Le due navi del Principe Filippo

Riporto un bellissimo articolo, a firma di Enrico Cernuschi tratto dalla Rivista Marittima di Maggio 2021

Due nuove vicende del 1941 e del 1943

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La nave da battaglia VALIANT, qui fotografata a Malta nell’agosto 1943;
il Principe vi imbarcò alla fine del 1940 (Foto David Zambon).

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Filippo1

Allievo, guardiamarina ed STV 

Proveniente da una famiglia regale, quella di Grecia (a sua volta di origine danese), e squattrinata in seguito all’avvento, nel 1922, della Repubblica ellenica, il giovane principe entrò, nel gennaio 1939, nell’Accademia navale della Royal Navy di Dartmouth. Non era, nonostante le nobili origini, un raccomandato, ma buona volontà e tenacia non gli fecero certo difetto, tanto da risultare, al termine del primo anno di un corso accelerato equivalente ai contemporanei PN (Preliminari Navali della Regia Marina), primo assoluto in graduatoria, venendo nominato guardiamarina. La nuova guerra con la Germania accelerò, naturalmente, tutto, e già nel gennaio 1940 fu imbarcato sulla nave da battaglia Ramillies per poi servire, via via a bordo di due incrociatori pesanti, nell’oceano Indiano. Destinato alla fine dell’anno a bordo della nave da battaglia Valiant, a quel tempo di base ad Alessandria, Cricchetebbe il battesimo del fuoco davanti a Bardia alle 8 del mattino del 3 gennaio 1941 in occasione di un bombardamento costiero contro quella piazzaforte assediata da quasi un mese. Come avrebbe ricordato lui stesso, molti anni dopo, rimase impressionato dal fragore dei cannoni di grosso calibro delle corazzate, dalle vampe, dalle vibrazioni e dal rollio. Subito dopo, come raccontò molti anni dopo il Principe, secondo il suo stile pungente, gli italiani ebbero la sfacciataggine («had the effrontery»,) (1) «di rispondere al nostro tiro; era piuttosto interessante sentire i proietti che fischiavano sopra e finivano in acqua sollevando grandi colonne». Si trattava dei quattro cannoni da 120/45 della batteria Euro, recuperati da un cacciatorpediniere italiano danneggiato da un aerosilurante l’anno precedente e tornato in Italia per le riparazioni dopo aver sbarcato i propri due impianti binati di quel calibro e la centrale di tiro, destinando il tutto alla difesa dal mare di quel sorgitore, rimasto fino a quel momento indifeso da quel lato, a parte alcune mitragliere antiaerei da 13,2 mm. Il bombardamento, effettuato contemporaneamente al grande attacco da terra che doveva conquistare quella piazzaforte, era stato affidato, a giorno fatto, alle navi da battaglia Warspite, Valiant e Barham al doppio scopo di permettere l’osservazione del tiro da terra e di assicurare la necessaria sicurezza alle unità attaccanti. Bardia era già stata bombardata, infatti, 8 volte, tra il 14 dicembre 1940 e il 2 gennaio 1941, e la batteria Euro aveva danneggiato, col proprio fuoco, il cacciatorpediniere australiano Voyager la cannoniera Aphis (in due distinte occasioni) e la gemella Ladybird (2). Contrariamente alle previsioni, però, gli italiani avevano modificato, nel frattempo, l’alzo di quei quattro cannoni da 120Golf coperta riuscendo, in tal modo, ad avere a portata le navi di linea britanniche. La reazione da terra arrecò sin dai primi colpi alcuni danni minori alle corazzate Warspite e Barham e la squadra da battaglia della Mediterranean Fleet accostò in fuori, allontanandosi dopo pochi minuti (3). Le truppe australiane e inglesi impegnate nell’attacco contro la cinta fortificata Mitraglieradella piazza rimasero così senza più l’appoggio, diretto da terra, dei grossi calibri e gli ultimi caposaldi italiani caddero, infine, appena il pomeriggio del 5 dopo quelle che i britannici chiamano «zuffe tra cani». Il grande momento di quel giovane ufficiale, promosso sottotenente di vascello il 1o febbraio 1941, arrivò il 28 marzo 1941 in occasione dell’azione notturna di Capo Matapan. Preposto alla manovra dei proiettori di sinistra, SAR (di Grecia e Danimarca) Philip Battemberg (come si chiamava allora) illuminò dapprima l’incrociatore pesante italiano Fiume e, dopo la prima fiancata che aveva devastato quella nave, lo Zara. Ed è a questo punto che le recenti rivelazioni inglesi confermano, a nostro parere, quanto già ipotizzato su queste stesse pagine nel marzo scorso sulla solida (ma a quel tempo non ancora spiegata) base di un documento riservato dell’Ammiragliato riprodotto in originale. Contrariamente alla versione propagandistica subito elaborata dal grande romanziere inglese Cecil Scott Forester, «padre» del celebre comandante Hornblower, e ripresa, in seguito, da tutti, le navi britanniche non avrebbero riportato né danni né perdite, in quanto le unità italiane non reagirono, eccezion