isola di Malta, che resisteva eroicamente a tutti i tentativi delle forze dell’Asse di impadronirsene, era ai limiti della sua sopravvivenza. Dopo le gravi perdite subite durante la battaglia di mezzo giugno, con due convogli partiti simultaneamente da Alessandria d’Egitto (operazione Vigorous) e da Gibilterra (operazione Harpoon), gli inglesi erano costretti a rifornire Malta solo attraverso trasporti aerei o usando il posamine veloce HMS Welshman. Gli Alleati organizzarono un nuovo imponente convoglio di rifornimenti al comando dell’ammiraglio Harold Burrough, proveniente dall’Atlantico attraverso lo Stretto di Gibilterra. La Mediterranean Fleet, dislocata nelle sue basi di Porto Said e di Haifa, venne coinvolta al solo fine di allestire un convoglio civetta, destinato nei limiti del possibile a distogliere dal Mediterraneo centrale almeno una parte delle forze italo-tedesche, per poi tornare al sicuro nelle proprie basi.

convoglio inglese battaglia di mezzo agsoto

Formazione del convoglio e della scorta dalle ore 8:00 del 9 agosto alle 06:00 del 12 agosto – estratto dal saggio di Francesco Mattesini “Operation Pedestal: La battaglia di Mezzo Agosto“, 2014

In pratica era una replica, anche se su scala ancora maggiore, del convoglio allestito per la precedente operazione Harpoon, che aveva portato alla battaglia di mezzo giugno.

L’imponente forza navale anglo-statunitense salpò da Gibilterra il 10 agosto, dirigendosi a sud delle Baleari, in rotta verso Capo Bon per poi puntare immediatamente verso il Canale di Sicilia. Il convoglio britannico era composto da ben quattro portaerei, Victorious, Indomitable, Furious e Eagle, due navi da battaglia, Nelson e Rodney, sette incrociatori, fra cui i tre incrociatori pesanti Nigeria, Manchester e Kenia, trentadue cacciatorpediniere, otto sommergibili, tredici piroscafi (di cui due statunitensi), due petroliere e due rimorchiatori con una scorta di quattro corvette.

The malta convoy under air attack mezzo agosto

Battaglia di mezzo agosto – per gli Inglesi Operazione Pedestal, 11 agosto: una vista generale del convoglio sotto l’attacco aereo che mostra l’intenso sbarramento antiaereo messo in piedi dalle scorte. La corazzata Rodney è a sinistra ed il Manchester a destra.  Il 13 agosto, la Manchester venne silurata dai motosiluranti MS 16 e MS 22, rimanendo gravemente danneggiata. Successivamente la nave venne autoaffondata vista l’impossibilità di ripararla o di trainarla in porto – autore Roper F G (Lt), Royal Navy official photographer Operation Pedestal, August 1942 A11200.jpg – Wikimedia Commons

La Regia Marina italiana pianificò inizialmente l’attacco con l’impiego di due divisioni di incrociatori: la 3divisione (comprendente i regi incrociatori Bolzano, Gorizia e Trieste) e la 7a divisione (con gli incrociatori Eugenio di Savoia, Raimondo Montecuccoli ed Muzio Attendolo),  undici sommergibili e due U-boote, MAS e schnellboote tedeschi, con il concorso di ben 784 aerei (328 italiani e 456 tedeschi) provenienti dalle basi in Sardegna e in Sicilia.

Il piano dell’Asse prevedeva un attacco di superficie nei pressi di Pantelleria, ma la diversità di opinione di come condurre l’attacco, legata alla presenza di considerevoli forze aeree a Malta ed a bordo delle quattro portaerei a flotta, comportò il richiamo delle forze di superficie lasciando l’operazione ai sommergibili e alle unità minori motosiluranti e MAS. In realtà, i veri problemi erano la cronica mancanza di nafta e il problema della protezione aerea. Gli aerei da caccia italiani e tedeschi non erano sufficienti a contrastare contemporaneamente gli attacchi offensivi degli aerei alleati  e effettuare la scorta agli incrociatori. Il dilemma era quindi dare più peso alla marina o all’aviazione (soluzione sostenuta da parte tedesca). Mussolini alla fine si pronunciò a favore dell’arma aerea e l’operazione con gli incrociatori fu interrotta, lasciando alle forze minori e subacquee la responsabilità dell’attacco. Fu un errore che, come vedremo, fece perdere alla Squadra un’occasione unica esponendo poi le divisioni in rientro ad un attacco nei pressi delle Eolie in cui ne pagarono le conseguenze il Bolzano (CV Mario Mezzadra) e l’Attendolo (CV Mario Schiavuta).

sommergibile Uarshiek

Il regio sommergibile Uarshiek – Fonte La voce del marinaio da “Sommergibili italiani” di A.Turrini e O.Miozzi – U.S.M.M.Gaetano Arezzo della Targia – La voce del marinaio

La prima parte dell’azione iniziò alle 04:38 dell’11 agosto quando il RSmg Uarshiek attaccò la la Forza «Bellows» britannica, formata dalla portaerei HMS Furious e da otto cacciatorpediniere. Il sommergibile, comandato dal tenente di vascello Gaetano Arezzo Della Targia, lanciò due siluri di cui almeno uno andò a segno; sottoposto a violenta caccia  da parte delle navi inglesi di scorta, il comandante decise di riemergere per procedere poi all’autoaffondamento. Durante la fase di emersione avvenne un fatto increscioso. Secondo quanto riportato da Hugh Sebag-Montefiore nel suo libro “Il codice Enigma” (pagina 265) il comandante del caccia inglese HMS Petard, Lt Cdr M. Thornton, sparò personalmente con una mitragliatrice contro i marinai italiani che si stavano arrendendo. Il medico di bordo del caccia britannico in seguito riportò che «Tutto l’equipaggio tranne il comandante erano sicuri che l’equipaggio italiano non rappresentasse per noi più alcun pericolo».  Fu un atto criminoso e crudele che comportò lo sbarco del comandante.

Nel pomeriggio fu la volta del R.Smg Dagaburcomandato dal tenente di vascello Renato Pecori, avvistato e speronato dal cacciatorpediniere HMS Wolverineche nell’urto riportò gravi danni e dovette tornare a Gibilterra come la HMS Furious che, probabilmente colpita dai siluri di uno dei due sommergibili, dovette poi entrare in bacino. Nello stesso giorno, alle ore 13:15, il sommergibile tedesco U-73, comandato dal capitano di corvetta Helmut Rosenbaum, avvicinandosi al convoglio navigando sotto la scorta, si portò al tiro e colpì con quattro siluri la portaerei HMS Eagle, che affondò in otto minuti. 

MARINA UK HMS Eagle sinking 1942

HMS Eagle colpita a morte dal sommergibile tedesco U-73 (al comando del tenente di vascello Rosenbaum). I suoi aerei, già in volo, sono costretti ad atterrare sulla HMS Victorious che, per fare loro posto, è costretta a buttare in mare alcuni dei propri aerei – autore Lt. L.C. Priest, Royal Navy official photographer HMS Eagle sinking 1942.jpg – Wikimedia Commons

Il 12 agosto, il convoglio britannico fu attaccato da un centinaio di velivoli italiani e tedeschi, provenienti dalla Sardegna e dalla Sicilia, che danneggiarono le altre due portaerei, tra cui l’HMS Indomitable, fu colpito in maniera grave. Rimarchevole fu l’azione di due velivoli Re 2001 italiani che, somiglianti agli aerei Hurricane inglesi, si abbassarono sulla portaerei Victorious, mescolandosi agli arei inglesi che erano intenti all’atterraggio, e riuscirono a sganciare due bombe, una delle quali colpì il centro del ponte di volo. In pratica, i Britannici si trovarono senza le quattro portaerei e la scorta fu assegnata agli incrociatori.

