Tra conferme e frenate diplomatiche, la missione italiana in Niger prosegue

Niger Missione

La missione italiana in Niger è in stallo, anzi no prosegue senza problemi. A leggere le notizie delle ultime settimane sull’argomento si capisce piuttosto che c’è ancora molto da chiarire sull’intervento dell’Italia per bloccare il flusso dei migranti ed addestrare le truppe locali in Niger al confine con la Libia. Annunciata ufficialmente da Paolo Gentiloni il 13 dicembre scorso, e votata in fretta e furia dalla Camera dei deputati, c’era una volta la missione italiana in Niger. Non è totalmente chiaro al momento infatti in che modo la missione proseguirà dato che il governo italiano e quello nigeriano sembrano pensarla in maniera diametralmente opposta. Cronache di un disastro diplomatico annunciato? Forse, ma andiamo per gradi.

“Andiamo in Niger per una richiesta del governo locale, che abbiamo ricevuto a dicembre e che riguarda quello che facciamo di solito in paesi come la Libia: rinforzare gli strumenti di controllo del territorio e delle frontiere e le forze di polizia locale” aveva detto il presidente del consiglio Paolo Gentiloni, parlando della missione alla commissione difesa della camera il 15 gennaio. Secondo le intenzioni del governo nel 2018 dovrebbe avvenire un netto ridimensionamento della presenza militare italiana all’estero (dove i nostri militari sono impegnati oggi in 32 missioni internazionali in 21 paesi). Nello specifico in Iraq si passerebbe da 1.500 a 750 soldati, in Afghanistan da 900 a 700 soldati. I contingenti italiani si sposterebbero così in Africa, in particolare in Libia con un incremento da 370 a 400 soldati ed in Niger con una missione di 470 soldati (inclusi 130 mezzi di terra e due aerei) impiegati di fatto nel sostegno alle autorità locali nell’addestramento della polizia di frontiera e nel controllo dei confini, lungo la rotta più usata dai migranti diretti in Europa. L’intervento militare in Niger si attuerebbe nell’ambito della missione del G5 (Mali, Ciad, Burkina Faso, Niger, Mauritania) nel Sahel, in cui l’Italia ha chiesto di essere membro osservatore. La “Coalizione Sahel” presentata il 13 dicembre scorso, durante la conferenza stampa congiunta al termine del G5 Sahel (summit tra i capi di stato e di governo di Francia, Germania, Italia e i cinque paesi del Sahel), nascerebbe con l’obiettivo dichiarato di contrastare il terrorismo nella regione e dovrebbe trattarsi di “un’organizzazione operativa effettiva e reale, con un comando unico a livello regionale, per sostenere sul campo la forza G5 Sahel e l’Alleanza per il Sahel.” Coalizione che potrà valersi inoltre di stanziamenti per 50 milioni di euro dall’Unione europea, 60 milioni di dollari dagli Stati Uniti, 30 milioni dagli Emirati Arabi Uniti e 100 milioni dall’Arabia Saudita. Per maggiore chiarezza, in Niger intanto è già presente un'aliquota di una cinquantina di soldati con il compito di preparare il terreno al grosso della missione, l’Italia si unirebbe così alle forze armate francesi, statunitensi e tedesche che sono già presenti nel paese, rispettivamente da anni e mesi, in un contesto geopolitico importante per l’Italia.

