Il barometro marino, uno strumento antico ma ancora molto utile

Dal sito Ocean4future un argomento che interessa tutti

STRUMENTI Barometre aneroide 01

I marinai sanno che quando la pressione atmosferica scende non è un buon segno. Ma come fanno ad accorgersene? Semplice, utilizzando il barometro, uno strumento nautico che misura la pressione locale e può aiutare a prevedere l’andamento meteorologico in mare.

Il barometro fu scoperto circa quattro secoli fa da un italiano, Evangelista Torricelli. Una scoperta rivoluzionaria dal punto di vista scientifico che abbiamo sotto gli occhi di tutti, essendo presente in quasi tutte le case. Ne raccontiamo la storia e le sue evoluzioni tecnologiche partendo dai primi che si basavano sugli effetti della pressione atmosferica su un tubicino pieno di mercurio.

Come  funzionavano i barometri a mercurio?
In realtà, come vedremo, il sistema di funzionamento di questi strumenti era molto semplice.

STRUMENTAZIONE Barometer by Charles Frodsham view 2 London date unknown mahogany mercury metal glass Shugborough Hall Staffordshire England DSC00451

Barometro a mercurio di Charles Frodsham, London, conservato a Shugborough Hall – Staffordshire, England Barometer by Charles Frodsham, view 2, London, date unknown, mahogany, mercury, metal, glass – Shugborough Hall – Staffordshire, England – DSC00451.jpg – Wikimedia Commons

I primi barometri erano composti da un tubicino di vetro trasparente, posizionato verticalmente al suolo, con l’estremità superiore chiusa e quella inferiore aperta su una vaschetta piena di mercurio, un metallo allo stato liquido, molto denso e sensibile ai cambiamenti di pressione e di temperatura. Per dargli solidità erano inseriti in eleganti contenitori in ottone o in legno. Il funzionamento è molto semplice. Il livello di mercurio sale o scende all’interno del tubo a seconda delle variazioni della pressione dell’aria.

STRUMENTAZIONE principio baroemtro a mercurio Prinzip Torricelli

Principio di funzionamento del barometro a mercurio di Torricelli – Fonte e autore Volker Sperlich: “Übungsaufgaben zur Thermodynamik mit Mathcad” (2002) Fachbuchverlag Leipzig Prinzip Torricelli.jpg – Wikimedia Commons

Tutto incominciò nel XVII secolo, nel 1643, quando un brillante matematico italiano, Evangelista Torricelli, allievo di Galileo Galilei, inventò il primo strumento di misura per misurare la pressione atmosferica. Si trattava di un tubo di vetro chiuso a un’estremità e aperto dall’altra, con una sezione di un centimetro quadro, della lunghezza di un metro, riempito di mercurio, metallo allo stato liquido caratterizzato da una alta densità, posto verticalmente in una vaschetta, anch’essa contenente mercurio. In pratica si creava un sistema di vasi comunicanti. Torricelli osservò che quando la pressione dell’aria (triangolo bianco) aumentava, spingeva verso il basso il mercurio all’esterno del tubo e, di conseguenza, il livello di mercurio all’interno del tubo aumentava. Qualora la pressione diminuiva avveniva il contrario ovvero il livello diminuiva. Questo comportamento si prestava quindi ad effettuare una misurazione precisa ed istantanea della pressione atmosferica.

Torricelli, dopo aver bloccato l’estremità aperta, rovesciò il tubo e lo appoggiò verticalmente su una ciotola contenente del mercurio. L’accorgimento di chiudere l’estremità era ovviamente per non far entrare aria nel tubo formando così il vuoto (un concetto innovativo per l’epoca) al di sopra della colonna di mercurio. Perché usò il mercurio e non altre sostanze? Perché se avesse usato l’acqua, essendo meno densa del mercurio, la pressione dell’aria avrebbe sollevato il livello molto più in alto. In altre parole sarebbe stato necessario avere un tubo più lungo di quello necessario per contenere il mercurio, rendendo lo strumento poco pratico. Torricelli aveva compreso che era il peso dell’atmosfera a causare lo scorrere del mercurio nel tubicino e scrisse che “Sulla superficie del liquido che è nella ciotola c’è il peso di un’altezza di cinquanta miglia di aria.” Lo strumento da lui inventato fu chiamato, in suo onore, barometro torricelliano.

In seguito gli scienziati notarono che questo cambiamento era correlato all’andamento del tempo meteorologico per cui le variazioni meteo erano strettamente legate alle variazioni della pressione atmosferica. Osservando gli spostamenti dei livelli nella colonnina si potevano prevedere con molta precisione cambiamenti significativi del tempo come l’arrivo di temporali o del bel tempo.

Oggi sappiamo che l’arrivo di aria più fredda, legata al passaggio di un fronte freddo, fa aumentare localmente il peso della colonna d’aria e quindi la pressione al suolo, mentre quello di aria più calda (essendo più leggera) la fa ovviamente diminuire, come al passaggio di un fronte caldo. In parole semplici quando una nube temporalesca si avvicina la pressione misurata dal barometro tende a scendere, a seguito delle correnti convettive più calde che dal suolo alimentano la nube. Questo è un campanello di allarme importante che i naviganti dovrebbero conoscere bene. Sarà sempre il nostro barometro ad indicarci quando il temporale, accompagnato da raffiche e da rovesci di pioggia (outflow) incomincerà ad allontanarsi, anticipato da una risalita brusca della pressione.

Quale è il valore della pressione atmosferica al suolo?
A livello del mare, la pressione atmosferica spinge il mercurio nell’ampolla verso l’alto e fa salire, in condizioni standard, il livello nel tubo ad un’altezza di circa 760 mm (circa 30 pollici). Torricelli dedusse quindi che il peso di questa colonna si opponeva alla pressione atmosferica e che  aumentando la pressione il livello si alzava. Un’intuizione geniale che è alla base della meteorologia moderna.