Nell’azione un SM.79 del 132º Gruppo Autonomo Aerosiluranti affondò il cacciatorpediniere HMS Foresight e un Ju 87 “Picchiatello” (Stuka) del 102º Gruppo Bombardamento italiano, partito dalla Sicilia, danneggiò la corazzata HMS Rodney.

Cobalto nel 1942 Turrini Squali dellAdriatico via M Risolo e Naviearmatori 1024x491

Regio sommergibile Cobalto, foto Turrini

Si registrò però la perdita del RSmg. Cobalto, comandato dal tenente di vascello Raffaele Amicarelli. Dopo essere stato soggetto ad una dura caccia, il sommergibile emerse e ingaggiò un combattimento con il cannone finché fu speronato, alle 17:02 a nord di Biserta, dal caccia inglese HMS Ithuriel, che rimase danneggiato. Anche uno dei mercantili venne colpito e successivamente affondato. Per il convoglio, tuttavia, era solo l’inizio. Era previsto che le due corazzate della scorta “pesante”, e con loro la metà dei cacciatorpediniere di scorta, invertissero la rotta prima di avvicinarsi allo stretto passaggio del Banco Skerki, Canale di Sicilia. Tale rotta era pressoché obbligata per sfuggire agli sbarramenti di mine posati dalle forze navali italiane. Il resto della formazione, una volta addentrato in tale pericoloso passaggio, sarebbe finito nella trappola predisposta dalle forze subacquee italiane e dai MAS.

STORIA MARINA ITALIANA 640px Axum

Il sommergibile Axum nei cantieri di Monfalcone – foto M. Risolo – Rivista Marittima 1995

Il Regio Sommergibile Axum, comandato dal tenente di vascello Renato Ferrini, colpì contemporaneamente tre navi: l’incrociatore HMS Nigeria, costretto per i gravi danni a rientrare a Gibilterra appruato di tre metri; l’incrociatore HMS Cairo, la cui poppa era saltata in aria, fu evacuato e affondato, e la petroliera statunitense Ohio, che riuscì nonostante tutto a proseguire.

sommergibile alagi

Altri due mercantili vennero nel frattempo affondati da velivoli da attacco, mentre il Regio Sommergibile Alagi (comandante tenente di vascello Puccini) colpì a sua volta l’incrociatore leggero HMS Kenya alle 21:11.

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Dettaglio della falsa torre del sommergibile Bronzo in una foto dell’agosto 1942; con il binocolo al collo il C.te dell’unità T.V. Cesare Buldrini – credito foto 1° gruppo A.N.M.I. Milano via “Sommergibili in Guerra” di E. Bagnasco e A. Rastelli – Albertelli – 1994

Il Regio Sommergibile Bronzo, comandato dal tenente di vascello Buldrini, attaccò e affondò il mercantile Empire Hope (12.688 t.) e, forse poco dopo, il Clan Ferguson (affondamento in dubbio, attribuito anche al R.Smg. Alagi)

Fine  I parte – continua

Andrea Mucedola

in anteprima HMS DIDO risponde al fuoco per contrastare l’attacco delle torpediniere italiane nei pressi di Capo Bon, Tunisia, 13 agosto 1942 – autore Royal Navy official photographer, Russell J E (Lt) HMS DIDO firing at night against Italian torpedo boats of Cape Bon, Tunisia, 13 August 1942. A11247.jpg – Wikimedia Commons

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Riferimenti
Walter Ghetti, Storia della Marina Italiana nella Seconda guerra mondiale, vol. II, De Vecchi editore, 1968
Marco Antonio Bragadin, Il dramma della marina italiana, 1940-1945, Mondadori, 1968
Corrado Capone, Siamo Fieri di Voi, Istituto Grafico Editoriale Italiano 
Francesco Mattesini, Operation Pedestal: La battaglia di Mezzo Agosto, 2014

Alcune delle foto presenti in questo blog possono essere state prese dal web, citandone ove possibile gli autori e/o le fonti. Se qualcuno desiderasse specificarne l’autore o rimuoverle, può scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.e provvederemo immediatamente alla correzione dell’articolo

PARTE PRIMA

PARTE SECONDA

è composta da oltre 60 collaboratori che lavorano in smart working, selezionati tra esperti di settore di diverse discipline. Hanno il compito di  selezionare argomenti di particolare interesse, redigendo articoli basati su studi recenti. I contenuti degli stessi restano di responsabilità degli autori che sono ovviamente sempre citati. Eventuali quesiti possono essere inviati alla Redazione (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) che, quando possibile, provvederà ad inoltrarli agli Autori.

FONTE: OCEAN4FUTURE

 

 

La battaglia di mezzo agosto, 11 agosto 1942 – parte II

Dal sito Ocean4future la seconda parte dei dettagli delle famosa "Battaglia di mezzo Agosto"

Battaglia mezzo agosto ms 22

L’attacco dei mezzi veloci
Il peggio per il convoglio arrivò nel prosieguo della notte, quando a mezzanotte entrò nella zona assegnata alle motosiluranti e ai MAS, che attendevano i loro bersagli a motori spenti. Il convoglio apparve all’01:02 in un’ordine sparso, inutilmente scortati dalle navi minori inglesi che cercavano di raggrupparle. Le motosiluranti M16, comandata dal capitano di corvetta Giorgio Manuti (capo Squadriglia), e MS 22 (sottotenente di vascello Franco Mezzadra) scattarono nell’oscurità, lanciando i loro siluri mentre defilavano le navi nemiche a meno di 600 metri. I siluri colpirono la poppa del HMS Manchester mentre le due motosiluranti si allontanavano sotto il fuoco confuso del nemico.

Battaglia mezzo agosto nave

MS 16

 

Battaglia mezzo AGOSTO MAS

Sul retro della foto del MS 16 si legge 

I siluri colpirono la poppa del HMS Manchester mentre le due motosiluranti si allontanavano sotto il fuoco confuso del nemico. Alle 01:50 fu la volta della motosilurante MS 31 (sottotenente di vascello Calvani) che con un siluro lanciato da 700 metri di distanza colpì e affondò il piroscafo Glenorchy.

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Il MS 22, una delle due motosiluranti che attaccarono l’HMS Manchester

Non avendo più siluri, la motosilurante si lanciò contro un altro piroscafo, questa volta impiegando delle bombe antisommergibili. Alle 02:00, la motosilurante MS 26, comandata dal sottotenente di vascello Bencini, si lanciò fra le navi del convoglio, lanciando un un siluro da una distanza di circa 1.000 metri, che le costrinse a manovrare. Poi, adottando la stessa tecnica impiegata da Luigi Rizzo, si disimpegnò, lanciando le sue bombe antisommergibili di prora alle stesse.

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Il MAS 552, a destra, con i gemelli 553 e 554 della XX Squadriglia MAS (foto USMM, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net dal sito Con la pelle appesa a un chiodo)

Le operazioni continuarono fino alle cinque del mattino ed interessarono i seguenti MAS:
MAS 552 (sottotenente di vascello Perasso) affondò un piroscafo. Secondo Peter C. Smith, autore del libro Pedestal: The Malta Convoy of August 1942”, il MAS 552 ed il MAS 554 avrebbero attaccato contemporaneamente la motonave statunitense Almeria Lykes (7.773 tsl) ed uno dei due la avrebbe colpita. La versione più accettata dagli storici, tra cui Francesco Mattesini e Giorgio Giorgerini, è che il MAS 552 abbia anche attaccato il gruppo di testa del convoglio formato dai mercantili Wairangi e Santa Elisa.
MAS 553 (tenente di vascello Carlo Paulizza) colpì con due siluri il piroscafo Wairangi (12.400 tsl), forse già colpito dal MAS 552, affondandolo;

MAS 554 (sottotenente di vascello Marco Calcagno) affondò il piroscafo da 18.000 tonnellate Almeria Lykes;
MAS 557 (guardiamarina Battista Cafiero) colpì gravemente il piroscafo Santa Elisa, carico di benzina, che si trasformò in una torcia, costringendo l’equipaggio ad abbandonarlo sulle imbarcazioni di salvataggio;
MAS 564 (nocchiere 2 classe Safrate) colpì, senza affondarlo, il piroscafo Rochester CastleL’esplosione aprì un largo squarcio in corrispondenza della stiva ma le paratie ressero bene impedendo l’allagamento della sala macchine che continuò a funzionare, e permise alla nave di proseguire.
La nave, nuovamente colpita dalle motosiluranti tedesche S 30 e S 3, affonderà poi nel porto di Malta.

