“E i francesi ci rispettano, che le balle ancora gli girano.."

“E i francesi ci rispettano, che le balle ancora gli girano...”.

L’ammiraglio De Giorgi racconta lo sbarco italiano in Libano del 2006

(di Giampiero Venturi)
28/06/17

280617 de giorgiL'operazione comincia dopo la guerra del 2006 tra Hezbollah e Israele: bombardamenti, interruzione dei collegamenti marittimi e aerei, distruzione e un senso diffuso di confusione generale sono lo scenario quotidiano del (di nuovo) martoriato Paese dei cedri.

Nel dolce e sfortunato Libano non c'è più nemmeno il carburante per produrre energia elettrica. Gli stessi frigoriferi hanno smesso di funzionare. Intanto Hezbollah, annodato alle maglie profonde della società libanese, cavalca il disagio sociale per dare l’ultimo scossone e far cadere il governo del sunnita Fouad Siniora.

La Francia si ricorda di essere la matrigna di una terra arrivata alla modernità in cambio del suo profilo morbido e occidentale, unico nel mondo arabo. Se ne ricorda soprattutto quando i suoi interessi sono in pericolo, rischiando di vanificare decenni di connessioni e intrecci che comunque fanno storia. Nei bistrot eleganti di Beirut, frequentati dalla borghesia istruita, “on parle français, rien à dire”.

Parigi si offre di mandare 2000 soldati che però tardano e alla fine non partono nemmeno. Tra un ripensamento e un’attesa, il contingente transalpino si riduce a 200 uomini, insufficienti per tutto, soprattutto per dare un segnale importante alla comunità internazionale.

La palla rimbalza e arriva a Prodi che annuncia l'invio di 1000 italiani.

Occasione o solita pezza dovuta agli alleati?

Sul momento è difficile valutare, fatto è che la notizia è ufficiale:in Libano arrivano i nostri, anzi ci tornano.

La palla rimbalzata passa dalla politica alla Difesa che ha il difficile compito di organizzare l'intervento.

Per una strana combinazione astrale, la Marina Militare si trova con tutte e tre le navi anfibie in stato di efficienza operativa. L’evento, raro per questioni di ordinaria manutenzione, viene preso come segno di un destino ineluttabile.

L’ammiraglio De Giorgi, appoggiato appena allo schienale della poltrona, inizia a parlare. Il suo tono di voce è sicuro. Con gli occhi trasmette sicurezza e bontà d’animo. Nell’ironia delle sue parole, fa capolino una curiosità non comune tra chi è abituato a decidere e comandare:

280617 de giorgi1Al tempo comandavo le forze d'altura, costituite da tutte le navi maggiori della Marina. Il mio vice era il comandante del cosiddetto Gruppo navale italiano. Era lui che avrebbe dovuto staccarsi dal comando principale, prendere le forze assegnate e partire. L'ammiraglio Di Paola decise tuttavia che fossi io a guidare l'operazione.

Mi arrivò l'ordine mentre ero in spiaggia a Taranto con mia moglie e l'ammiraglio Branciforte, comandante in capo della squadra.

Ammiraglio devi partire per il Libano...”

Mi recai direttamente a bordo di Nave Garibaldi per procedere all'approntamento assieme al mio staff.

La pianificazione fu fatta in navigazione perché non c'erano altri margini per prepararsi.

Il vantaggio di una nave comando, particolarità della Marina, è che a differenza di altre forze armate non serve un mese per approntare i dettagli di una missione. La nave, in porto a Taranto o in missione, aveva costantemente uno staff pronto ed operativo.

Da Taranto, dopo la cerimonia, feci fare rotta alla Garibaldi alla massima velocità: 25 nodi. Le navi onerarie, il San Giusto, il San Giorgio ed il San Marco seguivano a 14 nodi. Questo mi consentì di arrivare 30 ore prima.

News Marina Militare,, De Giorgi,, Libano 2006

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E' tempo di riprendere il mare

Una nuova avventura per l'Amm. De Giorgi. Ecco l'articolo tratto dal suo sito personale.

