Il controverso “caso Grossi ” – Parte II

Dal sito Ocean4future tre articoli sul "Caso Grossi" a cura di Marcello Polacchini Seconda parte

Barbarigo 1 1

Alla fine della guerra, riprese le relazioni con la Marina degli Stati Uniti e dell’Inghilterra, lo Stato Maggiore della Marina italiana iniziò una serie di accertamenti per appurare la verità sulle azioni del Barbarigo. Solo nell’autunno del 1962 la Marina Militare italiana poté ricevere dall’U.S. Navy copia dei diari di guerra delle unità americane che operarono nelle acque in cui fu dislocato il Barbarigo dal 18 al 26 maggio 1942. [1]

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Questo permise finalmente di fare una ricostruzione precisa del controverso episodio, che confermò i dubbi subito avanzati dal Capitano di Vascello Polacchini. Risultò infatti che il sommergibile Barbarigo, giunto nella zona di operazioni designata, al largo di Capo San Rocco in Brasile, il 18 maggio cannoneggiò e silurò, senza affondarlo, il piroscafo brasiliano Commandante Lyra (5.052 t.s.l.), sul quale scoppiò un incendio.

Il giorno successivo giunse sul posto l’incrociatore leggero USS Milwaukee che aveva captato l’SOS del Commandante Lyra, trovandolo ancora in fiamme e sbandato sulla sinistra. Una volta recuperati i 25 membri dell’equipaggio del cargo brasiliano sopravvissuti, che avevano trovato posto sulle scialuppe, con l’aiuto dell’incrociatore della stessa Classe USS Omaha e del cacciatorpediniere USS McDougal, si riuscì a domare l’incendio. Alleggerito del carico, il Commandante Lyra fu rimorchiato a Fortaleza sulla costa brasiliana. Il 20 maggio l’incrociatore USS Milwaukee fu attaccato dal Barbarigo con il lancio di due siluri che fallirono largamente il bersaglio, tanto da non essere neppure avvistati dalla nave statunitense. Il Comandante Grossi, che l’aveva scambiato per una corazzata della Classe “Maryland” o “California”, sostenne però di aver centrato il bersaglio e di averlo affondato. Questi sono i fatti accertati.

presunto affondamento grossi mryland

Ottobre 1942 – seconda azione


Anche il presunto affondamento della seconda corazzata statunitense della Classe “Mississippi”, comunicato a BETASOM il 6 ottobre 1942 con telegramma delle ore 05:40, azione per la quale il comandante del Barbarigo ottenne la promozione a Capitano di Vascello, fu molto controverso. Infatti, il Contrammiraglio Polacchini, che pure inoltrò a SUPERMARINA – Roma, secondo la consueta prassi, la proposta di concedere al comandante del Barbarigo una seconda Medaglia d’Oro al V.M. (proposta che però non ebbe seguito), non essendo riuscito ad avere altre conferme convincenti sullo svolgimento dei fatti, nel suo rapporto a MARICOSOM specificò che: «Il Comandante Grossi verbalmente non ha fornito altri elementi degni di rilievo».

Secondo la versione fornita dal Comandante Grossi nel suo rapporto a BETASOM in merito al presunto affondamento, durante la notte del 6 ottobre, al largo di Freetown (Sierra Leone) in latitudine 2°05′ Nord, longitudine 14°23′ Ovest, fu avvistata a circa 4.000 metri di distanza la sagoma di una nave da guerra di elevato dislocamento scortata da alcuni cacciatorpediniere. Anche questa volta, come nell’azione di maggio, Grossi non si trovava in plancia. Una volta avvertito dell’avvistamento, salì sulla torretta mentre l’ufficiale in comando di guardia aveva già cominciato la manovra per attaccare con il siluro. Il Comandante Grossi condusse l’attacco che in seguito descrisse così nel suo rapporto a BETASOM. Rimanendo in superficie, il sommergibile Barbarigo si avvicinò all’unità fino ad una distanza di circa 2.000 metri, dopodiché lanciò 4 siluri regolati a 6 metri di profondità dai tubi prodieri ad un intervallo di due secondi l’uno dall’altro. Dopo circa un minuto e mezzo dal Barbarigo udirono quattro violente esplosioni intervallate dallo stesso lasso di tempo del lancio dei siluri. Il Comandante Grossi dichiarò nel suo rapporto di aver visto affondare una corazzata statunitense della Classe “Mississippi“, riconosciuta quando si profilò di traverso,

«… per il gran complesso centrale della plancia con un solo fumaiolo a poppavia di quella, la prua  da veliero e tutte le altre caratteristiche corrispondenti alle navi da battaglia di quella Classe».

Senza porre indugio, anche questa volta SUPERMARINA si affrettò a dare la notizia dell’avvenuto affondamento ed emanò il Bollettino di guerra n. 863 del 6 ottobre 1942 che diceva: «Questa notte alle 2,34 (ora italiana) in latitudine 2,15′ nord e longitudine 14,25′ ovest, e cioè a circa 330 miglia per sud-ovest da Freetown (Africa occidentale), il sommergibile atlantico Barbarigo, comandato da Enzo Grossi, ha attaccato una corazzata statunitense del tipo Mississipi, che navigava con rotta 150 a velocità di nodi 13. La corazzata, colpita a prora da 4 siluri, è stata vista affondare».

Anche questo presunto affondamento però, come già quello del 20 maggio 1942, a guerra finita non trovò conferma nella documentazione ufficiale britannica e americana [2]. Al suo rientro a Bordeaux il capitano di fregata Grossi fu accolto con tutti gli onori.

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Gli fu concessa la promozione a Capitano di Vascello per meriti di guerra e fu proposta una seconda Medaglia d’Oro al V.M.. Grossi e tutto l’equipaggio del Barbarigo furono ricevuti da Mussolini a Roma a Palazzo Venezia, alla presenza del Capo di Stato Maggiore della Marina, Ammiraglio di Squadra Arturo Riccardi. Addirittura Adolf Hitler in persona si complimentò con Enzo Grossi per questa seconda azione che aveva provocato l’affondamento di un’altra corazzata americana, mentre il Großadmiral Dönitz lo insignì della Ritterkreuz [3] elogiandolo per «la bravura e l’ardimento davvero eccezionali con i quali aveva saputo condurre le due difficilissime azioni».

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Nel dicembre del 1942, alla notizia dell’affondamento della seconda corazzata americana da parte del C.F. Grossi e della sua promozione a Capitano di Vascello per meriti di guerra, il Contrammiraglio Polacchini (che in quel momento si trovava a Venezia dalla famiglia), espresse all’Ammiraglio di Squadra Antonio Legnani – Comandante della Flotta Sommergibili della Regia Marina – la sua totale disapprovazione per la nuova promozione di Grossi, motivandola così: « … perché non lo ritenevo ancora idoneo a rivestire tale grado», aggiungendo: « … gli fosse pure data una seconda medaglia d’oro per premiare il suo valore e soprattutto il risultato conseguito … ma non dei galloni che solo potevano stare sulla testa di chi ce li sapeva portare».

