Equipaggio di una nave portoghese si rifiuta di seguire vascello russo, e non hanno tutti i torti
News Marina Militare,, ATTUALITÀEquipaggio di una nave portoghese si rifiuta di seguire vascello russo, e non hanno tutti i torti
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Di Jean Valjean
Una nave militare portoghese si ammutina e metà dell’equipaggio si rifiuta di proseguire nell’inseguimento di ua nave russa nell’Atlantico. Però non si deve pensare ad un nuovo “Caso Bounty” e al capitano Blight, ma, molto più banalmente, c’è un caso di cattiva organizzazione delle attività della NATO. La nave Mondego aveva ricevuto l’ordine di seguire il rompighiaccio militare russo Akademik Tryoshnikov che si trovava nei pressi di Madeira in direzione sud, Un’attività comune alle navi NATO che seguono, “Shadowing”, le navi russe in Atlantico e Mediterraneo. Il problema è che il Mondego veniva da una lunghissima serie di missioni Frontex nel corso degli ultimi 500 giorni, cosa che aveva stressato al massimo la nave e aveva impedito di effettuare le normali attività di manutezione a bordo. Il risultato è che la nave da guerra portoghese era in cattivo, con uno dei due motori “a riposo” e uno dei tre generatori ugualmente non funzionanti, con un alto rischio di trovarsi senza propulsione in pieno Atlantico. A questo punto metà dell’equipaggio si ribella e nove marinai e quattro sottufficiali si rifiutano di proseguire la missione, obbligando la Marina a richiamare la nave in porto. I 13 ammutinati consideravano la missione a rischio a causa della probabilità di nuove avarie, anche se la missione stessa non consisteva in altro che il semplice inseguimento di una nave russa fino a che non avesse lasciato le acque di competenza portoghese. I 13 marinai ora rischiano “azioni disciplinari” per aver scelto la prudenza e aver evidenziato “gravi limitazioni tecniche che compromettono la sicurezza del personale e del materiale”. Tra l’altro non siamo in guerra, non vengono richiesti atti di inutile eroismo e si trattava di seguire una nave russa tutto sommato innocua. Questo sembra un ammutinamento di “Buon senso” contro ordini piuttosto assurdi. Quindi dovremmo farci una domanda: la NATO vanta la marina più potente del mondo. Possibile non ci sia un vascello USA, francese, britannico, spagnolo o italiano in grado di svolgere questo compito tutto sommato banale? Bisogna mandare in mare una nave in avaria, perché bisogna raschiare il fondo del barile? Immaginiamo per un attimo una situazione in cui la Mondego sia partita, e qualcosa sia andato terribilmente storto, in una missione in cui tutto ciò che era richiesto era “seguire una nave fuori dalle acque portoghesi”. In altre parole, se si è trattato di un ammutinamento, potrebbe essere stato un ammutinamento di “buon senso” che, nel peggiore dei casi, avrebbe potuto salvare la Marina da spese considerevoli. Questi tredici militari hanno agito giustamente secondo coscienza per salvare vite e mezzi della Marina portoghese, eppure rischiano di essere messi sotto accusa. Nello stesso tempo questa vicenda ci ricorda come non si può avere una marina militare efficiente e fare tagli al bilancio e austerità a tutti i costi.
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In un precedente articolo abbiamo raccontato la storia di un gruppo di sommergibili tedeschi dislocati di fronte alle coste americane alla fine della seconda guerra mondiale, ed accennato la storia dell’affondamento del PE-56. Oggi raccontiamo la ricerca del relitto ed il suo recente ritrovamento.
Questa nave minore della Marina statunitense (USN) fu completata nell’ottobre 1919 e designata, il 17 luglio 1920, pattugliatore caccia sommergibili USS PE-56.
Durante la seconda guerra mondiale, l’unità lavorò principalmente in supporto alla flotta e, il 28 febbraio 1942, l‘USS Eagle PE-56 raccolse i naufraghi dell’USS Jacob Jones (DD 130) che era stato affondato dall’U-578 (Rehwinkel) al largo di Cape May.
Come abbiamo accennato in un articolo precedente, nel 1945, nove sommergibili tedeschi, appartenenti al Gruppe Seewolf, furono dislocati nelle acque statunitensi con il compito di attaccare il traffico mercantile. La loro presenza preoccupò fortemente la Marina americana, anche a causa di notizie parzialmente vere, di una loro dotazione missilistica (con i V-2) intesa ad attaccare il territorio americano. Fu un’abile campagna di disinformazione che comportò la creazione nell’abito della USN di due task force (Barrier Force), ciascuna composta da due portaerei ed oltre venti cacciatorpediniere di scorta per la caccia ai battelli subacquei tedeschi. Il possesso di un’apparecchiatura cifrante ENIGMA permise all’intelligence ed agli analisti operativi della decima flotta statunitense di tracciare i movimenti del Gruppe Seewolf attraverso l’oceano Atlantico, facilitati dalla possibilità di intercettare e di comprendere i messaggi quasi contemporaneamente alla loro trasmissione.
Ciononostante i sommergibili tedeschi, che erano all’oscuro di questa capacità alleata, furono comunque in grado di colpire molte unità nemiche. Oggi raccontiamo la storia dell’ultima missione dell‘USS Eagle PE-56, che il 23 aprile 1945, mentre era in supporto a delle esercitazioni dell’aviazione di Marina al largo di Portland, Maine, fu silurato da un sommergibile tedesco.
Il sommergibile tedesco U 583 che presumibilmente affondò l’USS Eagle – P 56
Intorno a mezzogiorno, la piccola unità fu sconvolta da un’esplosione a mezza nave ed in breve tempo i resti del pattugliatore affondarono, portando con se molti membri dell’equipaggio. I pochi naufraghi si resero subito conto che vi erano solo 13 sopravvissuti. Nell’inchiesta della USN, cinque di essi affermarono di aver visto in lontananza la torretta di un sommergibile con un emblema rosso e giallo. La USN non accettò però l’ipotesi di un siluramento dell’unità e concluse che si era trattato di un’esplosione accidentale di una caldaia.