Perché varia?
La pressione atmosferica cambia continuamente ed è legata al surriscaldamento delle masse d’aria locali ed alla quota di misura. Per comodità il valore standard pressione è di un atmosfera (1 atm) al suolo che è equivalente a circa 760mm di mercurio. Per l’esattezza 760 mm equivale a 1,0132 bar. I subacquei sanno che la pressione di atmosfera aumenta di un’atmosfera ogni dieci metri sott’acqua. Se dal suolo salissimo in quota scopriremmo che la pressione diminuisce man mano che saliamo fino ad annullarsi. Diminuendo la pressione, la misurazione nel tubo da un valore sempre minore (da 760 mm scenderà fino a zero salendo in quota). Per avere un‘idea, la pressione sulla cima del Monte Everest (circa 8840 metri) è leggermente inferiore ad un terzo della pressione atmosferica standard a livello del mare (circa 0,3 atm).

formula

I primi barometri marini erano costituiti da piccoli tubi di vetro, che ricordavano i termometri, protetti da cilindri di ottone, e appesi o racchiusi in scatole protettive in legno. Questi barometri erano calibrati in modo da poter leggere sulla scatola oltre che il valore di pressione, anche semplici indicazioni: Bel tempo” o Fair, “pioggia” o Rain,tempesta” o Storm. Questi barometri nautici erano studiati per essere appesi nelle plance delle navi per un’immediata lettura da parte del navigante. I primi barometri torricelliani erano comunque già molto precisi ma … avevano un problema, si basavano per funzionare sul mercurio, un metallo particolare (è l’unico ad essere allo stato liquido) ma molto velenoso. Quelli di una certa età ricorderanno i termometri a mercurio che quando si rompevano riempivano il pavimento di palline argentee. Ci giocavamo ingenuamente senza capirne la forte tossicità per l’organismo che può avvenire sia per ingestione che per inalazione dei vapori o anche per semplice contatto. Questo fattore nel tempo portò alla sostituzione del barometro a mercurio con altri tipi di barometri. Infatti, con l’avanzare della tecnologia, sebbene i barometri marini al mercurio fossero e (sono) ancora considerati più precisi, furono sostituti da quelli aneroidi.

how aneroid barometer worksUn barometro aneroide è costituito da una piccola cella di metallo con una molla contenuta in una scatola metallica. La cellula è circondata da una lega metallica di rame e berillio. Man mano che la pressione dell’aria all’esterno della cella cambia, la molla all’interno si espande, o si contrae, e questi movimenti fanno muovere una lancetta posta sul quadrante frontale del barometro. 

I barometri aneroidi, spesso presenti nelle nostre case come oggetto ornamentali, hanno in genere un solo quadrante con una lancetta di misura che indica diverse misurazioni e condizioni meteorologiche. Sul suo quadrante si nota un’altra lancetta (spesso dorata) che può essere fatta ruotare con le dita (essendo libera) tramite un bottone zigrinato. Una domanda che molti fanno è a che cosa serva. Si tratta di un semplice indice che, posizionato in un certo momento della giornata sulla lancetta del barometro, essendo slegato da qualsiasi meccanismo, in un periodo successivo fa comprendere se c’è stato un aumento o una diminuzione di pressione.

 

STRUMENTAZIONE 640px Design of aneroid barometer aneroid cell

Mechanical design di un barometro aneroide di Feingerätebau Fischer/GDR autore foto FranzKK Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 – Design of aneroid barometer aneroid cell.JPG – Wikimedia Commons

Per poter ottenere delle misure precise il barometro deve essere sempre regolato (calibrato) sulla pressione atmosferica, ridotta a livello del mare, e quindi calibrato di volta in volta, in funzione della altezza in cui ci troviamo, semplicemente spostando delicatamente una vite posta sulla cassa sul retro. Per calcolare la riduzione ricordatevi che ogni 80 metri questo valore può essere stimato intorno a 10 millibar, per cui se la pressione media è di 1012 mbar, se viviamo in collina  a 8oo metri di quota, la riduzione da apporre sarà di circa 100 mbar.

Questo per esser precisi ma serve veramente ai fini predittivi dell’andamento della pressione? In realtà no. Quello che ci interessa è la variazione dell’indice, in crescita o in decrescita, fattore che ci indica se stiamo andando verso il tempo buono o cattivo.

Nel XX secolo fu sviluppato il barometro marino digitale, che funziona traducendo le letture elettroniche della pressione atmosferica e delle variazioni di temperatura in … elementari previsioni meteorologiche. Per farlo utilizza degli algoritmi che tengono conto dell’umidità, della pressione, della temperatura dell’aria e, in certi casi, della velocità del vento rilevata. I moderni barometri digitali competono per precisione con i barometri al mercurio che sono ormai sempre meno diffusi e li troviamo presenti anche … nei moderni orologi digitali. 

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Orologio digitale, in basso a destra viene indicata la pressione atmosferica (1009 bar) – Autore foto VSchagow 2019120310 Casio ProTrek PRW 60Y-1AER barometer 2019.jpg – Wikimedia Commons

A cosa servono i barometri in campo nautico?
Sin dai tempi antichi, la possibilità di fare una previsione meteorologica accurata è stato sempre un fattore importante per i naviganti. Poter prevedere l’arrivo di una linea temporalesca consentiva al capitano di modificare la sua rotta prima di essere sorpreso da mare mosso e vento forte. Il barometro marino fu quindi sviluppato tecnicamente e commercialmente per offrire ai marinai un mezzo conveniente e portatile per prevedere i cambiamenti atmosferici in mare. Nonostante i mezzi oggigiorno disponibili, il barometro marino non è scomparso dalle plance, e viene di solito accoppiato ad altri indicatori meteorologici come termometri e anemometri.

