Record Montecarlo Venezia Avila-Suzuky

Arrivo Venezia

Montecarlo-Venezia, il nuovo record è di un gommone di serie Avila motorizzato Suzuki

Il gommone della classe Tuono Type 9 dei cantieri Avila con una coppia di Suzuki DF200AP è il nuovo primatista della Montecarlo-Venezia non stop.

Il 7 agosto, con il passaggio del traguardo di Venezia alle 09.50, il un gommone di serie della classe Tuono Type 9 dei cantieri Avila, ha battuto il record sulla tratta offshore Montecarlo-Venezia per imbarcazioni fino a 30 piedi, abbassando di 3 ore e 36 secondi il precedente primato che apparteneva al Kerakoll del cantiere FB Design di Fabio Buzzi, con 32h 46’ 15”. Il record attuale è di 29h 45’ 39” per una velocità media di 39,02 nodi contro i precedenti 35,26 nodi.

Record Montecarlo Venezia Avila Tuono Suzuki DF200 1 650x401

Montecarlo-Venezia, un record tutto di serie

Il gommone è uno scafo di serie del cantiere lecchese Avila di Lomagna, semplicemente allestito per le dotazioni necessarie per affrontare una navigazione così complessa. Di serie anche i due motori Suzuki DF200AP da 200 cv che non hanno subito alcun tipo di elaborazione così come le eliche che erano le originali Suzuki e non sono state cambiate durante la navigazione. In un certo senso “di serie” erano anche i tre piloti, Gianluca e Franco Chiari e Alberto Bonin, tutti non professionisti. Bravi però nel cimentarsi per la prima volta in una competizione di motonautica come la Montecarlo-Venezia mantenendo la giusta concentrazione e sfoggiando una professionalità e una tenuta fisica non trascurabili, soprattutto per il quasi settantenne Franco Chiari.

Record Montecarlo Venezia Avila Tuono Suzuki DF200 2

Un team completato dai membri di terra, per una perfetta organizzazione prima e durante l’evento, con una base dotata di tracker per conoscere in ogni istante posizione e velocità della barca e in collegamento via telefono satellitare per mantenere i contatti tra il gommone e il mondo esterno, in particolare il Marine Weather Service di Navimeteo. In ogni momento il Team Avila a terra, composto da Alessandro Di Lelio, Marco e Angelo Sala (questi ultimi titolari del cantiere Avila, nella foto sotto) avevano sotto controllo la velocità, la media, la rotta e il consumo. Questo ha permesso di arrivare al rifornimento di Roccella Ionica, in Calabria, con le idee chiare su quanto si dovesse rifornire e quindi ottimizzando al massimo i tempi. Infatti il rifornimento è stato più contenuto del previsto, adattandolo alle situazioni riscontrate in navigazione.

Record Montecarlo Venezia Avila Tuono Suzuki DF200 Marco Sala e Angelo Sala Progettista Direttore tecnico e Direttore Commerciale

A proposito di consumi, per percorrere le 1.161 miglia nautiche della Montecarlo-Venezia sono bastati 3.306 litri, quindi 2,85 litri per miglio. Tenuto conto dell’elevato dislocamento, della situazione meteo localmente avversa, della scelta strategica di non ottimizzare le dimensioni delle eliche in funzione delle variazioni di carico (per evitare i rischi connessi a questa operazione in alto mare) e della elevata velocità media, è da considerarsi veramente un dato ottimo. Un risultato che è da ascrivere a pari merito ai motori Suzuki e alle qualità marine dello scafo, confermate anche nei tratti nei quali il gommone ha dovuto affrontare un mare formato.

Record Montecarlo Venezia Avila Tuono Suzuki DF200 3

 FONTE: boatmag rivista barche a motore logo coccarda

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La "Legion of Merit" a un ufficiale della Marina Militare

Consegna legion

(di Marina Militare)
26/09/18

Il 25 settembre Lewis M. Eisenberg, ambasciatore degli Stati Uniti d'America presso la Repubblica Italiana ha insignito l'ammiraglio Valter Zappellini e il generale Luca Goretti dell'onorificenza americana The legion of merit.

La Legion of Merit è un riconoscimento particolarmente prestigioso. Si tratta di una decorazione, suddivisa in gradi, istituita nel 1942 e concessa a militari americani e delle nazioni alleate.