Paul Lawton, un avvocato appassionato di subacquea e storia navale di Boston, scoprì che in quel periodo un sommergibile tedesco, l’U-853, si trovava nelle acque del Maine e, caso curioso, il suo emblema dipinto sulla torretta era proprio di colore rosso e giallo, cosa che confermava la testimonianza dei sopravvissuti, avvalorando l’ipotesi dell’affondamento a causa di un siluro tedesco. Nel 2000, Paul Lawton contattò Garry Kozak, uno specialista nella ricerca sottomarina, per ricercare i resti del PE-56 e nell’estate fu effettuata una prima ricerca nell’area stimata dell’affondamento, utilizzando un moderno sonar a scansione laterale.
Kozak e Lawton analizzano l’area di presunto affondamento
Sebbene la ricerca non ebbe successo, la USN annullò le conclusioni della commissione di inchiesta (scoppio di una caldaia), in attesa di determinare quali potessero essere state le cause dell’affondamento del PE-56. Di fatto Kozak non si diede per vinto e, nei successivi sei anni, continuò le sue ricerche, scoprendo altri relitti ma nessuna traccia del pattugliatore.
Valutazioni delle aree di incertezza. Immagine per gentile concessione di Garry Kozak
Come era possibile? Un bel rebus da risolvere considerando che nella documentazione dell’inchiesta era stata stabilita con una certa precisione la posizione dell’evento. Tra l’altro, i dati di posizione erano stati validati da due stazioni a terra, che avevano fornito distanze e rilevamenti molto vicini, e da tre navi che avevano osservato l’esplosione della nave e ne avevano stimato il punto di inabissamento. L’area di incertezza intorno alla posizione stimata doveva essere quindi limitata e, anche considerando eventuali errori di misura, si sarebbe attestata intorno alle 37 miglia quadrate. Kozak, si rese presto conto che l’area non poteva essere così ampia e che qualcosa era andato storto .durante i passaggi con il sonar. Potevano quindi esserci semplicemente passati sopra senza vederlo, in quanto nascosto tra le ombre acustiche del fondale. Iniziò così un’analisi geologica attenta del fondale che presentava numerose asperità legate a massicci affioramenti rocciosi che potevano aver facilmente mascherato il relitto.
La complessa situazione geologica del fondale presentava numerose asperità
Il 5 maggio 2011, riesaminando i dati sonar, i ricercatori si accorsero che vi era un possibile oggetto in prossimità di alcuni grandi affioramenti rocciosi. C’era necessità di effettuare delle verifiche ottiche. Nel giugno del 2018 un gruppo di subacquei tecnici locali contattarono Kozak e chiesero di immergersi sull’oggetto che era stato notato nella sua rianalisi dei dati del sonar del 2011. I subacquei effettuarono l’immersione alla profondità di 82 metri e confermarono che si trattava della prua del PE-56. A breve distanza, a NE, si stendevano i resti della sezione di poppa della nave.
La scoperta del relitto
Dopo quasi settantanta anni questo cold case era stato finalmente svelato e l’esatta posizione del PE-56 e del suo equipaggio era finalmente nota, per ironia della storia, solo a circa 600 metri dalla posizione ufficiale stimata inizialmente dalla Marina.
Mappa sonar che mostra immagini sonar a 600 kHz di prua, della poppa e delle due caldaie
Le ricerche continuarono e il sito fu riesaminato il 27 luglio 2019 con un sonar a scansione laterale ad alta risoluzione, EdgeTech da 600 kHz, che fornì immagini sonar più chiare della prua e della poppa, comprese le sue due caldaie, che risultarono poi entrambe intatte. Un’informazione importante che confermò definitivamente che l’evento non era stato causato dall’esplosione di una delle due caldaie, come inizialmente concluso dalla prima inchiesta della USN, ed avvalorò l’ipotesi che l’affondamento fosse stato causato da un siluro tedesco. Si chiuse così uno dei tanti cold case dei drammi del mare.
Oggi una targa commemorativa della perdita del PE-56 e del suo equipaggio è in mostra a Fort Williams Park, Cape Elizabeth, nel Maine. Riposino in pace.
Andrea Mucedola
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Ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.
News Marina Militare,, Cold case: il ritrovamento del pattugliatore anti sommergibili USS Eagle P-56
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Nel mese di marzo 2016 si commemorò a Brindisi il centenario dell’arrivo dei MAS le cui silhouette dovevano diventare familiari per tutti i brindisini di varie generazioni che avevano imparato a riconoscerli quando solcavano le tranquille acque del porto con il loro inconfondibile rombo. Questi veloci mezzi venivano seguiti dalle loro imponenti onde fino alle rive delle spiagge, mentre raggiungevano i loro posti di ormeggio all’interno del porto militare. La loro presenza nella città di Brindisi durò fino agli anni settanta.
In quel tempo di guerra, Brindisi era la sede del Comando Superiore Navale del Basso Adriatico retto dal contrammiraglio Umberto Cagni, e il mare Adriatico era infestato dai temibili sommergibili austriaci che, con base nel porto di Durazzo, scorrazzavano facendo strage di convogli civili e di mezzi militari navali italiani.
Contrammiraglio Umberto Cagni
La genialità degli ingegneri navali italiani era però riuscita a inventare e quindi a progettare con l’ingegnere livornese Attilio Bisio, una speciale barca torpediniera lignea propulsa da un motore a scoppio da 40 cavalli. Un mezzo navale incredibilmente economico, velocissimo e versatile, con duecento miglia di autonomia, fornito di un cannoncino da 75 mm e, soprattutto, due potenti e letali siluri, che avrebbero potuto colpire il nemico con massima efficienza, in mare aperto così come nei suoi stessi porti. Il mezzo navale, realizzato in poco tempo nei cantieri navali della Società Veneziana di Automobili Navali (SVAN) a Venezia, fu chiamato con il suo acronimo MAS, “Motobarca Armata SVAN”, dal nome dell’azienda che per prima produsse quelle speciali imbarcazioni militari.
Oltre ai primi due prototipi (MAS 1 – Fig. 1 e MAS 2 – Fig. 2), si misero rapidamente in cantiere altre unità fino a costituire una prima squadriglia di otto MAS, affidata al tenente di vascello Alfredo Berardinelli con la missione di esplorazione, attacco e caccia ai sommergibili ed agli altri mezzi navali nemici, sfruttando il grande potere offensivo e il fattore sorpresa che implicava il suo impiego. Un’arma completamente sconosciuta al nemico che non ebbe mai un’idea esatta della sua effettiva potenzialità, tanto che talvolta gli attribuì anche qualità al disopra delle reali.
