Marò, lo sfogo di Latorre: “Ancora una volta umiliato come uomo e militare”

Le dichiarazioni alla vigilia dell’udienza davanti alla Corte suprema indiana di oggi. Alla base del disappunto alcuni vincoli come la firma in caserma.

Ansa Maro

I fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone a New Delhi in una foto del febbraio del 2014

Alla base del disappunto di Latorre, alcuni vincoli sempre più difficili da sopportare. Come la firma, oggi, in caserma. «Essendo un militare e avendo dato la mia parola, nuovamente eseguirò gli ordini, ma mi chiedo: per quanto altro tempo bisognerà sopportare queste gratuite ingiustizie?».

Ma per il governo la situazione è in via di definizione e si tratta di «passi necessari» chiesti dal tribunale arbitrale. Lo stesso che, lo scorso 2 luglio, aveva appunto accolto la tesi dell'Italia, stabilendo che Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, per l’incidente del febbraio 2012 in cui morirono due pescatori indiani, devono essere processati in patria. Il tribunale internazionale dell'Aja ha ricordato che i due marò erano funzionari dello Stato italiano, impegnati nell'esercizio delle loro funzioni, e pertanto immuni dalla giustizia straniera. Ma non è ancora finita. Come dimostra l’obbligo di queste ore, per Latorre, di recarsi ancora una volta dai carabinieri, come lui stesso spiega, «per apporre la firma sul registro e lo stesso sarà inviato alle autorità indiane, attestando di fatto di essere ancora sotto la loro giurisdizione. Nonostante la Corte ha sancito l’illegittimità delle pretese dell’India e delle misure da essa adottate ordinandone decadenza immediata, restano di fatto in vigore questa e tutte le altre restrizioni».

Tutto scritto sul suo profilo Facebook, a cui ha affidato un commento su questa vicenda giudiziaria lunghissima. Fa sapere di essersi «rivolto alla parte politica per chiedere indicazioni sulla linea da tenere e stanco del silenzio e delle assenze, da parte di chi ha divulgato questa sentenza come una vittoria assoluta». Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, lo scorso 2 luglio, aveva parlato di «un punto definitivo alla lunga agonia», ricordando gli anni di lunghe battaglie, il lavoro nelle sedi giudiziarie e l’impegno diplomatico.

Ma a mettere forse un punto fermo potrebbe essere determinante l’udienza di oggi di India e Italia, in corso in queste ore e già fissata da tempo davanti alla Corte Suprema indiana per dare esecuzione della sentenza del Tribunale arbitrale «obbligatoria e vincolante per entrambe le parti». Il ministero dell Difesa fa sapere che si procederà quindi «alla rimozione dei precedenti vincoli imposti alla libertà dei fucilieri dalla Corte Suprema». L’udienza per il governo costituisce «il passo necessario richiesto dal Tribunale arbitrale per la cessazione definitiva della giurisdizione penale su Massimilano Latorre e Salvatore Girone. Ciò sulla base della evidente considerazione per cui sono in concreto le Corti indiane a dover cessare l’esercizio della giurisdizione penale, e non i governi».

A quel punto, sarà l’Italia a riavviare il procedimento penale, all’epoca dei fatti aperto dalla Procura di Roma. Era il 15 febbraio del 2012: Latorre e Girone erano in servizio a bordo del mercantile Enrica Lexie. Per loro l’accusa di aver ucciso due pescatori, forse scambiati per pirati, al largo della costa del Kerala. Ma loro si sono sempre proclamati innocenti. Un periodo di carcere, poi la libertà su cauzione, qualche permesso di pochi giorni per riabbracciare i loro cari in Italia sino a quell’ictus che, nel 2014, fa ottenere a Latorre il rientro in Italia da parte delle autorità indiane. Il rimpatrio per Girone arriverà soltanto due anni dopo e per ragioni umanitarie.

FONTE: Logo Lastampa solo

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