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Schema degli attacchi delle motosiluranti e dei MAS italiani nel canale di Sicilia il 13 agosto 1942, estratto dal saggio di Francesco Mattesini
Operation Pedestal: La battaglia di Mezzo Agosto, 2014

Ormai il convoglio si era ridotto a cinque piroscafi con sei caccia e due incrociatori (il Kenya danneggiato e il Charybdis che era stato inviato in supporto). Se le due Divisioni degli incrociatori italiane fossero restare in zone avrebbero potuto dare il colpo di grazia al convoglio.

La decisione da parte di SUPERMARINA del disimpegno causò indirettamente,  purtroppo il grave danneggiamento di due degli incrociatori della 3a Divisione, il Bolzano e l’Attendolo, silurati da un sommergibile inglese nei pressi delle Eolie. In particolare, il Bolzano, pur gravemente danneggiato ed a rischio di affondamento a causa di un grosso incendio di nafta fu portato in secca sulla spiaggia di Lisca Bianca, a Panarea dove, dopo un mese di duro lavoro, venne rimesso in condizioni di navigare e fu rimorchiato trasferito le riparazioni nella base di Napoli. L’inizio di un odissea per il caccia italiano che, spostato alla Spezia per le definitive riparazioni, dopo l’8 settembre 1943, il 2 giugno 1944 fu affondato da un mezzo d’assalto britannico “chariot” guidato dal Lt Malcolm R. Causer, trasportato, per ironia, dalla motosilurante italiana MS74

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L’istante in cui un siluro del sommergibile Axum colpì con un siluro la petroliera Ohio – estratto dal saggio 
Operation Pedestal: La battaglia di Mezzo Agosto di Francesco Mattesini

Il 17 agosto Churchill dichiarò che l’operazione PEDESTAL era stata un insuccesso (ammettendo quindi un successo dell’operazione di mezzo agosto), che avrebbe influito notevolmente sul futuro della guerra nel Mediterraneo. In realtà, col senno del poi, non fu proprio così: gli Inglesi riuscirono a far pervenire sufficiente carburante a Malta e si resero conto della necessità di rinforzare Malta, divenuta sempre più fondamentale per il controllo del Mediterraneo centrale.

OPERAZIONE PEDESTAL

Estratto dal saggio Operation Pedestal: La battaglia di Mezzo Agosto di Francesco Mattesini

Per ironia, l’operazione “Pedestal” si concluse nelle acque di Malta con l’arrivo della petroliera Ohio, miracolosamente scampata a ripetuti attacchi aerei al convoglio WS.21/S, la cui odissea meriterebbe un’articolo a parte per ricordare quei straordinari marinai. Il mattino del 15 marzo la malconcia nave rimorchiata in porto dai tre caccia di scorta, riuscì a raggiungere il porto della Valletta, e riuscì a scaricare le sue preziosissime 11.000 tonnellate di carburante avio prima di affondare spezzata in due.

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La Ohio entra faticosamente nel Gran Harbour della Valletta, trainata dai rimorchiatori, sfilando onorevolmente nel canale tra le vecchie fortificazione militari … ma il suo destino è ormai segnato. A lì a poco, dopo avere ultimato il suo compito, a causa delle innumerevoli falle si spezzerà in due ed affonderà nel porto – estratto da opera citata
Operation Pedestal: La battaglia di Mezzo Agosto di Francesco Mattesini

In sintesi, la battaglia di Mezzo Agosto, anche se sarebbe forse più corretto parlare di un insieme di scontri aeronavali, da un alto fu una splendida vittoria per le Forze dell’Asse. Da un punto di vista navale, sebbene il contributo dei sommergibili, delle motosiluranti e dei MAS fu importante, il successo sarebbe stato più completo con un migliore impiego degli incrociatori che avrebbero potuto sfruttare a pieno la situazione, togliendo a Malta anche quelle poche risorse che gli permisero in seguito di risollevarsi. Questo errore portò, come prima conseguenza, l’aggravarsi dei trasporti dei rifornimenti tra Italia e Libia che influirono sulla controffensiva di Rommel, ma questa è un’altra storia.

Come conclude Mattesini sul suo saggio, che invito a leggere per la sua completezza, “… se le forze dell’Asse ottennero un’indubbia e notevole vittoria tattica, in realtà dal punto di vista strategico, l’operazione “Pedestal” fu un indubbio successo britannico, poiché l’arrivo a Malta di 32.000 tonnellate di rifornimenti, tra carico bellico, viveri e combustibile permise all’isola di incrementare le scorte fino all’inverno del 1942. Ma soprattutto, l’isola poté tornare nuovamente a disporre della benzina avio necessaria per riprendere le micidiali azioni aeree offensive contro il traffico dell’Asse diretto in Libia, proprio nel momento in cui si decideva la battaglia di El Alamein. Le perdite inflitte in mare ai rifornimenti dell’Asse, contribuirono non poco al successo dell’offensiva terrestre dell’8a Armata del generale Bernard Law Montgomery, iniziata il 23 ottobre 1942 a El Alamein“.

Concludo con un ricordo ancora a coloro che combatterono in quei caldi giorni, eroi sconosciuti di quelle tragiche pagine della storia del mare.

Andrea Mucedola

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Riferimenti
Walter Ghetti, Storia della Marina Italiana nella Seconda guerra mondiale, vol. II, De Vecchi editore, 1968
Marco Antonio Bragadin, Il dramma della marina italiana, 1940-1945, Mondadori, 1968
Corrado Capone, Siamo Fieri di Voi, Istituto Grafico Editoriale Italiano 
Francesco Mattesini, Operation Pedestal: La battaglia di Mezzo Agosto, 2014

Alcune delle foto presenti in questo blog possono essere state prese dal web, citandone ove possibile gli autori e/o le fonti. Se qualcuno desiderasse specificarne l’autore o rimuoverle, può scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. e provvederemo immediatamente alla correzione dell’articolo

PARTE PRIMA

PARTE SECONDA

Ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.

 

La nascita del periscopio italiano – Parte I

Lo abbiamo visto nei vecchi film di guerra, il periscopio, un’apparecchiatura composta da un lungo tubo telescopico e delle ottiche, che viene ancor oggi utilizzata dal comandante del sommergibile per inquadrare otticamente le navi in superficie

delfino smg 1895

Uno strumento insostituibile per i battelli subacquei per poter osservare in immersione il traffico navale di superficie, la cui invenzione si ritrova nei libri di storia rivendicata da americani, francesi, inglesi e italiani. Ma chi fu il vero inventore? Per dare una risposta, come al solito, bisogna ritornare indietro nel tempo.

Paolo TriulziLa verità viene dal ritrovamento dell’archivio di Paolo Triulzi, un geniale e modesto inventore italiano, che ha permesso di assegnare la priorità di invenzione del periscopio, nonchè di scoprire le vicende concernenti l’invenzione del suoTelops di Triulzi e del Cleptoscopio di Russo e Laurenti”.  Paolo Triulzi dal 1880 al 1906, è un geniale impiegato e Direttore Tecnico della storica Officina Galileo di Firenze che collabora con alcuni ufficiali delle Forze Armate italiane nella progettazione e realizzazione di strumenti ottici per applicazioni militari, quali topografi, telemetri, gonio-stadiometri e telegrafi ottici. Come vedremo nei dettagli, nel 1901 Paolo Triulzi inventa il Telops, periscopio per battelli subacquei, un’apparecchiatura alta cinque metri e studiata inizialmente per il Delfino, il primo mezzo subacqueo della nostra Marina Militare.

delfino 1905

Sul Delfino venne imbarcato un periscopio diverso dal Telops, ma di fatto sviluppato secondo il suo principio di funzionamento. Dopo una violenta polemica tra la Officina Galileo e la Regia Marina, a seguito dell’adozione da parte della Marina del Cleptoscopio Russo-Laurenti, il primo Telops venne fornito, nel 1902, alla Regia Marina Svedese per il sommergibile Hajen. Fu un immediato successo, per la sua superiorità tecnica rispetto a quanto sino allora disponibile. 