Secondo indiscrezioni varie però la missione sarebbe ad uno stallo. Ad inizio marzo il governo di Niamey sembrava, nonostante la squadra di 40 specialisti inviati in Africa dopo l’approvazione della delibera di palazzo Chigi, dire, per la seconda volta, no all’arrivo dei soldati italiani da impiegare contro l’immigrazione clandestina ed il terrorismo. Stop comunicato dal ministro dell’Interno, Mohamed Bazoum, che aveva ripetuto quanto era già trapelato dal ministero degli Esteri circa due mesi fa sulla contrarietà all’invio del contingente, rilanciato dall’emittente francese Rfi. Secondo le indiscrezioni, infatti, il Niger non sarebbe stato informato ufficialmente dall'Italia riguardo la prossima missione militare nel paese africano, e gli esponenti del Governo avrebbero appreso del dispiegamento del contingente italiano da un lancio dell'agenzia di stampa. Inoltre, sempre secondo le fonti dell'emittente francofona, si afferma proprio che la formazione dei militari e delle forze di sicurezza del Niger, motivazione addotta dal governo italiano per la missione, sia già stata affidata ad altre nazioni. Sembrerebbe così evidente che una parte del governo nigerino non sia d’accordo con la missione e rilasci dichiarazioni alle Radio internazionali francesi per smuovere le acque della polemica.

Impossibile non notare peròche in Nigerè la Francia (nostra rivale storica) a detenere l’influenza più rilevante: negli stessi giorni, infatti, era circolata l'ipotesi proprio di una responsabilità francese allo stop alle missioni italiane, ossia che il governo di Parigi, che ha un contingente presente in quell’area con un ruolo di primo piano insieme con Stati Uniti e Germania, abbia fatto pressioni affinché il nostro paese rimanesse fuori da giochi africani. Una situazione che, se fosse stata confermata, metterebbe all’angolo il nostro paese. Certo, dietro la decisione del governo italiano c'era un accordo firmato dai due Paesi il 26 settembre del 2017 sulla base dell'accordo per lo sviluppo della cooperazione bilaterale nel campo della sicurezza, firmato durante l’incontro del 3 gennaio del governo nigerino con il numero uno della Farnesina, Angelino Alfano, volato a Niamey per inaugurare l’ambasciata italiana. Lo avevano scritto gli stessi giornali nigerini, che però specificavano: “Le nostre fonti confermano l’esistenza di un dialogo e di un coordinamento tecnico e per la sicurezza con l’Italia, ma questo non implica in alcun modo che il Niger intenda accogliere una missione militare italiana”.

Intanto sul sito della Difesa, proprio per fare maggiore chiarezza sull’argomento, è stato pubblicato un comunicato ufficiale in cui si ribadisce proprio che “In merito a quanto riportato da alcuni organi di stampa circa la sospensione della missione in Niger, si ribadisce quanto recentemente dichiarato pubblicamente dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, che stanno proseguendo le attività programmate del nucleo di ricognizione per attività di collegamento e preparazione, di intesa con le Autorità nigerine, e di predisposizione all'approntamento della base italiana in Niger. Non ci sono quindi ipotesi di ritiro del personale militare italiano. La missione si svilupperà in pieno accordo con le Autorità locali.” Salvo eventuali nuove problematiche, di tipo logistico o diplomatico, la nostra missione quindi dovrebbe proseguire con un numero massimo di militari impegnati che si baserà sulle decisioni del Parlamento e sulla necessità futura modulata in base alla situazione del teatro operativo e alle esigenze addestrati da soddisfare.“Allo stato attuale” la missione continua.

FONTE: Logo Amm Degiorgi oro

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Marina Militare, sarà varata sabato la prima Unpav: unità navale polifunzionale ad Alta Velocità

UNPNAV

MESSINA - Anche l’Esercito andrà ad alta velocità in mare. Sabato a Messina, si terrà la cerimonia di varo della prima Unpav (unità navale polifunzionale ad Alta Velocità) commissionata dalla Marina Militare italiana a Intermarine. La commessa comprende due navi, per un totale di 40 milioni di euro. Le nuove navi serviranno alla Marina Militare per rinnovare le linee operative delle Unità Navali e supplire, almeno in parte, alla crescente obsolescenza della Flotta, adottando mezzi all’avanguardia e di elevato contenuto tecnologico.

