Genesi dei mezzi di assalto della Regia Marina Italiana: la mignatta

Ancora un argomento di storia da Ocean4future

mignatta modello

L’origine
L’idea di usare armi non convenzionali in campo navale ebbe origine nella Regia Marina Militare Italiana durante la I guerra mondiale. Gli Italiani svilupparono ingegnosi sistemi offensivi per penetrare all’interno dei porti austro-ungarici utilizzando armi segrete speciali. Il loro utilizzo contribuì agli esiti del conflitto mettendo le basi della guerra moderna asimmetrica.

L’azione navale più famosa fu l’affondamento della corazzata Viribus Unitis, avvenuto il primo novembre 1918 grazie ad un’arma rivoluzionaria che fu chiamata mignatta semi sommergibile.

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La nave da battaglia Viribus Unitis

La mignatta
Dall’inizio della grande guerra, la base austriaca di Pola era uno dei principali obiettivi della Regia Marina italiana. La scelta tattica della marina austro-ungarica era di opporre al nemico una potente flotta con compiti di dissuasione, posta sempre alla fonda in porto e non impegnata in battaglie in mare aperto. La Regia Marina Italiana decise di forzare il controllatissimo porto di Pola, protetto da numerosi sbarramenti, per affondare le possenti navi austriache che vi erano alla fonda. Considerando la sorveglianza continua del porto, l’unico modo possibile per penetrare nel porto ed attaccare le navi nemiche risultò l’impiego di unità d’assalto minori.

Nel luglio del 1918, il maggiore del Genio Navale Raffaele Rossetti elaborò un piano di attacco basato sull’utilizzo di una torpedine semovente. Va specificato che fino ad allora il termine torpedine era usato per identificare delle armi subacquee indipendenti da usarsi all’interno di sbarramenti in mare sia difensivi che offensivi. In pratica, le torpedini erano delle mine navali.

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Disegno della mignatta

La mignatta di Rossetti era invece qualcosa di più; un siluro di otto metri di lunghezza e 60 centimetri di diametro, motorizzato ad aria compressa e pilotabile in superficie da due operatori. La mignatta trasportava sulla sua estremità due cariche esplosive, sganciabili in modo da poterle fissare alla chiglia della nave bersaglio per mezzo di un elettromagnete ad accumulatori. 

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La mignatta fu costruita in due esemplari, denominati S.1 ed S.2., nell’Arsenale di Venezia, basandosi su dei disegni di un prototipo elaborato nell’arsenale di La Spezia. Fu lo stesso inventore, Raffaele Rossetti, a condurre l’attacco, affiancato dal tenente medico Raffaele Paolucci. L’azione fu prevista il 31 ottobre 1918 quando un M.A.S.  rimorchiò in maniera occulta la mignatta fino all’imboccatura del porto di Pola, portandola ad alcune centinaia di metri dalla diga foranea. I due ufficiali italiani, poco dopo le 22:00, puntarono verso il porto inizialmente trainati dalla mignatta che guidavano con un semplice comando manuale; il M.A.S. invece si allontanò in attesa di poterli recuperare. 

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L’avvicinamento all’obiettivo fu molto rischioso; nelle ultime centinaia di metri Rossetti e Paolucci trascinarono la torpedine a motore spento, superando lo sbarramento esterno e ben tre ordini di reti ed eludendo così l’attenta sorveglianza austriaca. Dopo circa tre ore raggiunsero le navi ancorate ma ne occorsero altre tre, nelle gelide acque istriane, per riuscire finalmente ad avvicinarsi allo scafo della Viribus Unitis.

Rossetti posizionò una delle cariche alla chiglia della corazzata mentre Paolucci continuò a lottare contro la forte corrente per mantenere il mezzo in posizione. Alle 05:30 la prima carica da 200 kg fu agganciata alla carena dell’obiettivo e programmata ad esplodere alle ore 06:30. Ma qualcosa andò storto e la luce di un proiettore li illuminò. Prima della cattura, Paolucci riuscì però ad attivare anche la seconda carica di esplosivo mentre Rossetti si occupava dell’affondamento della mignatta sul fondo, nei pressi del piroscafo Wien ormeggiato a poca distanza.