Il grado della decorazione concessa al nostro alto ufficiale è "Degree of officer", la seconda in ordine crescente di valore. Fra le motivazioni del riconoscimento, come sottolineato dall'ambasciatore Eisenberg l'importante carriera dell'alto ufficiale della Marina Militare e i brillanti risultati conseguiti dall'ammiraglio Zappellini - che ha svolto l'incarico di Addetto Navale a Washington dal 2013 al 2016 - nella cooperazione fra Italia e USA.

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FONTE: Logo difesaonline

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Il ritrovamento del Mars: dopo 400 anni ricompare dagli abissi con il suo tesoro

Il ritrovamento del Mars: dopo 400 anni ricompare dagli abissi con il suo tesoro... di Andrea Mucedola

 Cacciatori di tesori, archeologi e appassionati di storia hanno cercato il Mars nel corso degli anni, ma non hanno mai avuto successo. La leggenda narra che dopo l’affondamento uno spettro si alzò dalle profondità degli abissi per proteggere il relitto in modo che non fosse mai più scoperto.

mars relitto

Il relitto del Mars, ritrovato sul fondale del mar Baltico dove affondò nel 1564.
Il sommozzatore che si vede in alto a destra dà un’idea delle dimensioni del relitto.
Immagine composita di Tomasz Stachura, Ocean Discovery

Il Mars, noto anche come Makalös (“impareggiabile, sbalorditivo”) fu una vascello da guerra svedese costruita tra il 1563 e il 1564, nave comando della flotta svedese del re Eric XIV. Equipaggiata con 107 cannoni fu una delle più grandi navi da guerra del tempo, anche più grande della famosa e sfortunata nave svedese Vasa di cui abbiamo già parlato in un articolo precedente. Nel 1564, durante la Guerra dei sette anni, nata per assurde rivalita, questa nave, gioiello della marina svedese, fu affondata durante la prima battaglia di Öland nel Mar Baltico. Un evento tragico che merita di essere raccontato.

Erik XIVUna nave da battaglia unica nel suo tempo

Il XVI secolo fu un secolo interessante sia dal punto di vista dell’architettura navale sia nello sviluppo degli armamenti, quando videro la nascita dei nuovi cannoni realizzati usando ferro e bronzo. Questo vascello apparteneva alla prima generazione di grandi navi da guerra a tre alberi, armato con oltre cento canne da fuoco. Per poterle approntare fu necessario reperire il bronzo, metallo assai raro sul mercato. L’impiego del Mars in battaglia differisce da quello delle navi precedenti per una importante novità tattica. Lo scontro di Öland, che gli fu fatale, fu storicamente la prima battaglia navale in cui le navi usarono il fuoco diretto dei cannoni per offendere l’avversario, piuttosto che per perseguire l’abbordaggio classico del nemico.

In realtà nel primo giorno di battaglia gli Svedesi di Bagge avevano sbaragliato i Danesi, grazie ad una potenza di fuoco non comparabile, ma il secondo giorno, i Danesi della flotta di Lubecca cambiarono tattica e decisero di concentrarsi sulla grande nave da battaglia, lanciando palle di fuoco incendiarie sul grande vascello.

Non sempre nei libri di storia dell’Europa meridionale si racconta di quella guerra (detta dei sette anni o delle tre corone) che nel XVI secolo fu combattuta nelle fredde acque del nord Europa, dalla Svezia di Erik XIV contro la Danimarca di Federico II e la sua alleata città di Lubecca. Una guerra forse minore a fronte di quelle combattute tra le grandi nazioni europee meridionali ma che forse riserva ancora molte sorprese per gli storici e gli archeologi. Tutto ebbe inizio nel 1523 quando la Svezia uscì dall’Unione di Kalmar, diventando un regno indipendente con il re Gustavo I Wasa. Questa azione suscitò la disapprovazione del re danese Cristiano III che per ripicca incluse nel proprio stemma le Tre Corone (da cui il nome della guerra), che rappresentava i tre regni nordici dell’Unione di Kalmar e che, fino a quel momento, era presente solo nello stemma svedese. Ciò ovviamente non piacque alla Svezia che si senti tradita dopo che avevano avuto interessi comuni quando nella prima guerra del nord, combattuta per arginare l’espansionismo russo sulle coste del Baltico.

