Un miliardo e mezzo per le basi navali: il progetto "Basi Blu" della Marina Militare

Una notizia dal sito "Info Difesa"

basi logistiche

Lo scorso 12 gennaio Palazzo Chigi ha trasmesso alle Camere lo schema di decreto sul programma pluriennale di ammodernamento delle basi navali della Marina Militare italiana, denominato "Basi Blu". L'esecutivo chiede ora il parere delle Commissioni Difesa di Camera e Senato su questo importante provvedimento che, se approvato, consentirà di rinnovare e potenziare le capacità logistiche e infrastrutturali strategiche per la Marina.

Cosa prevede il programma

Il programma "Basi Blu", che rientra nella pianificazione del Ministero della Difesa contenuta nel Documento Programmatico Pluriennale per il triennio 2023-2025, nasce dall'esigenza di adeguare le strutture delle principali basi italiane ai più moderni standard NATO, in modo da rendere più efficiente l'accoglienza e il supporto alle unità navali italiane ed estere. Gli interventi previsti mirano soprattutto ad ampliare gli spazi disponibili per l’ormeggio delle navi, mediante l’allungamento di banchine e moli, ma anche a potenziare i servizi logistici essenziali come lo scarico acque e rifiuti, la distribuzione di carburanti e l’adeguamento delle reti elettriche.

Quali basi interessate?

Taranto. L'intervento - già parzialmente finanziato con il Fondo di sviluppo e coesione nell'ambito del Contratto istituzionale di sviluppo dell'area di Taranto - prevede il dragaggio dei fondali e il consolidamento strutturale delle banchine della Stazione Navale Mar Grande di Taranto, nonché l'ampliamento della stessa, con la realizzazione di due nuovi moli, di cui uno che sostituirà un molo già esistente ma non più rispondente al requisito, inoltre, verranno adeguati i principali impianti presso tutti i posti d'ormeggio presenti nella Base.

La Spezia. L'intervento prevede di incrementare la capacità ricettiva della base navale e di ottimizzare gli spazi esistenti. Le attività infrastrutturali includono il dragaggio dei fondali, la ristrutturazione degli approdi esistenti e l'ampliamento del numero di ormeggi disponibili (attraverso la costruzione di nuovi moli e il banchinamento di spazi attualmente non necessari). Contemporaneamente verranno adeguati anche gli impianti elettrico, idrico, dati e imbarco combustibile presso tutti i posti d'ormeggio.

Augusta. L'intervento prevede una serie d’interventi finalizzati all'ammodernamento delle opere marittime e dei servizi in banchina presso le aree tecnico-operativa (banchina Tullio Marcon) e tecnico logistica (tra cui l'Arsenale). Si prevede anche la realizzazione di una struttura operativa per l'Ufficio operazioni portuali, presso il compendio logistico-alloggiativo di Campo Palma.

Basi secondarie e di supporto logistico. L'intervento prevede l'ammodernamento delle infrastrutture, delle opere marittime e dei servizi in banchina della base di Brindisi, finalizzato all'ormeggio e al supporto logistico principalmente delle unità navali maggiori di nuova generazione impiegate per operazioni anfibie. E inoltre previsto l'adeguamento delle opere marittime, dei servizi e delle infrastrutture di supporto logistico e abitative presso le basi di supporto logistico destinate a ospitare il naviglio minore di nuova costruzione (Cagliari, Messina, Ancona, Venezia, Napoli e Livorno).

Tempi e Costi

Per quanto riguarda i tempi e i costi dell'operazione, secondo la scheda tecnica inviata alle Camere il programma avrà una durata complessiva di 11 anni, con presumibile avvio nel 2024 e conclusione nel 2033. L'investimento stimato ammonta a 1,76 miliardi di euro, di cui 559 milioni già stanziati nel bilancio del Ministero della Difesa. Per il restante finanziamento, necessario a completare tutti gli interventi, si farà ricorso a successive delibere di stanziamento che dovranno essere sottoposte al vaglio del Parlamento. Inoltre, per l’area di Taranto si conta di usufruire anche di 203 milioni di fondi europei contrattualizzati.

Ora la palla passa alle Commissioni parlamentari, cui spetta esprimere entro 40 giorni il proprio parere sul programma “Basi Blu". Se riceverà il via libera, si darà il definitivo avvio ad un ampio piano di ammodernamento infrastrutturale che andrà a vantaggio della operatività della Marina Militare e. al contempo, potrà rappresentare un'importante occasione di rilancio economico per l'industria italiana coinvolta nei diversi settori interessati ai lavori.

FONTE: INFO DIFESA

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L’Italia e la riscoperta del potere marittimo. Scrive l’Amm. Sanfelice di Monteforte

Come diceva oltre due secoli fa l’ufficiale di Marina napoletano Giulio Rocco, al naviglio di commercio va affiancata una flotta da guerra di adeguata capacità, contro i nemici piccoli e grandi del commercio pacifico e del mutuo rispetto in materia di sfruttamento dei fondali. L’analisi dell’ammiraglio di squadra Ferdinando Sanfelice di Monteforte.

cavour monteforte

Di Ferdinando Sanfelice di Monteforte | 04/02/2024

L’anno appena passato ci ha lasciato in eredità una serie di conflitti che hanno spaventato la nostra opinione pubblica, e l’hanno costretta a comprendere alcune verità che, per troppo tempo, erano state sottovalutate o, quanto meno, date per acquisite.

La prima di queste verità è che il nostro benessere dipende, per gran parte, dalla nostra industria manifatturiera. Siamo riusciti a migliorare la qualità di vita di una parte notevole della nostra popolazione grazie a questo indirizzo economico, che fu impostato quasi ottant’anni fa, e che ci ha reso uno dei dieci Paesi più prosperi al mondo.

La terza e ultima verità – quella in passato più trascurata dai media – è che la nostra attività di import-export avviene per la massima parte via mare. Il commercio internazionale marittimo, quindi, è al tempo stesso la fonte primaria della nostra esistenza e dell’economia nazionale e, per converso la nostra principale vulnerabilità. Chi ci vuol male, quindi, non deve fare altro che chiudere uno dei due accessi al Mediterraneo, gli Stretti di Gibilterra e di Suez/Bab-el-Mandeb, e il gioco è fatto.

La nostra opinione pubblica e il mare

Pochi sanno che il concetto di Potere Marittimo è stato elaborato, per la prima volta, da un ufficiale di Marina napoletano, il comandante Giulio Rocco, il quale lo definì, nel lontano 1814, come, “nell’ordine politico una forza somma risultante da quella di una ben ordinata Marina Militare e di una numerosa Marina di Commercio” (Riflessioni sul Potere Marittimo, Lega Navale Italiana, 1911, pagina 1).

Questa definizione, ripresa mezzo secolo dopo da studiosi stranieri, indica bene la stretta connessione tra la Marina Militare e il commercio internazionale marittimo, ma non si diffuse in modo adeguato al di là dei ristretti circoli di governo. Alcuni nostri governanti, a dire il vero, avevano chiara la nostra dipendenza dal mare, tanto da istituire, poco dopo la nascita del Regno d’Italia, il Ministero della Marineria, che per decenni si occupò sia della componente marittima militare sia di quella mercantile.