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Catturati e portati a bordo della Viribus Unitis, i due eroi appresero con non poca sorpresa che l’alto comando austriaco aveva ceduto la flotta di Pola agli Iugoslavi e la nave non batteva più bandiera austriaca. Attesero qualche minuto e, alle ore 06:00, avvisarono il comandante della potente unità Vukovic che la corazzata poteva esplodere da un momento all’altro. Il Comandante rimase certamente sorpreso ed ordinò di abbandonare immediatamente la nave e di trasferire i prigionieri a bordo della nave gemella, la Tegetthoff.

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L’affondamento della Viribus Unitis

Ci fu però un ritardo nei congegni e l’esplosione non avvenne nel tempo previsto. L’equipaggio ritornò quindi a bordo ma per poco. Alle 6:44, la carica esplosiva esplose e la grande corazzata austriaca, orgoglio della marina austro-ungarica, inclinatasi su di un lato, cominciò rapidamente ad affondare. Vi furono oltre trecento vittime e dispersi, tra cui anche il comandante Vuković

In seguito, Rossetti e Paolucci, venuti a sapere delle precarie condizioni economiche della famiglia del comandante Vuković, decisero di devolverle una parte del premio di guerra ricevuto per l’affondamento.

L’assalto occulto di uomini contro unità navali utilizzando mezzi subacquei non convenzionali di fatto creò un nuovo concetto operativo, decisamente rivoluzionario in un’epoca i cui i comandanti delle navi raggiungevano la plancia in alta uniforme con sciarpa e sciabola per condurre l’attacco.

Questa azione fu precorritrice di fatto delle moderne azioni caratteristiche della guerra asimmetrica, operazioni che scrissero nella Seconda guerra mondiale tante pagine gloriose, quelle degli uomini contro navi.

ammiraglio Cavagnari

L’ammiraglio Domenico Cavagnari. Genovese,
entrò in marina alla fine dell’Ottocento e partecipò
alla guerra italo-turca e alla I guerra mondiale
imbarcato su naviglio silurante. Promosso
ammiraglio negli anni Venti, comandò l’Accademia
Navale e la 2ª Divisione Navale, raggiungendo
poi i vertici della Regia Marina nel 1933.
Impostò un programma di sviluppo incentrato sulle
navi da battaglia e sui sommergibili. Morì a Roma nel 1966.

Il progetto di Cavagnari
Prima di entrare nei dettagli delle azioni dei mezzi di assalto, è doveroso descrivere gli antefatti. Esse furono il frutto di studi iniziati già nel 1935 quando il Capo di Stato di Maggiore della Regia Marina, l’ammiraglio Domenico Cavagnari, presentò al Capo del Governo il programma di sviluppo per la creazione di un team di assaltatori equipaggiato con armi non convenzionali. L’ammiraglio Cavagnari, che aveva partecipato al forzamento del porto di Pola del 1° novembre 1916, riteneva che una tale capacità offensiva avrebbe fornito all’Italia un vantaggio preponderante se avesse dovuto confrontarsi con le altre Marine presenti nel Mediterraneo. La visione di Cavagnari peccò però nella valutazione tecnologica che si stava sviluppando in altre marine. Sebbene da un lato promosse la costituzione di una flotta imponente, mancò nell’investire nelle nuove tecnologie (come, ad esempio, il radar) che si sarebbero rivelate poi importanti durante la Seconda guerra mondiale. 

Il siluro a lenta/lunga corsa
Per quanto riguarda le operazioni speciali l’interesse dello Stato Maggiore fu discontinuo, nonostante i progressi fatti dai due ideatori maggiori di questo nuovo tipo di arma, Tesei e Toschi che, sulla base dell’idea di Paolucci e Rossetti svilupparono il siluro a lenta/lunga corsa (S.L.C.), un mezzo subacqueo motorizzato di oltre sei metri di lunghezza che poteva trasportare autonomamente due uomini verso gli obiettivi navali nemici.  