fatta, alcuni minuti dopo, per il cacciatorpediniere Alfieri, il quale tirò due salve con l’impianto prodiero da 120 mm contro il cacciatorpediniere australiano Stuart, senza effetto al pari del lancio di due siluri. Risulta anche che la Commissione d’inchiesta italiana raccolse, dopo la guerra, alcune testimonianze fatte da superstiti dello Zara i quali affermarono che una mitragliera binata da 37 mm di quella nave, rimasta efficiente dopo la prima, terribile fiancata tirata dal Barham, reagì, ma in assenza di conferme inglesi (il rapporto ufficiale pubblicato sul London Gazette, il Battle Summary del 1941 e la Naval Staff History del 1957, per tacere delle memorie dell’ammiraglio Cunningham e di altri autori) (4) i componenti della Commissione si limitarono a prenderne nota. Questa stessa notizia fu poi pubblicata nel 1977 dall’oggi scomparso Franco Gay (5) ma della cosa non si parlò più fino al 2013, quando chi scrive pubblicò, sulla base del documento originale riservato inglese poi ripreso dalla Rivista Marittima nel marzo di quest’anno, di quella stessa, modesta vicenda (6). Non conosceremo mai in tutti i dettagli cosa avvenne effettivamente, quella notte senza luna, a Capo Matapan da una parte e dall’altra. Oggi in merito a quell’avvenimento è disponibile un ulteriore frammento del mosaico e sappiamo, sulla base di quanto pubblicato tra il 9 e il 16 aprile 2021 dalla stampa del Regno Unito in occasione della morte del Principe, che subito dopo aver illuminato lo Zara, già colpito, il Flag deck e il signalling bridge del Valiant furono colpiti da una raffica sparata da un’unità italiana (il puntatore mirava, evidentemente, ai proiettori) che mancò di poco (e ne siamo lieti!) il futuro consorte della Regina Elisabetta: «He survived unscathed amid his shattered lights as enemy cannon shell ripped into his position (…) The Duke later spoke of how he coped when his shipmates died or were wounded. “It was part of the fortunes of war”, he said. “We didn’t have counsellors rushing around every time somebody let off a gun, you know asking “Are you all right – are you sure you don’t have a ghastly problem?” You just got on with it» (7), ovvero: «Sopravvisse illeso tra i suoi proiettori in pezzi mentre i proietti del nemico laceravano la plancia (…) il Duca disse in seguito di come fece fronte mentre i suoi compagni erano morti o feriti: “Sono le sorti della guerra. Non avevano psicoterapeuti che ci correvano intorno in ogni momento, mentre la gente cadeva, chiedendo: Va tutto bene? Siete sicuri di non avere un brutto problema? Si andava avanti e basta». Parole del tutto in linea con lo stile inconfondibile del personaggio.Nave In buona sostanza, e parere dello scrivente che, per quanto l’armamento principale da 203 mm degli incrociatori italiani andati perduti in quell’occasione fosse brandeggiato, in quel momento, per chiglia (non essendo previsto, al di là di un recentissimo esperimento iniziale, avvenuto appena pochi giorni prima, il tiro notturno di quelle armi) è ormai evidente che gli altri sistemi d’arma (ovverosia le batterie secondarie da 100 mm e le mitragliere) erano, viceversa, in stato d’approntamento, come d’altronde previsto da sempre dalle Norme di guerra della Regia Marina e come è, tutto sommato, logico. Le unità italiane furono — questo sì — colte di sorpresa, ma i sopravvissuti alla prima, micidiale fiancata di grosso calibro britannica (tirata, trattandosi di 381 mm, a circa 3.500 m, ossia a bruciapelo) reagirono, non essendo certo impreparati ad assolvere, ufficiali, sottufficiali, graduati e comuni, i propri compiti nel corso di un combattimento notturno. Allo stesso modo, per aver assolto in maniera efficiente, e senza mai perdere il controllo della situazione, il proprio dovere, quel giovane ufficiale fu, poco dopo, «Menzionato nei dispacci» tornando, l’estate successiva, in Gran Bretagna, per passare in Servizio Permanente Effettivo, nel gennaio 1942, al termine di un corso accelerato nel corso del quale si classificò, nuovamente, primo in 4 dei 5 esami della Scuola comando. Fu quindi destinato, quello stesso mese, a bordo di un vecchio cacciatorpediniere, il Wallace, varato durante la Grande guerra e utilizzato per la scorta convogli lungo le coste inglesi del Mare del Nord. Le avventure non mancarono, da una collisione il 22 febbraio 1942 a danni causati da aerei tedeschi il maggio 1942 che immobilizzarono quell’unità, rientrata fortunosamente a rimorchio in patria e rimasta ai lavori per due mesi e mezzo. Filippo, evidentemente, non era un imboscato. Promosso tenente di vascello il 16 luglio 1942, divenne il secondo di quel caccia nell’ambito di una Royal Navy già da oltre un anno sempre più a corto di personale. Una nuova, mai rivelata prima, vicenda, lo aspettava, però, di nuovo nel Mediterraneo.