Frederik 2Dopo la morte di Gustavo I Wasa e di Cristiano III, Erik XIV in Svezia e Federico II di Danimarca assunsero il potere. La Svezia intralciò i piani danesi con le sue campagne militari per accaparrarsi l’Estonia e fu coinvolta nella guerra dei Sette anni contro una coalizione di forze composta da Danimarca, Norvegia, Lubecca e Polonia. A maggio 1563, le prime avvisaglie della guerra iniziarono quando una flotta danese guidata da Jakob Brockenhuus salpò verso il Baltico. A Bornholm, il 30 maggio 1563, nonostante l guerra non fosse stata ancora dichiarata, la flotta attaccò la marina svedese sotto Jakob Bagge. La battaglia si concluse con la sconfitta danese. Gli emissari reali tedeschi furono inviati a negoziare una pace a Rostock ma gli svedesi non si presentarono. Il 13 agosto 1563, la guerra fu dichiarata da emissari dalla Danimarca e di Lubecca a Stoccolma. Lo stesso mese, il re danese Fredrik II attaccò Älvsborg. All’inizio della guerra i danesi avanzarono da Halland con un esercito di mercenari professionisti di 25.000 uomini e conquistarono la porta della Svezia a ovest, la fortezza di Älvsborg, dopo soli tre giorni di bombardamenti e un assalto di sei ore il 4 settembre. Ciò raggiunse l’obiettivo danese di tagliare la Svezia dal Mare del Nord, bloccando le importazioni di sale. Eric attaccò quindi Halmstad, senza risultato; il contrattacco svedese fu infatti respinto dall’esercito danese. In mare avvenne una prima battaglia navale ne pressi di Öland l’11 settembre, dopodiché la guerra si fermò. Il 30 maggio 1564 avvenne una battaglia tra la marina svedese e la marina danese e di Lubecca tra Gotland e Öland. La marina svedese era sotto il comando di Jakob Bagge e la marina danese era sotto il comando di Herluf Trolle. Dopo queste premesse storiche, necessarie per sottolineare quanto allora, come d’altronde anche oggi, il predominio dei mari fosse necessario per la supremazia sui commerci, arriviamo ora al Mars.

Perché è cosi importante?

 Jacob Hägg Makalös eller Mars 1909Il XVI secolo fu un secolo interessante sia dal punto di vista dell’architettura navale sia nello sviluppo degli armamenti, quando videro la nascita dei nuovi cannoni realizzati usando ferro e bronzo. Questo vascello apparteneva alla prima generazione di grandi navi da guerra a tre alberi, armato con oltre cento canne da fuoco. Per poterle approntare fu necessario reperire il bronzo, metallo assai raro sul mercato. L’impiego del Mars in battaglia differisce da quello delle navi precedenti per una importante novità tattica. Lo scontro di Öland, che gli fu fatale, fu storicamente la prima battaglia navale in cui le navi usarono il fuoco diretto dei cannoni per offendere l’avversario, piuttosto che per perseguire l’abbordaggio classico del nemico. In realtà nel primo giorno di battaglia gli Svedesi di Bagge avevano sbaragliato i Danesi, grazie ad una potenza di fuoco non comparabile, ma il secondo giorno, i Danesi della flotta di Lubecca cambiarono tattica e decisero di concentrarsi sulla grande nave da battaglia, lanciando palle di fuoco incendiarie sul grande vascello.

mars sunk

L’idea era di creare scompiglio al fine di riuscire ad abbordarla mentre era in fiamme. L’incendio si propagò velocemente, alimentato dalle esplosioni dei depositi di polvere da sparo e degli stessi cannoni. Si ritiene che furono proprio le loro esplosioni a causarne l’affondamento. Uno squarcio si apri sulla prua trascinando oltre mille uomini negli abissi. Quel 30 maggio 1564, il Mars scomparve ed iniziò la storia della sua maledizione.

Ma come nacque la leggenda dello spettro?
Si sa, i marinai sono sempre stati superstiziosi, o meglio hanno spesso usato la superstizione per coprire la propria ignoranza o i loro errori. Da qui la maledizione che si tramandò su quella superba nave da battaglia. All’epoca I re svedesi erano impegnati a cercare di consolidare la loro posizione, e la Chiesa cattolica era diventata un problema; monarchi come Erik XIV, cercavano quindi di sminuirne il potere, forti dell’antagonismo religioso.