Inoltre, già nel 1914 un nostro presidente del Consiglio, Antonio Salandra, dimostrò di capire bene le implicazioni strategiche di questa nostra dipendenza, tanto da affermare che, in quell’anno, “non erano venute meno le ovvie ragioni per le quali a noi era impossibile partecipare a una guerra contro Francia ed Inghilterra alleate; non l’estensione delle nostre coste indifese e delle nostre grandi città esposte; non il bisogno assoluto di rifornimenti per via di mare di cose essenziali all’economia nazionale ed alla vita stessa: grano e carbone soprattutto” (La Neutralità Italiana, Mondadori, 1928, pagg. 92-93).

Purtroppo, nel primo dopoguerra questa realtà fu trascurata, tanto che noi ci alleammo alla potenza continentale, la Germania, contro le Potenze marittime. Fu infatti, nella Seconda Guerra Mondiale, un vero miracolo che l’Italia resistesse tre anni, senza importazioni via mare di cibo e di materie prime.

Le Potenze Marittime, infatti, avevano avuto buon gioco nel tagliarci da ogni fonte di approvvigionamento oltremare, con effetti devastanti sulla nostra economia. Valga, a titolo di esempio, l’osservazione dell’ammiraglio Luigi Rizzo, presidente dei Cantieri dell’Adriatico durante il conflitto, il quale scrisse: “Ringrazio Dio che non dobbiamo lavorare sulla (corazzata) Impero, poiché l’impresa sarebbe impossibile avendo gli approvvigionamenti a gocce per poter rispettare i programmi di lavoro” (Giorgio Giorgerini, Da Matapan al Golfo Persico, Mondadori, 1989, pag. 549). Ovviamente, se l’industria bellica languiva, ancora più drammatica era la situazione delle industrie in generale, visto che non arrivavano i minerali, ma – quel che è peggio – non arrivava neanche il grano, e la fame divenne ben presto endemica.

Finita la guerra e iniziata la ricostruzione, la nostra opinione pubblica non si accorse che il nostro miracolo economico era in gran parte legato al mare, e si preoccupò solo della minaccia terrestre proveniente dal Patto di Varsavia, attraverso Tarvisio e la “Soglia di Gorizia”.

La frustrazione di chi aveva il compito di proteggere la prima fonte del nostro benessere, il commercio internazionale marittimo, fu tale che un Capo di Stato Maggiore della Marina scrisse, negli anni della Guerra Fredda, a proposito della nostra opinione pubblica: “le signore sono convinte che il mare serva per farci (sic) i bagni e i mariti credono che fatto e spedito il prodotto, tutto sia finito. Invece l’incerto ha principio proprio in quel momento. Se, arrivato al bagnasciuga, il prodotto non prosegue e non è ricambiato dalla materia prima che consente di continuare a lavorare, si muore di fame” (Virgilio Spigai, Il problema navale italiano, Vito Bianco Editore, 1963, pag. 23).

Fortunatamente, la realtà dei fatti, prima o poi, si impone all’attenzione generale e la nostra opinione pubblica ha acquisito una consapevolezza che solo qualche decennio fa non si pensava potesse conseguire.

Il primo aspetto che è balzato all’attenzione generale è che il commercio internazionale è un sistema estremamente fragile, ed è esposto a offese non solo da parte delle Grandi Potenze, le cui Marine militari sono un elemento di pressione notevole, ma anche da piccoli attori, statuali o meno, che possono sfruttare i punti sensibili delle rotte commerciali, in particolar modo le strettoie (in inglese choke points, ovvero strozzature), come è avvenuto pochi anni fa nello Stretto di Hormuz e avviene ora a Bab-el-Mandeb.

Il secondo aspetto, ancora non del tutto recepito, è che il mare è fonte di ricchezza, non solo per le proprie risorse ittiche, ma anche per i minerali e le fonti energetiche ricavabili dai fondali marini, diventati disponibili grazie alle tecnologie di estrazione sviluppate in questi ultimi decenni.

Le ricchezze fanno gola a chi non le possiede, o non è in grado di utilizzarle, e questo è vero per gli individui e, soprattutto, per gli Stati. Da qui la serie infinita di contenziosi tra nazioni confinanti sull’estensione della piattaforma continentale e della connessa Zona economica esclusiva (Zee), che garantisce allo Stato che ne esercita la sovranità il diritto esclusivo di sfruttamento.

Naturalmente, vi sono le Nazioni marittime che cercano di limitare queste rivendicazioni, in nome della libertà dei mari, e altre, invece, che tendono a “territorializzare” le acque prospicienti le loro coste.

A questo proposito, “non bisogna dimenticare che, per alcune Nazioni, i diritti di sovranità sugli spazi marittimi rappresentano interessi vitali, in quanto mettono in gioco la loro sopravvivenza economica, e quindi esse sono disposte a compiere atti che alla controparte potrebbero apparire sproporzionati” (come scrivo nel libro Guerra e mare. Conflitti, politica e diritto marittimo, Mursia, 2015, pag. 62).

Questa osservazione è ancora più vera se si parla della lotta per ampliare i propri spazi marittimi, rendendoli di uso esclusivo, quando questa non è solo animata da desiderio di ricchezza. In alcuni casi, infatti, alla rivendicazione a fini economici si aggiunge l’aspirazione a “santuarizzare” spazi marini, per evitare che potenze nemiche li possano utilizzare contro lo Stato litoraneo.

Detto questo, è bene vedere in quale situazione si trova la nostra amata Italia, che si sta proiettando sul mare, un elemento ricco di sorprese, nono sempre positive, sia per quanto riguarda il commercio, sia per quanto concerne le dispute sulle estensioni marine.

Le rotte del commercio

I mercantili che toccano i porti italiani seguono rotte ben definite, spesso con cadenza settimanale. Tra le navi di maggiori dimensioni, mentre le petroliere e le gasiere vanno direttamente ad attraccare agli appositi terminali, il traffico merci, ormai quasi tutto su container, si divide in due categorie: le navi più grandi passano dall’uno all’altro porto specializzato nello stoccaggio e transito, noto come “nodo” (Gioia Tauro ne è un esempio), dove lasciano un numero elevato di container e ne caricano altrettanti. Vi sono poi navi di dimensioni relativamente minori che collegano questi nodi ai vari terminali – porti la cui funzione è quella di consentire la distribuzione dei beni nell’entroterra, anche a centinaia di chilometri di distanza.

Le rotte alturiere maggiormente utilizzate per il nostro commercio intercontinentale sono, in primis, quelle che ci collegano al continente americano, nei due emisferi; poi viene la rotta energetica che parte dal Golfo di Guinea, e, soprattutto, la rotta che consente l’interscambio con l’Asia.

Le ultime due, ormai da almeno venti anni, sono sempre più mal frequentate, da pirati o da chi vuole esercitare pressione su di noi interrompendo o rallentando il commercio.

La rotta del Golfo di Guinea ha due problemi. Il principale è la vulnerabilità agli attacchi criminali delle navi mercantili, costrette a lunghe soste in attesa di trovare un ormeggio; il secondo riguarda l’attraversamento dello Stretto di Gibilterra, per entrare dall’oceano Atlantico al Mediterraneo, soggetto alle periodiche contese tra Paesi litoranei – Spagna, Gibilterra a nord e Marocco a sud – e alla minaccia che organizzazioni terroristiche posero alcuni anni fa ai mercantili in transito (tanto che nell’ambito dell’Operazione NATO Active Endeavour nel 2003 venne istituita la task force STROG per scortare i mercantili attraverso lo Stretto di Gibilterra).