E' tempo di riprendere il mare

Dal 3 Luglio mi imbarcherò da Port Gentil in Gabon sul M/Y Barker, una ex baleniera norvegese varata nel 1950, parte della flotta di Sea Shepherd.

I miei compiti a bordo saranno di Ufficiale di Guardia in Plancia e di pilota di Zodiac, per gli abbordaggi e le ispezioni ai grandi pescherecci oceanici che operano nelle acque al largo dell’Africa occidentale equatoriale.

bob barkerIl Barker è lungo 53 metri, ha un piccolo ponte di volo per elicotteri leggeri, installato a “sbalzo” sulla poppa della nave. L’equipaggio è di circa 35 persone fra volontari e professionisti: il Comandante, il Direttore di Macchina, il nostromo e altri elementi cardine per la sicurezza della navigazione. Il resto è di volontari, come me.

Dopo 45 anni di Marina, 1 anno di vita agreste (coltivazione dell’orto) e di navigazione di piccolo cabotaggio a vela, sul Barracuda, è tempo di riprendere il mare su una nave. Mi manca il respiro del mare, la vibrazione quieta delle lamiere, l’odore del gasolio, la faccia dei marinai.  La missione del Barker è perfetta per un ufficiale di una marina da guerra, perché si stratta di combattere in mare, per una buona causa: cacciare i bracconieri che uccidono specie marine in pericolo di estinzione e difendere la salute degli oceani; la nostra ultima frontiera.

Meglio di così!?

Sono entrato in contatto con Sea Shepherd, per caso, a La Spezia, durante l’ultima edizione di “Sea Future” ospitato nel nostro arsenale, quando ero Capo di Stato Maggiore della Marina. C’era un piccolo stand di Sea Shepherd che cercava fondi e ne promuoveva la missione. Lì ho conosciuto Andrea e Giuliana, due dei principali organizzatori della prima ora, a livello nazionale. Scherzando dissi loro che quando sarei andato in pensione mi sarei arruolato. Tutti risero. Poi, qualche mese fa, ho incontrato il Capitano Peter Hammerstedt, capo delle operazioni marittime e  storico comandante di navi di Sea Shepherd che, fra l’altro, è famoso per aver dato la caccia per due mesi a una tristemente nota nave bracconiera, il Thunder, responsabile di autentiche stragi di balene, inseguendola dalle acque dell’Antartico, sino al Capo di Buona Speranza e all’Oceano Atlantico, davanti alla Liberia, sino alla cattura e affondamento della nave assassina e all’arresto del suo equipaggio. D’impulso gli ho chiesto se potevo imbarcarmi con loro. Oggi manca poco più di una settimana alla partenza. Non vedo l’ora.

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi

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 Articolo correlato: La Città di Lerici accoglie Sea Shepherd

 

FONTE: Logo sito Degiorgi

News Marina Militare,, Amm.De Giorgi, Sea Shepherd

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La favola tragica dell'Artigliere riemerge dai fondali del Mediterraneo

Resti relitto1

Il 12 ottobre 1940 il cacciatorpediniere italiano veniva affondato durante la battaglia di Capo Passero, contro la Royal Navy britannica. Il relitto della nave è stato ritrovato al largo dell'isola di Malta, perfettamente conservato. Le immagini esclusive, la storia dimenticata.

testo di GIANLUCA DI FEO - multimedia a cura di VISUAL LAB

ROMA - Una piccola grande nave, finita in mezzo all'intera flotta nemica. Una storia di audacia e sfortuna, dove eroismo e dramma si intrecciano come spesso accade nelle guerre. Ma quella del cacciatorpediniere Artigliere, lanciato in una notte di luna dell'autunno 1940 contro una schiera di corazzate, incrociatori e portaerei britanniche, è una leggenda del Mediterraneo. Poco più di 250 uomini su un guscio di acciaio, che fanno il loro dovere fino all'ultimo, anche dopo la morte del loro comandante, rimasto in plancia nonostante le ferite per incoraggiare l'equipaggio. Prima combattono per vincere, ciechi contro il radar dei britannici. Poi scoprono di essere finiti in trappola e lottano per sopravvivere, su uno scafo squassato dalle esplosioni e divorato dagli incendi. Quando la nave cola a picco, porta con sé 132 corpi, trascinandoli nell'abisso più impenetrabile.