Ora che abbiamo imparato a leggerlo, ricordiamocelo la prossima volta che andremo per mare: un semplice strumento che non può mancare nella dotazione nautica di ogni amante del mare.

Andrea Mucedola

in anteprima barometro aneroide, XX secolo Barometre aneroide 01.jpg – Wikimedia Commons

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Ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.

 

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A Tortona il mare tutto in un museo

Riporto un articolo di sicuro interesse per chi può andare a visitarlo

Entrata museo tortona

Se Novi Ligure con il suo nome può trarre in inganno e far pensare alla vicina Liguria, questo rischio non si corre con Tortona... Eppure proprio la città ospita un ricco e interessante Museo del mare e anche un monumento ai Caduti del mare, realizzato nel 2006 dall’Associazione Nazionale Marinai d’Italia ( A.N.M.I.) "Lorenzo Bezzi - Gruppo di Tortona".

In occasione della “Domenica del Mare", vogliamo visitarlo “virtualmente" con voi per invitarvi a farlo, prossimamente, di persona. Lasciando la via Emilia, a metà di via Pernigotti, si apre la porta sul mondo marino e a fare gli onori di casa è il capitano di lungo corso Franco Pernigotti. presidente dell'associazione "Amici del Museo del mare di Tortona", che con il suo sorriso aperto e la barba bianca, da vero marinaio accoglie piccoli e  grandi. La realtà museale è nata grazie al gruppo  Marinai d’Italia “Lorenzo Bezzi", ed è stata inaugurata ufficialmente il 10 giugno 2010; su una superficie di circa 300 mq ospita più di 1500 reperti ed è gestita dai volontari dell’associazione.

PernigottiCome nasce il legame tra Tortona e il mare? Grazie alla presenza sul territorio di rinomate aziende metalmeccaniche (Orsi. Cmt. Graziano) che fornivano alla marina militare giovani operai esperti (siluristi. motoristi, ecc.) per la "leva di mare", molti dei quali, una volta ottenuta la specializzazione,  proseguivano la carriera marinara. L’immagine dell’ammiraglio Carlo Mirabello. posta all'ingresso in bellavista, insieme ad alcuni cimeli della sua vita, ricorda chi è il personaggio a cui è intitolato il complesso. Mirabello, famoso tortonese, nacque il 17 novembre 1847, e oltre a ricoprire importanti incarichi militari, nel novembre 1903 fu nominato ministro della Marina, ruolo che mantenne fino al 12 dicembre 1909, pochi mesi  prima della morte avvenuta a Milano il 24 marzo 1910. Di fronte al suo ritratto campeggia quello di Lorenzo Bezzi, tortonese classe 1906, capitano di corvetta, che, dal 1° giugno 1940. ebbe il comando del sommergibile "Liuzzi”. Il giorno 27 dello stesso mese, durante una missione di guerra nelle acque del Mediterraneo orientale, fu attaccato da parte di 5 unità inglesi, e il sommergibile, subendo gravissime avarie, fu costretto ad emergere. Essendo vana ogni possibilità di difesa. Bezzi mise in salvo l'equipaggio e predispose l’autoaffondamento negli abissi.

museoProseguendo il viaggio all’interno delle sale si possono ammirare la ricca collezione di conchiglie, coralli e di esemplari della fauna marina e i numerosi modelli di navi, alcuni dei quali realizzati dallo stesso Pernigotti. Uno di questi, di recente acquisizione. riproduce la baleniera Essex, dalla quale storia Herman Melville trasse spunto per scrivere il suo capolavoro Moby Dick. Tra gli innumerevoli oggetti di grande valore storico, un posto importante lo occupa la macchina crittografica tedesca "Enigma" che rappresenta una pagina di storia della seconda guerra mondiale. La decrittazione dei messaggi cifrati prodotti, fornì informazioni alle forze alleale. Non manca una  ricca documentazione fotografica della vita sulle navi, insieme al "diario di guerra” di un marinaio che partecipò al primo scontro navale contro i tedeschi, dopo l’8 settembre 1943 e al giornale di bordo del Guardiamarina tortonese Fausto Remotti, con la cronaca del viaggio della pirofregata "Garibaldi" nella campagna del 1872. Tra i pezzi originali vi è anche un siluro a lenta corsa detto “maiale", utilizzato nelle imprese belliche dai sommozzatori. Singolare anche la presenza di una campana ucraina, giunta in Italia negli anni ’90 con un gruppo di fuoriusciti ucraini, provenienti da Kiev, che su tre imbarcazioni, attraversato il Mar Nero, lo stretto del Bosforo, il Mar di Marinara, i Dardanelli e il Mar Egeo, fecero rotta in Italia e  approdarono sulla costa Ligure. In segno di ringraziamento donarono a chi li aveva accolti le tre campane che avevano con sé. Importanti oggetti sono stati affidati in "prestito" al Museo dalla Curia vescovile e tra questi vi è un enorme planisfero che. a sua volta, nascondeva un'antica mappa celeste del ’70(). Per chiudere in bellezza si può fare una foto con un vero esemplare di orso bianco imbalsamato. Si trova nella sala dedicata al salese Pietro Achille Cavalli Molinelli, medico di bordo sulle navi da guerra e amico del Duca degli Abruzzi  Luigi di Savoia che seguì nelle spedizioni al Polo Nord, dove riuscì a catturare l’animale e in Africa.

Non resta che iniziare a navigare insieme a Franco Pernigotti e agli "Amici del mare" ogni sabato dalle ore 9 alle 12 e dalle 16 alle 19. con ingresso libero. Per prenotazioni si può telefonare (celi. 348 1498791).