Era il 28 marzo 1916 e l’Italia era entrata nel suo secondo anno di guerra al fianco degli alleati dell’Intesa contro l’impero austro-ungarico, quando il MAS 3, di solo 8 tonnellate e 15 metri, giunse da Venezia a Brindisi su di un carro ferroviario. Presto lo raggiunsero altri cinque e poi altri 6, fino al completamento dell’intera flottiglia composta da 12 MAS.
Fig. 3 – il MAS 5 del comandante Berardelli e il MAS 7 del comandante Gennaro Pagano di Melito
Fu così che Brindisi divenne la base principale nel Basso Adriatico di quei mezzi navali, ri-denominati Motoscafi Armati Siluranti o le “Streghe”, come confidenzialmente erano soprannominati dagli equipaggi, perché capaci di apparire improvvisamente, assalire, colpire e allontanarsi velocemente, senza possibilità di essere intercettati dal nemico.
MAS 7, Fig. 4
Il 7 giugno di quello stesso anno 1916, il MAS 5 del comandante Berardelli e il MAS 7 del comandante Gennaro Pagano di Melito (Fig. 3 e Fig. 4), partirono dalla base di Brindisi e penetrarono la rada di Durazzo, affondando il piroscafo Lokrum; le due piccole e fragili imbarcazioni furono rimorchiate fino alle vicinanze di Durazzo da due torpediniere protette al largo da quattro cacciatorpediniere francesi. Perlustrando la baia, i due motoscafi avvistarono un piroscafo, evidentemente carico, ed ognuno lanciò un siluro, colpendo entrambi il bersaglio, ancorato a 150 e 250 metri di distanza. Meno di venti giorni dopo, gli equipaggi di quei due stessi MAS riuscirono a portare a termine un’altra missione nella notte tra il 25 e il 26 giugno, affondando nella stessa rada di Durazzo un altro piroscafo austriaco, il Sarajevo.
Nel frattempo, nell’Alto Adriatico, i MAS si riempirono di gloria; nel dicembre del 1917 i MAS 9 e 13 (Fig. 5), guidati rispettivamente, da Luigi Rizzo e Andrea Ferrarini, affondarono nella rada di Trieste la corazzata austro-ungarica Wien e danneggiarono la Budapest.
Nella base di Brindisi, durante tutto l’anno 1917, i MAS furono principalmente impiegati in operazioni di vigilanza e caccia ai sommergibili austriaci operanti nel Basso Adriatico e nei servizi di polizia costiera nelle acque prospicienti l’Albania. Nel 1918 arrivarono a Brindisi i MAS di nuova generazione, più pesanti meglio armati e con motori più sicuri e più silenziosi. Nella notte tra il 12 e il 13 maggio, i MAS 99 e100, comandati rispettivamente da Gennaro Pagano Di Melito e Mario Azzi, attaccarono un convoglio nemico e affondarono il piroscafo Bregenz di ben 4000 tonnellate.
Il Capo di Stato Maggiore della Marina austro-ungarica, ammiraglio Nikolaus Horthy, pianificò un’incursione contro lo sbarramento navale di Otranto che ostruiva l’accesso al mare aperto alla marina asburgica mantenendola confinata nell’Adriatico. Per quella missione, il 9 di giugno 1918, la squadra navale austro-ungarica con le corazzate Szent István e Tegetthoff salpò da Pola.
Fig. 6
Nel corso della Grande guerra ci furono numerose missioni per i MAS, alcune di successo e andate a vuoto; infine, in coincidenza con il secondo anniversario della prima missione, il 10 giugno del 1918, il MAS 15 (Fig. 6 e Fig. 7) del comandante Luigi Rizzo, affiancato dal MAS 21 del comandante Giuseppe Aonzo, affondò nelle acque di Premuda lungo le coste dalmate, la possente corazzata austriaca Szent István facendo entrare i MAS italiani nella leggenda.
Come ricorderete, all’alba del 10 giugno il capitano di corvetta Luigi Rizzo, impegnato con i Mas 15 e 21 in un’operazione di dragaggio di mine al largo dell’isolotto di Lutrosnjak, entrò fortuitamente in contatto con la flotta austro-ungarica e, sfruttando al meglio le caratteristiche dei MAS, grazie ad un coraggioso ed occulto avvicinamento spinto fino ameno di 500 metri di distanza, riuscì ad affondare la corazzata Szent István, fiore all’occhiello della marina nemica.
Il contraccolpo psicologico dell’azione ebbe ripercussioni talmente forti, da impedire nel corso della Grande guerra qualsiasi altra operazione navale alla monarchia mitteleuropea. L’azione è ancora ricordata dalla Marina militare italiana che festeggia il 10 giugno la sua festa.
Il poeta Gabriele D’Annunzio che, con Luigi Rizzo e Costanzo Ciano, aveva partecipato alla “Beffa di Buccari” del MAS 96 (Fig. 8), assieme ai MAS 94 e 95 (Fig. 9), nella baia a sud di Trieste nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918, non tardò a coniare per quegli intrepidi motoscafi il motto: Memento Audere Semper – Ricorda di Osare Sempre.
Conclusa la Prima guerra mondiale, molti MAS restarono di base a Brindisi, che ne accolse anche di nuovi e più efficienti. Da Brindisi i MAS furono impiegati anche nella Seconda guerra mondiale, alcuni di vecchia generazione, Tipo SVAN e Tipo Baglietto, altri d’ultima generazione, più veloci e più efficienti, che vennero denominati classe MAS 500. Se ne costruirono 76 unità in quattro serie successive della stessa Classe, identificati MAS 501 a MAS 576, che affiancarono i vecchi 24 MAS ancora in servizio, per un totale di 100 MAS.
Fig. 10
I mezzi di questa nuova classe 500 (Fig. 10 – Fig. 11 – Fig. 12) avevano un dislocamento da 23 a 30 tonnellate ed erano propulsi da motori Isotta Fraschini Asso 1000 con una potenza da 2000 a 2300 HP, che gli permetteva di sviluppare una velocità massima intorno ai 42-44 nodi. Erano armati di due lanciasiluri da 450 millimetri, con 6 a 10 bombe di profondità e con due mitragliere da 13,2 e 20 millimetri, con un equipaggio composto da 9 a 13 uomini.