Ora, dopo settantasette anni di oblio, l'Artigliere è tornato. Lo hanno scoperto a una profondità incredibile: una fossa di 3600 metri, a largo di Malta. È rimasto paralizzato nel momento estremo della battaglia. Sì, sembra quasi che il mare abbia rispettato il coraggio disperato di quegli uomini, salvando dalla corrosione il relitto. Le immagine strappate al buio dell'abisso sono straordinarie. Mostrano i tubi lanciasiluri inclinati per l'assalto. I cannoni puntati verso il cielo, per respingere gli aerei che si accanivano sulla nave già ferita. La torre prodiera piegata dalle bordate, dove hanno trovato la morte quasi tutti gli ufficiali. Persino la scritta di riconoscimento AR ha mantenuto il colore rosso e brilla ancora nella più profonda oscurità.

Resti relitto

L'Artigliere è stato ritrovato lo scorso marzo dal team oceanico di Paul Allen, il co-fondatore di Microsoft, appassionato di esplorazioni sottomarine. "È stata una vera sorpresa", racconta a Repubblica David Reams, responsabile delle attività nautiche di Vulcan, la fondazione creata da Allen per progetti filantropici e lo sviluppo di tecnologie innovative. La loro nave-laboratorio, il Petrel, stava testando i nuovi equipaggiamenti appena installati. Apparecchi che sfiorano la fantascienza: "Avevamo iniziato le prove del nuovo sonar a scansione quando è apparsa una sagoma anomala". Il profilo di un vascello, a 3600 metri, dove finora nessuno era in grado di compiere ricerche. Un sottomarino robot l'ha raggiunto, trasmettendo immagini stupefacenti: "Non sembrava sommerso da 77 anni. Era poggiato sul fondo, perfettamente riconoscibile, senza corrosione, né incrostazioni, persino il colore della sigla era intatto". Merito delle condizioni del mare in quella zona, con temperature e salinità ideali per la preservazione, conservando il cacciatorpediniere come un sacrario, in memoria dei caduti di quella che i libri chiamano "la battaglia di Capo Passero".

Le caratteristiche della nave

Tabella1

L'ultima missione dell'Artigliere è cominciata al tramonto dell'11 ottobre 1940. Sono passati solo quattro mesi dall'inizio della guerra e la Regia Marina è nel piano della sfida per il dominio di quello che Mussolini chiamava "Mare nostrum". Poche ore prima un aereo aveva avvistato una larga formazione inglese "a levante di Malta", facendo scattare l'allarme nelle basi siciliane. Dal porto di Augusta salpano quattro caccia e tre torpediniere con il compito di stanare il nemico. L'Artigliere è l'ammiraglia di quelle squadriglie d'assalto. Una nave moderna, lunga 106 metri, con un dislocamento di 2500 tonnellate, quattro cannoni da 102, sei lanciasiluri e otto mitragliere: il suo motto è "Sempre e ovunque". Tre mesi prima aveva partecipato allo scontro di Punta Stilo e il comandante era già famoso: Carlo Margottini, un ufficiale decorato, veterano della Grande Guerra e del conflitto in Spagna.

Il capitano

scheda

In quella notte Margottini dispone le sue navi "a rastrello", cercando di individuare gli avversari. Un'ora dopo la mezzanotte la luna illumina la sagoma inconfondibile di un incrociatore britannico: è l'Ajax, protagonista nel Mar della Plata del primissimo duello con la marina hitleriana. I suoi dodici cannoni non spaventano le tre piccole torpediniere italiane, che vanno all'attacco una dopo l'altra lanciando i siluri.