Fatti che esaminerò in seguito nei dettagli, legati al presunto plagio dell’apparecchiatura da parte della Regia Marina, portarono Triulzi, nel 1906, a mettersi in proprio, aprendo a Firenze il Laboratorio Ottico Meccanico – P. Triulzi.Nel 1917 il laboratorio si trasferì a Roma, continuandone l’attività, che nel 1924 porterà alla creazione della Società Anonima OMI – Ottica Meccanica Italiana dei fratelli Umberto e Amedeo Nistri.

Tutto partì dal Delfino
Nel 1900, le notizie del piano francese per l’acquisto di battelli subacquei allarmano i vertici militari italiani ed il neoministro della Marina, Ammiraglio Giovanni Bettolo, ordina di rimettere in servizio il sommergibile Delfino, migliorarlo e riprenderne le prove. Il programma viene affidato all’ingegner Cesare Laurenti che, già giovane e promettente tenente del Genio Navale, si era occupato delle prove in mare del Delfino e ne aveva redatto le raccomandazioni. Come vedremo, per sviluppare il periscopio del Delfino, il Laurenti contattò la società di strumenti ottici di precisione Filotecnica di Milano.

La soluzione prescelta era basata su un cannocchiale prismatico terrestre, ricordato come periscopio Laurenti, strumento che aveva un angolo visivo di soli pochi gradi (2-3°) per cui il Delfino era praticamente cieco quando navigava in immersione. Inutile dire che il suo comandante, il Tenente di Vascello Giuseppe Boselli, ne era molto preoccupato.

Interessante la figura di Giuseppe Boselli. Nato a Bologna nel 1867, fu militare ma anche imprenditore di successo. Sua sorella, Clara Boselli, sposò Giovanni Agnelli il cofondatore della FIAT. Giuseppe Boselli, da ufficiale di marina, partecipò alla campagna d’Africa del 1890 e comandò il primo sommergibile italiano, il Delfino, nel 1901. Dopo un periodo di Capo Sezione al Ministero della Marina, dal 1904 al 1906, si congedò con il grado di Capitano di Corvetta della riserva e divenne Direttore Amministrativo della Fiat-Muggiano, creata nel 1905, a seguito della fusione della società con la San Giorgio di Sestri Ponente e, nel 1907, della FIAT-San Giorgio, ditta specializzata in sommergibili, fino a diventare Consigliere d’Amministrazione della FIAT dal 1921 al 1941. Una carriera decisamente di successo.

Fu così che nel febbraio del 1901, durante una visita all’Arsenale di La Spezia dell’Ingegner Giulio Martinez, proprietario dell’Officina Galileo di Firenze, il Comandante Boselli, apprese che la Galileo fabbricava strumenti ottici per applicazioni militari, e chiese informalmente di provare a risolvere il problema. Il Martinez affidò l’incarico a Paolo Triulzi, vicedirettore e direttore tecnico, valente ottico e meccanico che già collaborava con diversi ufficiali delle forze armate nella realizzazione delle loro invenzioni. Il Triulzi capì immediatamente le specifiche richieste e, grazie all’esperienza ventennale acquisita nella progettazione e realizzazione di telemetri e cannocchiali, valutando e provando diverse configurazioni ottiche,  realizzò un cannocchiale a grande campo e piccolo ingrandimento utilizzando due cannocchiali rovesciati.

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I due cannocchiali potevano essere distanziati, ottenendo un periscopio molto lungo con visione perfetta e tutti i caratteri della visione naturale monoculare. Per compensare l’inevitabile perdita di luminosità, dovuta all’assorbimento delle varie lenti e prismi, e al contempo migliorare la minore distinzione degli oggetti dovuta alla visione naturale, i due cannocchiali erano un pò diversi, in modo da ottenere un piccolo ingrandimento (1,2× circa).

Identificata la migliore configurazione, a fine febbraio del 1901 il Triulzi realizzò un dimostratore: “un lungo tubo di cartone che sporgeva dal tetto dell’Officina”,in cui aveva posto i due sistemi telescopici provvisti di oculari speciali a largo campo che aveva ideato da tempo per applicazioni astronomiche. Venne scritto che: «Si vedevano gli oggetti circostanti in grandezza naturale, senza deformazioni, per un settore di circa 60° con perfetta definizione e intensità luminosa. Per la notevole ampiezza del campo di visione si poteva far oscillare ampiamente il tubo ottico, come se si trovasse a bordo, senza perdere di vista un punto osservato verso il centro del panorama».

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Denominato Telops, l’invenzione venne però mantenuta segreta su richiesta della Regia Marina stessa. Il Comandante Boselli, invitato a vedere il prototipo, ne rimane entusiasta e si attivò per ordinarlo ma gli uffici del Ministero della Marina temporeggiarono. Di fatto il 28 luglio 1901 venne depositato a Roma un brevetto, a firma degli ufficiali del Genio Navale della Regia Marina Militare Gioacchino Russo e Cesare Laurenti, dal titolo: Apparecchio ottico denominato: Cleptoscopio, per la visione panoramica a largo campo fra posizioni a distanza dell’occhio e del punto di vista e fu diffusa la notizia che l’Italia disponeva di un avanzato strumento per la navigazione subacquea.

Ne nacque ovviamente una violenta polemica tra la Officina Galileo e la Regia Marina italiana, quest’ultima accusata di aver “carpito il segreto del Telops”, ma motivazioni commerciali (la Regia Marina era il maggiore cliente della Officina Galileo) fecero desistere la Ditta dal proseguire l’azione.

Solo anni dopo Russo, il vero inventore del Cleptoscopio, ammetterà che il Telops era stato inventato prima e che l’idea da loro adottata, idea che poi risultò diversa dalla configurazione del Telops, avvenne dopo che l’Ing. Laurenti aveva avuto modo di vedere il periscopio della Galileo ai primi di luglio. In quell’occasione Laurenti raccolse, parlando con i tecnici della Galileo, che ritenevano di parlare a un potenziale cliente e non a un concorrente, importanti informazioni costruttive. Paradossalmente, i tecnici e, forse, lo stesso Triulzi, pur non svelando il segreto del Telops, avevano permesso ai tecnici della Marina di trovare una configurazione alternativa che, pur essendo meno performante, risolveva temporaneamente le esigenze del Delfino”.

Deluso dalla situazione, il Triulzi, caduto ogni motivo di riservatezza, depositò due domande di brevetto il 3 settembre 1901:il primo per Canalizzatori di fasci di raggi luminosi, ossia raggruppamenti ottici aventi la proprietà̀ di permettere la visione a largo campo da punti lontani dall’occhio” e il secondo, sulla base di questa invenzione, di un Apparecchio per la visione indiretta in battelli sottomarini, denominato Telops”.

In fase di internazionalizzazione, i brevetti non vennero riconosciuti in Germania, mentre in Gran Bretagna venne riconosciuto il brevetto del Telops: Improvements on optical instruments to afford indirect vision especially suitable for an observer inside a submarine boat. Per le sue caratteristiche nettamente superiori a quelle dei periscopi disponibili sino ad allora, il Telops trovò immediato successo commerciale all’estero: il primo esemplare venne venduto nel 1902 alla Regia Marina Svedese per il sommergibile Hajen, poi altri furono venduti alla Danimarca, alla tedesca Krupp di Kiel Garden (Cantiere Germaniawerft) ed alla Marina Imperiale Russa.