Fig. 11
Fig. 12
Mentre la Regia Marina nella Prima guerra mondiale aveva prodotto circa 400 MAS, il loro numero nel secondo conflitto mondiale fu di molto minore perché, anche se molto veloci grazie al loro scafo stellato, erano poco marini e non potevano operare con il mare molto mosso.
Per questo motivo, la Regia Marina italiana incorporò, con l’identificazione iniziale da MAS 1D a MAS8D (Fig. 13), otto motosiluranti catturati nell’aprile del 1941 alla marina jugoslava: erano schnellboote, lunghi 28 metri e prodotti all’inizio degli anni ’30 in Germania che, a differenza dei MAS, avevano uno scafo ad U e, anche se leggermente più lenti, erano più robusti, sicuri, stabili e manovrabili, soprattutto in condizione di mare mosso.
Fig. 13
Quei mezzi furono replicati a Monfalcone, nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico tra il 1942 e il 1943, e se ne costruirono 36 Tipo MS CRDA da 60 tonnellate (identificati con MS 11 a MS 16, MS 21 a MS 26 e MS 31 a MS 36 quelli della prima serie e con MS 51 a MS 56, MS 61 a MS 66 e MS 71 a MS 76 quelli della seconda serie). I 6 dei mezzi jugoslavi, MAS 3D a 8D, furono riclassificati e identificati con MS 41 a MS 46. Questo portò il numero delle motosiluranti ad un totale di 42.
Anche durante la Seconda guerra mondiale, furono numerose le azioni condotte dai MAS e dai MS. Tra di esse quelle di maggior successo furono:
– il siluramento dell’incrociatore HMS Capetown l’8 aprile 1941 ad opera del MAS 213 comandato dal guardiamarina Valenza;
– l’affondamento nel Mar Nero del sommergibile sovietico Equoka il 19 giugno 1942;
– il danneggiamento dell’incrociatore russo Molotov a opera dei MAS 568 e 573 il 3 agosto 1942; l’affondamento a opera dei MS 16 e MS 22 il 12 agosto 1942 del modernissimo incrociatore HMS Manchester nella battaglia aeronavale di Mezzo Agosto nel Mediterraneo centrale; nel corso della stessa i numerosi MAS partecipanti affondarono anche i piroscafi Glenorchy, Saint Elisa, Rochester Castle, Almeria Likes e Wairangi;
– l’affondamento del cacciatorpediniere HMS Lightning sulle coste algerine, il 12 marzo 1943.
Al termine, dei pochi MAS e dei 15 MS CRDA superstiti, cinque vennero ceduti alle marine vincitrici: quattro all’Unione Sovietica e uno alla Francia mentre i rimanenti 9 continuarono a prestare servizio nella Marina Militare, destinati ad operare nelle acque dell’Adriatico e dello Ionio. In realtà vennero declassati a semplici motovedette in base alle clausole del trattato di pace e quindi armati solo con le mitragliere. Poi, il 1º novembre 1952, venute meno le clausole più restrittive del trattato, quei nove mezzi vennero riclassificati e riarmati di siluri, con la denominazione definitiva da 471 a 475 e da 481 a 484 dove il primo numero, il “4”, indicava “motosilurante”.
Da allora e per gran parte degli anni ’70, quei nove gloriosi MAS, modernizzati in versione motosiluranti MS e raggruppati nel Comando Motosiluranti (COMOS) di sede a Brindisi, continuarono la loro attività addestrativa. Ricordo che noi giovani brindisini di allora, li potemmo ancora ammirare sulle tranquille acque del porto fino alla loro sostituzione con mezzi navali molto più evoluti e sofisticati che rivoluzionarono le tattiche navali. Fu così che i MAS brindisini andarono in disarmo sostituiti da cannoniere e poi moderni aliscafi lanciamissili. Cinque di quei nove MAS furono posti in disarmo agli inizi degli anni ’60 e i quattro restanti (472 – 473 – 474 e 481, in formazione nella Fig. 14), vennero radiati nel 1979, a quasi quarant’anni dal loro varo.
Oggi, si conservano ancora due MAS della Prima guerra mondiale: il MAS 15 (Fig. 7) del due volte medaglia d’oro Luigi Rizzo, nel sacrario delle bandiere del Vittoriano a Roma, e il MAS 96 (Fig. 8) usato da Gabriele D’Annunzio, conservato nel Vittoriale degli Italiani a Gardone. Altri due MAS della Seconda guerra mondiale: il 472 è conservato a Marina di Ravenna e il 473 nel Museo Storico navale di Venezia.
Giancarlo Perri
Bibliografia
Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Roma
Fausto Leva, La Marina Italiana nella Grande Guerra – Vol. II, 1935
Erminio Bagnasco, I Mas e le motosiluranti italiane, 1967
Nino B. Lo Martire, Brindisi ieri oggi e domani, 1968
Giuseppe T. Andriani, La Base navale di Brindisi durante la Grande Guerra, 1993
Archivio di Stato di Brindisi, Il Castello, la Marina, la Città, 1998
Gianfranco PERRI, 100 anni fa arrivarono a Brindisi i MAS, 2016
Gianfranco PERRI, La Grande guerra e l’epopea dei MAS: Brindisi nei primi anni ’70 fu la loro ultima base – su 7 Magazine, Brindisi 11 febbraio 2022
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Gianfranco Perri è nato a Brindisi il 21 settembre 1951 e nel 1974 ha ottenuto la laurea in Ingegnería Mineraria ¨con Lode¨ nel Politecnico di Torino, dove ha anche esercitato la docenza. Attualmente è docente di “Progettazione di gallerie” presso l’Università Centrale del Venezuela di Caracas. È consulente e progettista di opere sotterranee nei vari paesi del Centro e del Sud America. Ha pubblicato due libri sulla progettazione di gallerie e un centinaio di paper tecnici e scientifici, in spagnolo, italiano ed inglese, la maggior parte dei quali presentati in convegni internazionali in molte regioni del mondo.
