Pubblicato in News dalla Marina Militare .

Com’è la vita in un sottomarino?

a 60 metri di profondità

Una giornalista di 7 si è immersa con il nuovissimo sottomarino della Marina Militare italiana. Un concentrato di tecnologia che il mondo ci invidia. Non era la sola donna a bordo: sul “Romeo Romei” sono imbarcate due delle prime sette sommergibiliste operative in Italia. Invisibili e silenziosi, i sommergibili sono indispensabili. Oggi più che mai. Pattugliano il Mediterraneo, a caccia dei trafficanti di uomini e di merci
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L’APPUNTAMENTO È ALLE 8.30 IN BANCHINA. Il “film” di oggi – lo chiamano così – propone: disormeggio, navigazione, immersione, pranzo sotto il mare, pattugliamento della costa di un ipotetico Paese-canaglia, rientro e ormeggio. Siamo a Taranto, Comando Flottiglia sommergibili, e stiamo per salire sul Romeo Romei, il nuovissimo sottomarino della Marina Militare italiana. I “film” – mi spiega il capitano di fregata Manuel Minuto, direttore della Scuola sommergibili – sono situazioni scelte per la formazione in mare: di volta in volta l’equipaggio deve calarsi in una missione e portarla a termine. Con l’uscita di oggi finisce l’addestramento del Romei. Mentre leggete, il sommergibile è già stato dichiarato combat ready, pronto al combattimento: è possibile che sia impegnato in un’operazione segreta nel Mediterraneo. A un centinaio di metri di profondità. Quanti? Non me lo dicono: questione di sicurezza nazionale.
55 METRI DI LUNGHEZZA PER 7 DI LARGHEZZA, 1.800 tonnellate, 350mila pezzi – un’automobile ne ha 3.500, un aereo 35mila – messi insieme in cinque anni di costruzione e dieci anni di progettazione. «Solo le astronavi sono più complesse dei sommergibili», sentenzia il capitano Minuto. Non è un commento casuale: sotto il mare e nello spazio si ricreano caratteristiche fisiche, esigenze tecnologiche e situazioni logistiche simili. Lo capirò tra poco.

SONO EMOZIONATA E UN PO’ PENSIEROSA: cosa si prova a stare sotto il mare per un’intera giornata? E se mi sentissi male? Come fanno 34 persone (27 di equipaggio, più 11 imbarchi temporanei, compresa la sottoscritta) a condividere spazi tanto ristretti? La maggior parte dei sommergibilisti a bordo si è immersa anche per 20 giorni consecutivi. Ma il capitano di vascello Giorgio Cossiga, comandante dell’intera flottiglia sommergibili, tiene a dirmi: «Siamo persone normali che fanno un lavoro speciale».

LA MARINA MILITARE POSSIEDE OTTO sommergibili: quattro di vecchia generazione, classe Sauro; e quattro nuovi, classe Todaro tipo U212A, co-prodotti da Italia e Germania. Tecnologicamente più avanzati, più sensibili, silenziosi e amagnetici: dunque non intercettabili. Ma, esattamente, a cosa servono? «Il sommergibile deve osservare senza essere visto, ascoltare senza essere sentito», scandiscono ufficiali e sottufficiali incontrati durante 48 ore. «È un mezzo per l’intelligence», spiega il tenente di vascello Carlo Faggiana. «Pattugliamo, osserviamo e forniamo informazioni al Ministero della Difesa su quello che succede in mare. Il Mediterraneo è al centro di traffici illegali. Di merci – armi, combustibile, droga – e di uomini. La maggior parte delle informazioni sugli scafisti arriva dai sommergibili», che intercettano le loro imbarcazioni, forniscono le prove dei reati, danno l’allarme per salvare i migranti. All’emergenza, riemergono e li soccorrono: è un’eccezione, ma può accadere.