La rotta dell’Asia è ancora più esposta, in quanto presenta una serie di strettoie e di passaggi obbligati, il cui attraversamento avviene a bassa velocità. Dalla vicina costa, quindi, è possibile colpire i mercantili di passaggio con i mezzi più vari, che vanno dai missili costieri ai droni, aerei e navali, fino ai gommoni per abbordare una nave e saccheggiarla.

Queste strettoie sono lo Stretto di Malacca, la cui notevole lunghezza espone le navi che lo percorrono a prolungati attacchi dalla costa, lo Stretto di Hormuz, sbocco della rotta del petrolio dei Paesi del Golfo Persico, il Golfo di Aden e lo Stretto di Bab-el-Mandeb, che consentono l’accesso al Mar Rosso, e infine il canale di Suez che collega quest’ultimo al Mediterraneo.

Da vari anni, tutti questi passaggi, soprattutto quelli che ci collegano all’Asia, sono stati teatro di attacchi terroristici o criminali (pirateria). Questo ha costretto le Nazioni marittime a inviare navi da guerra per proteggere i transiti, nel modo migliore possibile. Oltre a questa minaccia, il rischio di un loro blocco per dissidi tra le maggiori potenze non va trascurato.

Anzitutto, la sicurezza dello Stretto di Malacca è curata dai Paesi litoranei, la Malesia, l’Indonesia e Singapore, che hanno finalmente deposto le asce di guerra e hanno costituito l’Organizzazione ReCAAP (Regional Cooperation Agreement on Combating Piracy and Armed Robbery against ships in Asia), collaborando per garantire un transito sicuro.

Va detto, però, che gli Stretti tra Malesia e Indonesia sono essenziali per la Cina, in quanto il suo fabbisogno energetico è in gran parte soddisfatto dagli idrocarburi provenienti dal Golfo Persico. Non a caso l’India, da decenni avversario della Cina, ha militarizzato le isole Andamane e Nicobare, prospicienti gli ingressi occidentali degli Stretti, in modo da bloccare, in caso di crisi, l’afflusso di combustibili al governo di Pechino.

L’attraversamento dello Stretto di Hormuz, poi, è stato più volte bloccato dai Paesi rivieraschi, tanto da dover essere protetto, dal 2020, dalle navi della Missione europea Agénor/EMASOH (European Maritime Awareness in the Strait of Hormuz), dopo gli attacchi a petroliere da parte dei Pasdaran iraniani.

Viene quindi il golfo di Aden, dove operano, fin dal 2008, altre navi europee nella missione Atalanta, per contrastare la pirateria che si era sviluppata oltremodo nel Corno d’Africa. È interessante notare come l’operazione si svolga in coordinamento con navi indiane, cinesi e russe, anche loro impegnate nella protezione dei mercantili nazionali.

Infine, lo stretto di Bab-el-Mandeb è oggetto, da circa tre mesi, di preoccupazione crescente, avendo i ribelli Houthi, che occupano la maggior parte del territorio di quello che un tempo era lo Yemen del Nord, iniziato ad attaccare giornalmente il traffico mercantile prima in modo selettivo, poi sempre più generalizzato.

Mentre gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno reagito a questi attacchi bombardando le postazioni degli Houthi lungo la costa, nell’ambito dell’operazione Prosperity Guardian, l’Europa punta a svolgere una missione, che dovrebbe chiamarsi Aspis (o Aspides), molto più prudente, essendo a carattere puramente difensivo, per la protezione dei mercantili, sulla falsariga delle altre due operazioni in atto.

Non va dimenticato, alla fine, il Canale di Suez, che rimase bloccato per alcuni anni, dopo le guerre tra Israele e i Paesi arabi, e ora viene talvolta messo in crisi dalla scarsa manovrabilità delle navi che lo percorrono, e tendono a bloccarlo, mettendosi di traverso nel canale, nei giorni di vento forte.

Inutile dire quali sarebbero le conseguenze di una interruzione prolungata della rotta asiatica sulla nostra economia. Come si è visto prima nel 2008 a causa della pirateria e ora, in questi ultimi mesi per gli attacchi degli Houthi, ogni interruzione provoca un brusco aumento dei prezzi di trasporto, per effetto sia dei costi assicurativi, sia dei percorsi più lunghi compiuti dalle navi per evitare le zone di pericolo. Il percorso alternativo, nel nostro caso, è la circumnavigazione dell’Africa, comunemente chiamata la “Rotta del Capo” di Buona Speranza, che costringe le navi a rimanere per mare altri 7-10 giorni, con conseguente aumento dei costi di trasporto.

Ma quello che noi Italiani dobbiamo sapere è che questa “Rotta del Capo” induce i mercantili ad approdare più di frequente nei porti dell’Europa atlantica, che richiedono un percorso minore. I nostri porti, quindi, perderebbero il vantaggio di cui godono, essendo utilizzati non solo a fini nazionali, ma anche per rifornire le aree industrializzate dell’Europa Centrale.

Queste ultime, infatti, qualora fosse sbarrata la rotta attraverso il mar Rosso, ricorrerebbero ai trasporti terrestri provenienti dai porti che si affacciano sull’Atlantico, anziché dai terminali marittimi italiani della Liguria e del Triveneto. Il danno per l’economia italiana sarebbe quindi duplice.

Non bisogna, infine, dimenticare le possibili conseguenze indirette, per la stabilità del Mediterraneo, di un ricorso generalizzato alla “Rotta del Capo”. Tra le altre, un calo sensibile dei transiti attraverso il Canale di Suez priverebbe l’Egitto di uno tra i principali cespiti del Paese, causando una crisi economica devastante, simile a quella che colpì la Nazione nel 2008.

Un Egitto nuovamente in crisi, come avvenne in quegli anni, sarebbe una specie di fiaccola capace di dar fuoco alle polveri delle tensioni interne ai Paesi litoranei del Mediterraneo, con effetti drammatici sulla stabilità dei loro governi, proprio nel momento in cui l’Europa e in particolare l’Italia cercano di potenziare l’interscambio con i Paesi africani.

I contenziosi sulle acque litoranee

Un altro aspetto da considerare è la infinita serie di contenziosi, non tutti mantenuti a livello diplomatico, tra i Paesi contigui che devono delimitare le rispettive acque territoriali, ma soprattutto i confini delle Zone Economiche Esclusive.

Concentrandoci sui mari vicini a noi, va riconosciuto, anzitutto all’Italia il merito di avere definito – o di essere sulla via della definizione – in modo civile i limiti delle nostre acque territoriali e i confini delle Zee con i Paesi a noi contigui, anche favorendo le controparti in modo significativo, pro bono pacis.

Pochi altri Paesi mediterranei, purtroppo, hanno seguito il nostro esempio. Il Mediterraneo occidentale vede, anzitutto, il contenzioso tra Spagna e Marocco, che sono arrivati persino a contendersi uno scoglietto, noto come isola Perejil (isola del prezzemolo), posto nelle vicinanze dello Stretto di Gibilterra. A questo si aggiunge proprio la questione di Gibilterra, rivendicata dalla Spagna che la perse nel lontano 1703, ma non ha mai rinunciato definitivamente al suo possesso.

