Pubblicato in News varie dal mare.

Breve storia dell’autorespiratore a ossigeno – prima parte

Dal sito Ocean4future una lezione sugli autorespiratori ad ossigeno a cura di Fabio Vitale

Fleuss

 

Scritto da Fabio Vitale

REX29 1 Autorespiratore

Autorespiratore ad ossigeno (ARO) prodotto dalla Cressi
sub, completo di due bombole e di maschera simile ai
modelli usati durante la guerra dai nostri sommozzatori
… ma quando nacquero i primi autorespiratori ad ossigeno?

La nascita degli autorespiratori ad ossigeno

Questa storia, come tutte le storie che parlano di invenzioni, nasce da lontano ma si materializza verso i primi anni del 1900 quando, frutto dell’evoluzione degli studi sull’ossigeno (scoperto scientificamente nel 1771 per merito del farmacista svedese Karl William Scheele), si vedono sulle pagine dei periodici illustrati, immagini di uomini muniti di strane apparecchiature che, indossate, li rendevano al contempo mostruosi e affascinanti. Siamo negli anni del grande sviluppo industriale dove tutto era frenetico: le scoperte, la produzione industriale, l’estrazione di materie prime e soprattutto la produzione di energia utile a tutti questi processi, energia prodotta per lo più bruciando enormi quantità di carbone.

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Apparato di soccorso a ossigeno a circuito chiuso te­desco
Draeger modello 1916/1917. Il primo modello fu
commercializzato nel 1903 e subì successivamente quattro
modifiche arrivando in ultimo al modello 1916/1917.
Era sicuramente uno dei più affidabili e fu usato largamente
in tutto il mondo. (da Self-contained mine rescue
oxygen breathing apparatus, Bureau of Mines, Washington 1929).

La sua estrazione avveniva in miniere che si moltiplicavano a vista d’occhio e con esse cresceva anche il numero degli incidenti e dei minatori coinvolti nelle viscere della terra. Incidenti dovuti alla presenza, naturale in questi giacimenti, del grisou, un gas inodore e incolore contenente prevalentemente metano, molto infiammabile che già a una percentuale intorno al 7/10% costituiva una miscela esplosiva molto potente. L’accumulo di questo gas nelle gallerie provocava spesso delle esplosioni e degli incendi che rendevano la miniera impraticabile per lo sviluppo dei fumi tossici. Proprio per prestare soccorso ai minatori coinvolti in questi incidenti, si sviluppò quindi l’autorespiratore a ricircolo di ossigeno che permetteva di addentrarsi in ambienti invasi da gas tossici senza correre il rischio di rimanerne avvelenati. Erano facili da usare, assolutamente pratici perché autonomi e non necessitavano di manichette di rifornimento da trascinarsi appresso.

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Apparato inglese a ossigeno a circuito chiuso Fleuss-Proto
costruito dalla Siebe & Gorman. Derivava da uno dei primi
autorespiratori a ossigeno a circuito chiuso ideato dal
pioniere inglese Henry Albert Fleuss nel 1878/79. Venne
adottato principalmente dalle forze armate in­glesi e
americane (da Self-contained mine rescue oxygen
breathing apparatus, Bureau of Mines, Washington 1929).

L’operatore respirava l’ossigeno fatto affluire all’interno di un “sacco polmone” secondo la tecnica del circuito chiuso. In pratica, si inspirava l’ossigeno posto all’interno di questo sac­co e, sempre nello stesso sacco, veniva espirata l’aria proveniente dai polmoni, ric­ca quindi di anidride carbonica e con il residuo ossigeno non utilizzato. Il gas espirato pri­ma di arrivare nel sacco polmone passava at­traverso un filtro riempito di un composto chimico a base di soda che serviva a trattenere la dannosa CO2.

Al sacco erano collegate una o più bombole di ossigeno che lo facevano affluire nel sacco in quanto necessario a reintegrare quello consumato du­rante la respirazione. In questo modo si pote­va respirare senza contatto con l’atmosfera esterna, dove potevano essere pr­esenti i gas venefici. Sfogliando libri e cataloghi dell’epoca vediamo come la maggior parte di questi autorespiratori venisse prodotta dalle stesse aziende molto attive nel campo subacqueo e cioè nella produzione di apparecchiature da palombaro. E’ evidente che l’esperienza cumulata nella ricerca sulle apparecchiature di immersione favoriva tutto quello che ruotava sui sistemi di respirazione.

 

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Apparato americano a ossigeno a circuito chiuso McCaan.
Raccoglieva le esperienze tedesche e inglesi in un
autorespiratore molto compatto (da Self-con­tained mine
rescue oxygen breathing apparatus, Bureau of Mines, Washington 1929).

 

Dall’uso “terrestre” a quello subacqueo il passo fu breve, anche se la cosa, in fin dei conti, non prese un grande sviluppo. Infatti, l’uso dell’ossigeno puro come gas respiratorio per le apparecchiature subacquee poneva forti limiti per la sua tossicità se respirato sotto pressione. Inoltre non si riusciva a vedere l’utilità operativa di un uomo sott’acqua munito di tale autorespiratore così limitato (non dimentichiamoci che le pinne non erano ancora state sviluppate), per lavorare sott’acqua l’attrezzatura riconosciuta era solo lo scafandro da palombaro e niente avrebbe potuto prenderne il posto. L’unico uso che se ne fece fino alle soglie della seconda Guerra Mondiale fu quello di autorespiratore di emergenza per la fuoriuscita dai sommergibili in avaria. Per vederlo trasformato da brutto anatroccolo in cigno dovremo attendere il genio di due italiani che indirettamente ne decreteranno il successo.

Sono interessanti i disegni del brevetto dell’apparato di respirazione a ossigeno a circuito chiuso depositato da Fleuss nel 1879. Come si può evincere dal disegno, attraver­so l’uso di uno scafandro da palombaro modificato, era stato previsto anche un uso subacqueo per questo di­spositivo. Fleuss non fece altro che migliorare e rende­re fruibile quanto già ideato verso la metà del 1800. In­fatti, a tale periodo si possono ricondurre le prime rea­lizzazioni di un autorespiratore a circuito chiuso costi­tuito da bombole di ossigeno e un contenitore con all’interno i reagenti chimici in grado di fissare la CO2.

aro fleuss

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Si trattava dell’apparato del francese Sandala del 1842 e di quello di un altro francese, de Saint-Simon Siccard del 1849. Le prime sperimentazioni subacquee di questi apparati furono spesso rischiose e sarà solo nel 1879, grazie a Paul Bert, che si chiariranno gli aspetti di tossicità legati alla respirazione di ossigeno puro sotto pressione.

Fine prima parte – continua 

Fabio Vitale

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