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SULLA BANCHINA MI VIENE INCONTRO FABIO Casamassima, il comandante del Romei. Ha 37 anni, è figlio d’arte: il padre, l’ammiraglio Casamassima, comandava il precedente sommergibile Romei. Una tradizione di famiglia. Ci vogliono 11-12 anni di esperienza a bordo prima di diventare comandante. Accademia Navale a Livorno, corsi di base e specialistici a terra, anni in mare, ulteriori corsi per arrivare a dirigere un’unità minore, fino a conquistare un mezzo navale così complesso. Casamassima ha visto il primo sommergibile a tre anni d’età. Oggi comanda un equipaggio di 27 persone. Tra loro, due delle sette sommergibiliste operative in Italia: le prime della nostra Marina Militare. Nel 2015 l’ufficiale di Stato maggiore Erica Benemerito chiese di diventare sommergibilista: da allora la Marina ha aperto la strada alle donne. Un motivo in più per salire sul Romei.

È ORA. CI CALIAMO DAL PORTELLO DI PRORA: uno alla volta scendiamo in un profondo buco circolare. C’è un briefing pre-navigazione: viene spiegata la missione, gli obiettivi e le informazioni da trasmettere. Ultimi aggiornamenti: il meteo è ottimale, le onde non superano i due metri e all’occorrenza, ci dicono, «sul Romei c’è cibo per sei giorni e acqua per 11». Molto bene, penso. Sopravvivrò.

SALIAMO IN PLANCIA, LA PARTE SUPERIORE DEL battello da cui si comanda la navigazione prima di immergersi. Il tenente di vascello Palomba condurrà la manovra, sotto gli occhi attenti del comandante Casamassima. Il comandante in seconda Stefano Oliva tiene le comunicazioni con l’esterno, il secondo capo scelto Vincenzo Lomonte trasmette gli ordini all’interno. Al passaggio sotto il ponte di Taranto, rendiamo gli onori alla bandiera. Quando arriviamo in mare aperto, scendiamo nella pancia del sommergibile. L’equipaggio si divide in due squadre: ognuna fa sei ore di guardia e sei di riposo. Il sottomarino non si ferma mai. La giornata tipo non esiste: non inizia e non finisce. Entriamo nel CIC, Combat Information Centre: il cervello del sommergibile. Conto 27 schermi. Ogni membro dell’equipaggio ha una funzione. «Sembra caotico, ma è un caos ordinato», mi dice Minuto. «Ognuno sa quello che deve fare: non una parola di più, non una di meno».

«CHIUDERE PORTELLO». «CHIUDERE CONTROPORTELLO» (previa assicurazione che nessun uomo sia rimasto fuori!). «Assumere ruolo immersione», dice in sequenza il comandante. «Pronti per l’immersione». Uno sguardo al periscopio per assicurarsi che non ci siano navi vicine. Ci immergiamo alle 12.08. Inizia la nostra navigazione silenziosa e segreta. Dieci minuti dopo, arriva l’ordine che aspettavo da quando ho saputo che sarei stata inviata su un sottomarino: «Scendere ai 60 metri». Un conto alla rovescia ritma l’immersione nel buio totale del mare. A questa profondità non si vede nulla, anche se ci fossero oblò. Che non ci sono: non servirebbero e non reggerebbero la pressione.

UN SOMMERGIBILE FUNZIONA GRAZIE A TRE tipi di rilevamento: sonoro, magnetico e visivo. In immersione funzionano solo i primi due. Il sonar registra tutti i rumori del mare: dai pozzi petroliferi allo sbattere delle chele dei granchi. Un’altra zona del Combat Information Centre elabora distanza, rotta e velocità dell’entità che produce il suono. Quindi si riemerge fino ai 13 metri, la profondità massima per poter issare il periscopio e guardare fuori. In immersione il sommergibile non solo non vede, ma taglia ogni contatto col mondo esterno. Per inviare una comunicazione urgente bisogna salire a 13 metri e issare un’antenna che manda il documento al Comando. Sotto il mare, si è isolati.