Nel Mediterraneo Centrale, poi, è irrisolto il contenzioso tra Libia e Tunisia per la delimitazione delle Zee, in una zona che è stata esplorata ed è risultata ricca di petrolio sotto il fondale marino. Non vanno poi dimenticati i contenziosi sulle zone di pesca tra noi e la Libia, con periodici sequestri di nostri pescherecci.

Passando al Mediterraneo Orientale, si entra in una miriade di accordi incrociati e di contenziosi senza fine: la Turchia e la Libia, tanto per iniziare da uno dei più recenti episodi, si sono spartite l’enorme zona di mare tra i due Paesi, senza riguardo per i diritti dell’Egitto e della Grecia sull’area.

Vi è poi il contenzioso ormai secolare tra Grecia e Turchia per le acque territoriali e per la Zee del mare Egeo e delle acque intorno all’isola di Creta.

Vi è quindi la disputa per le acque intorno all’isola di Cipro, quella che riguarda Siria, Israele, Egitto e Libano, per la delimitazione delle rispettive Zee, in un tratto di mare i cui fondali sono risultati ricchissimi di gas naturale.

Non parliamo poi dei mari lontani. I contenziosi sono tali e tanti che, periodicamente, il dipartimento di Stato americano pubblica un opuscolo – ormai arrivato alla quarta edizione – nel quale viene indicata la posizione del governo di Washington su ognuna di queste rivendicazioni, citando anche quanto serie siano le dispute con i vicini  (Limits in the Seas. United States response to excessive natopnal maritime claims).

Tra queste, le più gravi sono quelle che hanno luogo nell’Asia Orientale, perché non hanno solo il carattere di disputa economica, ma rivestono un’importanza strategica per l’intera area.

Uno tra gli Stati che hanno avanzato le rivendicazioni più numerose, alcune delle quali decisamente controverse è la Cina, che sta compiendo sforzi notevoli, anzitutto, per militarizzare gli arcipelaghi delle Spratly e Paracel, una catena di isolotti apparentemente di scarsa importanza, ma che per la presenza di risorse energetiche nei fondali che li circondano sono rivendicati da tutti i Paesi limitrofi, dall’Indonesia alle Filippine, fino al Vietnam.

La Cina pretende il possesso di questi arcipelaghi, in nome di diritti risalenti al Medio Evo. Qualora la pretesa fosse accettata, bisogna dire, la Cina potrebbe rivendicare come acque interne tutto il mar Cinese Meridionale, impedendo il passaggio di navi da guerra di altri Paesi. Non a caso, gli Stati Uniti e alcuni loro alleati svolgono periodicamente passaggi in forze con le loro navi, compiendo quelle che vengono chiamate Freedom of Navigation Operations (Operazioni per la libertà di navigazione), scontrandosi ogni volta con la Marina cinese che cerca di disturbare il transito.

Appare chiaro, quindi, che questa rivendicazione, insieme alla disputa con il Giappone sulle isole Senkaku/Diaoyutai e alle minacciose dichiarazioni del governo di Pechino nei confronti dell’Isola di Taiwan, rientri non solo nella categoria dei contenziosi economici, bensì nella volontà di creare una fascia marittima di sicurezza intorno alla Nazione, che comprenda quella che uno stratega cinese ha definito, anni fa, la “prima catena di Isole”, che – purtroppo per la Cina – è costituita da isole che appartengono o sono rivendicate da altri Paesi.

In definitiva, con buona pace della Nuova Via della Seta, tanto reclamizzata dal governo di Pechino come ponte che dovrebbe unire e coinvolgere numerose Nazioni e agevolare relazioni amichevoli, la Cina sta procedendo per accaparrarsi il meglio dei mari del Sud Est asiatico. Questa tendenza ha avuto come effetto l’avvicinamento all’Occidente di quasi tutti i Paesi dell’area, timorosi delle pressioni cinesi.

Un breve cenno, poi, va fatto sui contenziosi riguardanti i mari del Nord e, in particolare, l’Oceano Artico, nel quale la riduzione della superficie ghiacciata ha riacceso le rivendicazioni da parte delle Potenze litoranee, specie dopo che la Rotta del Nord, prima quasi impraticabile, è aperta per un numero sufficiente di mesi all’anno. Anche in quell’area le risorse sono abbondanti e la voglia di sfruttarle è elevata. Fortunatamente, i Paesi litoranei si sono convinti sul fatto che l’ambiente artico è estremamente fragile, per cui hanno accettato limitazioni allo sfruttamento delle acque e dei fondali marini. Ciò non toglie che oggi, come ai tempi della Guerra Fredda, i sottomarini nucleari delle Grandi Potenze lo frequentino fin troppo, per assicurare la deterrenza contro l’avversario.

La corsa agli armamenti navali

Non è un caso che la Cina non si limiti a rivendicare tratti di mare e isole in misura sempre maggiore, ma stia preparandosi a sostenere con la forza le proprie pretese, creando una Marina tra le più potenti al mondo.

Questo sviluppo preoccupa non solo i vicini, e in particolar modo il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan, ma anche l’Occidente, con gli Stati Uniti in prima fila. A questi si unisce, come si è visto, tra un tentativo di dialogo e una scaramuccia di confine, il governo dell’India, che sta prendendo sul serio la minaccia cinese, e sta costruendo uno strumento navale che sia competitivo con quello avversario, oltre a militarizzare – come si è visto – le isole Andamane e Nicobare, dalle quali si possono agevolmente bloccare lo Stretto di Malacca e gli altri passaggi tra il mar Cinese Meridionale e l’Oceano indiano, attraverso gli stretti indonesiani.

In sintesi, l’Asia sta diventando un settore nel quale la tensione in campo marittimo tenderà a salire nei prossimi anni, e il rumore delle cannonate tra navi delle parti contrapposte potrebbe far fuggire il commercio, chiudendo una rotta che per l’Italia è una tra le più importanti per il benessere della sua popolazione.

Conclusioni

L’attenzione dell’opinione pubblica italiana si è rivolta verso il mare decisamente più tardi, rispetto ad altri Paesi a noi vicini: basti pensare che in Francia si parla da anni di “marittimizzazione dei conflitti” per indicare lo stato sempre più precario dei rapporti tra nazioni marittime, e in Gran Bretagna si accenna sempre più spesso al “Secolo Blu”.

Queste espressioni, che nascondono situazioni per nulla rassicuranti, devono convincere la nostra opinione pubblica che il mare, più di prima, è un terreno di scontro e, nel migliore dei casi, di competizione. Farlo diventare un’area di collaborazione, come avviene, purtroppo, in casi ancora limitati, è per noi un’esigenza irrinunciabile. Senza pace non c’è commercio e noi da questo dipendiamo per la nostra economia e qualità di vita.

Bisogna ricordare quanto disse, oltre due secoli fa, Giulio Rocco, che avvertiva la necessità di affiancare al naviglio di commercio una flotta da guerra di adeguata capacità, contro i nemici piccoli e grandi del commercio pacifico e del mutuo rispetto in materia di sfruttamento dei fondali.

In questo, con la nostra storia di diplomazia e di mediazione, possiamo fare molto per “calmare le acque agitate”, ma dobbiamo ricordarci che una mediazione senza capacità di pressione con mezzi militari è destinata al fallimento. La nostra Marina, ancora una volta, viene chiamata a svolgere un compito di primaria importanza.