Ma l'Ajax ha un'arma segreta: è l'unica unità inglese nel Mediterraneo dotata di radar, un apparato sperimentale capace però di squarciare la notte anche a novanta chilometri. Evita i siluri, poi apre il fuoco con precisione mai vista prima. Le torpediniere vanno avanti, si spara anche a cento metri di distanza. "Più che una battaglia è stato un corpo a corpo", ha scritto il Tempo nella prima cronaca dell'evento. Sono venti minuti di bordate letali che massacrano l'Airone e l'Ariel. Pure i quattro caccia italiani si gettano nella mischia, combattendo sempre più vicino. "Una corsa spavalda nella fauci della morte", l'ha definita Carlo Quintavalle riportando il racconto di un testimone: "Come la carica disperata dei lancieri di Balaklava in Crimea".

Artigliere

L'Artigliere gravemente danneggiato durante lo scontro notturno del 12 ottobre 1940

Volano proiettili in ogni direzione. L'Artigliere mette a segno quattro colpi, che feriscono l'Ajax. Ma la replica dell'incrociatore è devastante: una raffica quasi a bruciapelo, che schianta le macchine e incendia la riserva di munizioni. A bordo è l'inferno. Ci sono fiamme ovunque. Gli ufficiali sono quasi tutti caduti. Il comandante è grave, ma insiste: "Non mollate!". Le motivazioni della medaglia d'oro, nella retorica littoria, riportano: "Esempio di spirito aggressivo che non conosce ostacolo, portò arditissimamente la propria unità all'attacco ravvicinato. Margottini, sebbene colpito a morte, prodigava ancora parole di incitamento alla sua gente e spirava sulla plancia invocando un'ultima volta il nome della Patria". E i superstiti non cedono. Per ore lottano contro i roghi e cercano di salvare la nave. Riescono a riparare un motore, che poi si blocca. Un altro caccia tenta di rimorchiarli. Gli inglesi però stanno arrivando, in massa.

L'Ajax era solo la vedetta esterna dell'intera Mediterranean Fleet, impegnata nella scorta a un convoglio. Ci sono quattro corazzate, due portaerei, sei incrociatori, sedici caccia. Dalle sette del mattino cominciano gli attacchi dal cielo contro le due navi italiane, che si difendono come possono. Un'ora di incursioni, senza tregua. Quando in lontananza l'orizzonte si riempie dei fumaioli della grande flotta, il secondo caccia taglia il cavo e si ritira.

L'Artigliere è solo, immobile. Il maggiore Mario Giannettini, l'unico ufficiale incolume, non vuole arrendersi e ordina l'autoaffondamento. L'incrociatore pesante York gira intorno alla preda. Con le bandiere trasmette il segnale di abbandonare la nave. Poi ripete l'intimidazione con un proiettile davanti alla prua. I feriti vengono calati nelle scialuppe, gli altri si buttano in acqua assistendo all'agonia del loro vascello. Il colpo di grazia è lungo, tante cannonate e infine due siluri, che fanno letteralmente saltare in aria lo scafo. Tutto fotografato minuto per minuto, con immagini diffuse sui giornali del Commonwealth, che aprono le prime pagine con la spettacolare distruzione dell'Artigliere: dopo mesi di disfatte, gli inglesi avevano bisogno di un successo da propagandare.

La flotta britannica non raccoglie i naufraghi; soltanto il caccia Vampire ne carica ventidue, tutti gli altri restano in mare. Teme che ci siano sottomarini in zona e si allontana a tutto vapore. L'ammiraglio in capo però fa trasmettere due messaggi radio su più frequenze con la posizione delle scialuppe: "Quegli italiani hanno combattuto bene". Un gesto di clemenza criticato da Winston Churchill in persona: "Questo genere di belle maniere infuria la gente che in patria sta sopportando l'ordalia".

Per i sopravvissuti è l'inizio di un'odissea. I marinai dell'Artigliere, dell'Airone e dell'Ariel cercano di raggrupparsi: sono più di duecento, legano zattere e barche. Il mare sta crescendo, supera forza quattro; le nuvole si gonfiano e scatenano temporali violenti. Dalla Sicilia partono idrovolanti e motovedette. Ma quando cala la notte, le ricerche sono ancora infruttuose. Le onde invece non hanno pietà e alcune scialuppe si perdono nel buio. All'alba la Marina raddoppia gli sforzi e dopo 36 ore si riesce a raggiungere i superstiti. Solo cento uomini dell'Artigliere ce la fanno. Tra loro il faentino Vincenzo Ciolli, arruolatosi volontario a ventuno anni e ferito nello scontro. Ha dedicato il resto della vita all'acqua: bagnino della piscina comunale di Bologna, ha insegnato nuoto ai bambini fino agli anni Ottanta. Si è spento nel 2012, a 94 anni.