Unpav è una  tipologiadi nave in grado di assolvere missioni diversificate e con brevissimo preavviso, coprire distanze elevate in tempi contenuti, e sono quindi particolarmente idonee ad intervenire anche in supporto alle operazioni di controllo dei flussi migratori. Le due navi sono prodotte al 100% in Italia: lo scafo e il primo allestimento viene realizzato presso i cantieri di La Spezia di Intermarine, e poi vengono ultimate a Messina.

La cerimonia del primo varo, come dicevamo, si terrà nei cantieri di Intermarine di Messina sabato dalle ore 10, e sarà presente anche il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, l’ammiraglio di squadra Valter Girardelli. Prevista anche la presenza del commissario dell’Autorità Portuale di Messina, Antonino De Simone.

L’annunciodelle nuove costruzioni fu dato da Intermarine, controllata del Gruppo industriale Immsi S.p.A., in occasione di Euronaval 2016, la più importante esposizione mondiale di sistemi di difesa navali. 

Intermarine ha maturato una solida esperienza e conoscenza delle problematiche inerenti la progettazione e costruzione di navi militari speciali con requisiti operativi molto stringenti, imponendosi sul mercato internazionale grazie all’ottima reputazione guadagnata con la fornitura alle più prestigiose Marine Militari mondiali di navi molto speciali come i Cacciamine.

L’Unpavè lunga fuori tutto 40 metri, larga 8 metri, ed è spinta da un sistema combinato di motori diesel accoppiati a propulsori a getto. L’impianto della propulsione consente la condotta della nave in diversi assetti di navigazione e operativi, garantendo una elevata flessibilità di impiego.

Le navi sono stateprogettate nel pieno rispetto dei regolamenti del Registro Navale Italiano per tutti gli aspetti più importanti che riguardano la sicurezza sia della piattaforma sia del personale impegnato nelle varie operazioni.

FONTE: Logo Messaggero Motori

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Sfuma il progetto museo, addio al Vittorio Veneto

Presto un bando di gara per alienare il bene e avviarlo a demolizione

L'incrociatore Vittorio Veneto è stato per 50 anni a Taranto, sarà rottamato. Si pensava di renderlo un museo ma ci vorrebbero ingenti risorse

Vittorio Veneto

di Maristella Massari

19 Maggio 2018

L’incrociatore Vittorio Veneto si prepara a lasciare definitivamente Taranto, la città che ha fatto per 50 anni da casa all’unità navale della Marina Militare.

Dopo la dismissione, avvenuta nel 2006, la nave sarà alienata perché si proceda alla sua demolizione. A dare l’annuncio, ieri mattina, è stato l’ammiraglio di divisione Salvatore Vitiello, al termine dell’annuale «Giornata del Personale Civile dell’Amministrazione della Difesa» che si è tenuta in Arsenale. Sono state consegnate 23 medaglie d’oro, 121 medaglie d’argento e 44 medaglie di bronzo e i diplomi di servizio in onore ai lavoratori che hanno tagliato rispettivamente il traguardo dei 40, 30 e 20 anni di servizio nell’amministrazione.

«Lo Stato Maggiore della Marina sta preparando un bando e si indirà una gara d’appalto come si è fatto già in occasione delle altre unità navali».

Gli esperti del settore, in questo campo, sono i turchi. La nave, com’è noto, ha diversi vincoli legati alla presenza di amianto in alcuni locali. L’impresa che si aggiudicherà l’appalto deciderà anche il luogo in cui portare il prestigioso incrociatore e procedere al suo smantellamento. Difficilmente questa operazione potrà essere effettuata a Taranto. La nave, che dal 2006, non solo non appartiene più alla Marina ma è stata anche radiata dal registro navale, potrebbe dunque dover attraversare ancora una volta - questa sì che sarà l’ultima - il canale navigabile.