Nella sua relazione, datata 18 marzo 1948, indirizzata alla prima Commissione d’Inchiesta Speciale (C.I.S.) sul caso Grossi, istituita nel 1948 dal Ministero della Marina, l’ammiraglio Polacchini racconta che da allora l’Ammiraglio di Squadra Legnani mostrò sempre ostilità nei suoi riguardi, essendosi da sempre schierato dalla parte di Grossi (che, come lui, era un acceso sostenitore del regime fascista) ed essendo irritato dall’atteggiamento fermo, deciso e irremovibile assunto da circa un anno nei confronti del comandante del Barbarigo dal Comandante di BETASOM. Al riguardo Polacchini precisa di essere sempre stato mosso nei confronti di Grossi solo da “senso di giustizia e di onestà” e di aver mirato « … soprattutto a salvaguardare l’onore e la dignità della Regia Marina, che non potevano certo essere raffigurate nel comandante Grossi, tipica figura di avventuriero sfacciato, disonesto e senza scrupoli», e conclude dicendo che «il tempo mi ha dato largamente ragione e ha fatto giustizia».

enzo grossi mussoliniNel dicembre del 1942, pochi giorni dopo essere rientrato a Bordeaux da Venezia, il Contrammiraglio Polacchini ricevette inaspettatamente un telegramma da MARICOSOM con il quale gli veniva comunicato che il capitano di vascello Grossi lo sostituiva nel comando di BETASOM. Dalla relazione del Contrammiraglio Polacchini alla C.I.S. del Ministero Marina sul caso Grossi, del 18 marzo 1948, egli racconta della sua reazione alla notizia che il Comandante Grossi lo avrebbe sostituito. In particolare, emergono altri particolari interessanti su come Polacchini reagì alla comunicazione del suo movimento e sulla scarsa considerazione che egli nutriva nei confronti di Grossi. Appena ricevuto il telegramma di MARICOSOM, Polacchini si precipitò a Roma, non tanto per evitare il trasferimento (poiché era stato lui stesso a chiedere in precedenza di andarsene da Bordeaux per potersi riavvicinare alla famiglia che viveva a Venezia), quanto per evitare che BETASOM passasse sotto il comando di Enzo Grossi «… essendo mia opinione che egli non avesse le indispensabili qualità professionali e morali per esercitarlo». E aggiunge: « … d’altronde i gravi dubbi ormai sorti sulle azioni di guerra del Grossi, consigliavano, come ebbi a dire a Roma, di metterlo sotto silenzio in una destinazione dove non potesse continuare a dare manifestazioni di esibizionismo e venisse a cadere, per così dire, un po’ nel dimenticatoio».

A Roma però gli dissero che l’ordine di destinazione di Enzo Grossi a BETASOM era di Mussolini in persona ed era in forma perentoria. Infatti, in una lettera privata, datata 3 maggio 1959 ed indirizzata dall’ex C.S.M. della Marina, Ammiraglio di Squadra Arturo Riccardi [4] a Polacchini, è scritto: « … io mi ero pronunciato sfavorevolmente perché [Grossi] assumesse l’incarico di comando di Betasom, dato che, pur essendo ormai Capitano di Vascello, non aveva le caratteristiche adatte» e ancora «Invece, quel disgraziato, a mia insaputa, è andato da Vidussoni, Segretario del Partito, che ha rivolto fervida istanza Mussolini di voler accogliere la richiesta di Grossi»[5]. Nelle sue memorie – scritte quando già non era più in servizio – l’Ammiraglio di Squadra Romolo Polacchini commenta dicendo: «così ebbi l’affronto di essere sostituito dal Grossi».

betasom cartolina per imprese presunte grossi

Sempre l’ammiraglio Riccardi, nella citata lettera inviata a Polacchini, riguardo a Enzo Grossi, aggiunge una frase che dimostra chiaramente la poca stima che l’allora massimo responsabile della Marina italiana nutriva nei confronti del comandante del Barbarigo: «Quello che ha fatto a Betasom è ormai passato alla storia nel modo più lordo e disonesto».

Fine seconda parte – continua

Marcello Polacchini

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[1] Nell’autunno del 1962 la Marina italiana poté avere dall’U.S. Navy copia dei diari di guerra delle unità USA che operarono nelle acque in cui fu dislocato il Barbarigo dal 18 al 26 maggio 1942 e, dalla Royal Navy, l’estratto del diario  di guerra riguardante l’attacco subito dalla corvetta Petunia per opera dello stesso Barbarigo al largo di Freetown nella notte dal 5 al 6 ottobre 1942 (vedasi volume XII «I sommergibili negli oceani», U.S.M.M., Appendice VI/B, pag. 366 e segg.).

[2] Nell’autunno del 1962 la Marina italiana poté avere dall’U.S. Navy copia dei diari di guerra delle unità USA che operarono nelle acque in cui fu dislocato il Barbarigo dal 18 al 26 maggio 1942 e, dalla Royal Navy, l’estratto del diario di guerra riguardante l’attacco subito dalla corvetta Petunia per opera dello stesso Barbarigo al largo di Freetown nella notte dal 5 al 6 ottobre 1942 (vedasi volume XII «I sommergibili negli oceani», U.S.M.M., Appendice VI/B, pag. 366 e segg.).

[3] La Ritterkreuz des Eisernen Kreuzes è la Croce di Cavaliere della Croce di Ferro, assegnata per eccezionali meriti di comando e/o di coraggio. Durante il secondo conflitto mondiale fu ottenuta solamente da nove italiani, tra i quali, oltre al C.F. Enzo Grossi, il C.F. Carlo Alberto Fecia di Cossato e il C.C. Gianfranco Gazzana Priaroggia, che la ricevettero a Bordeaux dal Grandammiraglio Karl Dönitz in persona.

[4] L’Ammiraglio di Squadra Arturo Riccardi, nominato Senatore del Regno nel 1939 su proposta del Ministero della Marina, l’8 dicembre 1940, fu scelto da Mussolini come nuovo Sottosegretario di Stato e Capo di Stato Maggiore della Marina in sostituzione dell’Ammiraglio di Squadra Domenico Cavagnari, facendolo diventare il massimo responsabile della guerra navale italiana. Diventato Ammiraglio d’Armata nell’ottobre 1942, l’Ammiraglio Riccardi fu costretto a lasciare il suo incarico dopo la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943. Il suo successore fu l’Ammiraglio Raffaele De Courten.

[5] Il dottor Aldo Vidussoni fu il Ministro Segretario di Stato e Segretario del Partito Nazionale Fascista, la più alta carica del Partito, dal 1941 al 1943.