Daniela Catalano

FONTE: Logo museotortona Museo del mare di Tortona

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Fare carena. Come, quando e perché

Dal blog "Ormeggi on line" alcune notizie di interesse per chi usa una imbarcazione

fare carena antivegetativa costo

La primavera si sta avvicinando, è tempo di fare carena e preparare la barca per la nuova stagione! Ecco perciò tutto quello che occorre conoscere sulla pulizia dell’opera viva (parte sommersa dello scafo).

Perché la carena si sporca

La carena delle imbarcazioni, così come qualsiasi superficie sommersa, è soggetta al cosiddetto fenomeno del marine fouling”, ovvero la colonizzazione da parte di cirripedi, alghe, e altri organismi acquatici. Gli stessi organismi che colonizzano banchine, pontili e catenarie dei porti di tutto il mondo.

Il grado di incrostazione della carena nel tempo dipende dall’abbondanza e dalla varietà degli organismi presenti nell’ambiente, i quali dipendono a loro volta dalla qualità dell’acqua, dalla temperatura, dal livello di salinità, dalla profondità delle acque, dalla natura del moto ondoso e delle correnti. Tutti questi fattori possono far si che esistano notevoli differenze di fouling tra porti turistici situati l’uno accanto all’altro.

carena come pulireA prescindere da queste variabili ambientali il processo di colonizzazione della carena segue sempre lo stesso schema, in parte facilmente osservabile:

  • Durante i primi giorni di permanenza in acqua il materiale organico naturalmente disciolto aderisce alla carena formando un biofilm, costituito da macromolecole e organismi unicelluari.
  • Dopo circa una settimana dal varo, inizia la colonizzazione da parte di organismi pluricellulari.
  • L’ultimo stadio di sviluppo è rappresentato dall’attecchimento e dalla crescita di organismi più complessi come macroalghe e invertebrati marini. Tra questi organismi troviamo i tanto amati Balanidi, detti per la loro forma “denti di cane”.

Come funziona la vernice antivegetativa

Le vernici antivegetative (in inglese “antifouling”) contengono dei “biocidi”, additivi che inibiscono l’attecchimento di organismi viventi. Sono veri e propri veleni inseriti nella mescola della vernice, che vengono rilasciati in maniera controllata nel tempo. L’ossido di rame è l’additivo più utilizzato da quando lo stagno è stato bandito; oltre a questo biocida le antivegetative possono contenere funghicidi, alghicidi e altri componenti chimici con particolari proprietà.

Le antivegetative si dividono in due grandi categorie:

  • le vernici a matrice dura rilasciano lentamente i biocidi nell’acqua rimanendo apparentemente intatte, anche una volta esaurito il loro effetto;
  • le vernici autoleviganti invece si “sfogliano” gradualmente a causa dell’attrito con l’acqua. Lo strato di vernice si riduce di spessore nel tempo ma resta sempre efficace;
  • le vernici a matrice mista (o “long life”) sono una via di mezzo tra le due descritte.

La scelta della giusta vernice antivegetativa dovrebbe essere dettata dall’utilizzo che si fa della barca. Se si naviga poco, con lunghi periodi di stazionamento in porto, la vernice a matrice dura è la più indicata in quanto offre molta più resistenza alla formazione della vegetazione e dura a lungo. In caso di barche molto veloci l’antivegetativa a matrice dura è d’obbligo poiché l’autolevigante durerebbe solo qualche uscita. Se infine si prevedono lunghe navigazioni l’antivegetativa autolevigante è la più indicata; sfogliandosi gradualmente garantisce una protezione ottimale.

Per orientarsi tra le marche consiglio di dare un occhiata alle prove sul campo fatta dalla rivista nautica Vela e Motore, anche se purtroppo l’articolo è un po’ datato.

Ogni quanto occorre fare carena

Come abbiamo già detto il tempo che impiega la carena a coprirsi di vegetazione dipende da tanti fattori: la zona, il porto in cui staziona la barca, la vernice che è stata applicata, quanto tempo è rimasta ferma… Non esiste perciò un intervallo di tempo universalmente indicato per fare carena.
In genere questa operazione si svolge una volta l’anno, durante il periodo di inattività della barca, prima di tornare in acqua per la nuova stagione.
 Al di là dell’antivegetativa una volta l’anno è sempre meglio alare la barca, farla asciugare e controllare bene opera viva, bulbo, asse, elica, piede poppiero, trust, zinchi, prese a mare e tutto ciò che resta normalmente sommerso.
Molti diportisti, per mantenere pulita la carena più a lungo, si immergono periodicamente a grattare via la vegetazione con una spatola o delle apposite spugne. Questa pratica consente si di mantenere buone prestazioni più a lungo ma nuoce gravemente all’ambiente, specie se viene fatto in tratti di mare ad alto valore naturalistico. I biocidi presenti nella vernice non sono selettivi, sono dannosi per tutte le forme di vita, pertanto le piccole scaglie di antivegetativa che si staccano durante l’operazione andando a depositarsi sul fondo rischiano di uccidere fauna e flora marina locale. I cantieri abilitati ad effettuare carenaggi dovrebbero per legge essere dotati di sistemi di raccolta della acque reflue e non gettare tutto in mare. Purtroppo come sappiamo questa regola non viene sempre rispettata…

Qual’è la procedura corretta

  1. La prima operazione da fare è quella di lavare con un’idropulitrice l’intera carena (meglio se con acqua calda), rimuovendo ogni traccia di vegetazione.
  2. Lasciar asciugare la carena per qualche giorno.
  3. fare carena antivegatativa costo come applicareSe avevate applicato un antivegetativa autolevigante con la prima operazione dovrebbe essere venuta via quasi completamente se invece è stata usata una vernice a matrice dura sarà necessario asportarla meccanicamente con una levigatrice. Questa operazione è fondamentale perché facilita la presa del nuovo strato di antivegetativa, inoltre molti strati di antivegetativa sovrapposti aumentano il rischio di osmosi.
  4. A questo punto bisogna occuparsi di asse e elica/piede poppiero pulendo tutto fino a riportare il metallo a vista e sostituendo gli zinchi. È bene controllare anche che le boccole dell`asse e del timone non abbiano gioco.
  5. Lavare l’opera morta in modo da togliere tutta la polvere.
  6. Applicare uno strato di primer epossidico che garantisce un’adesione ottimale dell’antivegetativa.