Per musealizzare il Vittorio Veneto, ipotesi battuta per quasi 15 anni senza successo, ci vorrebbero - secondo i dati forniti qualche anno fa dalla Fondazione Michelagnoli -, ci vorrebbero 20 milioni di euro. A Taranto - fin qui - è mancata la forza di innovare, fiaccata com’era da una buona dose di inefficienza e incapacità. Soprattutto della politica.

«Si sta pensando di studiare bandi di gara, a livello di Stato Maggiore - ha concluso l’ammiraglio Vitiello -, per avviare progetti di musealizzazione di unità navali quando sono ancora operative, prima della loro dismissione. In maniera che sia più semplice la gestione successiva della nave».

FONTE: Logo Lagazzettadel mezzogiorno

 

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Marinai d'Italia-Editoriale del Presidente-Marzo 2018

Come sempre il Presidente Amm. Paolo Pagnottella coglie nel segno con il suo editoriale. Molto intenso e significativo quello del mese di Marzo della rivista Marinai d'Italia

logo marinaiditalia138

Pagnottella con firmaMi è capitato di incontrare alcuni compagni di scuola e di classe di mio nipote, 11 anni, quinta elementare, ai quali avevo iniziato a parlare del significato delle due giornate, della memoria (inerente la Shoah) e del ricordo (massacro nelle foibe ed esilio degli italiani giuliano-dalmati). Ero partito dal presupposto che ne avessero già parlato i loro insegnanti a scuola, inquadrando così gli eventi nel corretto contesto storico. Uno di questi ragazzini mi ha guardato con aria davvero meravigliata e mi ha chiesto se la Seconda Guerra Mondiale fosse, per caso, un nuovo video-game e da dove lo avessi scaricato. La mia iniziativa si è arrestata subito, per non ingenerare altra confusione. Poi, mi sono fatto da loro riferire sui programmi di storia ed ho scoperto che da anni alle elementari, il programma di storia arriva (forse) alla caduta dell’impero romano. Cioè, a dodici anni non si ha ancora notizia di Medio Evo, Repubbliche Marinare, Risorgimento, Garibaldi, Prima Guerra Mondiale, temi che gli studenti affronteranno (e non approfondiranno) per la prima volta alle medie. Ho chiesto loro se, in casa, magari qualcuno avesse parlato delle guerre mondiali, ricevendo risposte unanimi ma... negative. Ho riflettuto molto su questa lezione, poi ho considerato che noi, negli anni ’50 e ’60, avevamo nonni e padri viventi che avevano combattuto in quelle guerre, parenti che avevano vissuto la terribile esperienza dei bombardamenti. Ne avevamo ricavato aneddoti e racconti, conoscevamo le armi principali ed i loro effetti. Così a nostra volta, abbiamo affrontato le “nostre” esperienze di guerra (fortunatamente non coinvolti di persona), che si chiamano Corea, Vietnam, Sei giorni, Yom Kippur. Pochi di noi hanno “partecipato” alla spedizione in Libano, alle missioni nel Golfo, tutti eravamo davanti alla televisione quando scattò l’operazione “Desert Storm”, abbiamo visto il bombardamento di Baghdad,la dissoluzione dell’esercito di Saddam Hussein. Dei nostri soldati in Afghanistan poco se ne è parlato, salvo quando rientravano a Ciampino in una bara avvolta nel tricolore, col Presidente della Repubblica che ne toccava ilembi. I genitori di un tredicenne, oggi, hanno, a dir tanto, quaranta anni: non hanno avuto mai alcun sentore di guerra (salvo non fosse mediato da uno schermo TV) perché l’ultima su suolo europeo è stata la guerra in Iugoslavia (anni ’90) e loro erano giovani spensierati e gaudenti. Proviamo a chiedere loro chi era il Presidente del Consiglio nel 1999 quando aerei italiani furono mandati a bombardare postazioni militari in Serbia e dovremo accontentarci di risposte folkloristiche, tipo (il solito) Berlusconi o Gengis Khan (per la cronaca, era Massimo D’Alema). E stiamo parlando di un periodo a noi prossimo, vent’anni fa, dunque non meravigliamoci che un adolescente non conosca la stori di settanta anni fa! Ignorare la storia, almeno per sommi capi, a quell’età, li rende vulnerabili, privi di riferimenti, disponibili a credere a tutto con ampia probabilità di ripetere errori del passato poiché credono di fare cose nuove e geniali. Facciamo pure tutte le giornate della memoria e del ricordo, ben vengano e anzi solennizziamole, ma credo che il miglior contributo all’educazione dei nostri giovani sia dato dall’insegnare loro la storia, ed insegnargliela bene, fin dalla più giovane età. Perché poi, a 18 anni (e c’è chi vorrebbe anticipare a 16) andranno a votare!