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IL SOMMERGIBILISTA È UN MESTIERE per uomini e donne, non per anziani. Ci vogliono riflessi veloci, vista perfetta, ottimo udito, flessibilità mentale per affrontare un mestiere complicato in spazi affollati. Il veterano, qui sul Romei, ha 46 anni. Il più giovane 23. Si chiama Francesco Cosmai, barese-tarantino, sommergibilista-silurista. La cosa più difficile? «Non poter comunicare con l’esterno: niente cellulare né social. La mia fidanzata è un po’ triste perché non può vedermi né sentirmi per tanti giorni». La cosa che più ti affascina del lavoro? «Partecipare ad attività operative segrete e avere una specializzazione: in Marina è importante».

PIÙ TARDI INCONTRO L’UFFICIALE IOLE BOCCIA, addetta al servizio sistema-nave: l’ingegnere del sommergibile, insomma. Ha 29 anni, è napoletana. Tra qualche anno diventerà la prima donna italiana direttore di sommergibile, una tra le poche al mondo. Mi accompagna nella sala occupata dai macchinari per l’aria e i gas di scarico. «La marmitta del battello», la chiamano. Perché hai scelto i sommergibili? «Perché richiedono un grado di specializzazione altissimo». La cosa più dura? «Non potersi fare una corsa! Ci sono solo due posti in cui una persona è così isolata dal mondo: sott’acqua e nello spazio». Cosa comporta ricoprire un incarico che, fino a due anni fa, era appaltato al genere maschile? «Non cambia niente. Devi avere lo spirito di adattamento richiesto a tutti».

MI CONDUCONO A VEDERE GLI ALLOGGI. Il vocabolo può trarre in inganno. I letti sono disposti uno sopra l’altro lungo le pareti, in due zone del sommergibile. Non c’è uno spazio privato: ci sono tende che si possono tirare per cambiarsi, a turno. Qualche armadietto in comune e, nel corridoio, una scarpiera. In tutto ci sono due bagni: uno al piano di sopra e uno di sotto. Sul Romei l’atmosfera è informale, ma l’atteggiamento è formale: per garantire un minimo di privacy, mi spiega Minuto. «È una sorta di atteggiamento zen, di rispetto dell’altrui presenza e dell’altrui spazio. La disciplina non è legata alla divisa, è interiore. S’impara a bordo. Per questo la presenza femminile non ha cambiato le cose. Il rispetto è uguale per tutti».

ALLE 13 IL PRANZO È IN TAVOLA. IL CUOCO, Domenico Migliaccio, ha 30 anni. In uno spazio minuscolo cucina regolarmente per 27 persone, oggi per 35. Variante vegana compresa. Alle 14 torniamo in postazione. Ci stiamo avvicinando alla costa da ispezionare. Il comandante issa e ammaina il periscopio a qualsiasi rilevamento acustico ed elettromagnetico. Alla vista di unità sul mare, si torna sotto e si corregge la rotta. È una ricognizione non facile, uno slalom continuo tra piccole imbarcazioni.

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ALLE 15.30 SCOPPIA UN INCENDIO. PER FINTA: è una simulazione. Se le missioni di addestramento vengono chiamate “film”, i sommergibilisti adesso diventano attori. S’infilano passamontagna, guanti ignifughi e maschere antifumo. Tre squadre, a turno, vanno a spegnere l’ipotetico l’incendio, intanto una squadra continua – per davvero! – a comandare la navigazione. Un uomo cade a terra e resta immobile. Penso si sia fatto male. Lo dico al tenente di vascello. Lui risponde con naturalezza: «No, lui è il ferito per i fumi dell’incendio».

SONO QUASI LE CINQUE DEL POMERIGGIO quando riemergiamo. Per farlo è stato necessario pompare aria nelle casse. Il sommergibile funziona col principio di Archimede: acqua per scendere, aria per salire. «11 metri, 9, 8, 7,…», scandisce il timoniere. Il comandante ordina: «Aprire portello e controportello». La missione è compiuta. Ci vorrà un’altra ora e mezza di navigazione per arrivare in porto, ma ormai è un gioco da ragazzi. Risalgo le tre scalette ripide che mi separano dall’aria aperta e torno a conquistare la plancia. Vedo il mare, sopra. E penso al mare, sotto. Al caos ordinato che permette di navigare silenziosi e invisibili, in continuo movimento, sotto il mondo che conosciamo.

 FONTE: Logo 7corsera

 

 

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