Applicare due mani di antivegetativa. La seconda mano andrebbe data pochi giorni prima del varo, in modo che non perda di efficacia a causa dell’esposizone ad acqua, sole e aria.

PER APPROFONDIRE: applicazione dell’antivegetativa di Magellano Store

Quanto costa fare carena

Per questa domanda non esiste risposta univoca, il prezzo per le operazioni di alaggio, carena, sosta in piazzale e varo dipendono sostanzialmente dal cantiere. Per fare un po’ di chiarezza abbiamo pubblicato un nuovo sondaggio, che permette di conoscere i reali prezzi applicati in tutta italia e all’estero.

Conviene fare da soli?

Difficile rispondere… Prima di prendere questa decisione dovreste provare a rispondere alle seguenti domande:

  • Senza titolo 1Ho una buona esperienza di lavori manuali?
  • Possiedo gli attrezzi necessari?
  • Ho tempo sufficiente tempo libero per fare il lavoro? Anche ad essere molto veloci 3-4 giornate piene di lavoro (tempi morti esclusi) ci vogliono tutte.
  • Il cantiere/porto turistico/rimessaggio permette ai privati di fare lavori in modo autonomo?
  • In caso positivo quanto costano alaggio, varo e sosta in piazzale? Di questi servizi non si può proprio fare a meno e generalmente costituiscono buona parte del prezzo “all inclusive” del cantiere.
  • Quanto costerebbe il lavoro completo fatto dal cantiere?

Se avete risposto a tutte queste domande dovreste aver già capito se vale la pena fare carena da soli. Io aggiungo solo una nota: considerate che anche la vernice stessa ha un costo sostanzioso che non è possibile evitare.

Sistemi alternativi o coadiuvanti

Fino ad ora abbiamo parlato del metodo tradizionale per proteggere la carena dal fenomeno del fouling ma voglio accennare anche ai sistemi alternativi, che magari approfondiremo in un altro articolo. Esistono infatti dei sistemi antivegetativi elettronici che creano una specie di campo magnetico intorno all’opera viva, impedendo la formazione e la crescita di tutti quegli organismi marini che si attaccano e prolificano nella carena delle barche.

Sono sistemi piuttosto semplici da far funzionare, non invasivi e rispettosi dell’ambiente poiché non uccidono gli organismi ma si limitano a rendere la carena un luogo ostile, convincendoli a cercarsi un altra superficie per proliferare.

Almeno per ora queste tecnologie non hanno un’efficacia tale da essere usate come reale alternativa alle vernici antivegetative, possono però essere di grande aiuto durante i periodi di inattività.

Sono inoltre uscite in commercio, proprio questo anno, le prime pellicole antivegetative. Si tratta in sostanza di uno strato di silicone unito ad un sottile film adesivo che si applica alla carena come una qualsiasi altra pellicola. Il principio di funzionamento si basa sul fatto che gli organismi marini per aderire hanno bisogno di una superficie porosa, il silicone è troppo liscio per essere attaccato. I primi prodotti devono ancora essere testati su larga scala per conoscere la durata, la resistenza a urti e usura, e la reale efficacia.

FONTE:Ormeggionline logo

 

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La Rosa dei Venti

Se mai qualcuno si fosse chiesto come mai il Grecale (che deriva da Grecia) sia un vento che proviene da nord est, qui trova la risposta.