Nel 2009 a Bari, ha ricevuto il Premio Internazionale “Pugliesi nel Mondo” e nel 2010 dall’Università degli Studi di Foggia, è stato incluso tra i “Pugliesi illustri nel mondo”. Ma Gianfranco Perri è anche un appassionato studioso della storia di Brindisi e un suo impegnato divulgatore. Ha scritto diversi libri e saggi sulla storia di Brindisi ed ha pubblicato molti articoli sul quotidiano “Senzacolonne” e sul settimanale “il7 Magazine” di Brindisi e, dal 2013, ha attivo il Blog “Via da Brindisi” sul giornale online “Senza Colonne News”. Ha anche scritto vari articoli e saggi storici pubblicati, alcuni a stampa e altri online sulle pagine web www.fondazioneterradotranto.it www.academia.edu e www.brindisiweb.it
News Marina Militare,, Con la Grande Guerra iniziò a Brindisi l’epopea dei MAS
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Contributo a cura di Gaetano Tappino *
* segretario del “Collegio Ligure Pertiti Esperti e Consulenti”
SDO-SURS è la sigla del “Special & Diving Operations-Submarine Rescue Ship” questo e attualmente il nome del progetto della marina Militare che verrà realizzato dal cantiere navale genovese T. Mariotti in collaborazione di storiche aziende italiane precursori dei sistemi iperbarici “Drass Galeazzi”, una nave per soccorso a sommergibili in difficolta, con torretta di evacuazione dell’equipaggio e un impianto di saturazione da 12 sommozzatori per interventi fino a 300 metri.
La Galeazzi nata nel 1927 a La Spezia dal suo fondatore Roberto Galeazzi, ha iniziato a costruire i primi sistemi da immersione per i palombari del centro di formazione della Marina Militare nel golfo Spezzino. L’evoluzione è proseguita realizzando nei primi anni trenta, la prima Torretta Batoscopica normobarica con operatore, dagli spessi oblò, consentiva all’osservatore di dare indicazione a mezzo cavo telefonico al manovratore della gru dove posizionare le cariche di esplosivo per la demolizione sistematica, una volta riemersi, dopo l’esplosione, ritornavano in immersione per guidare la benna al recupero dei pezzi demoliti, torrette successivamente modificate con articolazioni di braccia e gambe.
Il successo internazionale delle torrette Galeazzi fu nel 1931, con il recupero nelle coste atlantiche europee di oltre quattro tonnellate di oro dalla nave “Egypt” alla profondità di 125 metri, operazione ritenuta all’epoca impossibile da realizzare, eseguito dalla SO.RI.MA società genovese fondata dal Commendatore Giovanni Quaglia nel 1926, con una delle prime nave per operazioni subacquee l’ ‘Artiglio’.
Nel 1939 venne all’attenzione di tutte le marinerie, il salvataggio dell’equipaggio del nuovo sommergibile statunitense Squalus, durante la prima uscita per le verifiche in mare, d’avanti alle coste della Virginia per un errore procedurale, si posò alla profondità di 80 metri senza la possibilità di riemergere, venne impiegato una torretta posizionata sulla nave Militare Falcon, un prototipo sviluppato da due ufficiali, Momsen e McCann, un sistema che poteva collegarsi con il supporto dei palombari, sul portello del sommergibile e trasferire al suo interno quattro militari alla volta salvando l’equipaggio con ripetute immersioni, dando impulso allo sviluppo dei sistemi di
evacuazione.
Nel 1999 La Galeazzi e la Drass leader nel mondo della costruzione di camere iperbariche, unirono le loro competenze convergendo in un’unica azienda la ‘Drass Galeazzi Underwater Technology’ proseguendo nell’evoluzione della tecnica dell’immersione in alto fondale con impianti di “saturazione”, veicoli sommergibili con operatore e a comando remoto, oltre camere iperbariche per uso medicale, dedicate all’ossigeno terapia per la cura di molteplici malattie, incidenti subacquei e domestici.
La nuova nave della Marina Italiana, sarà la prima tecnologicamente piu avanzata al mondo per l’interventi di soccorso a sommergibili in pericolo anche in posizione inclinata, con l’utilizzo di strumentazione elettronica unica appositamente realizzate.
Il ‘Saver’, sistema realizzato dalla collaborazione fra Drass e Saipem, per l’intervento in brevissimo tempo nel soccorso di sommergibili in avaria, l’intero equipaggiamento è suddivisibile in moduli e trasportabile per via aerea, ha comandi remoti, può essere impiegato nonostante situazioni meteomarine avverse, è in grado di collegarsi al sommergibile anche se inclinato riportando in piu riprese in superficie l’equipaggio. La progettazione della costruzione navale, garantisce alte prestazioni di velocità e stabilità, con posizionamento dinamico del punto fisso a mezzo satellitare. La scheda tecnica riportata sul sito della Marina Militare, indica una lunghezza di 120 metri per una larghezza di metri 22, un’autonomia di cinquemila miglia nautiche alla velocità di 16 nodi la rende agile e prontamente operativa, con 120 membri di equipaggio e una disponibilità fino a duecento posti letto.
La nave è dotata anche di sistemi scanner oceanografici di rilevamento dei fondali con una impressionante qualità di visualizzazione, oltre a particolari veicoli con comando remoto a cavo, provvisti di manipolatori e altri completamente autonomi senza ombelicale. Una nave che oltre alle operazioni militari della nostra Marina entra a pieno titolo nell’operatività delle forze alleate della Nato per interventi di calamità naturali e militari, un sistema medico sanitario per patologie subacquee garantisce l’intervento per gravi incidenti. Il cuore pulsante dell’unità, è l’impianto di ‘saturazione’, un sistema ad alta tecnologia che consente interventi a grandi profondità con O.T.S alto fondalisti (Operatori Tecnici Subacquei), apparati che si sono evoluti anche a seguito dell’impiego nel commercial diving off-shore per l’estrazione petrolifera.
Gli operatori della Marina Militare addestrati alle immersioni in alto fondale, seguono una procedura simile al commercial diving, entrando nell’impianto e pressurizzati alla quota operativa , trascorrono mediamente dai venti ai venticinque giorni consecutivi, a turno i tecnici subacquei entrano nella campana d’immersione che li porterà alla quota di lavoro, aperto il portello di accesso in mare, troveranno la stessa pressione dove sono esposti anche nell’impianto. Terminato il loro turno d’immersione rientrano nella campana che li riporterà nell’impianto di superficie sulla nave dove si clamperà mantenendo sempre l’equilibrio delle pressioni, consentendo il cambio con un altro gruppo.