I marinai rimasti per sempre sull'Artigliere venivano da tutta Italia. Atride Nigiotti era di Livorno: per lui nel 2012 i familiari hanno comprato una pagina del Tirreno: "Avevi poco più di vent'anni. La Regia Marina ti dette "disperso", mamma ti ha aspettato tutta la vita. I tuoi fratelli, Tommaso e Cesare, vecchi rincoglioniti ti ricordano con immutato affetto". "Quand'è sparito inghiottito dal mare Atride si era appena sposato: di lì a poco sarebbe diventato babbo, la moglie era incinta" - ha raccontato il fratello al giornale toscano - "Se in guerra dicono che tuo fratello risulta disperso al fronte, la speranza forse ha qualcosa alla quale aggrapparsi. Se invece, com'è accaduto per Atride, sei disperso in mare l'unica cosa in cui puoi sperare è che ti diano un corpo sul quale piangere". Adesso almeno ci sono le immagini dell'Artigliere, monumento nell'abisso in ricordo di quei ragazzi mai tornati a casa. 
Le immagini di un pezzo di storia della Marina militare italiana, che è anche la testimonianza di uno snodo cruciale del secondo conflitto mondiale nel Mediterraneo.

La storia dell' Artigliere

4 novembre 1938

01

L’artigliere entra in servizio. Viene assegnato alla XI Squadriglia Cacciatorpediniere, facente parte della II Squadra Navale.

1939

02

Attività addestrativa: l’ Artigliere effettua crociere nel Tirreno, in Africa Settentrionale e nel Dodecaneso.

10 giugno 1940

03

L’Italia entra nella seconda guerra mondiale. L’Artigliere, al comando del capitano di vascello Carlo Margottini, è caposquadriglia della XI Squadriglia Cacciatorpediniere, insieme ai gemelli Aviere, Geniere e Camicia Nera.

9 luglio 1940

04

L’artigliere partecipa alla battaglia di Punta Stillo, durante il ripiegamento della flotta italiana l’ XI Squadriglia avvista e attacca navi britanniche, lanciando infruttuosamente siluri insieme alle altre tre unità (Aviere, Geniere e Camicia Nera).

11 ottobre 1940

05

Nella notte dell’11 ottobre l’artigliere è chiamato a pattugliare, insieme alle tre unità della sua squadriglia e alle torpediniere della I Squadriglia (Alcione, Airone, Ariel) l'area ad est di Malta, alla ricerca di navi britanniche.

12 ottobre 1940 (tra l’1 e le 2 del mattino)

06

All’1.37 le torpediniere italiane avvistano l’l'incrociatore leggero HMS Ajax,parte di un ampio schieramento navale britannico. Ne deriva un violento scontro in seguito al quale vengono affondate l’Airone e l’Ariel: l’Ajax riporta invece danni non gravi.

12 ottobre 1940 (ore 2.10 - 2:20)

07

L’Aviere attacca l’HMS Ajax, ma viene centrato da diversi colpi e dopo aver riportato vari danneggiamenti, con vittime e feriti a bordo, è costretto a ripiegare verso le coste italiane.

12 ottobre 1940 (Ore 2.29)

08

L’Artigliere sferra l’attacco all’HMS Ajax, ma viene ripetutamente centrato dalla reazione dell'incrociatore: le riservette esplodono causando un violento incendio, mentre i colpi ricevuti causano danni e molte vittime.

