Il Corsaro dell’Atlantico e l’epopea del Tazzoli
Di Gabriele Bagnoli
“Da mesi penso ai miei Marinai del Tazzoli che sono onorevolmente in fondo al mare e penso che il mio posto è con loro”. Era il 27 agosto 1944 quando Carlo Fecia di Cossato, Capitano di Fregata della Regia Marina, Asso dei Sommergibili, di quei delfini d’acciaio che, partendo rapidi ed invisibili dalle loro basi, inflissero pesantissime perdite alle navi alleate, in Mediterraneo come in Atlantico, decise di premere il grilletto della sua pistola d’ordinanza. Non contro un nemico. Ma contro sé stesso. La guerra continuava inesorabile e per l’Italia, sebbene avesse firmato un armistizio con gli Anglo-Americani, ormai travolta dalla guerra civile, iniziava a profilarsi l’incerto avvenire riservato dagli Alleati al Regno ormai sconfitto. E quella maledetta disposizione di consegnare la flotta ai vincitori, senza combattere un’ultima, grande, battaglia, per colui che era stato definito il Corsaro dell’Atlantico, era un’onta troppo grande. Soprattutto per quegli equipaggi che si erano ritagliati un posto eterno in quell’angolo di cielo dove riposano per sempre i Santi e i Martiri. E gli Eroi. Ben cento sommergibili non tornarono alle loro basi, affondati con i loro equipaggi, i loro comandanti, i loro ufficiali di rotta e direttori di macchina. Tra questi il Tazzoli, comandato dallo stesso Fecia di Cossato, andato perduto dopo il 16 maggio 1943 quando, agli ordini del nuovo Comandante, il Capitano di Corvetta Giuseppe Caito, mollò gli ormeggi alla volta dell’Estremo Oriente, dove avrebbe contribuito alla realizzazione di una base italiana in quei mari lontani. Un altro valente uomo di mare, l’Ammiraglio Luigi Longanesi Cattani così descrisse Fecia di Cossato: “Fra tutti gli uomini del nostro mondo di allora, ai quali in questi anni il mio pensiero è andato continuamente ricorrendo con ammirazione, con amore e con rimpianto, uno ve ne è sempre stato a cui ho pensato come all’uomo ideale per comandare sommergibili, l’uomo che ha sovrastato tutti, riunendo in sé le virtù di tutti, e restando esente dalle umane manchevolezze di ciascuno di noi: il Comandante Carlo Fecia di Cossato”.
Da quando assunse il comando del Sommergibile Enrico Tazzoli, che già era entrato nella storia della guerra subacquea agli ordini di Vittore Raccanelli (poi caduto al posto di combattimento il 1° aprile 1942 mentre era Comandante in Seconda dell’Incrociatore Leggero Giovanni Dalle Bande Nere), Carlo Fecia di Cossato riuscì ad affondare ben diciassette navi alleate, per oltre 86.500 tonnellate di naviglio nemico colato a picco. Da quel 15 aprile 1941, quando piazzò nel ventre del Piroscafo Aurillac un siluro, a quando premette fatidicamente il grilletto, erano passati tre anni di guerra. Durante i quali si era guadagnato due Medaglie d’Argento, due di Bronzo ed una Croce di Guerra al Valor Militare, unitamente alle Croci di Ferro di Prima e Seconda Classe e alla Croce di Cavaliere della Croce di Ferro tedesca. Niente sembrava fermare questo valido marinaio, il cui equipaggio sarebbe stato pronto a seguirlo in ogni missione: ecco, il premio più grande per Fecia di Cossato. L’assoluta stima, devozione e, per certi tratti, affetto che il suo equipaggio nutriva per lui. Forse, in nessun altro delfino d’acciaio, la sorte di un Comandante risultò così strettamente legata a quella degli uomini posti al suo comando. E’ Teucle Meneghini, proprio nell’opera dedicata ai cento sommergibili che non fecero ritorno a quei porti inaccessibili, a tirare le “somme” del Corsaro: “Non c’è zona dell’Atlantico che non sia stata rastrellata dal leggendario sommergibile sotto la guida del più deciso, affascinante ed aristocratico dei nostri comandanti. Nel marzo del 1942 è sulle coste delle Bahamas dove spedisce in fondo al mare un grosso piroscafo che navigava a luci oscurate, la Petroliera inglese Athelqueen di 8780 tonnellate e il Piroscafo inglese Daytonian; nel dicembre dello stesso anno affonda il Piroscafo olandese Omhilin di 5638 tonnellate all’altezza della Guyana Britannica, l’inglese Empire Hawk, la Motonave statunitense Dona Aurora e il Piroscafo britannico Queen City”.
