Grazie a Roby Adolfo Bellotti, amministratore del gruppo "Regia Marina,Marina Militare Italiana e Marine Mondiali - Immagini & Video" su Facebook per la storia del comandante Todaro

Alle 23.15, circa 700 miglia a nordovest di Madera e 800 miglia ad ovest di Casablanca, il Cappellini avvista una sagoma che il buio impedisce di identificare con certezza. Il sommergibile dirige per l’attacco ad elevata velocità, riuscendo presto ad identificare il bersaglio come un piroscafo che mostra i settori poppieri (beta 150° circa): si tratta infatti del piroscafo belga Kabalo, di 5186 tsl, unità dispersa del convoglio OB. 223. Carico di aerei e pezzi di ricambio per aerei, è in navigazione da Glasgow a Freetown. Scesa la distanza a circa due chilometri, il Kabalo si accorge di essere inseguito, e volge la poppa al Cappellini, aumentando al contempo la velocità. Quando la distanza si è ridotta a 1500 metri, il piroscafo apre il fuoco col cannone poppiero (un pezzo da 102 mm); il suo tiro risulta molto lungo. Il Cappellini riduce ulteriormente le distanze, mantenendo la prua sul Kabalo, in modo da offrire un bersaglio il più ristretto possibile; giunto a 1000 metri, Todaro accosta in fuori ed ordina di aprire il fuoco.
La terza salva dei cannoni del Cappellini colpisce il Kabalo a poppa, scatenando subito un incendio nella stiva di poppa: il cannone del piroscafo, che si trova nelle vicinanze, deve interrompere il fuoco. Intanto, molte altre cannonate sparate dal sommergibile colpiscono il Kabalo in plancia ed in corrispondenza della linea di galleggiamento: il piroscafo rimane immobilizzato, e sbanda sulla sinistra. Serrate ancora le distanze fino a 500 metri, il Cappellini si porta su beta 90° e lancia un siluro contro il piroscafo immobilizzato, per affondarlo rapidamente e così evitare che possa cercare di riprendere il tiro: il siluro, però, passa sotto lo scafo del Kabalo, senza esplodere. Todaro fa allora lanciare un secondo siluro, da 533 mm, e poi un terzo da 450 mm, ma fanno entrambi la stessa fine del primo: se ne vedono distintamente le scie, ma non si verificano esplosioni; Todaro attribuisce tale fenomeno a forti irregolarità della traiettoria verticale, causate dal mare agitato (forza 4-5).
Per non sprecare altri siluri, Todaro decide di finire il Kabalo a cannonate: il Cappellini riprende perciò il tiro, finché alle quattro del mattino del 16 ottobre il Kabalo affonda in posizione 31°59’ N e 31°20’ O (o 32°20’ N e 31°14’ O; a 720 miglia per 268° dal faro di Punta Pardo, sull’isola di Madera). Tra l’equipaggio del piroscafo vi è una vittima, il marinaio congolese Pierre Essende.
Affondata la nave, il comandante Todaro decide di prestare soccorso ai naufraghi: dapprima il Cappellini, sentito un fischietto, setaccia con un proiettore la superficie del mare ed avvista cinque uomini che hanno abbandonato la nave all’ultimo momento, su un canotto che si è poi capovolto, facendoli finire in mare; i cinque (tra cui il terzo ufficiale del Kabalo, Reclercq) vengono issati a bordo, e Todaro si toglie il maglione per darlo a Reclercq, tremante per il freddo. Poi, il Cappellini si mette alla ricerca delle due scialuppe sulle quali ha preso posto il resto dell’equipaggio del Kabalo.
Ne trova una, con a bordo 21 uomini (tra cui il comandante della nave, Georges Vogels, dal quale Todaro s’informa delle condizioni degli occupanti, assicurandosi che abbiano abbastanza cibo ed acqua): due di essi, feriti gravemente, vengono trasbordati sul Cappellini, che a sua volta trasferisce sull’imbarcazione i cinque naufraghi raccolti in precedenza; poi si separa dalla lancia per mettersi alla ricerca dell’altra imbarcazione (che ha a bordo 16 naufraghi), promettendo di tornare il giorno seguente. Dalla radio si viene a sapere che la seconda scialuppa è già stata trovata e soccorsa dal mercantile Pan American (che sbarcherà poi i naufraghi a Lisbona); il Cappellini torna allora alla prima scialuppa e la prende a rimorchio, in attesa di incontrare un piroscafo neutrale sul quale trasferirli. A causa del mare grosso, il cavo di rimorchio si spezza tre volte durante la navigazione, ma ogni volta il sommergibile torna indietro e prende nuovamente a rimorchio la scialuppa, con rischiose manovre (un marinaio cade in mare, ma si riesce a recuperarlo). Il rimorchio risulta sempre più difficile, a causa delle condizioni del mare in continuo peggioramento.