rosa venti

La Rosa dei Venti ha origine greche e per gli antichi era situata come origine sull'isola di Zante. La prospettiva e la relativa origine dei nomi oggi utilizzati non è dunque quella nostra ma quella di un abitante di Zante come illustra la foto.
Oltre a Grecale (presto spiegato) troviamo ..
Tramontana: vento del nord, (Intra montes, tra i monti) e indica appunto il vento "freddo" che scende dai Balcani.
Scirocco: Provenienza sud est, dalla Siria, da cui ne deriva il nome.
Libeccio: Provenienza sud ovest, dall'arabo "Lebeg", portatore di pioggia.
Mezzogiorno o Ostro: viene da sud. Nel caso di Ostro identifica la provenienza dall'emisfero australe.
Maestrale: spira da Nordovest. Varie possibilità di etimologia, o perché spira direttamente su Roma ( Magistra mundi), o anche Venezia ( la via maestra dal porto di origine ), oppure perché è il "principale di tutte le correnti, il maestro della navigazione"
Levante e Ponente li lascio alla vostra immaginazione.
Nell'antichità però, i nomi dati ai venti e le relative spiegazioni erano differenti. Nella mitologia greca Eolo, Dio dei venti, era figlio di Poseidone ed Arne e ricevette da Zeus il compito di controllare i venti. Eolo li dirigeva e li liberava o li chiudeva dentro le caverne e dentro un'otre a Lipari, una delle isole Eolie, il piccolo arcipelago a nord-est della Sicilia, in cui aveva la sua splendida reggia, e da lui l'arcipelago prendeva il nome.
I venti, rei di aver provocato il distaccamento della Sicilia del continente, delle varie bufere e tempeste sul mare, dovevano essere costantemente controllati dalla divinità.
I Venti Principali erano considerati 5 fratelli:
Austro, vento del sud, caldissimo e umido, portatore di pioggia, raffigurato sempre bagnato.
Borea, il più violento, vento del nord molto freddo, che per amore delle cavalle di Dardano si trasformò in cavallo e generò dodici puledri veloci come il vento. Era considerato come il soffio stesso di Zeus, è un vento impetuoso che spira dal nord con grande forza, particolarmente venerato dagli Ateniesi, convinti che avesse provveduto, con un tremendo uragano, a sgominare la flotta di Serse, il re persiano che minacciava la Grecia con una colossale spedizione.
Euro, vento dell'est, a volte tempestoso e a volte asciutto che portava bel tempo, e che i Romani chiamavano Vulturno.
Zefiro, vento dell'ovest, dolce e benefico, che aveva generato Xanto e Balio, ossia i due cavalli di Achille, chiamato dai Romani Favonio, è particolarmente gradito perché annuncia la primavera e la bella stagione, favorendo la germinazione delle sementi e la ripresa della natura dal sonno invernale.
Noto, l'umido vento del sud, porta le piogge e rende difficoltosa la navigazione in certi periodi dell'anno.
Poi c'erano i venti minori, anch'essi tenuti in giusta considerazione, poiché avevano il potere di provocare effetti diversi. Rappresentati in forma umana, con le ali e con le guance vistosamente gonfie nell'emettere un soffio potente:
Libeccio, vento del sud-ovest avvolto dalla nebbia e carico di pioggia;
Cecia, vento del nord-est, vecchio con coda di serpente e un piatto di olive in mano;
Apeliotes, vento del sud-est nelle mani del quale c'erano frutti maturi;
Schirone, vento del nord-ovest con un'urna piena d'acqua pronta ad essere rovesciata sulla terra.
In genere i venti erano considerati otto perchè tanti ne vennero raffigurati nell'edificio costruito ad Atene nel I sec. a.c., la cosiddetta Torre dei Venti. Queste creature semidivine tenute in gran conto e onorate dalla gente di mare, per la quale erano di vitale importanza.
Eolo ebbe dodici figli, sei femmine e sei maschi che si unirono tra loro creando altri venti.
Quando Ulisse, reduce dalla guerra di Troia, approdò alle isole Eolie, Eolo lo ospitò e gli regalò un otre di pelle dentro cui erano rinchiusi i venti contrari alla navigazione. Durante il viaggio Ulisse fece soffiare solo Zefiro ma mentre dormiva, i suoi compagni, credendo ci fossero tesori, aprirono l'otre liberando i venti che scatenarono una terribile tempesta.
Per l'Impero Romano invece si tenevano in considerazione altri nomi ed origini.
Dall'oriente soffia l'Euro, da occidente lo Zefiro, da settentrione la Borea o Aquilo, dal sud l'Austero.
Non tutti i venti erano favorevoli all'uomo, come ad esempio quelli derivati da Tifone, mostro capace con il soffio infuocato di portare scompiglio e distruzione. I più importanti, che bisognava conoscere per garantirsi una buona navigazione, si diceva fossero i figli di Astreo (il Cielo stellato) e di Eos (l'Aurora) che erano quattro: Borea dal nord, Noto dal sud, Zefiro da ovest ed Euro da sud-est.
Favorino, filosofo e oratore greco antico, illustrò un sistema ad otto venti:
l'Euro spira da Oriente in primavera
l'Aquilone spira da Oriente in estate
il Volturno o Euronoto spira da Oriente in inverno
il Cauro spira da Occidente in estate
il Favonio o Zefiro da Occidente in primavera
l'Africo da Occidente in inverno
l'Austro o Noto spira da Sud e porta umidità - I Marsi, nel mito discendenti da Circe, erano abili nel domare i serpenti e nel preparare pozioni miracolose. Un antico popolo africano, gli Psylli, curava le stesse arti. Erodoto racconta che si ribellarono al vento Austro, responsabile della siccità del loro paese e che furono dal vento distrutti o dispersi.
Borea è il Settentrionale e spira da nord
PRECISAZIONE: parlo di Zante come origine della rosa dei venti mentre potrebbe essere Malta... poiché al tempo dell'impero Romano, il centro del Mediterraneo era considerata Malta ma precedentemente lo era Zante per i Greci. La prima immagine grafica della rosa dei venti però è del 1375 ed è diventata famosa e ha iniziato a diffondersi negli anni delle Repubbliche marinare quando il simbolo dei venti era posizionato al centro del mar Mediterraneo e più precisamente sull’isola greca di Zante. Un indizio ulteriore può essere il fatto che lo Scirocco è un vento di sud est e prende il nome dalla Siria che si trova appunto a sud est di Zante ma non di Malta, rispetto a cui rimane ad est.
 
Grazie all'amico Giovanni Angelone per lo spunto e i dati forniti.
 
 

News varie dal mare, La Rosa dei Venti

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La ZEE italiana: ancora lavori in corso

Dal sito Ocean4future un articolo sulla situazione attuale delle ZEE Italiana a cura di Fabio Caffio

maritime traffic mediterraneo

In base alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) la zona economica esclusiva (ZEE) è un’area marina che può estendersi fino a 200 miglia dalle linee di base dalle acque territoriali di uno Stato costiero che ne detiene i diritti sovrani [0]. A che punto siamo in Italia? Ce ne parla l’ammiraglio Caffio.

Zonmar it

La ZEE italiana: un pasticciaccio italiano

Con la Legge 14 giugno 2021 n. 91 su “Istituzione di una zona economica esclusiva oltre il limite esterno del mare territoriale” il nostro Paese ha dato attuazione alla Convenzione del Diritto del Mare del 1982, nella parte in cui prevede che “gli Stati possano proclamare una zona in cui esercitare giurisdizione nei settori di pesca, ambiente marino, ricerca scientifica ed energie rinnovabili offshore”.