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Il Delfino con il Cleptoscopio, 1904 ©USMM/Archivio Fotografico

Il Cleptoscopio venne invece installato sul Delfino nel 1902: era lungo sei metri ed il tubo aveva un diametro di 13 cm. Nel 1908 ne venne richiesta la sostituzione con un “periscopio con doppio sistema di visione” questa volta delle Officine Galileo, un modo di ripagare il torto fatto? In realtà venne rimosso solo nel 1910 e il nuovo periscopio fu installato nel 1911, dopo modifiche effettuate al Delfino nell’Arsenale di Venezia. Tra le modifiche quella della torretta per alloggiare il nuovo periscopio, lungo 5 m con tubo a cannocchiale da 15,4 cm di diametro alla base, ed elevabile a mezzo di una pompa a mano azionante un elevatore idraulico.

Una sfida tecnologica italiana
Appurata la priorità italiana dell’invenzione, che trovò subito molto interesse anche nelle Marine estere, andiamo ad esaminare le differenze sui due apparecchi, il Telops e il Cleptoscopio. 

Il Telops di Triulzi
Il Telops era un cannocchiale a grande campo e piccolo ingrandimento, ovvero un cannocchiale composto da “due cannocchiali astronomici contrapposti e con ingrandimento unitario”. Questa configurazione, denominata anche a “telescopi a catena”, è quella che è stata universalmente utilizzata successivamente in tutti i periscopi, e la pupilla di entrata è grande come quella di uscita, ovvero non è maggiore della pupilla dell’osservatore: solo qualche millimetro. Era possibile distanziare i due cannocchiali a piacere, poiché le lenti sono disposte in nodo che i fascetti abbiano un andamento parallelo, ottenendo periscopi di lunghezza anche elevata e di piccolo diametro, e con buona luminosità.

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A.M. Trivulzio – S. Triulzi 314 F IG . 18 Il Telops Brevetto n. 60.980
depositato il 03.09.1901© Archivio MNS&T

Il successo era legato all’elevata qualità̀ delle ottiche prodotte dalla Officina Galileo; ottiche costruite su “ricette” preparate dal Triulzi assai spesso a casa – e di cui si ignoravano del tutto i procedimenti per la preparazione – e sapientemente lavorate dagli operai da lui istruiti, che permisero la realizzazione di un periscopio lungo 5 metri e con un tubo di soli 10 cm. Il campo di vista superava i 60° e mostrava il panorama perfettamente a fuoco da 25 cm all’infinito. Era inoltre possibile trasformare il Telops in apparato di proiezione, permettendo di ottenere fotografie del campo osservato, una possibilità che costruttori stranieri hanno vantato come novità molti anni dopo! Nei brevetti del 1901 non solo è chiaramente descritta la configurazione ottica, ma ne sono indicate le configurazioni possibili, per soddisfare diversi scenari operativi, e le principali caratteristiche costruttive meccaniche/ambientali.

Il Cleptoscopio di Russo-Laurenti
Il principio di funzionamento del Cleptoscopio era quello delle macchine fotografiche dell’epoca: grazie a un obiettivo fotografico si raccoglieva l’immagine su un vetro smerigliato, immagine con un campo che poteva raggiungere 50-60°.  Invece di mettere il vetro smerigliato in alto, erano aggiunte delle lenti che allontanavano la formazione dell’immagine il più lontano possibile, dove vieniva messo il vetro smerigliato. L’aggiunta di lenti permetteva di raddrizzare l’immagine, e l’osservatore guardava l’immagine con la testa ricoperta da un panno nero, così come il fotografo quando metteva a punto la macchina fotografica. E, come il fotografo, si serviva di una lente per meglio distinguere le particolarità dell’immagine, così tra il vetro smerigliato e l’occhio dell’osservatore era interposta una grossa lente, e l’apparecchio si mostrava come un finestrino circolare coperto da un vetro lenticolare.

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Il Cleptoscopio di Russo – Laurenti – Brevetto n 60.639 depositato il
28.07.1901© Archivio Centrale di Stato di Roma – Autorizzazione
all’autore ACS Prot. 2179, Class. 43.10.00 del 30/04/2015

La visione era comoda, bioculare e poteva farsi da più di una persona contemporaneamente, purché si guardasse incappucciati e abbastanza di fronte all’apparecchio. Gli inconvenienti però non erano trascurabili. L’immagine veniva ingrandita e la sua chiarezza assorbita dal vetro smerigliato: si aveva un’idea di tutto il campo di vista, ma ne sfuggiva il dettaglio, elemento importante per un periscopio. Inoltre, appena cessava la piena luce del giorno, l’immagine diventava scura e già̀ nel crepuscolo o alla luce dell’alba lo strumento era del tutto inutile.

La produzione del Cleptoscopio fu affidata alla FIAT San Giorgio di La Spezia, società attiva nel settore della cantieristica navale e che aveva aperto anche un reparto per lo sviluppo e la produzione di strumentazione ottica militare. Sulla base di documentazione del CNR risulta che detto periscopio avrebbe equipaggiato soltanto i primi due sommergibili della Regia Marina.

L’impiego sui battelli statunitensi
Ci rechiamo ora oltre oceano, dove nel primo decennio del ‘900, si assistette ad una lunga contesa tra John Phillip Holland e Simon Lake, costruttori dei primi battelli. Lake si dedicò prioritariamente al mercato europeo ed è proprio in Europa che trovò la società di strumenti ottici che cercava per rendere pienamente operativi i propri mezzi. Lake descriverà l’“Officina Galileo di Firenze” così: «Questa azienda produce periscopi a visione binoculare. Il successo di qualsiasi periscopio dipende dalla qualità del materiale utilizzato per le lenti e prismi, e dalla precisione delle lavorazioni. Questa azienda, che è probabilmente la più antica casa di produzione ottica del mondo – ha detto di essere stata fondata dallo stesso Galileo – produce periscopi della più bella fattura. […]. Un volantino, disposto inferiormente, permette la facile rotazione dello strumento mantenendo una perfetta visione binoculare. È prevista l’introduzione di aria secca; ciò impedisce la formazione di condensa sulle lenti e i prismi all’ interno del tubo».

Il telescopio citato è il Telops, inventato da Paolo Triulzi nel 1901 e, come abbiamo anticipato, già fornito nel 1902 alla Reale Marina Svedese per il sommergibile Hajen.

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L’HMS Hajen con il Telops esposto al Naval Museum – Karlskrona, Svezia

Di fatto, nel 1908 Simon Lake riuscirà a rompere il monopolio della Holland, e dal 1909 al 1922 costruirà 32 battelli sommergibili per la US Navy. Nel 1910 la US Navy, insoddisfatta dei periscopi sino al momento provati, prepara una specifica tecnica e acquista, per valutarli, sei periscopi in Europa: tre dalla Officine Galileo e tre dalla tedesca Goerz, di Berlino; successivamente altri tre periscopi verranno acquistati dalla tedesca Carl Zeiss di Jena.

Inizialmente previsti per installazione sui sottomarini delle Classi D- ed E-, due dei tre periscopi Galileo sono del tipo a visione diretta monoculare e vengono installati come periscopi ausiliari sui sommergibili USS C-1 (ex Octopus varato nel 1906) e USS C-3 (ex Tarpon varato nel 1909).

USS C2 4 dicembre 1912 . il periscopio Galileo e queelo piu in alto . National Archives and record adnunstrartion

USS C-3 (ex Tarpon), 04.12.1912, il periscopio Galileo è quello più alto
fonte National Archives and Record Administration # 19-N-1346

Il terzo periscopio, installato sull’USS C-4 (ex Bonita varato nel 1909) è invece del tipo binoculare con doppio sistema di visione,ovvero con visione binoculare diretta o, spostando una levetta, indiretta su vetro smerigliato. Nel maggio del 1917, il Periscope Board della US Navy deciderà di adottare solo la visione diretta monoculare con ingrandimenti fissi: 1,2× (FOV 40°) e 4× (FOV 12°) dove FOV, field of vision, è il campo visivo in un dato momento. 