Amm. di Squadra (r) Paolo Pagnottella

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Quanta plastica c’è negli oceani?

Una nuova ricerca ha stimato che ci sono più di 269mila tonnellate di frammenti di varie dimensioni – ma soprattutto piccolissimi – e che le cose peggioreranno.

plastica oceani

Dispersi negli oceani di tutto il mondo ci sono oltre 5mila miliardi di frammenti di plastica, grandi e piccoli, per una massa complessiva intorno a 269mila tonnellate di materiale inquinante. La stima è stata effettuata da un gruppo di ricercatori coordinati da Marcus Eriksen, cofondatore dell’organizzazione senza scopo di lucro statunitense 5 Gyres Institute, che si occupa da tempo dei temi legati all’inquinamento dei mari. Il loro lavoro, che ha portato a uno studio pubblicato sulla rivista scientifica PLOS One, conferma ricerche precedenti sulla grande quantità di inquinanti negli oceani dovuti all’attività umana e sulla loro diffusione su larga scala.

La ricerca di Eriksen e colleghi è basata su un’ampia serie di dati raccolti a partire dal 2007 grazie a una serie di spedizioni marine, organizzate con la collaborazione di scienziati provenienti dagli Stati Uniti, dalla Francia, dal Cile, dall’Australia e dalla Nuova Zelanda. Utilizzando reti simili a quelle per la pesca dei pesci più piccoli, i ricercatori hanno raccolto frammenti di plastica di diverse dimensioni, che galleggiano da anni sugli oceani trasportati dalle correnti. I detriti più grandi sono stati invece osservati a vista, con la raccolta di alcuni campioni per valutarne la composizione.

Secondo i ricercatori, la maggior parte dei frammenti ha dimensioni intorno ai 5 millimetri, cosa che facilitato enormemente la diffusione degli inquinanti su ampie porzioni di oceano. Questo particolare richiama e conferma gli esiti di un’altra ricerca, pubblicata la scorsa estate, dedicata soprattutto agli effetti delle molecole di plastica disciolte in acqua sulle varie specie che popolano gli oceani.

Le spedizioni sono state realizzate in diversi punti delle aree settentrionali e meridionali del Pacifico e dell’Atlantico. Le navi dei ricercatori si sono poi spinte nell’oceano Indiano e hanno analizzato le acque lungo parte delle coste dell’Australia e del Golfo del Bengala. I detriti raccolti provengono da molti tipi diversi di spazzatura: dai comuni sacchetti di plastica alle reti utilizzate per la pesca in mare.

La grande varietà di plastica in varie dimensioni è entrata a far parte della dieta di molte specie marine. I frammenti più piccoli, con dimensioni paragonabili a quelle del plancton (l’insieme di microorganismi fondamentale per l’alimentazione di numerose specie che vigono negli oceani), sono ingerite dagli animali, con conseguenze ancora poco chiare dal punto di vista biologico. In una certa misura, la plastica è comunque entrata nella catena alimentare, perché i pesci più grandi si nutrono delle specie più piccole che mangiano regolarmente la plastica insieme al plancton. C’è quindi una possibilità che alcune di quelle specie ittiche finiscano poi nelle pescherie e nei nostri piatti.