sword gunports Mars

Quando commissionò il Marte, sembrerebbe che il re fece confiscare le campane della chiesa per ricavarne il metallo necessario per fabbricare i tanti cannoni. Una scelta scellerata per i cattolici che ritennero avrebbe portato sfortuna a quella nave. Fu così che quando il Mars affondò nella profondità del mare portando con sé oltre 700 membri dell’equipaggio e diverse centinaia di danesi e tedeschi che avevano già abbordato la nave in fiamme, si sparse la leggenda della sua maledizione e di uno spirito degli abissi che la proteggeva da essere ritrovata.

marte vascello da guerraAlla ricerca della nave perduta
Per anni, cacciatori di tesori e archeologi hanno cercato il vascello maledetto senza successo. Poi, il 19 agosto 2011, un gruppo di sommozzatori, dopo una ricerca ventennale, ha localizzato in quelle fredde acque del nord la nave, a circa 18,5 chilometri a nord di Öland. Dopo oltre quattro secoli sott’acqua, a parte la prua della nave, che venne distrutta dall’esplosione, lo scafo si presenta incredibilmente ben conservato, come si nota dalle fotografie di National Geographic. Il vascello si fermò sul fondo del mare e si presenta inclinato sul suo lato destra a una profondità di 75 metri. I bassi livelli di sedimenti, la bassa temperatura dell’acqua, le correnti deboli e la presenza di un’acqua relativamente dolce che non consente la vita di organismi pericolosi per le strutture in legno, hanno facilitato la sua conservazione. In realtà sono stati proprio quei cannoni “maledetti” a confermarne l’identità.

La recente produzione sul canale Smithsonian (© 2015) ha aggiunto ulteriori prove a seguito del ritrovamento all’interno del relitto della nave di monete d’argento coniate da Eric XIV di Svezia proprio l’anno prima della battaglia nel 1563.

The stern section

Questa scoperta, al di la degli aspetti storici, ha permesso di raccogliere molte informazioni sulla nave e far luce su alcuni aspetti tecnici relativi all’architettura navale di quel secolo. Ma siamo solo all’inizio e … lo spettro … sembra aver trovato finalmente riposo.

Trovate il video anche qui

FONTE: Logo oceanforfuture

 

 

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Non va demolita la nave storica Vittorio Veneto ...

Ricevo e pubblico con vero piacere e soprattutto con convinzione avendo fatto parte anch'io del glorioso Vittorio Veneto

“NON VA DEMOLITA LA NAVE STORICA VITTORIO VENETO GLORIOSO SIMBOLO ITALIANO NEL MONDO”