In sintesi, il ritrovamento dell’archivio di Paolo Triulzi permise una ricostruzione puntuale dell’intera vicenda e dell’uso improprio dei brevetti del Triulzi da parte della “S. A. Officine Galileo”, subentrata nelle attività̀ della “S. A. Officina Galileo dell’Ing. G. Martinez & C.” nel 1907.

Fine I parte – continua

Parte1

 

 

Parte2  

 

Parte3

 

 

Gian Carlo Poddighe

FONTE: Logo Ocean4future

 

 

 

La tradizione dell’orecchino nelle antiche marinerie

Approfondimento sull'argomento a cura di Paolo Giannetti su Ocean4future

Orecchini corto maltese

Leggendo vari testi e consultando il web, capita di imbattersi nelle più svariate teorie sul perché i marinai, nel passato, indossassero gli orecchini. Secondo le usanze della vecchia marineria, per qualsiasi pirata, l’orecchino, insieme alla benda e alla bandana, costituiva un ‘accessorio’ fondamentale perché si credeva portasse fortuna e lo proteggesse dall’annegamento oltre che … tener lontano lo scorbuto. L’uso dell’orecchino per i naviganti si diffuse in Inghilterra nella seconda metà del ‘500 quando, attraverso le rotte per l’Asia, i marinai europei conobbero pratiche come il ‘body piercing’ e l’agopuntura (con le relative mappe dei punti di pressione).

Attraverso questi contatti multi etnici questi viaggiatori, non sempre di grande cultura, assimilarono conoscenze di altri popoli, spesso senza comprenderne il valore. Fu così però che si diffusero nel vecchio continente nuove usanze ma anche superstizioni orientali ed africane.

L’orecchino (in oro) rappresentava il loro tesoro
Se fossero morti in navigazione e gettati in mare, i marinai avrebbero trovato la pace nell’aldilà solo se il loro corpo fosse poi seppellito a terra. L’orecchino rappresentava quindi la ricompensa per chi, trovato il loro cadavere restituito dal mare, si fosse poi occupato della loro sepoltura. Alcuni vi incidevano addirittura il nome della loro città natale (come si usa nelle piastrine dei militari) per far si che potessero essere sepolti in patria. Altri, per assicurarsi una degna sepoltura, portavano delle monete nella cintura.

Una delle tante superstizioni era non fischiare a bordo (in quanto ispiratrice di tempeste), avere un tatuaggio (chissà perché di buon augurio) o lanciare un paio di scarpe fuori bordo subito dopo il varo di una barca. Al di là della superstizione si pensava che il buco all’orecchio potesse migliorare la vista, fondamentale in mare per individuare scogli pericolosi e vascelli nemici. Una cosa curiosa se pensate che gli agopunturisti di oggi utilizzano i punti di pressione sui lobi delle orecchie proprio per la cura dei problemi di vista. Una conoscenza forse appresa nei lunghi viaggi oltreoceano?

Lupi di mare
Secondo alcune versioni, i marinai portavano un solo orecchino d’oro, mentre secondo altre, ne portavano più di uno in ricordo di navigazioni importanti, come l’attraversamento dell’Equatore o il doppiaggio di Capo Horn. In quest’ultimo caso, se il passaggio era avvenuto da Ovest verso Est, si forava l’orecchio sinistro (quello rivolto verso il Capo), mentre il destro si forava per il passaggio da Est verso Ovest (assai più arduo contro venti e correnti predominanti).

sailing ship scaled

La nave Garthsneid al largo di Capo Horn durante una tempesta, 1919 – Fonte VPL Numero di accesso VPL: 3194 – Autore Frank Leonard Home | Vancouver Public Library (vpl.ca)(125) Pinterest

Il massimo numero di orecchini era quattro, due per lobo, e venivano indossati dopo aver doppiato ciascuno dei seguenti quattro Capi geografici: 

– Capo Horn (Sud America)
– Capo di Buona Speranza (Sud Africa)
– Capo Finisterre (Spagna del nord)
– Capo Leuween (Australia). 

In altre parole, più orecchini venivano sfoggiati più si dimostrava di essere un “Lupo di Mare”, così da incutere timore ed ottenere rispetto dai subalterni … oltre che per darsi un’aria furbesca.

The Guardian frigate commanded by Lieutenant Riou Carington Bowles 1790 Walpole

The Guardian frigate, comandata dal Lieutenant Riou, Carington Bowles, 1790, Walpole

Si legge, inoltre, che “i marinai omosessuali dichiaravano la loro disponibilità a rapporti al resto dell’equipaggio con l’orecchino indossato sul lobo destro“. Ma su questo ci sono molti dubbi.

Sulla presunta omosessualità dei marinai si è spesso ricamato. In un articolo pubblicato su British Tars, l’autore Kyle Dalton sostiene che, almeno in ambito anglosassone, si tratti dell’ennesima fake news, ovvero le notizie riportate sui testi dell’epoca non accalorano la tesi di una vasta omosessualità tra i marinai. A tal riguardo, Rodger sostenne nel suo libro The Wooden World: An Anatomy of the Georgian Navy che gli atti di omosessualità non erano così comuni nella metà del XVIII secolo come molti presumono, sottolineando che “Sembra che ci siano stati solo undici tribunali marziale per la sodomia durante la guerra [Sette anni’], di cui quattro hanno portato ad assoluzioni, e sette condanne con minore accusa di indecenza o ‘impurità”. Questa non sembra una cifra straordinariamente grande per una popolazione marittima che contava all’epoca dai settanta agli ottantamila marinai. Va specificato che il termine “omosessuale” andrebbe riferito alle inclinazioni e agli atti, piuttosto che definire i marinai stessi. Secondo dicerie nate intorno alla Royal Navy la mancanza di accesso alle donne diede origine all’omosessualità, in quanto nel XVIII secolo la vita a bordo, esclusivamente maschile, poteva far pensare di volersi accontentare in tal senso. In realtà anche il minimo sospetto era punito severamente, anche con la morte.  Gli articoli del codice di guerra della Royal Navy del 1749 erano molto chiari in materia e non davano spazio al clemenza: “Pena per chi commette Sodomia. XXIX. Se una persona della Flotta commette l’innaturale e detestabile Peccato di Sodomia (Buggery) con l’Uomo o la Bestia, sarà punito con la Morte con la sentenza di una Corte marziale. “.   

codice in mare punizioni royal navy

In un famoso romanzo erotico del XVIII secolo, Fanny Hill di John ClelandMemorie di una donna di piacereviene descritta un scena esplicita tra l’allegra prostituta Fanny ed un marinaio. Fanny accetta l’offerta del marinaio di unirsi in una taverna, e lì fanno l’atto “con un impetuosismo e desiderio, allevati molto probabilmente da un lungo digiuno in mare“. Cleland (non dimentichiamo che si trattava di un libretto erotico) descrive i vari convenevoli, sottolineandoli con colorite metafore navali. Ad un certo punto, Fanny racconta: “È caduto direttamente a bordo di me” e quando “non stava andando alla porta giusta, e bussando disperatamente a quella sbagliata, gli ho detto di esso: “Pooh!“, e lui rispose ‘mia cara, qualsiasi porto in una tempesta‘”. Il racconto è satirico ed attinge all’impressione popolare che i marinai, nei lunghi viaggi fossero dediti all’omosessualità. In realtà non ci sono prove che essa fosse praticata a bordo più che a terra. E l’orecchino del marinaio indossato con orgoglio dai marinai, era soltanto un vanto per aver solcato tanti mari. Nota della redazione

Qualunque sia la verità, gli orecchini dei marinai erano sempre a forma di anello per testimoniare, infine, il loro sposalizio con il mare!

