Marina Militare - Un viaggio nel Castello Svevo di Brindisi

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Il Castello Svevo di Brindisi. Un video per conoscere un gioiello di architettura medievale

Un affascinante viaggio alla scoperta del Castello più importante e antico della città di Brindisi

14 febbraio 2018 Antonio Dell'Anna -

​Il Castello Svevo, il più importante e antico della città di Brindisi, oggi è sede del Comando della Brigata Marina San Marco che ne cura la manutenzione e la conservazione.

Un vero gioiello di architettura medievale, di forma trapezoidale con altissime torri angolari, rispondente ai criteri di difesa dell'epoca medievale.

Nei secoli il Castello ha subito  diverse modifiche. Costruito intorno al 1227 per volere di Federico II di Svevia, già nel 1272 Carlo d'Angiò apportò una importante sopraelevazione delle torri e la costruzione interna di un palazzo reale. Successivamente fu Ferdinando I di Napoli a realizzare il primo vero ampliamento del maniero, intorno alla metà del XV secolo. Modifica dettata da esigenze belliche dovute all'avvento delle armi da fuco. Il fossato venne coperto per ospitare i soldati, ma anche la popolazione in caso di emergenza, e venne costruita una ulteriore cinta muraria, più bassa e più  spessa della precedente, con torrioni bassi e circolari.

Nell'ultimo periodo, tra il XVIII e il XIX secolo, il Castello è stato adattato a penitenziario prima di essere definitivamente consegnato, nel 1909, alla Marina Militare che lo ha adibito a comando della stazione torpediniere e, l'anno successivo, anche come comando dei sommergibili, divenendo nel 1916 il più importante riferimento della flottiglia MAS oltreché importantissima base navale di grandi unità per tutta la prima guerra mondiale.

Nel secondo conflitto mondiale, dal 10 settembre del 1943 all'11 febbraio del 1944, il castello diviene la residenza del re Vittorio Emanuele III, della regina Elena e il maresciallo Badoglio; qui si svolsero le attività amministrative del governo e le funzioni di comando durante tutto il periodo in cui Brindisi è stata Capitale d'Italia.

Oggi è sede del comando della Brigata Marina San Marcoe grazie ad una efficace azione di valorizzazione da parte della Marina Militare, la storica struttura registra ogni anno un notevole numero di visitatori, tappa imperdibile per chi vuole conoscere a fondo la storia della città pugliese.

FONTE: Logo Notiziaro Immagine

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Folco Quilici: “Ho viaggiato e ho fatto immersioni per dimenticare il mio inconscio”

Il racconto dello scrittore e documentarista, dalla Ferrara in cui nacque, figlio di un giornalista che morì insieme a Italo Balbo, alla scoperta del mare.

di ANTONIO GNOLI

QuiliciMentre osservo la placida rotondità del volto mi torna alla mente Robert Byron, viaggiatore inglese che non solo amava viaggiare per non stare fermo, ma trovava nel viaggio la sola consolazione al detestabile incalzare della civiltà. Anche Folco Quilici rientra nella categoria dei viaggiatori. Una pedagogia ovattata, a volte cartolinesca, spesso sincera, a tratti avventurosa, ha accompagnato le sue incursioni nel mondo.

Chi è davvero quest'uomo che ha attraversato deserti, addolcito foreste, solcato mari, ammansito squali, reso l'esotico un prêt á porter per paradisi televisivi capaci di gustare l'intelligenza di un documentario? Gli siedo davanti. Gli dico: ogni volta che penso a lei non posso fare a meno di immaginarla con bombole e muta mentre si immerge in qualche mare del globo. Ha mai pensato al significato dell'immersione? Mi guarda come se la domanda non lo riguardasse. Poi capisco che è un problema di comprensione uditiva. Infila l'apparecchietto. Sorride. Ed è come se la vita dopo un fermo immagine riprendesse a scorrere.

Sono affascinato da chi sa scendere nelle profondità, sia del mare che della terra.
"Pensa che sia lì il segreto della vita?"

Penso che la fatica di immergersi, per bipedi abituati all'orizzontalità, sia qualcosa che valga la pena indagare.
"Non mi tirerà fuori la questione dell'inconscio. Tutta la vita ho viaggiato per dimenticare il mio inconscio. Certo, non è la stessa cosa immergersi in una vasca da bagno e in un mare infestato dagli squali. Se l'ho fatto è stato esclusivamente per dare un'emozione a chi quelle cose le ha sempre sognate senza averle mai viste. Parlo degli anni Cinquanta e Sessanta. Oggi ci interessa meno il meraviglioso, l'inedito, l'irraggiungibile. Pretendiamo però di salvare il pianeta. Comodamente seduti in poltrona!" .