Vittorio VenetoIl glorioso Incrociatore Vittorio Veneto è un bene di grande valenza storica- culturale per la nostra Nazione di cui è stato vanto, in giro per i mari del mondo, nell'ambito di missioni militari e umanitarie, persino nel ruolo di nave Ammiraglia della Flotta della nostra Marina Militare. Con l'unicità del suo elegante e possente scafo allestito militarmente, come lanciamissili, grazie alla genialità che ha sempre caratterizzato l’ingegneria navale e la debita maestranza italiana; avendo attraversato gran parte della nostra Storia Moderna nel corso di ben 34 anni di intensa attività sino al rientro a Taranto il12 ottobre 2003 al termine dell’ultima campagna addestrativa, di per se stessa questa Nave è stata vessillo della gloria italica riflessa già nel suo nome che riecheggia l’Unità d’Italia conseguita nella battaglia presso Vittorio Veneto, tra il 24 ottobre ed il 3 novembre 1918, con la resa dell’Austria-Ungheria che segnò la fine delle ostilità sul fronte italiano della Prima guerra mondiale. Emblematica è la stessa circostanza per cui due città, Taranto e Trieste, l'una al limite meridionale e l'altra all'estremità nord- est, quasi in una inclusiva rappresentazione della volontà di tutta la Nazione, hanno rincorso il sogno di potere trasformare il Vittorio Veneto nel primo Museo del Mare che, nel suo genere, sarebbe anche unico al mondo. A prescindere in quale delle due o in qualunque altra città possa realizzarsi il sogno di un siffatto Museo galleggiante; indubbiamente, attraverso la grande attrattiva della nuova destinazione di questa gloriosa Nave si perpetuerebbe anche il prestigio Italico nel mondo e, nello stesso tempo, si darebbe nuovo impulso all'economia grazie ad un ulteriore stimolo al turismo e a tante attività culturali e di formazione nautica. Tanto è già stato sperimentato nelle altre nazioni dove si trae grande vantaggio dalla debita preservazione di natanti- cimeli storici, anche quando nemmeno paragonabili alla maestosità del nostro Vittorio Veneto e al suo fascino irresistibile che avvince chiunque lo veda, essendo lo stesso che ha "ammaliato" i tantissimi Marinai in cui resta viva la memoria << di avere provato un senso di ammirazione, di rispetto e di orgoglio ogni qualvolta, da altre navi, ne scorgevano all’orizzonte l’inconfondibile sagoma>>. Data la ineludibile condivisione sentimentale, nessun Italiano può accettare supinamente che siffatta Nave-icòna sia destinata a diventare "lamette da barba", smantellata con il supremo "sfregio" di un misero ricavo da "ferro vecchio" battendo cassa ad acquirenti, magari stranieri, che avrebbero da condannare, comunque, il nostro svilire sino a distruggere un bene così prezioso. L’Incrociatore Vittorio Veneto è un bene dello Stato, quindi appartiene al popolo Italiano che ha diritto di fregiarsene con il privilegio di trarne quel beneficio che sarebbe di gran lunga maggiore della spesa per convertirne la destinazione in Museo, specie se il supporto di una cordata di sponsors integrasse lo sforzo Istituzionale nel fare quanto di meglio per il bene comune, con la prospettiva di fruire anche dei ricavi in termini economici e di prestigio. La stessa convinzione, secondo cui una tale impresa valesse anche la spesa in base ad un preventivo di costi recuperabilissimi e prospettive di ottimi guadagni, non può che essere stata alla base delle dichiarazioni dell’on.le Roberta Pinotti che, nel maggio 2016, in visita a Trieste in qualità di Ministro della Difesa, avendo premesso che << sarebbe stato bello avere una nave da visitare di fronte al Museo del Mare del Porto Vecchio>>, si era espressa in termini di salvezza del Vittorio Veneto dicendo che << era stata già verificata la trasportabilità, da Taranto, al traino di un rimorchiatore d’altura per risalire l’Adriatico, in sette giorni, fino a Trieste dove svilupparne il progetto della musealizzazione, in parallelo con le opere di ristrutturazione di Porto Vecchio (e annesso Museo del Mare) finanziate con 50 milioni di Euro dal Governo e dall’Unione Europea>>. Di pari passo, anche la Governatrice del Friuli Venezia Giulia on.le Debora Serracchiani aveva confermato << l'impegno del Ministero della Difesa per la bonifica e messa in sicurezza del Vittorio Veneto, il cui adeguamento a spazio museale sarebbe spettato alla regione Friuli Venezia Giulia>>. Tutto ciò, appunto due anni fà, era sembrato delineare il meritato approdo per le energie profuse in special modo dall’ex Soprintendente ai Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia, dr. Luigi Fozzati, spesosi sino dal 2012 per portare il Vittorio Veneto a Trieste fidando che la sua trasformazione in museo, a parte le condizioni poste nel documento stilato in data 10 ottobre 2013 presso lo Stato Maggiore della Marina Militare, secondo quanto dichiarato in data 14 novembre 2013: << a fronte di un costo di venti o dieci milioni, tutto da verificare e stimare, avrebbe potuto cambiare l’economia , come accaduto per Genova con gli insediamenti nel Porto Antico>>. Oltretutto, a Trieste, il ventilato arrivo della prestigiosa Nave da trasformare in Museo galleggiante, avendo trovato anche il consenso dell’allora sindaco Roberto Cosolini, aveva entusiasmato soprattutto quei Triestini che ancora ribadiscono la identità di "redenti" uniti all'Italia alla fine della prima Guerra Mondiale, appunto all’esito della gloriosa battaglia di Vittorio Veneto.
Pertanto, con la indegna fine cui si dovesse destinare la gloriosa Nave simbolo storico di unità e di onorabilità dell'Italia tutta, si commetterebbe anche un grave errore di sottovalutazione della crisi identitaria che, serpeggiando nel capoluogo Giuliano, sommerebbe un ulteriore motivo di delusione proprio in quei cittadini che accuserebbero una noncuranza dei loro sentimenti patriottici, ancor più, nel vedersi negato il promesso aggancio alla Madre Patria Italia attraverso la musealizzazione dell’Incrociatore Vittorio Veneto che, in loco, sarebbe espressione della forte volontà di essere, in tutto e per tutto, Italiani. D’altra parte, resta il fatto che, con la distruzione di questa Nave storica rimasta la più innovativa per la sua epoca, sembrerebbe gettarsi al macero una delle più belle pagine della genialità della tecnica navale italiana che era stata portata in giro per il mondo rappresentando al meglio l’Italia tutta. Senza contare che, nei confronti di una Nave emblematica come nessun’altra in questi nostri tempi di globalità che sembra volere fagocitare ogni simbolo nazionale, la indegna “rottamazione” equivarrebbe a negazione di uno dei più alti punti di riferimento della Storia della nostra Marina Militare che è storia di grande dignità e sacrificio dei nostri Marinai legati alle navi da un amore per la vita. Nello specifico, in virtù di una ineludibile “passione” nei confronti del suo Vittorio Veneto, il popolo italiano non può fare a meno di perseguire il sogno di farlo vivere trasformato in Museo che porterebbe posti di lavoro e prestigio sia a Sud, sia altrove, come al limite nord-est del Paese dove rinverdirebbe l’orgoglio italiano. Quindi, anche al di là di dove sia meglio destinarla, questa incomparabile Nave storica sia, comunque, salvata!!!