Intorno alle nostre coste, al di là dei nostri spazi marittimi delle acque territoriali e della piattaforma continentale, si era creato un pericoloso vuoto geopolitico che rischiava di essere colmato da alcuni nostri vicini e che limitava la nostra capacità di negoziare accordi di delimitazione con loro. Il fatto è che la quasi-ZEE della Zona di protezione ecologica (ZPE)da noi creata con la Legge 8 febbraio 2006 n. 61, era rimasta in gran parte inattuata, se si esclude quella istituita nel Tirreno con il DPR 27 ottobre 2011 n. 209.

ZPE ITALIANA

La zona di protezione ecologica (DPR 209-2011)

A complicare le cose era poi intervenuta la decisione algerina, adottata nel 2018 senza alcuna preventiva concertazione, di proclamare una ZEE che si sovrappone alla nostra piattaforma continentale e alla nostra ZPE lambendo, sino alla latitudine di Oristano, le nostre acque territoriali. Alla base del ritardo italiano di istituzione della ZEE vi sono varie cause; prima tra tutte una congenita scarsa marittimità, oltre alla questione del mantenimento della libertà di navigazione in alto mare ritenuta prioritaria sin dai primi anni Ottanta del secolo scorso.

A quel tempo, nell’ambito della NATO, era stato evidenziato il pericolo che la proclamazione delle ZEE autorizzasse certi paesi a limitare le attività navali straniere, subordinandole ad autorizzazione per tutelare l’ambiente marino e le risorse ittiche. Di qui, l’orientamento italiano non favorevole all’istituzione di ZEE nel Mediterraneo che ci aveva indotto – al pari di Olanda e Germania – a depositare alle Nazioni Unite nel 1984 uno statement in cui si dichiara che nessuna norma di UNCLOS può essere interpretata nel senso che ai paesi costieri sia consentito richiedere la preventiva notifica/autorizzazione per lo svolgimento di esercitazioni navali nella propria ZEE.

Questo spiega come, per rimarcare il nostro orientamento liberista, nella citata Legge 91-2021 sia stato inserito il principio che la creazione della ZEE “… non compromette l’esercizio … delle libertà di navigazione, di sorvolo e di posa in opera di condotte e di cavi sottomarini…“.

Da non dimenticare, tra l’altro, che il problema del mantenimento della libertà di navigazione è al centro delle dispute marittime dell’Indo-Pacifico e in particolare del Mar Cinese Meridionale ove, a breve, dislocheremo alcune nostre Unità.

commercial fishing boat

Un altro fattore di quella che è stata considerata una sorta di avversione italiana alla ZEE, potrebbe essere la posizione di certi nostri operatori della pesca che è mirata più che a proteggere le scarse risorse esistenti attorno alle nostre coste ad affermare la libertà dell’alto mare e del connesso diritto di pesca anche in zone pretese da altri Stati, come nel noto caso della Libia.

Ora che la ZEE è stata introdotta nel nostro ordinamento, con un provvedimento che ha natura di legge-quadro [1], occorrerebbe far sì che ulteriori criticità non ne ritardino l’attuazione. Una ZEE priva di regolamentazione non avrebbe infatti senso.

Tra i settori da disciplinare c’è anzitutto quello delle misure di enforcement nei confronti dei pescatori stranieri, che non potrebbe essere risolto con le nostre attuali norme, dovendosi dare specifica attuazione alle procedure stabilite al riguardo da UNCLOS. Si pensi alla questione della pesca del tonno rosso, da parte di marinerie straniere, in prossimità delle nostre coste, un tipo di pesca che è già classificabile, secondo i dettami della FAO, come Illegal, Unreported and Unregulated” (IIU).

Non va dimenticato che l’istituzione di ZEE nel Mediterraneo fu raccomandata dalla Conferenza di Venezia del 2003 della FAO, proprio come antidoto alla IUU. In questa prospettiva, tra l’altro, dovrebbero essere attribuiti ai comandanti delle nostre Unità in vigilanza pesca (ViPe) poteri di Polizia Giudiziaria, per l’accertamento alle infrazioni gravi alle norme sulla pesca ai sensi del Dlg. 9 gennaio 2012 n. 4.

Non secondaria è anche la giurisdizione relativa alla protezione ambientale che è essenziale per evitare che mercantili di bandiera straniera possano inquinare impunemente. Tra l’altro, in materia non è mai stata emanata alcuna regolamentazione nella già esistente ZPE; sicché questa è rimasta un’iniziativa virtuale.

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Sui fondali della ZPE (e ora della ZEE) si dovrebbe, inoltre, applicare il regime di tutela dei beni archeologici stabilito dalla Convenzione UNESCO di Parigi del 2001. Altre forme di giurisdizione nella ZEE che occorrerebbe disciplinare sono quelle relative alla produzione di energia da vento, correnti e maree, strutture artificiali, ricerca scientifica, posa e manutenzione di cavi e condotte sottomarine. Al riguardo non va dimenticato che lo spazio marittimo sommerso necessita di specifica regolamentazione secondo gli auspici espressi di recente dall’iniziativa della Fondazione Leonardo dedicata al Dominio underwater.

Ma quali sono i confini della nostra ZEE posto che, in mancanza di essi, il regime giurisdizionale teoricamente previsto sarebbe privo di efficacia concreta?
In proposito, la nuova normativa dispone:

1) che alla sua istituzione, da attuarsi con DPR, si provvederà in tutto o anche solo in parte, per specifiche zone circostanti le acque territoriali;
2) i suoi limiti andranno definiti per accordo con gli Stati interessati;
3) medio tempore, in mancanza di accordo, essi potranno “… essere stabiliti in modo da non compromettere od ostacolare l’accordo finale …”.