FONTE: FORMICHE.NET

 

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Il comando delle forze di contromisure mine verso l’Unmanned and Aritficial Intelligence

Il comando delle forze di contromisure mine verso l’Unmanned and Aritficial Intelligence

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30 gennaio 2024 Mirko De Sanctis

​Il Comando delle Forze di Contromisure Mine da oltre un decennio è orientato allo studio, sperimentazione, creazione ed implementazione di team funzionali per l'impiego di veicoli autonomi subacquei e di superfice, impiegati in maniera assidua nelle più svariate attività di settore.

Recentemente è stata acquisita da parte di questo Comando specialistico la nuova posizione di Undersea Unmanned System Planner, quale elemento di Staff della Task Force 59 della U.S. Navy che ha al suo interno una serie di elementi di Staff provenienti da diverse nazioni, come Canada, UK, Francia, Corea del Sud, Spagna e Italia.

Tale figura permetterà di ampliare le competenze del Comando americano, nel campo dell'impiego di veicoli autonomi subacquei e di superficie con particolare riguardo alla Mine Countermeasures Warfare. Nello svolgimento del suo incarico egli fungerà anche da Ufficiale di collegamento con la TF 52 (Mine Countermeasures Task Force), altra eccellenza della Quinta Flotta americana, unità che opera attivamente da tempo con assetti autonomi subacquei.

La TF 59, prima nel suo genere nella U.S. Navy, ha come obiettivo principale la sperimentazione, l'impiego operativo di nuovi prototipi unmanned (nei diversi domini di competenza: aerea, marittima e subacquea) integrati con una logica A.I. (Artificial Intelligence), in uno scenario reale e alquanto complesso.

A suggellare il periodo di missione dell'Ufficiale italiano, la partecipazione diretta all'esercitazione Digital Vanguard, dove ha potuto operare, pienamente integrato nella Task Force, nella condotta di una flotta di veicoli autonomi, vivendo un'esperienza formativa irripetibile e professionalmente impareggiabile, che gli hanno permesso di acquisire competenze, expertise e prospettive uniche del mondo unmanned e dell'intelligenza artificiale.

FONTE: NOTIZIARIO DELLA MARINA ON LINE

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Tra le opzioni dell’Operazione Aspides comando greco e aerei CAEW italiani

Articolo di approfondimento dal sito Analisi Difesa

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Come era stato anticipato, pur senza conferme ufficiali, sarà probabilmente la Grecia ad assumere il comando dell’Operazione Aspides varata dall’Unione Europea nel Mar Rosso. Anche se l’ufficializzazione verrà resa nota solo il 19 febbraio a Larissa avrà sede il quartier generale dell’operazione che schiererà probabilmente anche un comando in teatro operativo affidato al comandante delle forze (incarico che verrà probabilmente assegnato a rotazione semestrale tra un contrammiraglio italiano e uno francese) con sede probabilmente a Gibuti, dove è presente una base navale francese che ospita a tempo pieno un centinaio di militari e civili per assistere le navi militari in transito che può essere rapidamente rafforzata e si trova di fatto a poche decine di miglia dalle coste yemenite.

La Grecia “proporrà di assumere il comando della Missione europea nel Mar Rosso” ha detto ieri il ministro della Difesa greco, Nikos Dendias, al suo arrivo a Bruxelles per l’informale dei ministri della Difesa. Il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, riferendo alle Commissioni Difesa di Camera e Senato, ha spiegato che il comando greco dell’operazione è stato concordato tra tutti i ministri della Difesa della Ue (nella foto sotto) ma verrà ufficializzato dai ministri degli Esteri UE il 19 febbraio.

L’incarico ad Atene non sembra scaturire dal numero o dalla qualità delle navi della Marina Greca assicurate all’Operazione Aspides ma da ragioni più politiche. Atene sembrava infatti sul punto di aderire all’operazione a guida statunitense Prosperity Guardian inviando una fregata, come affermò il ministro Dendias il 22 dicembre scorso: possibile quindi che Bruxelles le abbia assicurato il comando in cambio dell’adesione all’operazione europea.

Crosetto ha reso noto inoltre che l’Italia sta valutando l’invio di assetti aerei con compiti di sorveglianza e raccolta dati nel Mar Rosso, oltre a quello di una nave che, con rotazione semestrale, sarà sempre presente garantirà.

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Per assicurare adeguata copertura radar alle navi, esplorare a distanza lo spazio aereo e il territorio dello Yemen ed intercettare le comunicazioni viene valutato l’invio di un velivolo Gulfstream G550 CAEW (nella foto sopra) del 14° Stormo dell’Aeronautica Militare con sede a Pratica di Mare (Roma), già impiegati nell’ambito di missioni nel fianco Est della NATO e soprattutto coinvolti, insieme ad altri aerei alleati, nell’identificazione e localizzazione dei bersagli colpiti in Crimea da missili e droni ucraini.

La presenza degli aerei italiani nei pressi della costa rumena, registrata da siti che tracciano il traffico aereo come Itamilradar ha spesso anticipato gli attacchi ucraini contro porti e aeroporti russi in Crimea.

L’impiego di tale velivolo, rischierato probabilmente nella base aerea francese di Gibuti (Base Aérienne 188 Djibouti che ospita solitamente 4 aerei da combattimento Mirage 2000-SF, alcuni aerei da trasporto CASA CN235 ed elicotteri Puma) potrebbe limitare la disponibilità di velivoli dello stesso tipo per le missioni sul Mar Nero considerato che i velivoli CAEW in servizio con l’Aeronautica sono solo due.

Per compiti di sorveglianza, ricognizione e Intelligence (ISR) potrebbero forse venire impiegati velivoli a pilotaggio remoto MQ ) Reaper (noti anche come Predator B) del 32° Stormo dell’Aeronautica sempre da rischierare a Gibuti

GIBUTI

Gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso sono dei veri e propri attacchi di natura militare e minacciano la nostra stabilità economica. Useremo almeno una nave militare e aerei di ricognizione, ma servono più risorse”, ha spiegato Crosetto, sottolineando che la situazione nel Mar Rosso è critica e “la presenza italiana potrebbe essere di grande aiuto”.

Tuttavia, ha aggiunto Crosetto, l’invio di assetti aerei richiede una pianificazione accurata e una valutazione dei rischi. “La crisi del Mar Rosso va vista come effetto del conflitto in atto nella Striscia di Gaza, ma ha una portata molto più ampia.  Siamo nel mezzo di un conflitto ibrido globale che si gioca contemporaneamente su più fronti in differenti parti del mondo, in Medio Oriente, nell’Indo-Pacifico e nella guerra tra Russia e Ucraina”.

In particolare, Russia, Iran e Corea del Nord “hanno un potenziale produttivo di armi e sistemi d’arma che preoccupa e che non è avvicinabile a quello dei Paesi occidentali, ma è molto superiore”. E gli stessi Houthi, avvisa il ministro della Difesa “sono il gruppo più organizzato dell’entourage iraniano, molto più di Hezbollah, hanno capacità propria di produzione di armi, hanno resistito per anni agli attacchi di Arabia Saudita ed Emirati Arabi”. Al punto che “valgono dieci volte Hamas” e negli ultimi due mesi hanno sferrato oltre 30 attacchi contro mercantili in transito.

Crosetto ha poi auspicato “la partecipazione di Paesi arabi moderati che volessero unirsi a questo sforzo collettivo di sicurezza ed anche dell’India”, nazioni che si sono rifiutate di aderire all’operazione anglo-americana Prosperity Guardian protagonista di diverse incursioni aeree e missilistiche sulle postazioni Houthi nello Yemen.

