"Un tesoro che ho chiamato Daedalus 21"
L'ingegnere Guido Gay racconta la scoperta del relitto romano del II secolo / FOTO
di Marco Magi
Spezia, 12 luglio 2014 - È RIMASTO là, in fondo al mare, per oltre duemila anni, fino a quando il sonar di Guido Gay non l'ha individuato, il 22 giugno scorso. Venti miglia a sud ovest dell'Isola del Tino, c'è un relitto romano del II secolo a.C., che giace a 500 metri di profondità con tutti i suoi tesori. «Anfore a centinaia — dichiara Gay — dell'età Repubblicana, che testimoniano i traffici commerciali tra la Francia, la Spagna e Roma che importava da quelle zone dell'Impero, il vino e la salsa di pesce».
Quanto è grande il relitto e cosa ne è rimasto?
«Si stima una lunghezza di 15 metri e una larghezza di 10, ma non vi è nulla delle parti emerse dello scafo. Nell'arco di ventidue secoli, il legno è stato completamente mangiato dagli organismi del fondale. Gli ho dato il nome di Daedalus 21».
E il carico?
«Quello emerge per due metri in altezza. Ma ovviamente i recipienti non contengono più niente. I tappi che chiudevano le anfore erano 'cementati' e la pressione marina, quando sono affondate, li ha fatti saltare disperdendone il contenuto».
Come è avvenuto il ritrovamento?
«Stavo scandagliando con il mio sonar quell'area e ho notato qualcosa di particolare sul fondale. A quel punto ho calato il sottomarino Pluto e ho avuto conferma di quello che pensavo».
Quali sono le difficoltà in questo tipo di attività?
«Non sempre quello che vedo è degno di nota. Spesso sono semplicemente scogli che contengono formazioni di animali, però, a volte, anche se non è quello che può sembrare, è comunque importante. Poco tempo fa, in Corsica, sopra un relitto, ad esempio, ho scoperto un corallo bianco vivo. Una grande soddisfazione».
GAY, che è riuscito anche a individuare nel 2012 il relitto della corazzata Roma, affondata nel 1943, non è nuovo a ritrovamenti nella nostra zona. Nello stesso anno, a 400 metri di profondità, a 17 miglia a sud del Tino, scoprì un altro relitto, del IV-III secolo a.C., più o meno della stessa grandezza (denominato poi Daedalus 14), con migliaia di anfore. «Molte, però, purtroppo erano state ridotte in frammenti. Ma questa volta, per fortuna, il sito è meglio conservato e spero che così rimanga». L'ingegner Gay ha un grande timore, adesso che la scoperta è stata resa nota. «Quelle anfore costituiscono un habitat ideale per i gamberi e così, diventano luogo prediletto per i pescherecci e le loro reti a strascico, che possono arrivare anche fino a quella profondità». Per salvaguardare il tesoro ritrovato, la Soprintendenza per i beni archeologici della Liguria, ha interessato la capitaneria di porto della Spezia, che ha emesso un'ordinanza che vieta la pesca a strascico e qualsiasi attività subacquea, nella zona interessata.
di Marco Magi
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