Woodstock, una nuova attrazione al Museo Tecnico Navale

Il giorno 08 settembre 2015 il minisottomarino “MSM-1S” USEL (Unità di Soccorso e Lavoro) è stato consegnato al Museo Tecnico Navale della Spezia per diventare una delle attrazioni del Museo, attualmente in fase di ristrutturazione e ampliamento. Il sottomarino è stato collocato nel giardino esterno del Museo Tecnico Navale, in corrispondenza dell'ingresso provvisorio della parte di museo rimasta aperta durante i lavori, ed è quindi la prima attrazione chi incontrano i visitatori. woodstockNel 1977-80 i Cantieri Breda di Porto Marghera hanno costruito per la Marina Militare la nave salvataggio Anteo (A 5309), e assieme alla nave hanno costruito il minisottomarino. Il mezzo fu soprannominato Woodstock, come il canarino amico di Snoopy delle strisce di fumetti Peanuts, per il colore giallo e la forma anticonformista, scarsamente idrodinamica. che lo contraddistinguono, e forse anche per la scarsa pronunciabilità della sigla. A bordo di nave Anteo, il minisottomarino era sistemato in un apposito vano poppiero denominato “Hangar Mini”, dal quale veniva messo a mare e recuperato mediante una gru a portale (4). Il battello, condotto da due operatori e capace di operare fino a 600 m di profondità, si componeva di una struttura di base (MSM-1) costituita da tre moduli: Modulo di Comando (MC), Modulo di Soccorso (MSS) e Modulo di Servizio (MS). In tale configurazione il Minisom poteva svolgere missioni di ricerca e identificazione subacquea, di lavoro sul fondo e prelievo campioni, di assistenza a operatori subacquei. Alla struttura di base MSM-1, poteva essere flangiata, sotto il modulo di Soccorso, una struttura resistente denominata “Gonna”, ottenendo così la configurazione . In predetta configurazione il mezzo era idoneo a effettuare operazioni di recupero di personale da sommergibili sinistrati sul fondo, trasportando fino a 8 persone. Sulla base dell'esperienza acquisita nei primi anni d'impiego, nel 1989 il minisottomarino fu fermato per circa un anno per alcuni importati interventi tecnici di modifica condotti presso una ditta a quei tempi leader del settore, la MARITALIA di Fiumicino. Punto di forza del settore della subacquea ad alti fondali, ha partecipato, durante 20 anni di attività, a moltissime missioni operative e addestrative internazionali, sempre imbarcato su nave Anteo. Tra le più significative ricordiamo: immersioni investigative su relitti di pescherecci affondati nel canale d'Otranto; assistenza alla prima immersione in saturazione alla quota di 250 m condotta dagli operatori di COMSUBIN; immersione investigativa sul relitto della petroliera Haven affondata nelle acque di Arenzano (Genova); partecipazione alla prima esercitazione Sorbet Royal, svolta nelle acque di Malaga (Spagna), con appontaggi e passaggi di personale sui diversi sommergibili italiani e stranieri tra i quali l'USS Dallas e il Galerna spagnolo; Woodstock frontaleassistenza al recupero di residuati bellici nelle acque antistanti Grosseto; assistenza al recupero del relitto dell' imbarcazione Silvia nelle acque dell' Isola d'Elba: immersioni nell'ambito delle ricerche subacquee del relitto della corazzata Roma, nel Golfo dell'Asinara; corso di formazione per i nuovi equipaggi, nell'ambito del quale fu raggiunta la massima profondità di 480 m, nelle acque antistanti le Cinqueterre. Il “MSM-1S” ha terminato I' attività operativa nei primissimi anni 2000, dopo un ventennio di carriera, ed è stato sostituito a bordo di nave Anteo dal minisottomarino “SRV-300” prodotto nel 1998-99 dalla Drass Galeazzi di Livorno e caratterizzato da una quota operativa di 300 m e da capacità di recupero personale più avanzate di quelle del suo predecessore.