densita rifiuti oceani

Sulla base di calcoli statistici, basati sulle correnti marine, lo studio spiega che i pezzi di plastica sono diffusi in buona parte degli oceani, anche se la maggior parte si concentra in cinque punti dove si trovano altrettanti vortici causati dalle correnti oceaniche. I rifiuti vengono risucchiati lentamente da queste enormi spirali e girano per mesi sfregando gli uni contro gli altri, mentre la continua esposizione ai raggi solari modifica la loro composizione chimica. Questo processo porta i grandi pezzi di plastica a rompersi in frammenti più piccoli, che le correnti trascinano poi verso altri punti degli oceani. In precedenza si era ipotizzato che, per quanto enormi, i vortici contribuissero a mantenere in aree circoscritte il problema dell’inquinamento oceanico, ma il nuovo studio contraddice questa ipotesi.

La ricerca pubblicata su PLOS One è la prima ad avere analizzato in modo così esteso, sia in termini di tempo sia geograficamente, il fenomeno dell’inquinamento degli oceani legato alla plastica. I dati raccolti potranno essere utilizzati per realizzare modelli statistici più accurati in futuro, in modo da prevenire l’andamento stesso della presenza di inquinanti nei mari. Secondo i ricercatori, il volume di plastica a mollo negli oceani è destinato ad aumentare in tempi rapidi, perché l’utilizzo sempre più massiccio della plastica da parte dei paesi emergenti e in via di sviluppo non è seguito da campagne di riciclo efficaci. In tutto il mondo, si stima che solo il 5 per cento della plastica sia riciclato in modo appropriato.

FONTE: Logo Il post

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Abbiamo fatto finire le buste di plastica pure nella fossa delle Marianne

Sono stati trovati sacchetti e altri oggetti, a conferma di quanto sia ormai inquinato anche uno dei posti più remoti del pianeta.

plastica fossa marianne

La fossa delle Marianne, la profondissima depressione nell’oceano Pacifico, è nell’immaginario collettivo uno dei posti più inaccessibili della Terra e per questo più protetto da contaminazioni e inquinamento. Un recente studio sulla presenza di plastica negli oceani ha però rivelato che nemmeno i grandi abissi sono immuni all’inquinamento prodotto dall’attività umana. I ricercatori hanno infatti trovato tracce di rifiuti plastici a una profondità di quasi 11mila metri nella fossa delle Marianne, dando nuova consistenza alle precedenti ricerche.

La ricerca è stata coordinata da Sane Chiba dell’Agenzia per le scienze e le tecnologie marine (JAMSTEC) del Giappone, studiando i dati raccolti in questi anni dall’organizzazione nel Deep-sea Debris Database. L’enorme archivio raccoglie fotografie e video realizzati da oltre 5mila sommozzatori ed esploratori marini negli ultimi 30 anni, allo scopo di studiare la salute degli oceani e il loro stato di inquinamento. Analizzando alcune di queste immagini, i ricercatori hanno notato la presenza di detriti a grande profondità nella fossa della Marianne.

La depressione oceanica è una sorta di lunga cicatrice di 2.550 chilometri nella crosta terrestre con una larghezza media intorno ai 69 chilometri. Il suo punto più profondo è di quasi 11mila metri. Inizialmente ritenuti inadatti alla vita per le condizioni di pressione, temperatura e assenza di luce, negli ultimi decenni i ricercatori hanno via via scoperto che anche i punti più profondi della fossa delle Marianne ospitano ecosistemi piuttosto vari con centinaia di specie viventi. Una delle spedizioni più recenti nella zona, realizzata nel 2016 dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA, l’agenzia statunitense che si occupa di oceani e meteorologia), ha identificato numerose nuove specie di coralli, meduse e polpi. Il fatto che l’area subisca gli effetti dell’inquinamento preoccupa i ricercatori, interessati a studiare aree dell’oceano ancora incontaminate.