Cieli sereni

Paolo Giannetti

Alcune delle foto presenti in questo blog possono essere state prese dal web, citandone ove possibile gli autori e/o le fonti. Se qualcuno desiderasse specificarne l’autore o rimuoverle, può scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. e provvederemo immediatamente alla correzione dell’articolo

Entrato in Accademia nel 1977, ha prestato servizio e comandato numerose unità navali, specializzandosi nel tempo in Idrografia (Idrographic Surveyor di categoria “A” ) e Oceanografia con un Master presso la Naval Postgraduate School di Monterey, California. Appassionato divulgatore ha creato Capitan Bitta, detto il “Gianbibbiena, un personaggio immaginario che racconta con brevi scritti curiosità di nautica, meteorologia e astronomia

 

FONTE: OCEAN4FUTURE

Telops vs Cleptoscopio: la disputa con la Regia Marina – il periscopio Parte II

L’interesse per la vicenda dell’invenzione del periscopio Telops Triulzi e del Cleptoscopio Russo-Laurenti richiede qualche maggior chiarimento: la cronaca della contesa è descritta dettagliatamente nel saggio L’invenzione del periscopio per sommergibili di Augusto Maria Trivulzio e Sabina Triulzi.

Sommergibile DELFINO Nelle acque del golfo della Spezia Nel 1892 opera delling.Giacinto Pullino

Dal saggio, che riporta diverse fonti scritte, quali gli scritti di Giulio Martinez, emergono dati inconfutabili, poi utilizzati da diversi storici, per rivendicare la priorità italiana nello sviluppo dei periscopi per le unità subacquee. Come ho accennato nella prima parte dell’articolo, il ritrovamento dell’archivio di Paolo Triulzi ha permesso, per la prima volta, una ricostruzione dettagliata degli avvenimenti e dei successivi accadimenti che hanno travagliato la vita del Triulzi a seguito della sua invenzione, e si scopre che il Triulzi fu “scippato” della sua invenzione due volte!

delfino

Il regio sommergibile Delfino 

Il primo scippo
Nel 1900, per navigare sottacqua, fu applicato al Delfino un comune cannocchiale terrestre, disposto verticalmente a guisa di alberetto, munito in alto e in basso di superfici riflettenti inclinate a 45 gradi in modo da far percorrere ai raggi luminosi una specie di Z. Sistemi analoghi erano stati in tutti i tempi usati per la visione su terraferma dagli osservatori, ad esempio nelle trincee, ma per l’esiguo campo di visione (di pochissimi gradi) non erano affatto adatti alla navigazione subacquea, per la quale era necessario avere un ampio campo di visione  sullo specchio d’acqua per trovare rapidamente quanto di interesse e, soprattutto, non perderlo di vista a causa di una lieve oscillazione della nave.

Come abbiamo accennato nella prima parte, la storia dell’invenzione italiana del periscopio inizia nel febbraio del 1901 quando l’Officina Galileo di Firenze viene informalmente invitata dal comandante del Delfino, il Tenente di Vascello Giuseppe Boselli, ad occuparsi di risolvere il problema.

dimostratore galileo tetto periscopio

Dimostratore del Telops, Marzo 1901 Nella foto in alto si leggono i nomi
delle persone ritratte: Palini, Toschi, Ambrosini, Ceccherini e Donini (dietro)
e la nota “1901 Vecchia Galileo di Viale Regina Vittoria – Foto in basso:
a sinistra immagine visione monoculare diretta e a destra visione binoculare
Immagini tratte dal sito http://www.periscopiotriulzi.altervista.org

Il Triulzi si mette all’opera, valuta diverse architetture ottiche e, alla fine di febbraio, costruisce un dimostratore: «un lungo tubo di cartone che da un locale dell’ultimo piano del fabbricato sporgeva dal tetto dell’Officina» in cui aveva disposto due cannocchiali a campo largo contrapposti, cannocchiali che aveva già progettato per osservazioni astronomiche. Stando al coperto si potevano vedere oggetti circostanti in grandezza naturale, senza deformazioni, per un settore di circa 60° con perfetta definizione e intensità luminosa. Per la notevole ampiezza del campo di visione si poteva far oscillare ampiamente il tubo ottico, come se ci si trovasse a bordo, senza perdere di vista un punto osservato verso il centro del panorama. Non conoscendo in dettaglio i requisiti operativi richiesti dalla Regia Marina, il Triulzi, come descrive di seguito, prosegue nelle prove:

«Seguitando nelle prove per indagare tutte le possibilità̀ della soluzione trovata, ottenni di poter esplorare contemporaneamente, con due osservatori, due campi opposti al vertice di 60° ognuno; e pur anche l’intero orizzonte provvedendo le estremità̀ del tubo ottico di sistemi obbiettivi e di altrettanti oculari in basso. Ho anche ottenuto di poter osservare uno stesso settore di 60 gradi con ambedue gli occhi per sommare le impressioni luminose evitando in tal modo anche l’affaticamento della visione monoculare. In tutte le varie disposizioni sperimentate vi era sempre la possibilità̀ di osservare le immagini per proiezione e di ritrarne fotografie».

Com.te Giuseppe BoselliDi questa attività vi è conferma in una serie di fotografie ritrovate nell’archivio di Paolo Triulzi.  Con lettera riservatissima, nel marzo del 1901 l’ingegner Giulio Martinez informa il Comandante Giuseppe Boselli del ritrovato. Pochi giorni dopo il Boselli si rende conto personalmente di quanto affermato e,  poiché il periscopio corrisponde ai suoi desiderata, si impegna per attivare l’ordinazione della apparecchiatura il più presto possibile. Si legge, del ritrovato «il Boselli restò entusiasta e senza conoscerne la composizione ne fece una sommaria esposizione alla Spezia agli ingegneri del Genio Navale che costruivano il sommergibile, e il 2 aprile 1901 la Direzione del 1° Dipartimento delle Costruzioni Navali di La Spezia chiede formalmente alla Officina Galileo la disponibilità a fornire un “apparato ottico per il Delfino”, specificando per condizioni i requisiti constatati dal Comandante Boselli nell’esemplare di prova mostratogli a Firenze.

Nella stessa lettera “si richiede alla Galileo di mantenere segreta l’invenzione e di non procedere, per il momento, alla richiesta di brevetto.»

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Disegno di dettagli del R.Smg. Delfino 

Paolo Triulzi si reca a La Spezia per vedere come installare il suo periscopio sul Delfino e ne fa un progeto che, su istruzione del Dipartimento di La Spezia con data 20 aprile, viene portato direttamente dal Martinez al Ministero della Marina e illustrato all’ing. Laurenti, quale incaricato delle costruzioni sottomarine. Il Laurenti “parve ben disposto verso la Galileo” ma il tempo passò senza nessun riscontro.

A questo punto, la Galileo prese come agente, per il buon fine dell’operazione, la ditta LoMBaFer di Lombardi & Ferrari di Firenze, fornitrice di carbone, che «vantava grandi relazioni ministeriali e si dicevano intimi del Ministro Zanardelli». Sarà per le pressioni del Boselli e/o l’azione dei rappresentanti della Galileo, che il 18 maggio 1901 il Laurenti scrive al Martinez, scusandosi del ritardo, ma poi ancora silenzio sino al 12 luglio, quando il Laurenti chiede di poter vedere il periscopio.