12 ottobre 1940 (Ore 2.32)

09

L’Artigliere è fuori combattimento, oltre metà dell'equipaggio, tra cui tutti gli ufficiali di vascello, è già morta o ferita. Nel corso delle prime ore della mattina il “Camicia nera” prova a prenderlo a rimorchio, ma alle 8.10’ è costretto a ripiegare a seguito dei numerosi attacchi inglesi e abbandonare il cacciatorpediniere.

12 ottobre 1940 (ore 8.29)

10

L’incrociatore pesante York si allontana dalla flotta britannica per affondare l’Artigliere. Avvicinatosi alla nave italiana, spara un colpo davanti alla prua con il quale ordina di abbandonare la nave. Il comandante in capo, maggiore Giannettini, comunica a questo punto di abbandonare l'imbarcazione: tutti gli uomini capaci di farlo si tuffano in mare. Dopo l’evacuazione dei naufraghi l’incrociatore britannico colpisce ancora e affonda l’Artigliere (ore 9.15). Le perdite sono pesanti: su un equipaggio di 254 uomini, sopravvivono in appena 122.

Vedi le foto del ritrovamento

FONTE: Logo Rep.it

News Marina Militare,, Artigliere, Battaglia di Capo Passero, Repbblica.it

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Scagionato De Giorgi: esito scontato ma tardivo

240517 degiorgi2 0(di Andrea Cucco) 24/05/17
Cosa si chiede ad un vertice delle istituzioni di uno Stato? Preparazione, capacità, incorruttibilità, dedizione al proprio ruolo.

Cosa si fa in Italia quando si ha a disposizione un dirigente con queste qualità? Lo si incula.

Questo è quel che è avvenuto lo scorso anno all'ammiraglio De Giorgi, l'allora capo di stato maggiore della Marina.

Chi era De Giorgi? Un “cagnaccio”, un capo che non passava sopra inefficienze e non chiudeva un occhio su eventuali mancanze: personali, organizzative e... industriali. Amore ed odio erano i sentimenti diffusi tra i suoi sottoposti. La possibilità di vederselo arrivare senza preavviso a bordo di una nave o in una base accomunava tutti con egual timore.

Odio era invece il sentimento di chi, abituato a “comprare” persone, si è trovato di fronte un Militare (con la emme maiuscola).

Ebbene, l'inchiesta giudiziaria, con cui - a suon di dossier anonimi e titoloni sui giornali - è stato pubblicamente sputtanato l'ammiraglio, si è chiusa poche settimane addietro con l'archiviazione disposta dallo stesso giudice per le indagini preliminari.

Notizia positiva? Parzialmente. Nell'inconscio collettivo “De Giorgi” rimane legato agli effetti di una campagna diffamatoria che per mesi ha fatto fuoco ad alzo zero. In più gli strascichi di tragicomiche trasmissioni televisive non hanno di certo giovato all'immagine di un militare i cui meriti saranno sicuramente riconosciuti solo a distanza di tempo (v. legge navale).

Dell'archiviazione hanno informato in pochi e con trafiletti, non certo le prime pagine dello scorso anno. Tuttavia, anche se egual risalto fosse concesso alla notizia, il risultato non sarebbe cambiato, se non per il risarcimento morale: è stato evitato che un'incorruttibile potesse assumere altri incarichi di vertice. E lo scorso anno - a poche ore dagli “indagato De Giorgi” - erano in ballo nomine importanti che andavano dalla Protezione Civile ai Servizi Segreti...

Abbiamo incontrato l'ammiraglio per comprendere con quale stato d'animo ha accolto la fine di una vicenda giudiziaria lunga ed indecente per una nazione che si millanta "Patria del Diritto".

240517 degiorgi3Ammiraglio, il caso "Tempa Rossa" è stato archiviato. È soddisfatto?

Soddisfatto non è probabilmente il primo termine che mi viene in mente.

Come visse la notizia del coinvolgimento nell'inchiesta?

Con sconcerto e incredulità. Con il dolore e la frustrazione di chi sa di avere sempre fatto il proprio dovere, tutelando l’interesse dello Stato e il bene della Marina; con la sensazione di subire un’ingiustizia. Mi faceva soffrire anche la possibilità che il personale della Marina che aveva creduto in me potesse essere deluso, confuso dalla campagna diffamatoria messa in atto da subito, con una forza e un’ampiezza raramente vista prima.