Rosa Cavallo Catinella


Aggiornamento: MOTIVAZIONI PER SUPPORTARE LA PETIZIONE
"Questa petizione va sostenuta perché il Vittorio Veneto non è una Nave storica come possono essere altre, ma è la nostra Nave storica per eccellenza. Infatti, aldilà di essere stata grande vanto Italiano, come simbolo prestigioso di fronte al mondo, per buona parte della nostra storia moderna; soprattutto, è una irripetibile e insostituibile icòna di quella nostra Unità che si completò con l'annessione di Trento e Trieste, alla fine della prima guerra mondiale conclusasi proprio con la vittoria di Vittorio Veneto. Il nome di tale battaglia era già stato onorato dalla gloriosa Corazzata che fummo costretti a sacrificare come pegno di guerra della seconda guerra mondiale. Ma, non a caso, lo stesso nome fu dato all' Incrociatore perchè, in giro per il mondo, continuasse a perpetuare la memoria di quella conquistata Unità, per la cui tutela si fece monito di pace nelle missioni in cui, sommamente, si distinse; non solo come Ammiraglia della Flotta della nostra Marina Militare.
Ancor più, oggi, il Vittorio Veneto Museo a Trieste rammenterebbe quanto sia prezioso anche per i Triestini restare uniti nel continuare ad avere a cuore quell'essere Italiani che tanto vollero i loro padri.
Il Vittorio Veneto Museo in quella bellissima terra Italiana sarebbe ancora sprono di pace e un grande regalo per quella buona parte della cittadinanza che, continuando a sentire amor di Patria Italiana, prova un colpo al cuore davanti a propagande e striscioni che seminano veleno: "Trieste non è Italia_ Il Porto di Trieste non è Italia".
Anche se, su ciò che accade a Trieste, i media addomesticati si assumono la viltà di tacere, in realtà l'Italia sta rischiando di perdere Trieste.
Perciò, per noi Italiani, il Vittorio Veneto ha da compiere ancora una grande missione!!! "

Firma qui la petizione!

 

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La marina cinese è diventata una cosa seria

Il New York Times racconta che è diventata la più grande del mondo, in grado di sfidare la flotta statunitense nelle proprie acque territoriali.

Marina cinese

Alla fine del 2017 la Marina dell’esercito popolare di liberazione, cioè la flotta militare della Cina, aveva in servizio attivo 317 navi da guerra, contro le 283 della marina militare degli Stati Uniti. Significa che la flotta cinese è la più grande al mondo. Gli Stati Uniti dispongono ancora di una notevole superiorità qualitativa e tecnologica, e hanno la capacità di impiegare le loro navi in tutto il mondo; ma la marina cinese non ha ancora l’obiettivo di proiettare la sua forza dall’altra parte del globo. Il suo obiettivo strategico è proteggere il Mar Cinese, con le sue numerose isole, e impedire l’accesso delle navi avversarie ai tratti di mare contesi. Secondo un’analisipubblicata dal New York Times, questo obiettivo è stato oramai raggiunto.