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marcello polacchini Croazia 2019 

Veneziano, classe ’52, ha ereditato la grande passione per il mare dal padre e dal nonno, entrambi Ammiragli della Marina Militare. Laureato in Giurisprudenza, ex dirigente d’azienda, in seguito libero professionista, ha abbandonato definitivamente l’attività lavorativa nel 2014 per dedicarsi esclusivamente alle sue grandi passioni: scrivere, leggere, viaggiare e immergersi. Per oltre vent’anni ha navigato in barca a vela, regatando anche come professionista in tutto il Mediterraneo. Abbandonata la vela agonistica, dalla metà degli anni ’90, dopo aver conseguito i necessari brevetti, si è dedicato all’immersione subacquea affiancando alla sua attività professionale quella d’istruttore e guida subacquea. Avendo alle spalle centinaia di immersioni, dal 2007 ha abbracciato la cosiddetta “subacquea tecnica”, immergendosi con miscele ternarie e con il rebreather a circuito chiuso e potendo così ampliare gli orizzonti delle sue esplorazioni. Per divulgare la sua passione per il mare dal 2004 gestisce il sito “marpola.it, interamente dedicato alla subacquea e ha scritto diversi articoli, racconti e libri in materia (“Da solo nel relitto”, Magenes Ed. 2009, “Ovunque c’è acqua”, Magenes Ed. 2011, “Il Ritorno”, E-book 2013).

 

PARTE II

PARTE III

 

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News Marina Militare,, Il controverso “caso Grossi ” – Parte II

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Il controverso “caso Grossi” – Parte I

Dal sito Ocean4future tre articoli sul "Caso Grossi" a cura di Marcello Polacchini Prima parte

 Rsmg Barbarigo

Proprio nel periodo in cui la nuova strategia di guerra adottata dai sommergibili della Regia Marina nell’Atlantico Occidentale stava dando i maggiori frutti ed i comandanti dei battelli di BETASOM stavano ottenendo in quelle lontane acque i loro maggiori successi, avvennero due episodi che segnarono profondamente il destino futuro di Romolo Polacchini. Mi riferisco a due azioni di guerra molto controverse del regio sommergibile Barbarigo in Atlantico delle quali si parlò e si discusse per moltissimi anni anche nel dopoguerra.

Barbarigo 1

Regio sommergibile Barbarigo
Ufficio Storico della Marina Militare

Il caso Grossi


Nel maggio e nell’ottobre del 1942 il capitano di corvetta Enzo Grossi, comandante del regio sommergibile Agostino Barbarigo, comunicò a BETASOM di avere affondato due corazzate americane. La notizia del primo affondamento suscitò giustamente clamore nell’Italia fascista e negli alleati tedeschi, bisognosi entrambi di ottenere grandi successi da dare in pasto alla propaganda ed ai giornali, per risollevare il morale delle Forze Armate e dei rispettivi popoli, di fronte all’andamento non troppo favorevole assunto dalla guerra in corso. La notizia dell’affondamento di due grosse navi da battaglia americane ebbe una vastissima eco internazionale, con scambio di accuse e di smentite da parte degli Stati Maggiori delle Marine delle Nazioni belligeranti. 

Mentre l’Italia e la Germania vantarono l’incredibile impresa compiuta dal regio sommergibile Barbarigo e tributarono al Comandante Grossi i massimi onori militari, gli Alleati smentirono categoricamente le due azioni, innescando una serie di polemiche e discussioni che solo due Commissioni d’Inchiesta Speciale (C.I.S.) aperte nel dopoguerra (ovvero quando ormai il Regime fascista era caduto, e insieme ad esso anche la necessità della sua propaganda) riuscirono in seguito definitivamente a chiudere.

BETASOM CC GROSSI

Il capitano di corvetta Enzo Grossi, discusso
comandante del regio sommergibile Barbarigo

Questo grazie ad una lunga e meticolosa ricostruzione dei fatti contestati dagli anglo-americani. Ciononostante le polemiche continuarono ancora per molto tempo, alimentate dalle insistenze dell’ex comandante Grossi, che continuò per diversi anni a millantare le sue “imprese” nelle acque sudamericane e dalla stampa politicamente orientata in suo favore. Ancora oggi, a distanza di ottant’anni, capita di leggere articoli o libri che nonostante tutto tendono a dare credito ai racconti forniti da Enzo Grossi [1]. Cerchiamo di ricostruire quei fatti molto controversi ed i loro retroscena meno noti.

Giugno 1942 – prima azione


Dopo aver segnalato radiotelegraficamente a BETASOM il primo affondamento di una corazzata, il capitano di corvetta Enzo Grossi, tornato a Bordeaux dalla sua missione nelle acque dell’America Meridionale, nel suo rapporto 042/SRP del 16/6/1942 scrisse che alle 02:45 del 20 maggio 1942, il Barbarigo, incrociando in latitudine 04°19′ Sud, longitudine 34°32′ Ovest (a 52 miglia per 239° dall’Isola Rocas, in Brasile), aveva avvistato una corazzata statunitense della Classe “Maryland” o “California” [2] scortata da un numero imprecisato di cacciatorpediniere che navigavano in direzione Sud. L’avvistamento fu fatto dall’ufficiale in 2a che chiamò in plancia il comandante Grossi che, nel suo rapporto, scrisse di essersi reso conto di essere di fronte ad una nave da battaglia nordamericana, facilmente riconoscibile per i due alberi “a cestello” (ossia a traliccio).

Grossi, nel rapporto di missione, descrisse la sua azione dicendo che, dopo aver manovrato per inserirsi all’interno dello schermo difensivo, aveva lanciato da appena 650 metri di distanza due siluri regolati a 4 e a 2 metri di profondità. Riferì che dopo 35 secondi entrambi i siluri andarono a segno perché si sentirono contemporaneamente due esplosioni; dopodiché con il binocolo Grossi vide la corazzata con la prora completamente immersa fino alla plancia, fortemente appruata e sbandata sulla dritta. Dichiarò inoltre che i cacciatorpediniere di scorta, con sua somma meraviglia, non reagirono.

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Polacchini, appena ricevuta via radio la notizia dell’affondamento di una nave da battaglia statunitense, chiese immediatamente al Barbarigo una precisa conferma e maggiori particolari dell’azione svolta, nutrendo fin da subito dei dubbi sulla veridicità di quanto affermato dal Comandante Grossi. Però, nonostante ciò, Polacchini, il 21 maggio, ricevuta via radio dal Barbarigo la comunicazione dell’azione al largo della costa brasiliana, essendo i chiarimenti forniti categorici, diede notizia dell’affondamento a MARICOSOM, Roma, suggerendo però l’opportunità che «vengano raccolti tutti i possibili elementi intesi ad accertare effettivo affondamento». In seguito,  prima ancora che il Barbarigo rientrasse alla Base, nel rapporto a MARICOSOM n. 290/SRP del 2/6/1942, scrisse testualmente: «L’essere riuscito ad affondare una grossa unità con due soli piccoli siluri deve iscriversi a fortuna».