Claudio Boccalatte

Fonte: Logo Rivista marittima

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La grande avventura del San Giorgio. Un episodio poco noto della storia della Marina

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Un episodio poco noto della storia della Marina

Le navi hanno un nome e un’anima.

7 marzo 2016 Enrico Cernuschi -

Le navi hanno un nome e un’anima. Spesso le tre cose (nave, nome e anima) coincidono. Un celebre caso è quello del San Giorgio, veterano di tutte le guerre italiane dall’epoca dell’entrata in servizio, nel 1910, alla difesa di Tobruch nel 1940-1941. Libri, articoli e documentari furono dedicati a quella nave, da allora fino a oggi. In teoria, quindi, si sa tutto sul San Giorgio. Manca però un tassello. Un piccolo dettaglio di appena 364 tonnellate di stazza.
Il nome San Giorgio fu infatti portato, in quegli anni, anche da un piroscafetto della Società Anonima di Navigazione a vapore Istria varato nel 1914 e iscritto, dal 12 maggio 1940, nei ruoli del Naviglio Ausiliario dello Stato con la caratteristica F. 95. Ma con un nome e un patrono del genere non ci si poteva mica limitare ai pur dignitosissimi compiti del pilotaggio.
E infatti, ecco che nell’aprile 1941, data la mancanza, o quasi, di navi da guerra italiane in Alto Adriatico al momento della guerra con la Jugoslavia, la nostra vedetta passa in prima linea col proprio cannone prodiero da 57/43 (era un pezzo del 1887, un’annata evidentemente ottima per i cannoni). Imbarcato, da buon vaporetto, un plotone da sbarco di marinai, il nostro andò a occupare, sparacchiando qua e là quando era necessario, più di un’isola in Dalmazia per due settimane di fila. Nel 1942 diventò poi un posamine, imbarcando una dozzina di armi per volta da posare, tra un pattugliamento e l’altro, nei canali dell’arcipelago. Mestiere pericoloso, certamente, ma non più di quello di tante altre navi e dei loro uomini di quei tempi o nel corso di ogni guerra. Questo almeno, fino alle ore 17.25 del 18 febbraio 1943.
In quel momento, come registra il Diario di Supermarina, qualcuno nella Sala operativa (il progenitore dell’attuale CINCNAV, a Santa Rosa) credette di aver capito male. Il messaggio, trasmesso in chiaro, diceva “Avvistato e attaccato il nemico, nave San Giorgio combatte”. Il vecchio incrociatore era affondato più di due anni prima. Seguì, pochi minuti dopo, un altro marconigramma, trasmesso precedentemente in codice e appena decifrato: “45° 02N 13° 35 E (a sud di Capo Promontore, in Istria, n.d.a.) attaccato da Smg. con lancio di un siluro che passa sotto lo scafo senza esplodere. Lancio bombe di profondità”. Le bombe disponibili erano solo 4, ma la reazione della nave italiana lanciata a tutta velocità (in verità, 10 nodi) risalendo la scia del siluro era stata rapida e precisa. Avvistato il pur sottile periscopio d’attacco, il San Giorgio tirò contro quel bersaglio 3 colpi col pezzo di prora. Poco dopo il battello avversario, l’inglese Thunderbolt, emerse. Nel rapporto di missione del comandante britannico si afferma di aver lanciato, da meno di 500 metri, contro una corvetta. Come promozione su campo non c’era male per quel piroscafetto. Le notizie inglesi affermano poi che il sommergibile, sottoposto alla caccia antisom avversaria, emerse per “attaccare” la nave italiana. Peccato che la distanza iniziale tra le due navi fosse di 5.500 yard per poi salire, nel corso di un quarto d’ora, a oltre 8.000 tra il battello che filava a 17 nodi e il vaporetto che lo incalzava a, sì e no, 11 producendo un gran fumo nero con la propria vecchia macchina a triplice espansione alimentata a carbone e i fochisti che spalavano e sudavano come dannati. Le proporzioni tra il battello inglese, da 1.326 tonnellate e lungo 84 metri fuori tutto, e i 38 metri del San Giorgio erano le stesse della lancia del comandante Achab contro Moby Dick.
Il duello tra il cannone da 102 mm inglese, il quale tirò 66 granate in risposta al fuoco del 57 italiano (32 proietti sparati in quella fase) non produsse danni reciproci, come rilevò subito, e onestamente, il rapporto di missione italiano. I britannici scrissero, invece, di aver messo a segno diversi colpi sul bersaglio, probabilmente ingannati dalla densa nuvola di fumo che usciva dal fumaiolo della nave. Alla fine, riparate le avarie minori riportate quando era in immersione, il Thunderbolt, visto che la luce stava calando (due to the failing light) ed essendo ormai in una zona di fondali sufficienti, pensò bene di immergersi e allontanarsi. Probabilmente lo spirito di San Giorgio, patrono di Genova, non volle infierire.
Il Thunderbolt fu poi affondato, il 12 marzo 1943, davanti a Capo San Vito, in Sicilia, dalla corvetta italiana Cicogna. Il San Giorgio continuò la propria guerra in Adriatico. Naufragò, nel corso di una violenta mareggiata, il 12 febbraio 1944 alle foci del Po. Recuperato dopo la fine del conflitto riprese a navigare sotto le consuete vesti civili di onesta nave da carico misto dal passato insospettabile. Il santo, come sempre marinaio in pectore, passò poi la mano a un bel caccia conduttore entrato in servizio nel 1955 e, nel 1987, all’attuale nave d’assalto anfibio. C’è poco da fare: il motto Arremba San Zorzo è una questione di anima, di nave e di santo guerriero, tutti insieme in ogni tempo e in ogni età, senza questioni di taglia.