Questa complessa operazione consente di operare continuamente h 24, sfruttando al massimo tutto il sistema compreso la nave appoggio, se pur a costi economici elevati, comunque danno la maggior resa fra costi e resa produttiva, potendo essere operativi anche per piu mesi consecutivi. Gli O.T.S , terminato il loro turno, in gruppi vengono sostituiti da nuovi ed il loro rientro in atmosfera avviene attraverso un sistema collegato all’impianto principale di camere pressurizzate dedicate alla decompressione, dove saranno lentamente sottoposti ad un graduale riduzione della pressione fino ad arrivare alla quota normobarica atmosferica, per dare un idea dei tempi, dopo un turno a cento metri per poter uscire dall’impianto necessitano circa tre giorni. L’Italia sin dai primi anni venti è stata pioniere dell’immersione e questo progetto, ci conferma leader delle attività subacquee.
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News Marina Militare,, “Diving e Rescue”: la subacquea e la cantieristica navale al servizio della Marina Militare
Pubblicato in News dalla Marina Militare .
Già il 26 agosto 1939, cioè già da prima dell’inizio delle ostilità, l’Ammiragliato britannico aveva preso il controllo dell’intera marina mercantile. Subito dopo il tragico affondamento della nave Athenia, il 3 settembre 1939, gli Alleati istituirono nel Nord Atlantico un sistema di scorta dei convogli per rendere più sicuri i rifornimenti alle isole britanniche. I convogli erano identificati da un codice bi-lettere seguito da una serie di numeri.
Bilettere da a
HX e SC Nuova Scozia Gran Bretagna
OA e OB Nord America Nord America
SL Sierra Leone Gran Bretagna
HG Gibilterra Gran Bretagna
OG Gran Bretagna Gran Bretagna
Erano quasi le 21:00 di mercoledì 7 maggio 1941, ed il convoglio O.B. 318, composto da 38 navi disposte su nove linee di fila, si trovava in posizione 61° 29′ N, 24° 30′ W (nei pressi dell’Islanda). La nave in comando tattico ordinò di accostare per 318, mantenendo una velocità di otto nodi. La navigazione era regolare grazie ad un mare calmo ed un cielo limpido con una buona visibilità. La luce era ancora alta nel cielo, per cui era possibile vedere con facilità tutte le navi del convoglio.
H.M.S. Bulldog, cacciatorpediniere
Alle 20:58, l’H.M.S. BULLDOG ottenne un contatto asdic a 1000 iarde ed accostò decisamente, passando attraverso il convoglio tra l’8a e la 9a linea di fila, nel tentativo di riprendere il contatto. Poco dopo, alle 21:15, la S.S. EASTERN STAR fu silurata, seguita nella stessa sorte 10 secondi dopo dalla S.S. IXION. Queste erano le navi di coda della 4a e 5a colonna e sembravano essere state attaccate sulla dritta.
H.M.S. Amazon, cacciatorpediniere
Vedendo le esplosioni, H.M.S. AMAZON, che si era portata in una posizione centrale davanti al convoglio, accostò a sinistra e aumentò a 20 nodi, passando tra la 3a e la 4a colonna del convoglio. Questo gli permise, nonostante l’alta velocità, di prendere un contatto ASDIC a circa 1700 iarde.
H.M.S. Rochester, sloop of war
Nello stesso tempo, alle 21:22, l’H.M.S. ROCHESTER riferì di aver avvistato un periscopio in direzione del contatto preso dall’H.M.S. AMAZON. Alle 21:38 l’H.M.S. BULLDOG riprese contatto e con l’H.M.S. AMAZON e l’H.M.S. ROCHESTER iniziò la caccia.
Il comandante dell’U 94, un sommergibile Type VII C, Kapitänleutnant Herbert Kuppisch al periscopio, 1941 – Bundesarchiv, Bild 101II-MW-3495-04 / Buchheim, Lothar-Günther
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Quella azione, perpetuata dal sottomarino tedesco U 94 con quattro siluri, comportò l’affondamento del cargo britannico S.S. IXION da 10.300 tonnellate e del cargo norvegese S.S. EASTERN STAR da 5.658 tonnellate.
La S.S. EASTERN STAR subì un forte incendio, ma il suo intero equipaggio fu raccolto da H.M.T. DANEMAN che procedette poi a ricongiungersi al convoglio alle 22:30. La S.S. MAILSEA MANOR e l’H.M.S. MARIGOLD salvarono invece i sopravvissuti della S.S. IXION.
H.M.S. Broadway, caccia
Fu ordinata un accostata di emergenza ed il 7° Gruppo di scorta si mantenne nei pressi del convoglio ad eccezione dell’H.M.S. BROADWAY che effettuò una ricerca sul fianco sinistro del convoglio prima di ricevere l’ordine di ricongiungersi al H.M.S. BULLDOG (21:40). La caccia continuò fino al 00:15 circa, quando il contatto subacqueo fu definitivamente perso. L’ 8 maggio 1941 il convoglio proseguì la sua rotta senza subire nuovi attacchi.
Intorno a mezzogiorno del 9 maggio 1941, il convoglio aveva rotta 220 e procedeva a 8 nodi. La visibilità era sempre, e si apprezzava un vento WSW forza 4, con un mare 2-3. Il Commodoro aveva disposto le unità di scorta del 3° gruppo in linea di fronte (da sinistra a destra, H.M.S AMAZON, HMS HOLLYHOCK, HMS BULLDOG, HMS NIGELLA, HMS BROADWAY) a circa 300 iarde davanti al convoglio e 200 iarde l’una dall’altra. L’H.M.T. (Hired Military Transport) DANEMAN e l’H.M.S. AUBRETIA rispettivamente 1500 iarde a sinistra ed a dritta del convoglio. Verso le 12:01 la S.S. ESMOND e la S.S. BENGORE HEAD furono silurate nel giro di pochi secondi.
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L’8 maggio 1941 un altro U-Boot tedesco, U 110, aveva avvistato il convoglio OB-318 che trasportava truppe, munizioni e armi destinato al fronte egiziano.