Polacchini Bordeaux

Il comandante superiore contrammiraglio Polacchini nel suo ufficio a Betasom

Nonostante i suggerimenti e l’invito alla prudenza di Polacchini, la notizia dell’impresa del Barbarigo venne diffusa da SUPERMARINA appena due giorni dopo essere stata informata da MARICOSOM, ovvero mentre il sommergibile italiano era ancora in zona di operazioni e prima che fosse possibile svolgere le indagini necessarie per ottenere, possibilmente da fonti estere, la conferma dell’affondamento della nave da battaglia nemica. Di fatto, la notizia diffusa dal bollettino di guerra della Regia Marina fu subito smentita in campo avversario. 

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Il rapporto con cui Polacchini diede notizia a MARICOSOM-Roma
della missione del sommergibile” Barbarigo” nell’Atlantico Occidentale
nella primavera del 1942 al comando del capitano di corvetta Grossi.

D’altra parte i Servizi informativi italiano e tedesco non riuscirono durante la guerra a raccogliere alcun dato di fatto concreto che potesse confermare, sia pure indirettamente il presunto successo del Barbarigo. I dubbi che il Comandante Superiore di BETASOM ebbe fin dall’inizio divennero più seri quando, nelle successive intense comunicazioni radiotelegrafiche fatte per fornire precisazioni e dare maggiori informazioni sull’azione del Barbarigo, il comandante Grossi dichiarò di avere utilizzato per l’affondamento due “silurotti” di poppa calibro 450 mm e non i grandi siluri di prora calibro 533 mm..

Polacchini, esperto sommergibilista, sapeva bene che i cosiddetti “silurotti” potevano essere adatti per affondare una nave mercantile o un’unità leggera, ma che difficilmente avrebbero procurato danni mortali a una grossa nave da battaglia [3].  Ad ogni modo il Governo, bisognoso per motivi politici dell’annuncio di “grandi vittorie”, prese come certa la notizia dell’affondamento di una nave da battaglia americana e precipitò le sue decisioni dandone l’annuncio – come detto sopra – con il Bollettino di guerra straordinario n.721 del 22 maggio 1942 e comunicando contestualmente al Comandante Grossi la sua promozione a Capitano di Fregata per meriti di guerra. Dopo la diffusione del bollettino di guerra ufficiale Polacchini, come da prassi, inoltrò a SUPERMARINA la sua proposta di concessione della Medaglia d’Oro al Valor Militare al comandante Grossi (lo fece in ottemperanza a quanto previsto dalla circolare del Ministero della Marina che stabiliva tale ricompensa per l’affondamento di una corazzata o di una nave portaerei).

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Naturalmente, per la sua azione, Grossi fu decorato dall’Italia con la Medaglia d’Oro al Valor Militare e da parte tedesca con la Croce di Ferro di Ia classe. Anche nel dopoguerra continuò un’accesa polemica su quest’azione di guerra, e da parte degli anglo-americani, che ormai non avevano più motivo di negare un loro insuccesso, continuarono giungere smentite sul successo vantato da Enzo Grossi. Non solo negarono fermamente di aver perduto una corazzata, ma sostennero che nessuna altra nave da guerra o mercantile era stata affondata, danneggiata o attaccata nella zona di Cabo de São Roque (Capo San Rocco, nel Brasile settentrionale) nella notte del 20 maggio 1942. Inoltre, fecero sapere che al momento degli eventi nessuna corazzata anglo-americana era dislocata nel Sud Atlantico, mentre tutte le navi da battaglia della Classe Maryland” o “California si trovavano concentrate nella zona di San Francisco.

Fine prima parte – continua

Marcello Polacchini

 

[1] Enzo Grossi, in aperta polemica con la ricostruzione dei fatti e le conclusioni della prima Commissione d’inchiesta nominata dalla Marina Militare italiana nel 1952 al fine di appurare la verità in merito al preteso affondamento delle corazzate americane, nel 1955 scrisse una lettera al Capo dello Stato, affermando tra l’altro: «Tutti sanno, che in entrambe le occasioni, attaccai, silurai e affondai in superficie, ciò significa che oltre a me, almeno altre sei persone videro i siluri colpire i bersagli e udirono gli scoppi che ne seguirono. Vi concedo l’allucinazione collettiva, ma gli scoppi furono sentiti anche dall’interno dello scafo.». L’affermazione, in essa contenuta, che “Il capo dello Stato annulla i decreti reali senza una reale motivazione. All’anima della democrazia!” gli costò una condanna in contumacia a 5 mesi e 10 giorni di reclusione.

[2] Le corazzate statunitensi delle Classi “Maryland” e “California non differiscono nella sagoma ma soltanto nel calibro delle artiglierie principali, 406 mm le prime e 356 mm le seconde.

[3] I siluri in servizio nella Regia Marina italiana durante la Seconda Guerra Mondiale erano, come quelli della maggior parte delle altre Marine, di due calibri: 533,4 mm (21 pollici) e 450 mm (17,7 pollici). Questi ultimi, chiamati in gergo “silurotti”, erano di un tipo speciale ridotto ed erano lunghi 3,20 m con un peso della carica di 150 kg. I siluri da 533 mm avevano una gittata di 4.000 metri a 50 nodi per i sommergibili e 10.000 metri a 40 nodi per gli  incrociatori e i cacciatorpediniere; quelli da 450 mm invece arrivavano a 4.000 metri a 42 nodi per i sommergibili e i Mas e 7.000 metri a 35 nodi per le torpediniere.

 

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Veneziano, classe ’52, ha ereditato la grande passione per il mare dal padre e dal nonno, entrambi Ammiragli della Marina Militare. Laureato in Giurisprudenza, ex dirigente d’azienda, in seguito libero professionista, ha abbandonato definitivamente l’attività lavorativa nel 2014 per dedicarsi esclusivamente alle sue grandi passioni: scrivere, leggere, viaggiare e immergersi. Per oltre vent’anni ha navigato in barca a vela, regatando anche come professionista in tutto il Mediterraneo. Abbandonata la vela agonistica, dalla metà degli anni ’90, dopo aver conseguito i necessari brevetti, si è dedicato all’immersione subacquea affiancando alla sua attività professionale quella d’istruttore e guida subacquea. Avendo alle spalle centinaia di immersioni, dal 2007 ha abbracciato la cosiddetta “subacquea tecnica”, immergendosi con miscele ternarie e con il rebreather a circuito chiuso e potendo così ampliare gli orizzonti delle sue esplorazioni. Per divulgare la sua passione per il mare dal 2004 gestisce il sito “marpola.it, interamente dedicato alla subacquea e ha scritto diversi articoli, racconti e libri in materia (“Da solo nel relitto”, Magenes Ed. 2009, “Ovunque c’è acqua”, Magenes Ed. 2011, “Il Ritorno”, E-book 2013).