Primo San Giorgio

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Il bacino Ferrati di Taranto, il più grande del Mediterraneo

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 Il bacino di carenaggio in muratura Ferrati di Taranto, il più grande del Mediterraneo

Il bacino di carenaggio è una complessa costruzione utilizzata per effettuare a secco controlli, manutenzioni periodiche e riparazioni allo scafo di natanti, in particolare alla carena e alle sue appendici.

24 marzo 2016

Fabio Dal Cin

Bacino Taranto25E' mattino presto quando si avvicina la sagoma di una nave che inizia la manovra di avvicinamento verso il bacino che, ormai allagato, è pronto ad accoglierla al suo interno. Una manovra delicata, l'ingresso in bacino, che richiede professionalità e grande lavoro di squadra, ma la sosta di una nave in bacino è fondamentale per svolgere lavori di manutenzione impossibili in galleggiamento.

Il bacino di carenaggio è una complessa costruzione, indispensabile per eseguire controlli, manutenzioni e riparazioni allo scafo di natanti, in particolare alla carena e alle sue appendici. Esistono due tipi di bacini, fissi (quelli tradizionali in muratura) e mobili, detti bacini galleggianti. I bacini fissi sono vaste conche rettangolari con pareti per lo più in calcestruzzo o pietra da taglio, disposte in modo da potere essere messe in diretta comunicazione col mare. Il lato a mare, detto “bocca”, è chiuso di solito mediante un galleggiante d’acciaio, la “barca-porta” o “battello-porta”, che può essere fatto affondare impiegando come zavorra acqua di mare e disposto simmetricamente rispetto al piano longitudinale di simmetria del bacino. La barca-porta è guarnita, lungo i fianchi e il fondo, con un paglietto di canapa con cui fa tenuta nella propria sede, ricavata sulle fiancate e sul fondo del bacino.