Una grande flotta militare in grado di navigare indisturbata attraverso gli oceani è considerata uno dei principali attributi di una grande potenza. Dalla caduta dell’Unione Sovietica, la marina degli Stati Uniti non ha più rivali in grado di contrastarla. Può schierare da sola venti portaerei di cui undici a propulsione nucleare (le più grandi e potenti navi militari oggi esistenti). Di queste ultime, ne possiede più di tutte le altre marine messe insieme. La capacità degli Stati Uniti di inviare entro pochi giorni in ogni parte del mondo una di queste navi, con il suo convoglio di navi di appoggio, è uno dei segni più visibili della superiorità militare statunitense.

È una superiorità con cui anche la Cina ha dovuto fare i conti. Nel 1995 e poi nel 1996 l’esercito cinese lanciò alcuni missili contro le acque territoriali di Taiwan, per intimidire il governo locale che all’epoca stava per tenere le prime elezioni libere nella sua storia. Il presidente statunitense Bill Clinton inviò immediatamente la flotta nelle acque di Taiwan, e la Cina dovette rinunciare al suo atteggiamento bellicoso. Per la Cina fu un momento umiliante, ha raccontato il New York Times, ma che ebbe l’effetto di spingere l’avvio di un programma di armamento e modernizzazione per far sì che episodi del genere non si ripetessero più.

Il programma ha avuto un’accelerazione nel 2013, con l’ascesa al potere dell’attuale presidente, Xi Jinping, e i risultati stanno iniziando a manifestarsi in questi ultimi anni. La marina cinese ha mostrato un atteggiamento sempre più aggressivo nelle contese per le numerose isole del Mar Cinese: dalle disabitate isole Senkaku (o Diaoyutai, come le chiamano i cinesi) contese con il Giappone, fino all’arcipelago delle Spratly, trasformato in una base militare con piste aeree e missili antinave. Aerei e navi cinesi pattugliano le acque circostanti in maniera sempre più aggressiva e la marina statunitense, per quanto ancora nettamente superiore, ha perso l’impunità assoluta di cui godeva nel 1995.

Mar cinese

«Per prevalere in queste acque», scrive il New York Times, «la Cina non ha bisogno di forze armate in grado di sconfiggere quelle degli Stati Uniti. È sufficiente possedere forze in grado di infliggere danni tali da rendere qualsiasi intervento nell’area troppo costoso. Secondo diversi analisti, Pechino ha già raggiunto questa capacità».

Visto che la Cina non può affrontare faccia a faccia la marina degli Stati Uniti, le sue forze si basano soprattutto sulle capacità “A2/AA”, una sigla che sta per “Anti-Access/Area Denial”, “impedire l’accesso – negare l’utilizzo di un’area”. È la capacità non tanto di controllare direttamente una certa area geografica, in questo caso un tratto di mare, quanto di impedirne l’accesso alle forze nemiche.

Il principale strumento che la Cina ha per questo scopo sono i missili balistici antinave, i cosiddetti “carrier killer”, “ammazza portaerei”. Sono missili che funzionano in maniera non così diversa da quelli testati dalla Corea del Nord. Quando vengono lanciati salgono quasi verticalmente, fino a uscire dall’atmosfera terrestre, per poi rientrare, guidati da radar e satelliti, e precipitare verso il loro obiettivo a una velocità parecchie volte superiore a quella del suono. Sono praticamente invisibili e, se lanciati in quantità, impossibili da fermare. Possono trasportare testate nucleari ma, nel loro ruolo anti-nave, è sufficiente una carica di esplosivo convenzionale perché affondino o danneggino gravemente una grande e costosa portaerei americana.

La Cina ha al momento in servizio due modelli principali, il DF-21D e il DF-26, che hanno un raggio che arriva fino a 4 mila chilometri. Significa che possono colpire persino le basi statunitensi nell’isola di Guam. L’unica difesa contro questo tipo di missili è colpirli prima che vengano lanciati, ma il loro raggio è così vasto che possono proteggere le acque contese restando al sicuro sulla terraferma, a centinaia di chilometri dalla costa. «La marina statunitense non ha mai dovuto fronteggiare una minaccia simile», scrive il New York Times. «L’ufficio ricerche del Congresso ha avvertito, in un rapporto pubblicato lo scorso maggio, che alcuni analisti considerano questi nuovi missili un’arma che “cambia le regole del gioco”».