Era il Natale del 1942 quando il Comandante di Cossato ottenne la sua ultima vittoria, affondando le 5011 tonnellate di stazza lorda dell’americana Dona Aurora. Poi, con una stretta al cuore, dovette separarsi dal “suo” equipaggio, da quel Tazzoli con cui aveva condiviso oneri e onori della Regia Marina. Ma anche per quello scafo d’acciaio risuonò l’ora del destino. Il mare, con quel suo velo di schiuma e di onde, si richiuse per sempre anche su questo sommergibile, in un punto imprecisato del Golfo di Biscaglia, divenendo un silenzioso sacrario ancora oggi inviolato e rispettato. Ma quei suoi Marinai, Carlo Fecia di Cossato non li dimenticò, neanche quando assunse il comando della Torpediniera Aliseo e giunsero le giornate dell’armistizio dell’8 settembre 1943 e nuove prove: soccorse la gemella Ardito, circondata da unità della Kriegsmarine, raccolse venticinque naufraghi tedeschi e diresse verso i porti controllati dagli Alleati. Lui, che aveva giurato fedeltà alla Corona e alla Monarchia, fu pronto a seguire il suo sovrano anche nel capovolgimento dell’alleanza. Ed ecco che vennero gli arresti, quando si rifiutò di eseguire gli ordini del nuovo Governo presieduto da Ivanoe Bonomi, che si era rifiutato di giurare fedeltà al Re. E poi quell’ordine perentorio, chiaro e preciso: “Se venisse confermato l’ordine di consegna, dovunque vi troviate lanciate tutti i vostri siluri e sparate tutti i colpi che avete a bordo contro le navi che vi stanno attorno, per rammentare agli Anglo-Americani che gli impegni vanno rispettati; se alla fine starete ancora a galla, autoaffondatevi”. Un Comandante d’altri tempi, già allora. E dentro di lui iniziò a farsi strada l’oscuro destino cui sarebbe andato incontro. Probabilmente, una parte di Carlo Fecia di Cossato era già morta quando sbarcò dal Tazzoli, quel vecchio pezzo d’acciaio che aveva reso una leggenda di Cossato e viceversa. Nel discorso di sbarco rivolse poche parole al suo equipaggio, poche parole per non cedere alla commozione di essere separato da quella famiglia rimasta improvvisamente senza un padre, senza un capo, senza una guida. Certo, il Comandante Caito avrebbe fatto un eccellente lavoro, avrebbe continuato a portare alto il nome del Tazzoli. E Caito stesso sapeva quale onere sarebbe stato comandare quegli uomini. Lo stesso onere toccato ad un altro Comandante chiamato a proseguire l’epopea di un Sommergibile entrato nella leggenda: lo Sciré. E proprio come Caito, anche Bruno Zelik, che prese le consegne dal Principe Junio Valerio Borghese, scomparve in fondo al mare, mentre tentava di forzare il Porto di Haifa assieme a quegli uomini rana che beffarono l’Inghilterra a Malta, a Suda e a Gibilterra. Carlo Fecia di Cossato è stato più volte accostato ad un altro Asso degli abissi, Gunther Prien, il violatore di Scapa Flow, il celebre Toro al comando dell’U47. Ma Prien cadde, in mare, accanto ai suoi uomini, a bordo del suo sommergibile. Di Cossato non ebbe questa fortuna, tanto che il rimpianto di non essere là sotto, in fondo al mare, lo accompagnò fino a quel 27 agosto 1944. Fino a quando non risuonò nel suo alloggio il rumore sordo di uno sparo. Il Comandante si era finalmente riunito al suo equipaggio.