A differenza dei siluri normali, il S.L.C. poteva essere infatti guidato dai due operatori che, con strumenti elementari come una bussola ed un profondimetro, potevano avvicinarsi in maniera occulta verso il bersaglio navale. 

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Il motore elettrico poteva fornire un’autonomia di circa quindici miglia ad una velocità media di 2 nodi e con una velocità massima di 3 nodi, considerata sufficiente per contrastare eventuali correnti. La carica esplosiva, di 300 chilogrammi di tritolo, era posta a prora del mezzo e poteva essere scollegata ed agganciata tramite un sistema di “tenaglie” al di sotto delle navi.

L’esplosione avveniva grazie a delle spolette con detonatori a tempo. Gli operatori subacquei, per poter respirare sott’acqua, avevano in dotazione un sistema di respirazione a circuito chiuso ad ossigeno del tipo Davis che consentiva loro di non emettere bolle, garantendo così la loro invisibilità nell’avvicinamento.

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Schema di attacco con i S.L.C.

Perchè venne chiamato maiale?
Il S.L.C. fu chiamato dagli operatori col nome di “maiale” a seguito di un curioso episodio. Si racconta che durante un’esercitazione nella loro base segreta, a Bocca del Serchio, il mezzo di Teseo Tesei si incagliò nella sabbia, mentre cercava di rientrare dal mare, a causa della bassa marea.Dopo numerosi sforzi riuscirono finalmente a disincagliarlo. Mentre veniva assicurato al pontile, il mezzo, mosso dalla risacca, fece uno strano rumore simile al grugnito di un maiale. Fu proprio Teseo Tesei a coniare, con il suo fiorito toscano, il termine con cui è comunemente chiamato. Tesei, passando la cima al palombaro di assistenza disse “Prendi …  ormeggia tu il maiale”. Da quell’episodio il mezzo fu chiamato confidenzialmente maiale. 

Lo spirito del Serchio
Gli uomini destinati ad effettuare quelle operazioni speciali furono selezionati accuratamente; dovevano essere ottimi nuotatori, riservati e affidabili. Non erano ammessi errori. Essi venivano sottoposti presso le basi della marina ad un addestramento durissimo e pericoloso per oltre sei mesi di cui non potevano far partecipi nemmeno i familiari. I migliori raggiungevano la base segreta della foce del Serchio. Nel suo libro “Vita di Marinaio“, l’ammiraglio Gino Birindelli descrisse così l’attività giornaliera degli uomini a Bocca di Serchio: ” Noi andavamo in mare al mattino assai presto ed alla sera a buio fitto, dedicando il lavoro nelle ore di luce al continuo perfezionamento di ogni strumento e quello notturno all’addestramento alle vere e proprie operazioni belliche, di cui studiavamo le tattiche. Al Serchio si era creata, in modo vero, profondo e sincero, quella “banda di fratelli che costituiva un ideale dei giovani allievi dell’Accademia Navale” ed essere uniti come consanguinei non era retorica, come non lo era il volere dare in ogni possibile modo tutto quello che si poteva ad un’Italia che amavamo sopra ogni cosa. Là si creò quello “spirito del Serchio” che nessuno di noi ha mai potuto dimenticare“.

Questi mezzi erano inquadrati in un reparto speciale, nato nel 1939 come Iª Flottiglia M.A.S., che cambiò ufficialmente la propria denominazione in “Xª Flottiglia M.A.S.” il 14 marzo 1941. Il loro primo motto, Memento Audere Semper per la 1ª Flottiglia MAS, fu cambiato in Per il Re e per la bandiera con la Xª Flottiglia MAS. Il loro compito sarebbe stato l’attacco al naviglio nemico in rada e nei porti, tramite sabotaggio occulto con i mezzi insidiosi e l’uso di mezzi veloci diretti verso la nave nemica.

Genesi – continua 

Andrea Mucedola 

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