Le navi militari europee faranno deterrenza e proteggeranno il traffico marittimo “mantenendo uno stretto coordinamento con l’altra missione Ue Atalanta, con cui Aspides condividerà parte dell’area d’operazioni, pur con distinzione di compiti, e con Prosperity Guardian”, ha aggiunto Crosetto. “Per ora gli assetti europei comprenderanno un minimo di tre unità navali, supporto intelligence e logistico, capacità di Early Warning aereo, protezione cyber, supporto satellitare e Comunicazione strategica in supporto alla cosiddetta Information Warfare”.

german air defense frigate hessen deploys to aegean

Ieri Berlino ha reso noto che la fregata Hessen (classe Sachsen tipo F124- nella foto sopra) salperà dalla base a Wilhelmshaven l’8 febbraio per far rotta sul Mar Rosso, dove arriverà alla fine del mese per integrarsi nell’Operazione Aspides raggiungendo le FREMM Martinengo italiana e Languedoc francese. Secondo la sottosegretaria alla Difesa tedesca Siemtje Moeller, l’Ue deciderà l’avvio delle sue operazioni nel Mar Rosso entro il 19 febbraio e “immediatamente dopo”, il Bundestag potrebbe approvare con procedura d’urgenza l’invio della Hessen nel Mar Rosso.

@GianandreaGaiani

Foto: Aeronautica Militare, Bundeswehr e Ministero Difesa italiano

 

GGaiani Gianandrea Gaiani Vedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

FONTE: ANALISI DIFESA

News Marina Militare,, Tra le opzioni dell’Operazione Aspides comando greco e aerei CAEW italiani

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Il contributo italiano alle operazioni della NATO per il controllo dei fondali nel Mediterraneo

Articolo di approfondimento dal sito ANALISI DIFESA

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 di Massimo Vianello* (CESMAR)

La fine dello scenario geopolitico caratterizzato da un mondo diviso in blocchi, che facevano riferimento alle due superpotenze USA e URSS, è stato sostituito da quella che è stata comunemente definita globalizzazione ovvero una società internazionale basata sulla interdipendenza delle economie nazionali. L’instabilità dei mercati, derivanti dall’inizio delle guerre commerciali e della pandemia da SARS-Cov-2, ha fatto parlare di “Governo mondiale dell’emergenza”[1], “Globalizzazione flessibile”[2] e di “Mondo post-globale”[3].  Tutto ciò si è ulteriormente complicato con lo scoppio delle ostilità in Ucraina.

In uno scenario così complesso sono emerse evidenti vulnerabilità e la dimensione subacquea ha acquisito sempre più importanza in quanto oggetto di contese, sfruttamento e competizione oltre che di rivalità e pertanto anche un terreno aperto alle sfide tecnologiche.

È sufficiente osservare come oltre il 95% delle telecomunicazioni del pianeta viaggi attraverso cavi sottomarini e che, per esempio, l’ENI estragga idrocarburi da piattaforme offshore situate nei mari prospicienti 17 differenti paesi, per capire come in tale ambito l’ambiente marino rivesta un ruolo fondamentale nella interconnessione dei popoli, nel flusso di merci e capitali nonché nella fornitura di servizi.

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Tracciato dei cavi sottomarini per le telecomunicazioni (Submarine Cablemap).

Di conseguenza, l’esistenza della minaccia portata da organizzazioni terroristiche e le azioni riconducibili a conflitti di media o vasta estensione che si ripercuotono anche sulle economie di paesi terzi, hanno richiamato l’attenzione sull’importanza di esercitare un’attenta azione di vigilanza dei fondali marini, necessaria per la difesa delle infrastrutture subacquee, altrimenti note come “infrastrutture critiche – CUI (Critical Undersea Infrastructure)” ivi giacenti (gasdotti, cavidotti[4], piattaforme estrattive e altro) e degli interessi economici a esse correlati.

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Tracciato dei principali gasdotti. (L’EGO-HUB)

Il controllo dei fondali

In tale contesto la NATO, dopo il sabotaggio del gasdotto Nord Stream nel Mar Baltico, avvenuto nel settembre 2022, ha rivolto la sua attenzione sulla sorveglianza e la protezione delle infrastrutture subacquee strategiche.

È così che, nel febbraio 2023, è stata istituita la “CUI Coordination Cell” presso il Quartier generale della NATO e la SNMCMG2 (Forza navale di contromisure mine standing della NATO) è sempre più frequentemente impegnata in operazioni di controllo dei fondali del Mare Mediterraneo[5].

Il Comando nazionale delle forze di contromisure mine (MARICODRAG), che con le sue unità cacciamine esprime una spiccata capacità di esplorazione dei fondali marini, consente alla Marina Italiana di fornire, in tale ambito, un prezioso contributo all’Alleanza che si è recentemente evidenziato durante il periodo di comando italiano della SNMCMG2, chiusosi il 12 gennaio 2024.

In tale periodo sono state effettuate operazioni subacquee per il controllo del gasdotto TRANSMED che collega l’Algeria alla Sicilia, attraversando la Tunisia (agosto 2023); del gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline) che provenendo dall’Azerbaijan, connette, nell’ambito di un progetto europeo d’interesse comune, Grecia e Italia, via Albania, presso Melendugno (dicembre 2023) e delle condutture del rigassificatore OLT (Offshore. LNG. Toscana), al largo di Livorno, sempre nel dicembre 2023.

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Formazione di Cacciamine della Nato

La professionale capacità operativa che oggi la Marina Militare è in grado di fornire alla NATO deriva dalla precedente esperienza, maturata a partire dal 2022, dopo il sabotaggio del Nord Stream sino ad oggi. Sino da allora la Marina Militare ha stabilito di effettuare un’operazione nazionale denominata “Fondali Sicuri” a sua volta inquadrata nel più ampio contesto della “Mediterraneo Sicuro”, dove è stato periodicamente monitorato, oltre ai già menzionati gasdotti, anche il Green Stream che collega la Libia con la Sicilia, presso Gela.

Data la considerevole estensione delle infrastrutture subacquee di interesse strategico, si è reso necessario ricorrere al concorso di tutti quei vettori quali le navi o aerei impegnati anche in altre attività o missioni, oppure in trasferimenti, per il riporto di eventuali natanti sospetti in relazione alla loro posizione nelle acque sovrastanti cavidotti o condutture subacquee.

La fusione delle informazioni presso la centrale operativa della Squadra Navale, dove confluiscono ulteriori riporti e dati, ha consentito di ottimizzare l’impiego di assetti capaci di operare nella dimensione subacquea per il monitoraggio di quanto avviene sotto la superficie del mare.

Allo stato attuale il compito di operare nelle dirette prospicenze delle infrastrutture è assegnato ai cacciamine (con il concorso di sottomarini, navi antisom, unità idro-oceanografiche nonché unità appoggio operazioni subacquee).

La rilevanza della Componente di Contromisure Mine

Il cacciamine è un mezzo, per sua natura, deputato a esplorare il fondo del mare impiegando ecogoniometri ultracustici ad alta frequenza con portata di scoperta modesta ma con un elevato potere di definizione che consente di localizzare e discriminare oggetti di piccole dimensioni e quindi, all’occorrenza, anche eventuali ordigni esplosivi posti in prossimità delle infrastrutture subacquee.