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Nel Deep-sea Debris Database i materiali plastici sono i più ricorrenti tra gli inquinanti, a partire dalle buste di plastica. I ricercatori hanno calcolato che l’89 per cento dei materiali plastici provengano da oggetti usa e getta come bottiglie, utensili di vario tipo e appunto sacchetti. Prodotti di questo tipo impiegano secoli prima di disciogliersi completamente e sono una preoccupante fonte di inquinamento, soprattutto perché finiscono nella catena alimentare di numerose specie marine.

Non è chiaro quale sia la provenienza degli inquinanti in generale trovati nella fossa delle Marianne, ma i ricercatori ipotizzano che derivino dalla disgregazione della plastica in superficie, poi trasportata in profondità dalle correnti marine.

FONTE: Logo Il post

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Al via la seconda fase dell'esercitazione Mare Aperto 2018

(di Matteo Acciaccarelli)
08/05/18

mare apertoÈ iniziata ieri, per la portaerei Cavour, la seconda fase della missione addestrativa Mare Aperto 2018, ovvero la principale esercitazione svolta dalla Marina Militare che vede coinvolte oltre 40 unità provenienti da 8 Paesi diversi, con l’unico scopo di addestrarsi in uno scenario il più realistico possibile.

Al largo del porto di Civitavecchia erano già presenti il cacciatorpediniere lanciamissili Caio Duilio e le due FREMM Virginio Fasan e Luigi Rizzo, quando siamo stati imbarcati a bordo della nave ammiraglia della flotta italiana. L’opportunità concessa dalla Marina Militare ha permesso di assistere alla prima fase addestrativa direttamente a bordo del Cavour. Mollati gli ormeggi, la portaerei ha preso il largo ricongiungendosi alle altre tre navi presenti in zona partite nella notte dal porto di La Spezia.

Durante questa prima parte di navigazione alla presenza del comandante in capo della squadra navale, ammiraglio di squadra Donato Marzano, il capo reparto addestramento di CINCNAV (Comando in Capo della Squadra Navale ndr), capitano di vascello Milazzo, ha spiegato cos’è l’esercitazione Mare Aperto.

mare aperto1Sarà basata su uno scenario libero nel quale ci sarà una minaccia multidimensionale continua, in modo tale da poter testare a fondo le capacità di comando dei comandanti delle unità navali e dello staff presente a bordo”.

Un’esercitazione importante anche, quindi, per testare le capacità dei vari comandanti, ma anche per l’ammiraglio De Carolis che, come sottolineato da Milazzo, nel 2019 sarà, dopo l’incarico a COMITMARFOR (Comando Italiano delle Forze Marittime), il Maritime Component Commanderdelle forze di reazione rapida della NATO.

Lo scenario scelto per l’esercitazione è, per certi versi, comparabile alla situazione della penisola coreana, con la Sicilia divisa in due stati immaginari e con l’Italia pronta ad intervenire a sostegno di una parte e un quarto stato che interviene come avversario dell’Italia. Il tutto verrà svolto nel basso Tirreno e nel Mediterraneo centrale, al largo delle coste della Sicilia.

All’interno del Cavour per l’ammiraglio Marzano sarà possibile svolgere il suo compito da comandante della squadra navale italiana allo stesso modo di quanto fa nella caserma di Santa Rosa. Infatti, nella portaerei è presente una zona predisposta per il controllo totale e in tempo reale delle navi italiane impegnate in navigazione, ma non solo perché grazie al software SMART è possibile controllare ogni nave che naviga in ogni parte del mondo. Un sistema simile a Flight Radar 24 per l’aviazione civile, ma con la differenza che SMART può segnalare eventuali anomalie.

mare aperto2Questo però è quello che non si vede durante una missione o durante l’addestramento del personale, a differenza delle operazioni di volo svolte con gli AV-8B Harrier II Plus. La parte più emozionante, quanto meno per chi scrive, senza dubbio è stato ascoltare da vicino e dal vivo il suono del motore Rolls Royce dell’Harrier, oltre che vedere le operazioni di decollo e appontaggio da una posizione privilegiata qual è la plancia di comando del Cavour. Tre Harrier in volo, due dopo un breve volo sono rientrati sul Cavour mentre l’altro sì è allontanato per simulare un attacco multiplo contro la portaerei, in modo tale da poter testarne le capacità di difesa attiva.