 

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Trovato il relitto di un sottomarino USA “in eterna pattuglia”: fu affondato quasi 80 anni fa

Il relitto dello U.S. Albacore è stato individuato al largo dell’isola di Hokkaido (Giappone). Il sommergibile della marina USA fu affondato durante la Seconda Guerra Mondiale, nel 1944. Era considerato “in eterna pattuglia”; ecco cosa significa.

Relitto sottomarino

Il relitto dello USS Albacore. Credit: NHCC

A cura di Andrea Centini

Il relitto di un sottomarino della Marina degli Stati Uniti (U.S. Navy) scomparso durante la Seconda Guerra Mondiale è stato ritrovato adagiato su un fondale al largo della costa giapponese, dove riposa da quasi 80 anni. Si tratta del leggendario USS Albacore (SS-218), considerato uno dei più "letali" della flotta americana durante il conflitto. A questo sommergibile di classe Gato, costruito da Electric Boat Company a Groton ed entrato in servizio il 1 giugno del 1942, viene infatti accreditato l'affondamento di una dozzina di navi giapponesi nell'Oceano Pacifico, tra le quali una portaerei, due cacciatorpediniere e un incrociatore. Il tutto durante le 11 pattuglie di guerra eseguite, prima di sparire per sempre. 

L'USS Albacore, il cui nome è un omaggio al tonno bianco o alalunga, salpò da Pearl Harbor il 24 ottobre del 1944 e non vi fece più ritorno. In base ad alcuni registri storici recuperati dai militari, si riteneva che il sottomarino fosse affondato un paio di settimane dopo – il 7 novembre – al largo dell‘isola di Hokkaido (Giappone), a causa dell'impatto con una mina navale. Secondo il report, infatti, l'equipaggio di una motovedetta nipponica vide un'esplosione provenire dal mare e i resti di un mezzo non identificato venire a galla. Non vi era certezza che fosse proprio l'Albacore, ma visto che la data della scomparsa e il luogo delle operazioni coincidevano, si è sempre pensato fosse quello il sottomarino distrutto. A febbraio del 2023 è arrivata infine la conferma.

A scoprire il relitto è stato un team di ricercatori dell'Università di Tokyo guidato dal dottor Tamaki Ura, che si è avvalso dei documenti del Japan Center for Asian Historical Records (JACAR) per localizzare la possibile posizione del sommergibile statunitense. Grazie a un piccolo sottomarino controllato da remoto (ROV), gli scienziati sono riusciti a individuare il relitto in una zona a nordovest di Hokkaido. Le immagini catturate dalle telecamere di bordo, poco chiare a causa delle forti correnti e dalla scarsa visibilità dell'area, hanno reso difficoltosa l'identificazione del mezzo, ma grazie al lavoro dell'Underwater Archaeology Branch (UAB) del Naval History and Heritage Command (NHHC) è arrivata la conferma ufficiale. Lo scafo è proprio quello dello USS Albacore, colato a picco col suo equipaggio composto da una sessantina di marinai, di cui cinque ufficiali. 

Un aspetto curioso dei sottomarini USA andati perduti è la loro classificazione; vengono infatti considerati in “eterna pattuglia” ("on eternal patrol" o "still on patrol"), come se fossero ancora in servizio a decenni dalla loro scomparsa. Anche se è chiaro che si tratta di mezzi affondati e distrutti. A questo link c'è un elenco di sommergibili in questo stato dal retrogusto romantico, sebbene si stia parlando di macchine da guerra.

Non è chiaro cosa verrà fatto col relitto, ma esso si trova sotto la stretta giurisdizione del Naval History and Heritage Command degli Stati Uniti. Qualunque tentativo di intrusione o intervento dovrà essere concordato con l'ente militare e strettamente autorizzato. Come spiega l'NHHC in un comunicato stampa, infatti, “il relitto rappresenta l'ultima dimora dei marinai che hanno dato la vita in difesa della nazione e dovrebbe essere rispettato da tutte le parti come una tomba di guerra”.

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La preghiera del Marinaio - Errori e modifiche

Dalla Rivista Marinai d'Italia n°1/2 2023 un articolo che merita la lettura per eliminare malintesi sulla versione della "Preghiera del Marinaio"

A cura di Innocente Rutigliano, Socio del Gruppo di Terlizzi e Vicedirettore del Giornale.

Recentemente, partecipando a una cerimonia commemorativa, durante la lettura della preghiera del Marinaio, dalle retrovie si è levato una flebile commento di un anziano Socio: “Ma ha sbagliato a leggere la preghiera del Marinaio!”. A cerimonia terminata, incuriosito da tale commento, mi avvicino a Lui che, a giustifica del suo commento, mi mostra un cartoncino, ormai sgualcito dal tempo ma conservato come una reliquia, su cui è stampata la preghiera del Marinaio, e mi mostra la frase incriminata: “... da questa sacra nave armata dalla Patria leviamo i cuori”, mentre la versione ufficiale e conforme allo scritto autografo dello scrittore Antonio Fogazzaro recita “... da questa sacra nave armata della Patria leviamo i cuori”. A una prima superficiale analisi entrambe le versioni sembrano essere corrette. Come è possibile un tale errore? Prima di rispondere al quesito è bene ripercorrere rapidamente la storia della “Preghiera” e delle varie pubblicazioni, che chiariscono tale enigma.

Nella sua storia centenaria la “Preghiera” ha subito alcune modifiche, dettate da eventi storici, ma anche da un errore, probabilmente di trascrizione, rispetto alla versione originale scritta dall’autore. L’Ufficio Storico della Marina Militare ha pubblicato, nel 1978, la “preghiera del Marinaio” scritta dall’ammiraglio ispettore G.N. (r) Gino Galuppini; nel 2012, essendo esaurita, ha provveduto a una nuova edizione, con il titolo “PREGHIERA VESPERTINA PER GLI EQUIPAGGI DELLA R. MARINA DA GUERRA ovvero LA PREGHIERA DEL MARINAIO” curata dal contrammiraglio (r) Stéphan Jules Buchet  e dal C.V. (r) Franco Poggi. In entrambe le pubblicazioni, oltre alla storia della “nascita” e della “divulgazione” dell’orazione, sono riportate le varianti, letterali e non, che si sono succedute durante la centenaria vita della “Preghiera”. In nessuna delle due edizioni, però, viene spiegato questo cambio di vocale, che modifica in realtà sostanzialmente il senso della frase, sebbene a più riprese vengono riportate sia le due versioni sia la copia autografa della “Preghiera”, così come scritta dall’autore. Solo un anno dopo, i curatori della seconda edizione, Buchet e Poggi, si rendono conto dell’anomalia e in un articolo, pubblicato sul “Bollettino d’Archivio - Giugno 2013”, edito dall’Ufficio Storico della Marina Militare, chiariscono l’esistenza delle due differenti versioni che così giustificano:

“ ... Veniamo ora al cambio di vocale. Il primo cambio era presente nel “debutto” pubblico dell’opera di Fogazzaro, cioè in occasione della cerimonia della consegna della Bandiera di Combattimento al Garibaldi, che si svolse a Genova il 23 febbraio 1902.