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Centrale Operativa di un Cacciamine

Da sempre è equipaggiato con ROV (Remotely Operayed Vehicles) in grado di identificare otticamente gli oggetti sul fondo e più recentemente anche con AUV (Autonomous Underwater Vehicles) organici e non organici che, essendo equipaggiati con Side Scan Sonar[6] e di Syntetic Aperture Sonar[7] di ultima generazione, ampliano la portata di scoperta ed incrementano, in taluni casi, la profondità di esplorazione fino ai 3000 m.

Sia i ROV (veicoli subacquei filoguidati) che gli AUV (veicoli autonomi) rientrano nella più ampia categoria degli UUV (Unmanned Underwater Vehicles) più comunemente noti presso l’immaginario collettivo come “droni subacquei” e rappresentano l’assetto qualificante per la protezione delle infrastrutture critiche.

Per un più proficuo impiego degli unmanned, questi devono operare rispetto ad una piattaforma di riferimento dotata di adeguate apparecchiature acustiche e predisposizioni che consentano di espletare le fasi preliminari di esplorazione e scoperta e il successivo controllo distante, esercitato a seconda delle modalità ed opzioni di utilizzo contemplate da ciascun specifico drone.

Inoltre, alla fase di sorveglianza ed ispezione potrebbe seguirne una successiva di intervento, volta ad eliminare l’eventuale minaccia riscontrata.

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AUV tipo “Remus”

Peraltro, il cacciamine, oltre alle buone capacità di esplorazione e di ispezione, costituisce un’ottima piattaforma d’appoggio per le operazioni subacquee in senso lato, grazie alla sua capacità di mantenimento della posizione rispetto al fondo (posizionamento dinamico) ed alle sue predisposizioni per la messa a mare e recupero di mezzi e per il supporto alle immersioni di operatori sub. Non va infine trascurato il fatto che, in caso di scenari ad alto rischio, può vantare anche un elevato shock factor dello scafo (capacità di resistenza a esplosioni ravvicinate).

Uno dei tipici modus operandi dei reparti di CMM consiste nel condurre periodiche operazioni di Route Survey per l’esplorazione del fondo lungo le principali SLOC (Sea Line of Comunication) volte a mantenere costantemente aggiornata la situazione dei cosiddetti NoMBO (Non Mine Bottom Objects).

Tale situazione all’evenienza consente, lavorando “per differenza”, di velocizzare il rinvenimento degli ordigni sul fondo per poi passare all’eventuale successivo intervento.

La situazione aggiornata dei fondali periodicamente esplorati viene archiviata presso il MWDC (Mine Warfare Data Center) di MARICODRAG (Comando delle forze di contromisure mine) che costituisce una importante banca dati per il supporto di successive operazioni.

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AUV medio “Hugin 1000”. Messa a mare per una pipeline survey 

La trasposizione di tale metodo di lavoro nei confronti dei tracciati di cavidotti o condotte, evidenzia che non solo le caratteristiche generali del cacciamine lo candidano ad assumere un ruolo di rilievo nelle operazioni per la protezione delle infrastrutture, ma anche il criterio stesso del suo impiego.

La componente CMM nazionale, oltre ad essere la prima utilizzatrice di ROV nell’ambito della Marina, all’atto pratico, ha guidato l’introduzione in servizio degli AUV e degli USV (Unmanned Surface Vehicles)[8], creando un nucleo di personale e mezzi ri-dislocabile o imbarcabile e installando, a bordo di un cacciamine, un AUV medio tipo “Hugin” di spiccate capacità operative, in grado di esplorare in tempi brevi vaste e profonde zone del fondo marino con un ottimo potere di risoluzione.

MARICODRAG, che raduna sotto di sé oltre agli assetti di CMM anche quelli idro-oceanografici (alcuni dei quali condivisi con il NATO/CMRE) [9], rappresenta, in tale frangente, un moltiplicatore di forze in termini di sinergie e moduli operativi da destinare all’evenienza alle operazioni di protezione delle CUI, come pacchetto a sé stante o come risorsa da integrare in un più ampio dispositivo navale, a seconda della complessità dello scenario.

Prospettive future

L’impatto che il sabotaggio o il danneggiamento delle condotte subacquee può determinare enormi danni alle forniture energetiche con i conseguenti effetti in cascata sulle economie dei paesi. Il taglio, la manomissione o l’uso improprio dei cavi sottomarini può inoltre causare effetti vari sui flussi di informazioni, ivi incluse le transazioni finanziarie. Tutto ciò ha portato la NATO, l’UE e le nazioni interessate a intraprendere opportune azioni volte a fronteggiare tale minaccia non solo nell’immediato, ma anche per i tempi a venire.

In ambito nazionale questo ha portato a sviluppare piani di ammodernamento e rinnovamento dello strumento navale che recepiscono il requisito operativo della capacità di protezione delle infrastrutture critiche. Le azioni intraprese sono in sintonia con il rilievo che il Piano del Mare, promulgato dal Comitato interministeriale per le politiche del mare (CIPoM),[10] attribuisce alla dimensione subacquea e mirano a colmare, in tale ambito, i limiti dei mezzi concepiti per le tradizionali forme di lotta sotto la superficie.

Il programma pluriennale per la costruzione dei Cacciamine di Nuova Generazione (CNG) prevede per questi mezzi la dotazione di una maggiore e diversificata capacità unmanned modulare[11]. Inoltre, una aliquota delle 12 unità previste sarà connotata da caratteristiche di dislocamento e apparato di propulsione tali da consentirne una adeguata aggregazione ai reparti navali dislocati nelle aree del “Mediterraneo Allargato”, al di fuori delle acque di normale gravitazione, laddove sussistano interessi nazionali da tutelare che richiedano la ricognizione e la sorveglianza dei fondali.

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Con i programmi NFS (Near Future Submarine) e NIOM (Nave Idro Oceanografica Maggiore) la capacità unmanned, che allo stato attuale è quasi completamente concentrata sulle unità di CMM, verrà estesa anche ai nuovi sottomarini e alla nuova nave idrografica.

I programmi SDO – SuRS (Special Diving Operations – Submarine Rescue Ship) e UBoS (Unità per Bonifiche Subacquee) porteranno a disporre di piattaforme dotate di predisposizioni tecnologicamente avanzate per il supporto delle operazioni subacquee, tra le quali l’impiego di veicoli sub unmanned imbarcati oltre che degli operatori sub.

Il piano di ammodernamento dei mezzi e sistemi dovrà essere accompagnato da ulteriori iniziative nel campo della ricerca e sviluppo, della dottrina operativa nonché da collaborazioni con il comparto civile dell’offshore e con le compagnie di telecomunicazioni.

A livello europeo, nell’ambito della PESCO (Permanent Structured Cooperation: Cooperazione nel comparto difesa tra stati membri della UE), l’Italia nella sua veste di coordinatore del progetto CISP (Critical Seabed Infrastructure Protection) sta supportando uno studio, a cui partecipano anche ditte italiane, mirato alla realizzazione di garage subacquei dove gli AUV potrebbero effettuare la ricarica elettrica della batteria senza la necessità di essere recuperati a bordo, aumentando di conseguenza l’indice di disponibilità sul fondo del mare[12].

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Risulta essere inoltre in corso di valutazione la possibilità di analizzare il ritardo di fase nel segnale che transita nelle fibre ottiche dei cavi sottomarini, determinato dal segnale acustico nelle acque circostanti, per rilevare l’eventuale presenza in zona di mezzi estranei.