Nel pomeriggio del 17 ottobre la forza del mare provoca lo sfondamento della scialuppa: gli occupanti vengono allora presi a bordo del Cappellini e sistemati nella falsatorre, ovunque vi sia spazio, latrine comprese (eccetto il comandante Vogels, che viene invece ospitato in quadrato ufficiali). Sottocoperta non c’è spazio; questa sistemazione espone i naufraghi, stipati alla meglio, agli elementi, e Todaro fa distribuire loro coperte, cibo e sigarette, per alleviare la loro misera situazione. (Secondo altra versione, inizialmente sarebbero stati trasferiti sul Cappellini tutti gli occupanti della lancia tranne quattro, incaricati di governarla, per andare più velocemente; poi, sfasciatasi la lancia, sarebbero stati presi a bordo anche gli altri quattro).
Il sommergibile continua così a navigare in emersione per quattro giorni e quattro notti, percorrendo in tutto 750 miglia, e porta i naufraghi fino alle Azzorre, sbarcandoli all’alba del 19 ottobre, per mezzo del battellino pneumatico in dotazione (a gruppi di quattro), in un’insenatura dell’isola di Santa Maria. Al momento dello sbarco uno degli ufficiali belgi, il tenente Caudron, chiede di poter conoscere il nome del comandante italiano; Todaro, uomo di grande modestia, prima si schermisce; poi, quando l’ufficiale dice di avere quattro figli, e di voler sapere chi dovranno ricordare nelle loro preghiere, gli risponde di chiamarsi Salvatore Bruno – i suoi due nomi di battesimo –, tacendo il cognome (il dialogo tra i due sarebbe stato il seguente: “Dopo aver visto come vi siete comportato con i nemici, mi chiedo come voi siate con gli amici, e che stima questi debbano avere di voi. Diteci almeno il vostro nome comandante” – “A che servirebbe? Sono un uomo di mare come voi e credo che al mio posto avreste fatto lo stesso” – “Ho quattro figli vorrei che nelle loro preghiere ricordassero il nome di chi salvò il loro padre” – “Dite ai vostri figli di pregare per Salvatore Bruno”).
Un’altra fonte aggiunge altri particolari, al limite tra storia e leggenda: prendendo commiato dal comandante del Kabalo, Todaro gli avrebbe riconsegnato una scatola metallica contenente 100.000 lire, salvata dal naufragio e consegnata all’italiano, invitandolo a controllare che il denaro ci sia tutto; al che un marinaio congolese avrebbe porto a Todaro una mela, unico “avere” che aveva potuto salvare dal Kabalo in affondamento, dicendogli “Siete un generoso, signore”.
Terminato questo compito, il Cappellini dirige per tornare nella zona d’agguato, che pattuglierà fino al 26 ottobre.
Il risvolto umanitario dell’affondamento del Kabalo sarà riportato da vari giornali di Paesi neutrali (ed in particolare in una corrispondenza da Lisbona di Pierre Goemere), come un “barlume di umanità e cavalleria in una guerra spietata”.
Nel novembre 1940 giungerà al Ministero della Marina una lettera, scritta in francese da una persona mantenutasi anonima e spedita da Lisbona: “Io vorrei, se possibile, che questa lettera fosse rimessa al comandante del sommergibile italiano che ha affondato la nave Kabalo. Fortunato il Paese che ha dei figli come voi! I nostri giornali danno il resoconto del vostro comportamento verso l’equipaggio di una nave che il dovere vi ha costretto a silurare. Esiste un eroismo barbaro e un altro davanti al quale l'anima si mette in ginocchio: questo è il vostro. Siate benedetto per la vostra bontà che fa di voi un eroe, non solo dell'Italia, ma dell'umanità. Lisbona, novembre 1940”.
Secondo quanto riportato da alcune fonti, l’ammiraglio Karl Dönitz, comandante della flotta subacquea tedesca, avrebbe apprezzato il valore di Todaro ma ripreso il suo soccorso dei naufraghi, avendo messo a repentaglio il sommergibile per salvare dei nemici (il Cappellini avrebbe potuto essere avvistato ed attaccato durante i quattro giorni di navigazione in superficie), definendolo “Don Chisciotte del mare”; don Teresio Bosco, nel suo libro “Di professione uomini”, ha scritto che Todaro avrebbe risposto alle critiche dicendo “Il fatto ammiraglio è che io in quel momento sentivo sulla schiena il peso di molti secoli di civiltà. Un ufficiale tedesco, forse, non avrebbe sentito quel peso”, al che Dönitz avrebbe concluso “Mi sono meritato questa risposta”, stringendogli la mano.
È però il caso di rilevare che lo scambio di battute tra Todaro e Dönitz è generalmente riportato da fonti “secondarie” e che forse appartiene più all’alone di leggenda che avvolge la straordinaria figura di Salvatore Todaro, che non alla storia propriamente detta. Un altro elemento di questa “leggenda” sarebbe la preferenza accordata da Todaro al cannone rispetto ai siluri, ritenuta arma poco affidabile: in effetti tutti gli attacchi da lui condotti si risolsero in accaniti duelli d’artiglieria combattuti in superficie.
L’affondamento del Kabalo porterà alla dichiarazione di guerra tra Italia e Belgio, dichiarazione più formale che sostanziale, essendo il Belgio nazione occupata da mesi, con un governo in esilio e più nessuna forza armata (all’infuori di poche truppe nelle colonie africane). L’affondamento, ad ogni modo, era del tutto giustificato, dato che la nave trasportava rifornimenti militari per gli Alleati.
FONTE: Roby Adolfo Bellotti