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Insieme alla Bandiera di Combattimento, il Comitato delle Signore genovesi offrì all’Unità anche un labaro che riportava, ricamate in forma artistica, le parole della “Preghiera” con il citato errore. Non si conosce la versione giunta sul Garibaldi, così come non si conosce quella data alle ricamatrici del labaro; certo è che, in ambito Marina, si diffuse un testo sbagliato. La Rivista Marittima fra il 1902 e il 1909 fece stampare, in tre edizioni, migliaia di cartoncini recanti la “Preghiera”, e sicuramente altre ne furono stampate successivamente sia dalla stessa Rivista sia dall’Ufficio Storico della Regia Marina quando la “pratica” passò a questo ente. Alcuni comandi navali fecero stampare la “Preghiera” personalizzando il cartoncino con disegni dell’Unità. Su questi cartoncini, come sul cosiddetto “Trittico” del 1927, voluto dal capo dell’Ufficio Storico per diffondere la storia della “Preghiera” in tutta la Marina, compariva ancora la preposizione “dalla”. A gennaio del 1928, l’Ufficio Storico entrò in possesso dell’autografo della “Preghiera”, e il capo ufficio fece stampare un nuovo libretto nel quale era inclusa l’orazione nella forma corretta (della).

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Quest’ultima preposizione rimase anche nelle successive stampe dei cartoncini singoli della “Preghiera” fino a gennaio 1938, quando il Ministro della Marina impose, con effetto immediato, l’adozione di una nuova versione. Il motivo della modifica era di carattere politico, e consisteva nell’aggiunta della frase «Salvaci il Duce» dopo le parole «Salva ed esalta il Re». Nel trascrivere l’intera “Preghiera”, evidentemente, l’autore fece riferimento a un vecchio testo e così rispuntò la preposizione “dalla”. Dopo quest’ultima versione del gennaio 1938 non risultano agli atti altre versioni ufficiali, che certificano la soppressione delle frasi «Salva ed esalta il Re» e «Salvaci il Duce» che ovviamente non compaiono più sulla attuale versione.

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FONTE: logo marinaiditalia138

News Marina Militare,, La preghiera del Marinaio - Errori e modifiche

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La passione per i Sommergibili del piccolo Enea

“Anche se vivo in mezzo alle montagne, forse farò anche io il marinaio"

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20 febbraio 2023 Alfredo Parisi

“Anche se vivo in mezzo alle montagne, forse farò anche io il marinaio”. Questa è una frase del piccolo Enea, di 8 anni, di Mezzano (TN), che ha inviato uno dei suoi bellissimi disegni all’Ufficio Relazioni con il Pubblico della Marina Militare per manifestare la grande passione per i Sommergibili. I suoi bozzetti non sono passati inosservati e, in una tipica giornata invernale veneziana, stringendo la mano del fratellino Davide di 11 anni, ha avuto la possibilità di visitare un vero sommergibile, anche se musealizzato,  l’Enrico Dandolo, in uno scenario unico come quello dell’Antico Arsenale di Venezia.

Accompagnato dal Titolare dell’Istituto di Studi Militari Marittimi di Venezia, Ammiraglio di Divisione Andrea PETRONI, già Comandante di Sommergibili, il piccolo Enea è salito, per la prima volta, su un vero e proprio battello (così come i sommergibilisti li definiscono in omaggio a Jules Verne, autore del libro “Ventimila leghe sotto i mari”, nel quale Capitan Nemo chiamava “battello” il sottomarino Nautilus che comandava).

L’interesse del piccolo Enea, nonostante la tenera età, è stato così grande che la visita non si è limitata solo al Dandolo, ma è continuata dentro il “bunker Sommergibili” che, da anni, richiama grandi e bambini, fornendo tante preziose informazioni e curiosità, spiegate con un linguaggio ed ausili studiati per essere non solo accattivanti ma anche efficaci e facilmente comprensibili dai non esperti.

Al termine della visita il piccolo Enea con il fratello maggiore Claudio hanno ricevuto dall’Ammiraglio Comandante una copia del libro “I sommergibili raccontati ai ragazzi”, accompagnato dal berretto da sommergibilista personalizzato che, siamo certi, gli ricorderanno questa giornata speciale.

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Riscoprire la marittimità

Approfondimento sui problemi della marittimità a cura di Gian Carlo Poddighe dal sito  Ocean4future

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L’Italia è al centro del Mediterraneo, un mare che ha una superficie pari allo 0,7% dei mari di tutto il mondo e che ha delle caratteristiche particolari, tra cui il transito giornaliero del 25% del traffico mercantile mondiale. È uno spazio marino determinante su cui affacciano 26 paesi di tre continenti e in cui l’Italia possiede 8.000 km di coste dei 46.000 totali.

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Seguendo le norme internazionali l’Italia ha, inoltre, delimitato la sua Zona Economica Esclusiva (ZEE), che le permette di avere diritti su un’area pari a circa 500.000 km2 (1/5 del Mediterraneo).

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Già̀ da questi dati si evince il profondo legame che il nostro Paese ha con il mare, una simbiosi che si traduce nell’attività di almeno 60 porti di una certa rilevanza commerciale (senza parlare dell’altra grande componente, il turismo, vera risorsa nazionale, il cui valore andrebbe sommato). Attraverso questi porti entra il 57% delle merci importate (il 90% di quelle energetiche) ed esce quasi il 50% di quelle esportate dal Paese, circa 480 milioni di tonnellate di merci (alla rinfusa ovvero secche e liquide, in container o a bordo dei traghetti).

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L’Italia è, infine, il terminale sud del corridoio centrale europeo, che collega il Mare del Nord e il Baltico al Mediterraneo. Secondo dati molto conservativi l’economia del mare in Italia vale il 2,7% del PIL e genera oltre 500.000 posti di lavoro. Secondo altri dati, forse più aderenti alla realtà, si potrebbe parlare di oltre il 3,2% del PIL e oltre 800.000 posti di lavoro.

Un’economia di molti settori e molte sfaccettature che ha bisogno di tradizioni e continuità, di personale specializzato dalla costruzione alla gestione. Purtroppo, non solo mancano navi ma mancano persone, esperti e spazio per ricostruire la marittimità del Paese.

Questo problema, risultato di decenni di indifferenza, oggi potrebbe aprire molte opportunità su tutto il territorio (e nella proiezione marittima o di vicinato).