Si tratta quindi di emanare uno o più provvedimenti attuativi della ZEE, magari anche per singole aree geografiche come già fatto per la ZPE del Tirreno e Mar Ligure nel 2011. Passando a esaminare nel concreto quelli che potrebbero essere i futuri confini della ZEE italiana, dobbiamo dire che non si parte da zero in quanto essi, per alcuni tratti, sono già fissati da due accordi improntati alla coincidenza dei confini del fondo marino e della soprastante ZEE. Si tratta di quelli con la Grecia (2020) e con la Croazia (2022) che hanno entrambi confermato, ai fini della colonna d’acqua, i sottostanti limiti della piattaforma continentale stabiliti, rispettivamente, nel 1977 e nel 1968 (con la ex Iugoslavia).

 Situazione spazi marittimi Stretto di Sicilia

Situazione spazi marittimi Stretto di Sicilia  (fonte: L. Canali, Limes 10-2020)

Ulteriori intese potrebbero essere raggiunte validando il confine della piattaforma continentale da noi stabilito con Spagna (1974) e Albania (1992). Per il Montenegro andrebbe intavolata una trattativa ad hoc. Tutt’altro discorso per i confini del versante meridionale della nostra ZEE dove, invece, non andrà esclusa l’opzione dei limiti unilaterali, nel caso si palesasse la difficoltà di raggiungere intese con Algeria, Tunisia, Malta e Libia.

Volendo immaginare i possibili limiti complessivi della ZEE italiana, in realtà si può prendere a riferimento i confini della nostra piattaforma, come individuati dall’ex Ministero dello Sviluppo Economico, tenendo conto delle aree aperte alla ricerca con specifici decreti quali quello del 2012 dedicato all’area “C” a est di Malta.

Piattaforma continentale italiana con zone aperte alla ricerca ex MISE

Piattaforma continentale italiana con zone aperte alla ricerca (ex- MISE)

Va, infatti, considerato che sostanzialmente i limiti e (in certa misura) i regimi di ZEE e Piattaforma coincidono, a meno – per i confini – di varianti stabilite per accordo o in seguito ad arbitrato. Da questo punto di vista, in mancanza di regolamentazioni applicabili alla ZEE su specifiche materie è possibile rifarsi alla legislazione sulla piattaforma di cui alla Legge 21 luglio 1967 n. 613, anche se la realizzazione di parchi eolici offshore è condizionata dalla mancanza della pianificazione dello spazio marino, non ancora emanata.
Un’ultima considerazione sugli organi che saranno incaricati della sorveglianza nella futura ZEE. Al riguardo è possibile rifarsi alle norme vigenti che attribuiscono competenze istituzionali a Guardia costiera e Guardia di finanza secondo un approccio adottato dal citato DPR 209-2011 il quale dispone che “… nella zona di protezione ecologica … le autorità italiane sono competenti in materia di controlli, di accertamento delle violazioni e di applicazione delle sanzioni previste, conformemente alle norme dell’ordinamento italiano …”.

Specifiche sono le attribuzioni conferite alla Marina Militare italiana dal Codice dell’ordinamento militare. L’art. 115 affida alla Forza Armata due distinte specifiche competenze e cioè:
1) “il servizio di vigilanza sulle attività marittime ed economiche, compresa quella di pesca, sottoposte alla giurisdizione nazionale nelle aree situate al di là del limite esterno del mare territoriale“;
2) “la sorveglianza per la prevenzione degli inquinamenti delle acque marine da idrocarburi e dalle altre sostanze nocive nell’ambiente marino e l’accertamento delle infrazioni alle relative norme”.

È bene ricordare che entrambe le sopra riportate disposizioni sono state inserite nel Codice dell’ordinamento militare perché già previste nella Legge per la Difesa del Mare 31 dicembre 1982 n. 979, emanata quarant’anni fa per varie finalità attinenti la governance del mare e l’organizzazione del Corpo delle Capitanerie. Alla Marina Militare la legge affidò specifiche competenze rientranti nella Funzione Guardia costiera”, da esercitare proprio in quella zona extraterritoriale che poi sarebbe stata identificata come ZEE, finanziando così la costruzione dei Pattugliatori classe “Costellazione” (compresi i due “Sirio” costruiti in seguito con fondi aggiuntivi).

Di recente l’art. 115 del COM è stato modificato attribuendo alla Marina la gestione del “Polo nazionale della subacquea”, nel presupposto che alla Marina militare italiana sia affidato un ruolo specifico nella sorveglianza spazi marittimi sottomarini della ZEE e della sottostante Piattaforma continentale.

Fabio CAFFIO

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[0] Secondo UNCLOS, nella ZEE uno Stato detiene i diritti sovrani per la gestione delle risorse naturali, giurisdizione in materia di installazione e uso di strutture artificiali o fisse, ricerca scientifica, protezione e conservazione dell’ambiente marino

[1] Una legge quadro, nel diritto italiano, è una legge della Repubblica italiana che contiene i princìpi fondamentali relativi all’ordinamento di una determinata materia.

quaderno nr. 4 CENTRO STUDI DI GEOPOLITICA E STRATEGIA MARITTIMA «Geopolitica-mente» a cura di: Renato Scarfi

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Ammiraglio della Marina Militare della Riserva tra i maggiori esperti di diritto internazionale marittimo italiani. Autore di vari articoli in materia, pubblicati su numerosi siti specialistici, ha pubblicato il saggio “Elementi di diritto e geopolitica degli spazi marittimi” scritto in collaborazione con A. Leandro e N. Carnimeo e, il “Glossario del Diritto del Mare” (Rivista Marittima, IV ed., 2016) ancor oggi un riferimento per gli studiosi della materia

 

FONTE:Logo Ocean4future

News varie dal mare, La ZEE italiana: ancora lavori in corso

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