Un tenente ricco di fantasia

L’invasione angloamericana della Sicilia, operazione confermatasi decisiva per le sorti politiche dell’Italia di quell’anno, comportò, sin dal principio della programmazione, partita alla fine del gennaio 1943, l’accettazione di un insolito livello di rischio per gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Sullo sfondo si stagliava, infatti, il timore di una pace separata russo-tedesca che avrebbe comportato la successiva fine della guerra anglosassone in Europa e, secondo l’opinione giapponese, anche in Estremo Oriente sulla base di un compromesso generale (8). La Gran Bretagna riuscì a concentrare nel Mediterraneo, per il 23 giugno 1943, rastrellandole attraverso tutti i tradizionali «Sette mari»: 6 navi da battaglia e 2 portaerei di squadra grazie al contemporaneo prestito, da parte statunitense, di 2 moderne navi di linea e, in seguito, di una portaerei, inviate a Scapa Flow, oltre al distacco in Atlantico della vecchia e appena ammodernata corazzata Nevada.Principe Filippo Allo scopo di mettere insieme le unità di scorta necessarie per i convogli d’invasione fu necessario utilizzare persino una flottiglia di vecchi cacciatorpediniere delle classi «V» e «W» del precedente conflitto mondiale, tra le quali anche il Wallace, destinato a proteggere la prima ondata da sbarco canadese all’estremità meridionale della Sicilia tra Pachino e Pozzallo. La notta tra il 10 e l’11 luglio 1943, primo giorno dell’invasione, il Wallace, isolato a causa di uno dei suoi periodici problemi con le macchine, fu attaccato e danneggiato da un solitario bombardiere. Alcuni incendi divamparono a bordo della silurante a causa dei near miss («Wallace having sustained some damage and being set ablaze in places») mentre il velivolo si allontanava. Mentre il personale di bordo provvedeva a spegnere le fiamme, tutti erano certi che quel bombardiere sarebbe tornato indietro, come infatti fece nel giro di 5 minuti. In questo arco di tempo quel giovane tenente di vascello propose al comandante Duncan Carson di gettare a mare una zattera con due boe fumogene e un fuoco a bordo e di allontanarsi brevemente a tutta velocità per poi rimanere immobili. Poteva funzionare, oppure no. Il comandante accettò l’idea e SAR riuscì a combinare tutto in quattro e quattr’otto. L’aereo, puntualmente tornato in zona dopo il proprio giro, lanciò le proprie residue quattro bombe contro quel galleggiante e, in seguito, tornò la calma. Il Wallace diresse a lento moto per Malta, dove trascorse una settimana ai lavori per poi rimpatriare in agosto. Anche questa vicenda è stata resa di dominio pubblico recentemente (9) e ancora una volta si tratta di una novità e pure in quest’occasione nulla era stato riportato in merito a questo danneggiamento. Persino l’HM Ships damaged or Sunk By Enemy Action 3rd Sept. 1939 to 2nd Sept. 1945, un dattiloscritto del 1952 redatto a solo uso interno dell’Ammiragliato (10) tace al proposito. La circostanza è tanto più curiosa in quanto il velivolo che attaccò quel caccia era un Cant Z 1007 bis del Raggruppamento Bombardieri di Perugia armato con 8 bombe da 100 kg lanciate in due riprese apprezzando di averne piazzate 3 su una nave avversaria. In quella stessa notte 48 Ju 88 tedeschi attaccarono, a loro volta, le navi nel tratto di mare tra Augusta e Avola affondando la regolarmente illuminata nave ospedale Talamba. I tedeschi attaccarono a ondate avvalendosi dell’uso dei bengala, artifizi di cui erano, viceversa, privi gli aerei italiani e che non furono osservati dall’equipaggio del Wallace (11). Il seguito delle vicende del giovane tenente e principe, destinato, nel febbraio 1944, al nuovo cacciatorpediniere Whelp, in quel momento verso la fine dell’allestimento, e destinato, in seguito, nell’Artico e, infine, nel Pacifico, sono note in quanto ricordate dalla stampa e dalla televisione in questi giorni, per tacere del seguito della sua storia d’amore regale.Aereo