Parallelamente, l’EDA (European Defense Agency) sta conducendo uno studio volto a sciogliere le dicotomie sullo status giuridico e sulle norme di sicurezza in mare inerenti ai droni marittimi (MUS)[13].

In ambito nazionale, con l’intento di coordinare gli sforzi degli enti di ricerca militari e civili e dell’industria nel campo del cosiddetto underwater, è stato istituito il “Polo nazionale della dimensione subacquea” a guida Marina Militare.

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Inoltre, in accordo al già citato Piano del Mare, si prevede entro il 2024 l’istituzione di un’”Autorità Nazionale per il Controllo delle Attività Subacquee” che, disponendo della conoscenza dell’ambiente subacqueo da un punto di vista idro-oceanografico, geofisico e dei siti antropici, potrà esercitare nelle aree di giurisdizione un adeguato controllo dello spazio subacqueo. In tale ambito verrà regolamentato l’accesso ai mezzi preventivamente classificati e certificati, coordinandone il traffico al fine di evitare interferenze con le attività militari e la sovrapposizione di attività civili nella medesima zona.

Infine, corre l’obbligo di evidenziare come, alla luce dell’estensione dei cavidotti e condotti sottomarini, la condivisione di mezzi e sistemi assume un’importanza strategica. Ciò porta a tenere in debita considerazione le possibili forme di cooperazione non solo nell’ambito NATO e UE ma, quando possibile, anche nei confronti del comparto industriale del settore dell’offshore che da sempre opera con UUV destinati a compiti di ricognizione, ispezione e manutenzione.

Analoga importanza assumono le cooperazioni con le compagnie di telecomunicazioni proprietarie dei cavi in cui transita il traffico internet, come quella siglata dalla Marina Militare con l’italiana TIM-Sparkle per la condivisione delle mappature dei fondali e la segnalazione di eventuali danneggiamenti della rete.

Foto: Marina Militare Marina Spagnola, NATO, Hii, e IMMSI

L’Ammiraglio Massimo Vianello ha frequentato la Scuola Navale F. Morosini e l’Accademia Navale. Ha conseguito la qualificazione in Armi Subacquee e la specializzazione in Contromisure Mine. Nel 1994 ha frequentato il “Mine Warfare Staff Officer Course” presso la Scola di Guerra di Mine Belga/Olandese EGUERMIN (Ostenda -Belgio). Nel 1996/97 ha frequentato il Corso Superiore di Stato Maggiore presso l’Istituto di Guerra Marittima (IGM) di Livorno e successivamente il Corso Superiore di Stato Maggiore Interforze presso l’ISSMI a Roma.

Tra il 2003 ed il 2006, durante il periodo di servizio presso l’Ufficio Lotta sotto la Superficie del Reparto SPMM dello Stato Maggiore Marina, ha rivestito anche gli incarichi di: Chairman dello “Specialist Team for Harbour Protection Trials”, di rappresentante nazionale presso i gruppi di lavoro tecnici ed operativi della NATO sulla guerra di mine (NNMWG ed NG3/MCG3) nonché presso l’EDA (European Defence Agency). E’ stato il comandante del MSC Mandorlo, MHC Gaeta, fregata Maestrale e di Nave Vespucci. Nel grado di Contrammiraglio, ha comandato le Forze di CMM (Contromisure Mine) ed il 29° Gruppo Navale. Ha partecipato alle operazioni: Golfo Persico 1, Allied Force e Mare Nostrum. Dopo la cessazione del servizio permanente, ha scritto alcuni saggi e articoli di carattere storico e tecnico operativo sulla guerra di mine.

NOTE

[1] Alessandro Colombo, Il Governo mondiale dell’emergenza, Milano, Raffaello Cortina Ed., 2022.

[2] Pankaj Ghemawat, La globalizzazione flessibile, come affrontare i mercati nell’era delle nuove guerre commerciali, Padova, Poste Editori, 2018

[3] Mario Deaglio a cura di, Il Mondo post-globale, Milano, Guerini e Associati, 2022.

[4] A loro volta i cavi possono essere telefonici, riguardare il trasferimento di dati oppure il trasporto di energia elettrica. (N.d.A.).

[5] Analogamente la SNMCMG1 (Forza navale di contromisure mine standing della NATO normalmente operante fuori dal Mediterraneo) è stata impiegata in operazioni di sorveglianza e protezione nei mari del Nord Europa. (N.d.A.).

[6] Ecogoniometro a scansione laterale. (N.d.A.).

[7] Ecogoniometro ad aperture sintetica, Il cui principio di funzionamento consiste nel combinare elettronicamente impulsi successivi (‘ping’) in modo da creare artificialmente le condizioni per aumentare la risoluzione in azimut. (N.d.A.).

[8] Veicoli autonomi di superficie che, nella fattispecie, possono rimorchiare sensori di scoperta subacquei. (N.d.A.).

[9] CMRE: Centre for Maritime Research and Experimentation, situato a La Spezia. (N.d.A.).

[10] Approvato dal Consiglio dei ministri per il triennio 2023 – 2025, in data 31 luglio 2023. (N.d.A.).

[11] Programma pluriennale di A/R nr. SMD 08/2022, ediz.2022. Durata complessiva del programma: 2023 – 2037. (N.d.A.).

[12] Tom Kington, Seafloor drone garages? Italy weighs new tools to protect vital cables, in Defense News, 19 luglio 2023.

[13] MUS: Maritime Unmanned Systems (Categoria che ingloba sia I veicoli autonomi di superficie che quelli subacquei). (N.d.A.).

FONTE: ANALISI DIFESA

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Conferenza navale di Parigi

Conferenza navale di Parigi

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31 gennaio 2024 Redazione Web

​Il 25 gennaio 2024 il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio Enrico Credendino, ha preso parte alla seconda edizione della Conferenza Navale di Parigi, insieme agli ammiragli Nicolas Vaujour, Capo della marina francese, Lisa Franchetti, Capo della marina americana, Ben Key, Capo della marina inglese e Rajesh Pendharkar in rappresentanza del Capo della marina indiana.

Argomento della conferenza è stato il ruolo dei gruppi portaerei negli scenari attuali e futuri e la valenza strategica intrinseca di questa capacità, che configura una formidabile integrazione dei quattro strumenti del potere di un Paese (diplomatico, informativo, militare, economico) ed è un dispositivo altamente versatile e flessibile per proiettare gli interessi nazionali o di una coalizione su scala globale, fornendo al decisore politico un ampio spettro di opzioni per esercitare influenza.

I Capi delle marine hanno condiviso la determinazione a rafforzare le sinergie e le iniziative, sia sul piano tecnico che operativo, utili a perseguire una crescente interoperabilità dei gruppi portaerei, con l’obiettivo di raggiungere nel tempo una vera e propria intercambiabilità degli assetti.

La Marina Militare è molto impegnata in questo processo, partecipando con il gruppo portaerei Cavour, in modo continuativo, alle multi carrier operations insieme ai gruppi portaerei americani, inglesi, francesi e spagnolo. Sono altrettanto significativi i lavori condotti nell’ambito della European carrier group interoperability initiative, solida base per guardare con ottimismo il raggiungimento dei traguardi prefissati.

FONTE: NOTIZIARIO DELLA MARINA ON LINE

 

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