«Così dopo 5 giorni dalla richiesta, l’Ing. Laurenti poté guardare attraverso quello strumento – stando coperto dal tetto dell’officina – il panorama all’intorno dello stabilimento come se l’osservasse all’estremità superiore del Periscopio».

la trinuna 21 agosto periscopioNonostante l’urgenza di risolvere il problema del Delfino, ancora silenzio … sino a domenica 25 agosto 1901 quando comparve sul giornale “La Tribuna” la notizia in prima pagina di una nuova invenzione italiana: “Il cleptoscopio pei battelli sottomarini”, realizzata dagli ingegneri navali Gioacchino Russo e Cesare Laurenti,ed in cui si cita anche il Telops. La notizia sembrò cogliere di sorpresa l’Officina Galileo di Firenze che, ovviamente,  reagì immediatamente con un duro comunicato del Lombardi e del Ferrari, in cui si rivendica la priorità del Telops, di cui la Regia Marina e gli ufficiali erano a conoscenza dal mese di marzo, e in cui si accusa gli inventori di averne carpito il segreto e si chiede una indagine. Nel comunicato però viene citato il brevetto del Cleptoscopio depositato a Roma in data 28 luglio, informazione di cui nell’articolo non vi è traccia. A questo punto sorge un dubbio. Come faceva l’Officina Galileo a conoscerne l’esistenza se “era ancora mantenuto segreto dall’Ufficio delle Privative Industriali”?

La controreplica Russo-Laurentifu altrettanto immediata e venne pubblicata il 29 agosto 1901. L’ingegner Martinez stese allora tutta la storia della vicenda dell’invenzione del Telops per farla pubblicare sul Giornale d’Italia: ma il giornale si rifiutò di pubblicarla, “forse perché la ritenne troppo vivace.”

Decaduto ogni motivo di riservatezza, il 3 settembre 1901, Paolo Triulzidepositò in Firenze i brevetti e, il giorno successivo, a Roma, venne depositato un brevetto suppletivo per il Cleptoscopio.

Estratti tribuna telops

 La situazione, quanto meno imbarazzante, minacciava di degenerare in uno scandalo, e il 6 settembre 1901 “alle ore otto, senza nessun preavviso, e senza nessun accompagnatore” il Ministro della Reale Marina, S.E. l’Ammiraglio Enrico Costantino Morin, si fece trovare sull’uscio della Officina Galileo per rendersi conto della controversia e provvedere. Questo per sottolineare la gravità del fatto.

ammiraglio Morin Enrico

Enrico Costantino Morin Enrico Costantino Morin nacque a Genova nel 1841 e
come molti altri residenti nella città all’epoca, intraprese sin da giovane la
carriera militare nella marina sabauda, diplomandosi alla scuola di marina di
Genova il 7 novembre 1852. Si distinse, come tenente di vascello, nella
campagna del 1860-61 e quindi, come comandante della Garibaldi, in un
giro del mondo (1879-82); vasta eco ebbe la sua coraggiosa decisione,
sulla via del ritorno, di attraversare il Canale di Suez sebbene fosse stato
bloccato con mine per la rivolta di ‘Orabī Pascià. Dopo una lunga ed attiva
carriera, il 24 ottobre 1893 venne nominato Viceammiraglio e rimase in
servizio attivo sino al 30 aprile 1906. Per le sue competenze venne nominato
Ministro della Marina Italiana rimanendo in carica in due gabinetti Crispi
(1893-94 e 1894-96) e nei gabinetti Saracco (1900-01) e Zanardelli
(1901-03), e divenendo poi, per pochi mesi, Ministro degli Esteri nel 1903.
A lui è intitolata la bella passeggiata a mare di La Spezia.

Il 17 settembre la Galileo fece quindi notificare una diffida a Russo, a Laurenti ed al Ministro perché ritirassero il brevetto e non si servissero del Cleptoscopio. La risposta venne recapitata nella notte tra il 19 e il 20 settembre 1901.Così il Martinez relazionò a Triulzi:

«Officina Galileo Firenze
Firenze, li 20 Settembre 1901 ore 7 am

Gent.mo Sig. Triulzi
Ebbi la sua lunghissima – Non ho tempo ora di parlare dei telemetri – Le dirò̀ in poche parole del Telops. Fu notificata Martedì̀ [17 settembre 1901] una diffida tanto a L. [Laurenti] che a R. [Russo] e al Ministro perché́ ritirino entro 10 giorni il brevetto e non si servano del Cleptoscopio.

Contemporaneamente mio padre scriveva all’Ammiraglio Accinni offrendosi quale mediatore nella questione che si accendeva, dicendo che anche noi Officina eravamo d’opinione di non far scandali: nella lettera dava di ladri a quei signori. Stanotte [19-20 Settembre 1901] è arrivata risposta – La citazione ha impressionato: malgrado la stessa son disposti a trattare: quindi non si sentono sicuri di affrontare una causa! Ma preferiscono trattare con lui o con uno dell’Officina – È tempo di metter fuori Lombafer [Lombardi e Ferrari] e trattare: ma chi andrà̀ a Roma?

Io son troppo dolce e facile a cedere: Lei troppo muto e non pratico di S. Agostino: Papà troppo loquace e troppo violento (vorrebbe tra le condizioni un comunicato ufficioso del Ministero in nostro favore). Forse converrebbe mettere insieme due energie: forse se non fosse la posizione ambigua di Pasq. [Pasqualini] potrebbe trattar lui che devesi recare a Roma per far parte della commissione per i nuovi elettricisti!

Che ne pensa? Sono in giuoco anche i suoi interessi. La chiusa della sua lettera mi lascia credere che a venire ad un accordo Ella è certo favorevole: ma questo accordo io credo non si potrà̀ fare che salvando l’onore di L. R [Laurenti e Russo] se non il loro amor proprio. Mi scriva d’urgenza che cosa ne pensa: quali secondo Lei sarebbero le condizioni – Non sono le condizioni che può dettare un vincitore, ma quelle che può dettare chi ha preso un sopravvento ad un nemico forte che si vuol ritirare con l’onore delle armi.Poi avuta la sua risposta – sentito – che finora mancato il tempo – il parere degli altri decideremo e spero che non mancherà̀ la sua approvazione –

Mi creda
Firmato: G. Martinez»

La faccenda ormai diventò una questione legale e ne andava dell’onore della Regia Marina italiana. Un vero pasticciaccio: non sappiamo chi abbia trattato, forse il Prof. Luigi Pasqualini, ma sicuramente in quella occasione furono esaminati i due brevetti. E la risposta del Ministero fu che «le accuse dell’Officina Galileo non erano giustificate e la R. Marina riteneva suo diritto preferire il Cleptoscopio al Telops».

Soltanto anni dopo Russo, il vero inventore del Cleptoscopio, ammetterà̀ che fu inventato dopo che il Laurenti aveva visto il Telops sperimentale e aveva riportato che “doveva trattarsi di una macchina fotografica con il vetro smerigliato portato in basso, molto lontano dall’obiettivo”.

Dalla ricostruzione storica emerge quindi che il Telops, anche se brevettato solo il 3 settembre 1901, fu inventato nel marzo del 1901 e che il comportamento del Laurenti non fu certamente corretto, antecedendo interessi personali, impedendo alla Regia Marina di dotarsi di uno strumento più̀ confacente alle sue esigenze operative ed impedendo al Triulzi ed all’Officina Galileo di installare il primo Telops già̀ alla fine del 1901.

Fine II parte – continua

Gian Carlo Poddighe

Immagine in anteprima: Sommergibile DELFINO nelle acque del golfo della Spezia circa 1892. Notare il cleptoscopio” sporgente dalla torretta.

Parte1

 

 

Parte2  

 

Parte3

 

 

(*) SINTESI DEL SAGGIO:

L’invenzione del periscopio per sommergibilidi Augusto Maria Trivulzio, Sabina Triulzi a cui si rimanda per completezza di informazione, analisi della documentazione tecnica e fondamentale conoscenza di un importante capitolo di storia dell’industria italiana. da: Atti della Fondazione Giorgio Ronchi Anno LXX, n. 3 – Maggio-Giugno 2015 –  pagg. 279-342 su FONDAZIONE GIORGIO RONCHI http://ronchi.isti.cnr.it

FONTE: Logo Ocean4future

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