Conclusione

Regina PrincipeNon bisogna stupirsi delle tante omissioni, più o meno rilevanti, nel racconto della storia della guerra navale nel Mediterraneo. Si tratta, per gli storici, di un continuo percorso alla ricerca della verità. Personalmente ritengo che Sua Altezza Reale il Principe di Galles abbia voluto, da perfetto gentiluomo quale è sempre stato, onorare l’impegno, cui tutti i marinai britannici erano tenuti in tempo di guerra (e anche dopo) a non divulgare alcunché quando il silenzio sugli avvenimenti era disposto dall’Ammiragliato, provvedendo, altresì, a sequestrare le fotografie, soprattutto quelle scattate durante le azioni, come era prassi a quel tempo per intuibili motivi di segreto militare. Nel contempo ha provveduto ad assicurare, dopo la propria morte, un racconto completo delle proprie vicende in occasione della redazione dei propri «coccodrilli» (12) con la medesima cura con cui ha organizzato le proprie(come sempre) sobrie ed eleganti esequie. Tutto ciò conferma, dunque, la natura, sconfinata come il mare, della storia e dell’insegnamento, tanto per fare un esempio, di un illustre autore come Franco Bandini, già ospite sulle pagine della Rivista Marittima, nel 1964, nel corso di un libero (come è nelle immutate e immutabili tradizioni del mensile dello Stato Maggiore della Marina), serrato e prolungato dibattito intrattenuto niente meno che con l’ammiraglio Romeo Bernotti, fondatore dell’IGM (oggi Istituto di Studi militari marittimi). Le conclusioni di quello storico e giornalista di vaglia erano state: «Nulla deve essere mai dato per scontato», e questa lezione (che è poi la legge e lo scopo stesso della storiografia) deve essere sempre la regola per tutti.

NOTE
(1) https://www.forces.net/news/prince-philip-duke-edinburghs-active-service-career (17 aprile 2021).
(2) https://www.navy.gov.auHMASVampire (21 maggio 2021), A. Cecil Hampshire, Armed with Stings, New English Library, Londra 1976, p.112.
(3) Come scrisse il marinaio del Warspite Bernard Hallas: «… splinters hit the Barham and our ship but no serious damage had been done».
(http://www.bbc.co.uk/ww2peopleswar/stories/322a4134232.shtml) (21 maggio 2021).
(4) Tutti i testi in questione sono, peraltro, perifrasi del modello originario del 1941.
(5) Franco Gay, Incrociatori pesanti classe Zara, Ateneo e Bizzarri, Roma 1977, p.53.
(6) Enrico Cernuschi, I sette dello Zara, Lega Navale, ottobre-novembre 2013.
(7) https://www.dailymail.co.uk/news/article-9456333/Price-Philip-dies-Sea-Lord-pays-tribute-highlights-role-Battle-Cape-Matapan.html; https://www.standard.co.uk/news/uk/italian-greece-pacific-edinburgh-westminster-b928802.html; https://www.belfasttelegraph.co.uk/news/uk/philip-mentioned-in-despatches-for-role-in-battle-
of-cape-matapan-40293302.html; https://www.shropshirestar.com/news/uk-news/2021/04/09/philip-mentioned-in-despatches-for-role-in-battle-of-cape-matapan
(10 aprile 2021).
(8) Enrico Cernuschi e Andrea Tirondola, Comando Centrale, USMM, Roma 2018.
(9) https://www.bbc.com/news/uk-10266717; https://www.businessinsider.com/prince-philip-helped-sink-enemy-ships-during-world-war-ii-2021-4?IR=T; https://www.
navy.gov.au/media-room/publications/semaphore-vale-hrh-duke-edinburgh (10 aprile 2021).
(10) TNA (ex PRO), ADM 234/444.
(11) Alcuni autori hanno scritto di danni inferti, quella notte tra il 10 e l’11 luglio 1943, dai bombardieri tedeschi al monitore inglese Erebus presso Capo Passero, ma
si tratta di un banale errore tipografico in quanto quella nave fu inquadrata da alcune bombe cadute vicino, lamentando 6 morti e 26 feriti, la notte sul 20 luglio 1943
mentre si trovava ad Augusta. Ian Buxton, Big Gun Monitors, Seaforth, Barnsley 2016, p.197.
(12) Questo è il nome che si dà, in gergo giornalistico, ai necrologi dei personaggi importanti, articoli che ogni giornale deve tenere sempre pronti e che una volta si
preparavano spillando una sopra l’altra, a mo’ di scaglie — appunto — di coccodrillo, delle schedine in cartoncino che riportavano tutti gli aggiornamenti del caso in
merito al futuro, illustre scomparso.

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