La base della Marina di Taranto ospita uno storico bacino in muratura, il Ferrati, il più grande del Mediterraneo, capace di ospitare navi delle dimensioni della portaeromobili Cavour. Lungo 250 metri, largo più di 50, è stato costruito nel 1916 ed è intitolato a Edgardo Ferrati, illuminato ingegnere del genio navale, famoso per aver diretto la costruzione di importanti unità tra cui Benedetto Brin, Vittorio Emanuele e Conte di Cavour  e, soprattutto, per il geniale intuito nella progettazione di soluzioni navali e sistemi di difesa avveniristici.

Bacino Taranto18L’attività del Bacino Ferrati è stata interrotta per circa tre anni, dal 2010 al 2013, per lavori di consolidamento statico, inseriti nel programma di ristrutturazione del nostro ottocentesco arsenale, il “Piano Brin”. Il primo intervento cantieristico di rilievo, dopo la ristrutturazione, è stato quello su nave Garibaldi, entrata in bacino a gennaio 2014.
L’ammodernamento dell’infrastruttura ha rappresentato un punto di partenza per il rilancio dell’
Arsenale e dell’economia locale, in particolare delle imprese specializzate nel settore navalmeccanico. Infatti, negli ultimi anni, l’Arsenale Militare Marittimo di Taranto, insieme al Comando Logistico, ha avviato una politica di uso duale delle proprie strutture, in particolare dei bacini di carenaggio, destinandole anche alla manutenzione di navi mercantili, con l’obiettivo di autofinanziarsi e, contestualmente, sostenere l’industria navalmeccanica e portuale della città.

In tale ambito, nel marzo 2015, è stato messo in secco il Dimonios, un traghetto Ro-Pax del Cantiere Navale Visentini, unità gemella del Norman Atlantic. Si è trattato della nave più grande mai ospitata in un bacino militare dal dopoguerra e, in assoluto, seconda solo alle corazzate che presero parte al secondo conflitto mondiale.

La manovra d’immissione di una nave in bacino è complessa e richiede grande coordinamento tra il personale del bacino, l’equipaggio della nave e i mezzi di supporto (imbarcazioni, rimorchiatori).

Nella prima fase il bacino è allagato, aprendo le valvole principali. In seguito la barca porta (la parete che separa l’interno del bacino dallo specchio d’acqua circostante) è movimentata da un rimorchiatore che la terrà in posizione tale da non interferire con la manovra dell’unità che deve essere immessa.
A questo punto la nave, con il supporto dei rimorchiatori, si porta sull’allineamento d’ingresso del centro del bacino e si avvicina lentamente fino a passare i cavi di ormeggio per poi tonneggiarsi (spostare la nave utilizzando i soli cavi) fino alla posizione centrale. Una volta in posizione il personale del bacino corregge la posizione della nave utilizzando dei paranchi, per assicurarsi che sia perfettamente centrata rispetto al piano delle taccate (sostegni in legno posti sullo scalo del bacino sui quali, dopo lo svuotamento del bacino, poggia la nave). Nel frattempo la barca porta è riposizionata per chiudere il bacino.

Bacino Taranto7Inizia quindi la fase di svuotamento del bacino. Utilizzando potenti pompe il livello dell’acqua comincia a scendere. A 2 metri circa dalle taccate parte l’intervento dei sommozzatori specializzati, che s’immergono per verificare che l’unità si adagi correttamente.

La fase di appoggio sulle taccate rappresenta un momento molto delicato della manovra che richiede ronde continue nei locali interni dall’equipaggio, per verificare che non vi siano problemi strutturali connessi con l’appoggio sulle taccate.
L’ingresso in bacino, dalla fase d’ingresso dell’unità allo svuotamento e posizionamento sulle taccate, dura circa 10 ore.Bacino Taranto11

Una manovra delicata e lunga, quindi, ma che consente, una volta messa in secco la nave, di eseguire interventi manutentivi che non si possono svolgere in galleggiamento per i quali è indispensabile utilizzare un bacino.

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