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Dal mare, sul mare, sopra e sotto il mare, si genera un valore (e un potere contrattuale enorme) che non è adeguatamente sfruttato. Pur soffrendo di disinteresse, e quasi di abbandono, quella italiana è tra le prime 15 flotte mercantili nel mondo e la seconda europea, è la terza flotta peschereccia d’Europa, la prima flotta al mondo per navi traghetto (cosiddetti Ro-Ro). L’Italia è il primo costruttore al mondo di megayacht e il secondo per imbarcazioni da diporto. È, inoltre, tra i maggiori ed apprezzati costruttori di navi da crociera, tra i più qualificati costruttori “navali”.

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Malgrado il disinteresse pubblico godiamo di un mondo dello shipping molto qualificato, una Marina Militare che si impone all’attenzione internazionale ed è capace di presidiare capillarmente gli interessi nazionali a livello globale, dall’Artico all’Indo-Pacifico, in quell’ampia regione ormai accettata come “Mediterraneo allargato”. Un’eccellenza di oggi, derivante da un enorme patrimonio che l’indifferenza rischia di far perdere per sempre, ma che sarebbe opportuno (o necessario?) recuperare, cosa non impossibile, se l’opinione pubblica acquisisse una nuova coscienza marittima. Complice la fine della guerra fredda e l’ubriacatura da globalizzazione, che ci ha fatto abbandonare capacità e valori, da decenni il nostro Paese non guarda infatti più con l’indispensabile attenzione alle questioni marittime. Sembra che siamo caduti in una sorta di “sea-blindness”.

Davvero si pensava di vivere di rendita e di terziario?


La globalizzazione, invece, si è dissolta, il mondo si è svegliato e sta già correndo ai ripari attraverso la deglobalizzazione e il reshoring di attività, da quelle industriali a quelle dell’armamento marittimo, ai servizi marittimi. Si tratta di una grande opportunità, ma noi (e anche gli stessi europei) siamo ancora dispersi in beghe interne. I traffici marittimi e il mare, con una nuova concezione del potere navale, saranno i grandi protagonisti del futuro. Siamo preparati? Sul mare, da tempo, viaggia l’economia sostenibile del futuro. Per questo, cavalcando l’immaginario collettivo che vede gli uomini di mare quali scopritori di mondi e portatori di nuove ricchezze, tutti quelli che si considerano protagonisti dell’economia marittima devono concorrere a far riscoprire al paese il suo inestimabile “patrimonio liquido”. Ma per fare questo abbiamo bisogno di istituzioni in grado di invertire la rotta del processo di smembramento delle competenze e delle esperienze marittime. Oggi abbiamo ricevuto un primo, ancora timido segnale di attenzione.

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Il Ministro del Mare c’è (ed è stato un ottimo segnale) ma … manca il ministero! Si parla, troppo e spesso a sproposito, di blue economy, di “crescita blu”, che si basa su molteplici componenti. La chiave del successo è la sinergia tra esse, la decisione immediata e la rapida esecuzioneCiò implica integrare tutti gli attori del mare in una visione unica, politica e strategica. L’obiettivo dev’essere quello di raccogliere in un unico centro tutti gli attori del mare e le loro istanze nelle varie componenti dell’economia, nelle sue declinazioni di blue growth e di blue economy. La ridefinizione di un “governo integrato” che possa guardare alle recenti esperienze europee e internazionali e imparare da queste esperienze, dialogando proficuamente con le istituzioni europee, in primis.

L’Italia può e deve usare le capacità, le conoscenze e gli investimenti fatti in passato per svolgere un ruolo di guida e di riferimento in sede europea per il rilancio della politica marittima UE nel Mediterraneo, contribuendo a definirne le linee strategiche. È essenziale separare in modo chiaro le competenze tra regolazione, vigilanza e controllo, oggi ancora non chiaramente definite in alcuni (ma sempre troppi) campi. Nel paese è necessario che si sviluppi un adeguato concetto di cluster unico e integrato, e non l’autovalutazione di troppi e inefficaci mini-clusters.

Serve anche una razionalizzazione delle Forze Armate e di polizia, per garantire interventi efficienti e coordinati in un mare moderno, globale, che vede già impegni concreti e continui in tutti i mari del mondo. Una visione integrata e globale, infatti, si ripercuote in economia di scala, si ripercuote nel vicino, nel locale, con una riduzione dei costi e maggiore efficienza. Si stima che in Italia la blue economy abbia raggiunto negli ultimi anni un valore di circa 130 miliardi di euro ed è facile prevedere le ingenti risorse che verrebbero liberate e moltiplicate se il paese attivasse concretamente il suo potenziale inespresso.

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Purtroppo, malgrado gli sforzi profusi da tutti gli attori del cluster marittimo, bisogna ancora combattere con due processi concomitanti, attivi e forti. Il processo di “demarittimizzazione” del paese e quello di ”multiclusterizzazione”, che producono una corsa suicida, concorrenziale, a ripartirsi, anzi sottrarsi, le scarse risorse reperibili (non tutte ancora disponibili).

Dobbiamo uscire da questa perniciosa sea-blindness


Maggior impegno di privati e dell’industria a controllo pubblico, maggior ragione e necessità di coordinamento e protezione degli interessi italiani, un onere che per la parte marittima, e per la tendenza dai traffici all’incremento delle attività esplorative e produttive in mare, l’impegno ricade sulla marina italiana, tutta, quella marina che è una sola, Mercantile e Militare, ma che comprende anche cantieristica e logistica.

Una Marina Mercantile che non ha abbastanza navi specializzate, di bandiera, armatori che devono ricorrere alle rischiose costruzioni asiatiche perché interi settori di costruzione sono stati abbandonati con una miope ottica di momentanea convenienza economica e senza nessuna strategia nazionale.

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Una Marina Militare che deve far fronte a molti impegni, su distanze sempre più grandi, come unico sostanziale riferimento dello Stato italiano in acque lontane, quasi tutte insicure.
La dirigenza del nostro Paese sembra far fatica a ricordare che la Marina Militare è una sorta di certificato di assicurazione per tutto il sistema economico e securitario nazionale, valido anche all’estero, molto più della “carta verde” a cui siamo abituati nelle nostre escursioni. Senza la Marina Militare che pattuglia le acque di interesse nazionale, i bilanci delle imprese nazionali verrebbero drasticamente ridotti. Una Marina Militare non abbastanza grande per tutelare tutti gli interessi nazionali, ovvero quelli di una media potenza regionale ma con interessi globali che deve rivestire posizioni di grande Paese se vuol sopravvivere, e deve dimostrare di esserlo, anche con una Marina adeguata. L’Italia deve quindi passare rapidamente da Paese penalizzato dalla globalizzazione a protagonista o coprotagonista del nuovo ordine. Non solo gli Stati devono condividere obiettivi comuni quali sicurezza, economicità, sostenibilità, ma anche i soggetti, gli attori, operanti in ogni singolo Stato devono farlo.