Kptlt. Fritz-Julius Lemp fu la figura centrale di uno degli incidenti più controversi della Battaglia dell’Atlantico quando, come comandante dell’U-30, individuò una grande nave oscurata che zigzagava ad alta velocità il 3 settembre 1939. Lemp ipotizzò fosse un incrociatore mercantile armato, poiché le navi passeggeri non avrebbero dovuto zigzagare, e l’affondò con due siluri. La nave si rivelò poi essere la nave passeggeri Athenia
Il comandante del sommergibile tedesco era Fritz Julius Lemp, un abile comandante che al comando dell’U 30 aveva affondato per errore il trasporto passeggeri Athena. Resosi conto del fatto, aveva omesso nel suo rapporto alcuni dettagli importanti, coperto dall’ammiragliato tedesco. Di fatto era un cane sciolto, da un lato apprezzato per la sua capacità dall’altro considerato uno spirito ribelle. L’U 110 era stato raggiunto in zona dal sommergibile U 201, comandato dal tenente di vascello Schnee, e fu concordato un attacco al convoglio.
Le fasi post lancio su un U boot (U 552 ?) … dopo il lancio del siluro, il comandante si preparava ad abbassare il periscopio mentre il secondo ufficiale controllava al cronometro il tempo dopo il lancio – immagine da documentario tedesco – Getty images
L’U 110 si era quindi portato a distanza di lancio e aveva lanciato quattro siluri: tre colpirono i mercantili britannici ESMOND (4,976-ton) e BENGORE HEAD (2.609 ton.) ma uno non scoppiò.
Il Commodoro del convoglio ordinò quindi un’accostata di emergenza a sinistra per 040. Le unità di scorta ottennero un contatto ASDIC a 1000 iarde che però fu subito perso durante l’accostata. L’H.M.S. BROADWAY, che aveva accostato a sinistra verso le navi silurate, contrattaccò comunque lanciando una carica di profondità (12:03). L’H.M.S. AUBRETIA avvistò quasi contemporaneamente un periscopio a circa 800 iarde e furono lanciate dieci cariche di profondità alle 12:06. A questo punto l’H.M.S. BULLDOG si unì all’H.M.S. AUBRETIA e H.M.S. BROADWAY nella caccia.
H.M.S. Aubretia, corvetta, a poppa si notano i lanciatori delle bombe di profondità
Il sommergibile, ormai braccato, cercò di rompere il contatto con l’H.M.S. AUBRETIA che iniziò un violento lancio di bombe di profondità costringendo l’U 110 ad immergersi alla massima velocità. Nel frattempo l’U 201 silurò e affondò i mercantili britannici GREGALIA da 5.802 tonnellate e EMPIRE CLOUD da 5.969 tonnellate ma, sottoposto ad un bombardamento con quasi cento bombe di profondità, fu gravemente danneggiato e riuscì a malapena a sfuggire ed entrare in porto a Lorient, nella Francia occupata, il 18 maggio.
Gli U Boot U123 e U 201 in partenza da Lorient, Francia occupata – Bundesarchiv Bild 101II-MW-4260-37
L’azione combinata delle unità britanniche costrinse Lemp ad ordinare l’emersione rapida. L’H.M.S. BROADWAY si diresse immediatamente in rotta di collisione, sparando altre due cariche di profondità. Il battello tedesco emerso, cercò un’ultima difesa con il cannone e poi l’equipaggio abbandonò il battello e fu prelevato alle 14:30 dal H.M.S. AUBRETIA. Fu in quel momento che l’H.M.S. BULLDOG procedette con “l’operazione PRIMROSE” mentre l’ H.M.S. BROADWAY e H.M.S. AUBRETIA pattugliavano la zona.
Il comandante del H.M.S BULLDOG, il capitano di fregata John (Joe) Baker Cresswell, ricordandosi della cattura dei codici tedeschi sull’incrociatore tedesco Magdeburg nel 1914, intuì che si stava prospettando un’occasione unica. Ordinò il cessate il fuoco immediato e preparò una squadra di abbordaggio di otto uomini comandata dal sottotenente di vascello David Balme per salire a bordo dell’ U-110.
Sottotenente di vascello David Balme
Balme e il suo team prelevarono tutte le apparecchiature possibili a bordo del sommergibile, inclusa la macchina di cifratura Enigma corredata dalle impostazioni del codice per il traffico ad alta sicurezza e il libro dei codici per i rapporti dei segnali brevi. Balme riportò nel suo rapporto:
“… Il telegrafista della mia squadra andò nella stazione radio situata subito avanti a destra della sala controllo. Essa era in perfette condizioni non essendo stato fatto apparentemente nessun tentativo per distruggere codici o apparati. Qui furono trovati il brogliaccio segnali, i libri contabili e corrispondenza generale, come se la stazione radio fosse stata usata da ufficio amministrativo. Anche la macchina cifrante fu trovata qui e sembrava essere stata in funzione quando venne abbandonata. La forma generale di questo strumento è quella di una macchina per scrivere, il telegrafista batte i tasti e particolari risultati sono inviati al quadro…”
L’H.M.S. Bulldog nei pressi del U 110
Il battello tedesco fu quindi preso a rimorchio ma affondò in poche ore. Cresswell si diresse quindi verso la base inglese di Scapa Flow, con le insegne di battaglia a riva, indicanti l’affondamento di un sommergibile nemico, ed ordinò all’equipaggio la massima segretezza, incluso il fatto che il sommergibile era stato rimorchiato per un certo periodo. Sicuramente si pose la domanda del perché la cifrante non era stata distrutta dal personale radio tedesco, come da prassi, ma la considerò un evento fortuito, quelli che capitano una volta sola nella vita.
In realtà, dalle testimonianze dei membri dell’equipaggio tedesco, emerse che Lemp dopo aver ordinato l’abbandono nave, intuendo le intenzioni avversarie, aveva ordinato di distruggere o sabotare tutto ciò che era possibile, ma qualcosa non andò per il verso giusto. Quando si accorse che il sommergibile non stava affondando, il comandante Lemp tentò di tornare indietro a nuoto, per assicurarsi della distruzione del materiale classificato. Un testimone oculare tedesco riferì che fu colpito da un proiettile mentre nuotava verso il sommergibile. Di fatto il suo corpo non fu mai ritrovato.
Fine III parte – continua
Andrea Mucedola
Riferimenti
[1] Simon Singh, Codici & segreti, Rizzoli editore, Milano, 1999, ISBN 88-17-86213-4
Alberti, Leon Battista, Dello scrivere in cifra, (De componendis cyfris) trad. it. di M. Zanni. Prefazione di David Kahn, Galimberti Tipografi Editori, Torino 1994
Hugh Sebag-Montefiore, Enigma: The Battle for the Code, 2000, ISBN 0-7538-1130-8
Władysław Kozaczuk, Enigma: How the German Machine Cipher Was Broken, and How It Was Read by the Allies in World War Two, University Publications of America, 1984, ISBN 0-89093-547-5.