L'allora presidente Renzi la difese attestando pubblicamente stima nei suoi confronti. Furono tutti così coraggiosi?

È stato un segnale forte che ha richiesto coraggio, visto soprattutto l’attacco mediatico in atto al momento. Sono molto riconoscente anche nei confronti del Presidente Mattarella che mi ha sostenuto a livello personale. Altri che, per incarico e diretta conoscenza del sottoscritto, avrebbero dovuto sostenermi pubblicamente, anche per tutelare l’immagine della Marina Militare, hanno preferito defilarsi, voltarsi dall’altra parte, quando non cercare di approfittare del momento di mia difficoltà.

È stato fondamentale il sostegno della mia famiglia che ha subito con me la cinica, ingiusta distruzione del mio prestigio e della mia reputazione, dopo 45 anni di servizio incondizionato al Paese. Ho per fortuna sentito vicino la grandissima parte del personale della Marina, a partire dai gradi più bassi, che mi ha trasmesso grande affetto, dandomi la forza di continuare, di non abbandonare la nave in difficoltà.

Formalmente è stata una vicenda giudiziaria. Sostanzialmente è sembrata (da subito, per i meno "ingenui") un'azione mediatica. Ricordo titoli sui giornali di un weekend con dei "coinvolto anche De Giorgi", senza alcun riferimento a lei nel testo degli articoli. Il lunedì il suo nome era in lizza per incarichi di rilievo... Qualcuno ha comunque portato a casa il risultato?

Sugli aspetti giudiziari della vicenda non voglio commentare, per rispetto verso le Istituzioni. La Giustizia ha comunque fatto il suo corso e la Magistratura ha stabilito in modo netto che non ho commesso reati, né illeciti di sorta.

Se da un lato non posso che apprezzare che la conclusione della dolorosa vicenda che mi ha colpito si sia conclusa nell’unico modo possibile, ovvero con l’archiviazione delle accuse, dall’altro non posso dimenticare l’aggressione dei media che da subito si è scatenata contro di me, divulgando ipotesi fantasiose, assolutamente prive di fondamento e di riscontri oggettivi.

240517 degiorgi4Certamente è stata singolare la tempistica della vicenda, alla vigilia del referendum sulle Trivelle e per quanto mi riguardava, della scadenza del mio mandato. È evidente che qualcuno sperava di costringermi alle dimissioni, anche tramite la contestuale, massiccia diffusione di un dossier anonimo, avvenuta grazie a un’inconsueta disponibilità di molti organi di stampa ed emittenti televisivi alla sua ampia divulgazione, superando qualunque remora deontologica.

Anche per questo motivo, dare le dimissioni sarebbe stato un atto di vigliaccheria. Non potevo darla vinta al “corvo” che sperava, tramite le mie eventuali dimissioni, di condizionare la scelta del mio successore. Non potevo accettare che dossier anonimi decidessero le sorti della Marina.

È ovvio che chi temeva un rinnovo del mio mandato, peraltro accordato poco tempo dopo al capo della Difesa gen. Graziano, al Capo dell’Esercito gen. Errico, al comandante generale dei Carabinieri gen. Del Sette, in vista della scadenza del loro incarico, oppure l’assegnazione di altri incarichi istituzionali, ha indubbiamente visto con favore il conseguimento di tale obiettivo.

Colpisce comunque il silenzio dei media sull’archiviazione delle indagini; gli stessi che a suo tempo spesero fiumi d’inchiostro e ampi spazi televisivi contro di me, demolendo la mia reputazione e onorabilità, adesso tacciono indifferenti al dovere di informare correttamente il pubblico sulla mia totale estraneità rispetto a ogni accusa.

La libertà di stampa è un bene troppo importante per una democrazia, per accettare comportamenti così cinicamente spregiudicati, da chi dovrebbe avere invece tutto l’interesse a tutelarla.

FONTE: Logo difesaonline

News Marina Militare,, Scagionato De Giorgi, Tempa Rossa

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