Nel caso italiano, più che essere in disaccordo sugli obbiettivi, non c’è condivisione su come perseguirli e a quali costi, con relative attribuzioni. Queste divergenze si esprimono nel voler evitare i costi o non volerne affrontare al di fuori del proprio perimetro, del tutto teorico e artificiale, in modo da evidenziare i propri risultati e (forse) lo status e la competitività delle singole imprese o settori. Ciascuna delle parti in gioco punta al massimo beneficio eludendo i costi, ma in realtà, a parte spesso roboanti maquillage, consegue un risultato inferiore a quello possibile attraverso cooperazione e relativa integrazione di sistema.

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Malgrado si invochi una sempre più stretta interdipendenza tra i diversi settori, ci si richiami al “Sistema Paese”, nei fatti continuano a prevalere egoismi, furbizie e contrapposizione: una realtà costosa e perdente. Occorre dar forma, da parte dei decisori, a una misura strutturale (e gli strumenti momentaneamente disponibili, dal PNRR ai PCI comunitari sarebbero disponibili e lo consentirebbero). Significa dar forma e contenuti a concetti strategici che, peraltro, alla base sembrano finalmente prendere forma ed essere condivisi tra alcuni degli attori nazionali. Bisogna solo vedere quanto questi concetti verranno recepiti, anche alla luce di riaffioranti gelosie e contrasti in difesa di rendite di posizione, e quanto trasformati in provvedimenti e tutele da parte della politica.

CONFITARMA, nella sua corretta e coraggiosa politica di difesa non solo della categoria ma di tutti gli interessi nazionali, nel suo rapporto 2022 ha di fatto delineato la strategia mercantile del Paese. Da parte sua il Ministro della Difesa non solo ha dato un importante segnale in tal senso, ma un primo contributo di notevole importanza emanando a maggio 2022 una direttiva, “Strategia di sicurezza e difesa per il Mediterraneo” che punta, secondo il comunicato che l’accompagna, a un’azione coordinata interforze e inter-agenzia non limitata alle acque vicine, ma a tutta l’area che rappresenta il collegamento (e le tensioni) di tre continenti e delle rotte tra l’Atlantico e l’Indo-Pacifico.

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Ambo i documenti definiscono le aree la cui sicurezza costituisce una priorità dell’Italia, visto il ruolo che può giocare in questo contesto, in funzione della sua geografia, dei suoi legami politici e diplomatici e delle sue capacità militari, che rappresentano un valore aggiunto nell’ambito delle alleanze di riferimento del nostro Paese, a partire da NATO e Unione Europea. In tale ambito è stata identificata un’area marittima di intervento costante di almeno due milioni di chilometri quadrati, con ulteriori necessità di proiezione imposte dall’espansione di attività ed interessi vitali per il nostro paese, quelle energetiche in primo luogo. Gli obiettivi sono molteplici, dalla difesa delle linee di comunicazione marittime al controllo del dominio subacqueo, dalla salvaguardia delle attività economiche in alto mare alla protezione delle flotte nazionali (mercantile, da lavoro e peschereccia), fino alla protezione dei mezzi appartenenti anche ad altri corpi statali.

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Il problema, e la sua soluzione, non è però settoriale, non riguarda solo la Marina Militare, non riguarda concessioni al bilancio della Difesa, è il problema della marittimità del paese e della sua dipendenza dal mare, mai così evidente come negli attuali frangenti. Un provvedimento realmente efficace, contingente, sarebbe quello di un programma marittimo integrato, con una legge che bilanci gli interventi sulla negletta Marina Mercantile, modulandola e rafforzandola sulle attuali esigenze, la cantieristica come innovazione e reshoring, l’energia come emergenza e collante di solidarietà, motivazione e bilancio finale positivo. Gli attuali accordi per la sicurezza energetica comportano un’enorme spesa pubblica, comunque inevitabile, ineludibile, spesa che si può però massimizzare quale investimento su capacità interne, su valore aggiunto nazionale, al di là degli immediati calcoli economici e di molto discutibili maggiori tempi di implementazione di un sistema nazionale. Servono più navi e il loro acquisto è inevitabile.

Bisogna certamente guardare avanti, ma qualche volta ricordarsi di soluzioni ed esperienze del passato non farebbe male. Ricordarsi magari dei programmi e degli interventi che nei primi anni ‘50 dello scorso secolo portarono alla ricostruzione della flotta mercantile italiana, soprattutto quella privata. Occorre rompere la spirale degli acquisti all’estero di unità, speciali e non, e a questo fine – l’interesse nazionale – dovremmo accettare ipotetici e anche eventuali maggiori costi e iniziali tempi di consegna più lunghi di costruzioni nazionali (e non è detto che tali stime negative siano poi la realtà).

Per quanto attiene alle infrastrutture, possiamo offrire la maitrise d’oeuvre italiana (e il valore aggiunto che ne deriva), ed eventualmente un coordinamento italiano su un programma comune europeo. Oggi, infatti, non paghiamo solo i conti facendo ricchi concorrenti e avversari, ma soddisfiamo le nostre necessità ricorrendo al più lontano ristorante cinese (… all can you eat …), che offre prezzi bassi, quantità, varianti esotiche (ma ignote) tutte servite a domicilio, creando dipendenze. Bisognerebbe, invece, pensare alla tradizionale trattoria di prossimità, forse un pò più cara, ma più salutare e sempre disponibile in caso di imprevisti ed emergenze.

Gian Carlo Poddighe

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Ufficiale del Genio Navale della Marina Militare Italiana in congedo, nei suoi anni di servizio è stato destinato a bordo di unità di superficie, con diversi tipi di apparato motore, Diesel, Vapore, TAG. Transitato all’industria nazionale ha svolto incarichi di responsabilità per le costruzioni della prima legge navale diventando promotore delle Mostre Navali Italiane. Ha occupato posizioni dirigenziali sia nel settore impiantistico che delle grandi opere e dell’industria automobilistica, occupandosi della diversificazione produttiva e dei progetti di decarbonizzazione, con il passaggio alle motorizzazioni GNV.
E’ stato membro dei CdA di alcune importanti JV internazionali nei settori metallurgico, infrastrutturale ed automotive ed è stato chiamato a far parte di commissioni specialistiche da parte di organismi internazionali, tra cui rilevanti quelle in materia di disaster management. Giornalista iscritto all’OdG nazionale dal 1982, ha collaborato con periodici e quotidiani, ed è stato direttore responsabile di quotidiani ricoprendo incarichi di vertice in società editoriali. Membro di alcuni Think Tank geopolitici, collabora con quotidiani soprattutto per corrispondenze all’estero, pubblica on line su testate del settore marittimo e navale italiane ed internazionali. Non ultimo ha pubblicato una serie di pregevoli saggi sull’evoluzione tecnologica e militare sino alla 2^ Guerra Mondiale, in particolare della Regia Marina, pubblicati da Academia.edu.

 FONTE:Logo Ocean4future

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