F. H. Hinsley, et alii, British Intelligence in the Second World War: Its Influence on Strategy and Operations, volume 2, London, 1981
Winterbotham, Frederick. The Ultra Secret. London: Weidenfeld and Nicolson, 1974. ISBN 0-297-76832-8
http://www.uboatarchive.net/U-110A/U-110 GreenockReport.htm
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Ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.
News Marina Militare,, L’attacco al convoglio O.B. 318 e la cattura della cifrante ENIGMA del U-110
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Nave San Marco nella Stazione navale di Brindisi
Anche la Marina Militare rilancia nel porto di Brindisi, e punta al raddoppio delle sue capacità logistiche. E sarà proprio la realizzazione e banchinamento della nuova colmata tra il molo Eni e la foce di Fiume Grande, nell’avamporto, a consentire alla Terza Divisione Navale (la Prima è a La Spezia, la Seconda a Taranto) l’utilizzo di nuovi spazi in grado di ospitare i servizi per le unità di nuova generazione in parte già realizzate, in fase di consegna o in progetto in attesa di finanziamenti, nell’ambito del rinnovo della flotta. L’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale firmerà, probabilmente con il Comando Marittimo Sud di Taranto, tra aprile e maggio, un apposito protocollo d’intesa. Sulla colmata resterà garantito, ovviamente, anche lo spazio commerciale a disposizione degli operatori privati.
La Marina a Brindisi oltre alla Terza Divisione Navale schiera anche la Brigata Marina San Marco, e perciò è anche il fulcro della Capacità nazionale di proiezione dal Mare che oltre ai marò comprende la Brigata Pozzuolo del Friuli dell’Esercito, con il reggimento Lagunari "Serenissima", il 4° reggimento Genova Cavalleria, il 3° reggimento Genio Guastatori e il reggimento Artiglieria a Cavallo "Voloire", si trova al momento in attesa dell’imminente consegna di nave “Trieste”, l’unità di attacco anfibio portaerei e portaelicotteri, che sarà l’ammiraglia della forza da sbarco (già destinata però alla Prima Divisione Navale di La Spezia), ma ha nei piani altre due unità pure dotate di ponte di volo continuo per rimpiazzare “San Marco”, “San Giorgio” e “San Giusto”, giunte dopo 30 anni quasi a fine vita operativa.
Questa rotazione pone un problema obiettivo di spazi. La storica base che dal 1909 si trova in fondo al Seno di Ponente del porto di Brindisi assieme alla Stazione Navale (ex Arsenale), infatti non ha da tempo la possibilità di ospitare tutte le unità assegnate alla Terza Divisione Navale, oltre alle tre LPD già citate anche l’incrociatore portaelicotteri “Garibaldi” (a sua volta prossimo alla svolta finale della sua vita operativa), non a caso stanziato a Taranto. Le nuove unità della Marina Militare, fatta esclusione per le classi minori dei pattugliatori d’altura che hanno lunghezza di 88 metri, sono tutte più lunghe delle tre attuali navi da sbarco che misurano 133 metri (100 il “San Giusto”) e 8mila tonnellate di stazza.
Se il “Trieste” fa storia a parte con i suoi 245 metri, ponte di volo di 230 metri, 38mila tonnellate, capacità di ospitare elicotteri ma anche i nuovi cacciabombardieri F35B a decollo verticale, le due nuove unità da sbarco e porta velivoli di cui la Marina vuole dotarsi stazzeranno 20mila tonnellate per 188 metri di lunghezza. E anche i nuovi pattugliatori polivalenti d’altura (di fatto assimilabili a una fregata) sono lunghi 143 metri. Unità che non potrebbero ormeggiare o fare scalo nell’attuale base del Seno di Ponente.
Brindisi, considerando gli attuali scenari geopolitici, torna a rivestire obiettivamente un importante ruolo strategico, non solo nella tutela degli interessi nazionali e della Nato in Adriatico. Oltre ad ospitare il comando della Capacità Nazionale di Proiezione dal Mare, con il comandante della Terza Divisione Navale ricopre anche la responsabilità dell’Operazione Mediterraneo Sicuro. Inutile ricordare come in questi mesi la nostra forza navale sia alle prese con il marcamento delle navi militari russe entrate anche nel Golfo di Taranto e in Adriatico, una situazione che non sembra destinata a cessare a breve, e che pone il problema della sorveglianza di infrastrutture strategiche, come il gasdotto sottomarino Tap ma pure il ventennale elettrodotto sottomarino Grecia-Italia e la nuova interconnessione tra da 500 MW tra Arachthos in Epiro e Galatina nel Salento, con lavori di imminente avvio ed entrata in esercizio prevista nel 2030.
La Marina Militare dunque si organizza per tali compiti. Il protocollo con l’Autorità di Sistema Portuale, non va dimenticato, potrebbe riaprire, si spera, un canale di accordi rimasti sempre in un cassetto (ci avevano provato anche Michele Errico e Domenico Mennitti). L’importante è capire che la Marina Militare è una importante risorsa per Brindisi con cui bisogna dialogare per passaggi di aree, scambi, riassetti delle competenze militari e civili nel porto. Sin qui, solo occasioni perdute.
Ricordiamo infine che la consegna della famosa “Zona Nafta” (area Pol), in fondo al Seno di Levante fu rifiutata dall’allora amministrazione comunale di centrodestra di Angela Carluccio, e pertanto fu presa in carico dall’Autorità portuale dell’epoca. Eppure un’idea sul suo utilizzo (previa bonifica), a firma del primo estensore del Pug poi congedato, giaceva su qualche scrivania dell’ufficio tecnico comunale. Vedremo quando e come saranno disponibili fondi dell’Authority per sfruttare quegli spazi. Per ora, dopo il noto braccio di ferro tra Autorità di Sistema e Comune di Brindisi sulle opere portuali che ha ritardato progetti strategici, è già un miracolo che i fondi ad essi destinati non siano stati ancora perduti.
News Marina Militare,, Nuova colmata: così la Marina Militare punta al raddoppio della base di Brindisi
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