Accanto ai missili “ammazza portaerei”, la Cina può schierare un arsenale molto vasto per proteggere le sue acque. Circa 80 sottomarini, aerei invisibili ai radar, bombardieri strategici e missili da crociera (che a differenza di quelli balistici viaggiano con traiettorie orizzontali, spesso a pochi metri dalla superficie dell’acqua). Anche se una guerra totale tra Stati Uniti e Cina è impensabile (oltre ad aver profondi legami economici, i due paesi sono dotati di enormi arsenali nucleari), secondo gli esperti «le forze armate cinesi si stanno preparando a un “conflitto militare marittimo e limitato”».

L’idea della Cina è che se dovesse replicarsi un conflitto come quello avvenuto con Taiwan negli anni Novanta, questa volta magari con Vietnam o Filippine, iniziato per il possesso di qualche isola, le forze armate cinesi sarebbero in grado di scoraggiare un coinvolgimento come quello statunitense di 25 anni fa. Non sembra un caso se i manuali cinesi definiscono la dottrina “A2/AA” dottrina del “contro intervento”. Le ambizioni cinesi, quindi, sono soprattutto difensive: avere mano libera in quella che il governo considera la sua sfera di influenza. «Gli americani la vedono come una competizione», ha detto al New York Times Li Jie, un’analista dell’Istituto ricerche navali di Pechino: «Ma per noi la Cina sta semplicemente proteggendo i suoi interessi e i suoi diritti nel Pacifico».

Questi diritti però si stanno allargando rapidamente. Oltre alla capacità di proteggere le sue acque territoriali, la marina cinese sta iniziando ad acquistare i mezzi per difendere i suoi interessi sparsi per il mondo, come le rotte commerciali lungo le quali viaggiano i suoi prodotti e attraverso cui arrivano le preziose materie prime di cui l’economia cinese ha bisogno.

Per farlo la Cina ha iniziato a stringere accordi per creare basi di rifornimento in tutto il mondo, e l’anno scorso ha aperto la sua prima base navale all’estero nel piccolo stato di Gibuti, al confine con la Somalia. Nel contempo sta sviluppando una “blue water navy”, cioè una marina d’alto mare, capace di operare distante dalle coste della madrepatria. Alla fine degli anni Novanta la Cina ha comprato dall’Ucraina la sua prima portaerei, una nave ritenuta un ferrovecchio che, dopo quasi 15 anni di lavori, è stata rimessa in mare con il nome di Liaoning. Usando la Liaoning come modello, i cantieri navali cinesi sono al lavoro su altre due portaerei e, secondo gli analisti, l’obiettivo è arrivare a possedere sei portaerei nei prossimi anni.

Anche se i progressi cinesi sono notevoli, non bisogna esagerarli. Una cosa è dotarsi della capacità di impedire l’accesso nemico alle acque più vicine alle proprie coste (secondo una famosa simulazione realizzata nel 2002, anche un paese molto più povero della Cina, come l’Iran, avrebbe questa capacità). Un’altra è sviluppare da zero una flotta d’alto mare in grado di competere con quella degli Stati Uniti, che non solo ha una storia lunga più di un secolo, ma che possiede anche decenni di esperienza di combattimento. La Marina dell’esercito popolare di liberazione sembra ancora molto lontana da questo secondo obiettivo, come sembrano dimostrare una serie di incidenti piuttosto imbarazzanti. Lo scorso gennaio, per esempio, un modernissimo sottomarino cinese è stato individuato dalla marina giapponese mentre procedeva vicino alle isole Senkaku perché troppo rumoroso.

Più che contestare agli Stati Uniti il predominio sugli oceani, nel breve termine la marina cinese sarà sempre più in grado di compiere azioni limitate, per esempio sbarcare forze militari in qualche piccolo stato sulle coste dell’Africa o del Medio Oriente, dove i suoi interessi sono minacciati. Qualcosa del genere è avvenuto in Yemen, nel 2015, quando all’inizio della guerra civile navi militari e marines cinesi hanno evacuato 629 cittadini cinesi e 279 stranieri.

È una capacità destinata a crescere nel tempo e che probabilmente non scomparirà dal giorno alla notte, come accadde all’inizio degli anni Novanta con la potente flotta sovietica. Mentre l’URSS finì con il distruggere la sua economia per alimentare una spesa militare fuori controllo, il governo cinese oggi spende per la sua flotta una percentuale più che ragionevole del suo bilancio.

FONTE: Logo ilpost

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Non arrenderti mai amico mio, impare a cercare sempre il sole, anche quando sembra che venga la  tempesta ... e lotta!

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