Ovviamente, in vista delle fasi “calde” della Mare Aperto, il personale di bordo ha dovuto anche fronteggiare un incendio simulato, causato dall’attacco precedente, all’interno di un locale di bordo. Un imprevisto, che in nave è paragonabile all’imbarcare acqua a bordo. La risposta è stata rapida e precisa, permettendo così di concludere velocemente la fase di pre-addestramento del personale di bordo.

Terminata quest’ultima esercitazione di giornata, il pensiero va al fatto che a fine anno il Cavour dovrà essere modernizzato, per permettere l’imbarco degli F-35. Un lavoro, come sottolineato da Marzano che: Sembra banale ma non lo è, questo perché verrà modificata tutto il ponte per poter creare delle zone ad altissima sicurezza dove potrà entrare solo il personale autorizzato. Inoltre andrà rinforzata l’insonorizzazione del ponte e dei locali, cosa che comporterà a modifiche anche all’isola”. Questi lavori verranno svolti all’Arsenale militare di Taranto, una novità per il Cavour che per la prima volta oltrepasserà il ponte di San Francesco di Paola (il ponte girevole) per passare dal mar Grande al mar Piccolo. Una manovra complicata e resa più difficile dai 7-8 metri per lato che il Cavour avrà di spazio nell’attraversare il canale. Per questo: “Stiamo già lavorando con i piloti e con l’organizzazione logistica di Taranto per creare una sorta di filo guida nel canale, per cui la nave non dovrebbe avere problemi ad attraversarlo, ha assicurato Marzano.

mare aperto3I lavori terranno fuori dalla navigazione il Cavour per quasi due anni, durante i quali i compiti di ammiraglia passeranno, o meglio torneranno al Garibaldi, sul quale si stanno facendo i lavori necessari per permettere di imbarcare nuovamente gli Harriera bordo. Al termine dei lavori di ammodernamento del Cavour, la portaerei farà rotta per gli Stati Uniti per ricevere l’abilitazione finale all’F-35.

I piloti? Hanno già iniziato ad addestrarsi al simulatore, in attesa che altri F-35 vengano consegnati alla base di Grottaglie (attualmente ne è arrivato uno solo).

Per concludere il suo intervento, il comandante della squadra navale italiana ha sottolineato l’importanza della Mare Aperto, specialmente perché le navi militari devono essere sempre operative e capaci di aprire il fuoco contro eventuali minacce. A maggior ragione con il ritorno in auge della minaccia sottomarina all’interno del Mediterraneo.

Una visione chiara quella di Marzano per il quale:Quello che sembrava un rischio superato è tornato prepotentemente all’attenzione”. L’addestramento, però, non sarà solo anti sommergibile, ma prenderà in considerazione ogni minaccia possibile, anche perché, ha concluso Marzano: “Il nostro compito è quello di essere pronti a difendere gli interessi nazionali e a farlo anche con l’uso della forza”.

Con il termine delle dichiarazioni dell’ammiraglio Marzano si è chiusa anche la breve esperienza a bordo della portaerei Cavour, complicatissima da esprimere a parole per la forte carica di emozioni che trasmette vedere questo “aeroporto galleggiante” in azione. In attesa di rivederla, tra qualche anno, dopo i lavori di ammodernamento con imbarcati gli F-35 che nel frattempo arriveranno in Italia.

mare aperto4                                                                            (foto dell'autore)

FONTE: Logo difesaonline

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