È mutata la sensibilità. Il messaggio.
"No, guardi, è mutato il "format". Oggi il leone o l'orso bianco li devi vedere minacciati dalla sparizione per fotografarli. Tra un po' neppure quello. Abbiamo trasferito le nostre ansie, le nostre paranoie sul mondo animale. Lo abbiamo antropologizzato".

Non è che lei non umanizzasse?
"Ma non fino a questo punto. Si passano intere giornate per filmare due moscerini che fanno sesso. La voce fuoricampo grave o insinuante racconta l'atto. La presa di possesso. L'orgasmo. La morte in agguato. Non sai mai se stai in un film di Hitchkock o alla rappresentazione scollacciata del Bagaglino. Mi dispiace. Tutta la mia attività di documentarista  -  e ne ho fatte di cose che non mi piacevano  -  è sempre stata guidata dal sogno di bambino: scoprire, meravigliarsi, fantasticare ".

Dove è nato?
"A Ferrara. Nel 1943 la nostra casa fu distrutta da una bomba. Non esplose. Come un pugno gigantesco l'attraversò tutta. Si salvò, in parte, solo la biblioteca di mio padre".

Letterato?
"No, giornalista. Nello Quilici: direttore del Corriere Padano ".

Un leghista ante litteram?
"Ma no, un fascista di sinistra. Molto legato a Italo Balbo. Lo chiamò per quell'ultimo dannatissimo volo. Accennò a una missione. Si sfracellarono sotto il fuoco amico della contraerea italiana".

Provi a fornire qualche dettaglio.
"Cosa vuole sapere?"

Fu un incidente?
"Non si è mai chiarito. Sorvolavano Tobruk. Il trimotore entrò in un corridoio vietato. Si abbassò, forse sconsideratamente, e alla fine venne colpito. Scese giù, dicono i testimoni, in fiamme. C'era Balbo. E c'era mio padre. Era il 28 giugno 1940. Fu un attentato? Un complotto? Un errore? È difficile da spiegare. Papà teneva un Diario che fu ritrovato. Mancano le ultime quattro pagine. Cosa c'era scritto? Ho tentato di ricostruire tutto questo".

Perché?
"Perché è stata la mia ossessione. Ogni volta che ascoltavo qualche testimonianza era come se avvertissi le urla dentro quell'aereo colpito. Voci straziate che ho immaginato e che mi hanno accompagnato per anni nel dolore e nella rabbia. Ricordo quando apprendemmo la notizia".

Dov'era?
"A Ferrara. Venne a trovarci Michelangelo Antonioni. Giovane. Elegante. Silenzioso. Mi abbracciò. Strinse me e miei fratelli. Scriveva per il Corriere Padano . Mio padre gli aveva dato una rubrica di cinema. Ferrara pareva una città irreale. Nel caldo incombente di quei giorni Michelangelo scrisse che udì la voce di una contadina pronunciare in dialetto: "I dis ch'è mort Balbo". È probabile che morì per i contrasti con il Duce".

Restaste a Ferrara?
"No, dopo un po' sfollammo in un paesino sopra Bergamo. In una casa di campagna dove mio padre ogni tanto andava. E lì per la prima volta lessi un lungo racconto sul mare. Venti mesi a caccia di balene , si intitolava. Non era ancora il tempo di Melville. Ma quel libro  -  impolverato e seminascosto  -  mi aprì un mondo sconosciuto e affascinante. Anche se non ne sei consapevole c'è sempre un momento in cui le cose iniziano. Il mio rapporto col mare fu lì che ebbe origine. Poi giunse la liberazione".

Cosa fece?
"Ci trasferimmo a Roma. Era il 1945, avevo 15 anni. Feci in tempo per iscrivermi al Tasso. Non so se Roma mi piacesse. Era disperatamente frenetica. Un'estate andammo da uno zio a Levanto. Giornate quiete davanti a un mare bellissimo. Lo zio era un uomo curioso. Un sognatore passivo. Non chiese nulla solo che la sera gli raccontassi ogni volta un film diverso. Alla fine il repertorio si esaurì. Cominciai a inventare storie marine, popolate di pesci enormi e di onde gigantesche".

Era il mare che tornava.
"Tornò davvero quando vidi un ufficiale americano con pinne e maschera scendere in acqua. Mi avvicinai e dopo un po' gli chiesi se poteva prestarmele. Fu così che tentai la mia prima immersione. E da allora ho dovuto attendere la vecchiaia per smettere".

È stato tra i primi, forse il primo, a raccontare cosa accadeva in quei mari vicini e lontani.
"Tutto cominciò con delle foto subacquee che piacquero a Ulrico Hoepli. Poi venne il primo film: Sesto continente .
Era la prima volta che la gente vedeva i fondali marini. Gli squali. Impiegai un anno a girarlo. Sul Mar Rosso. Il film andò a Venezia. Avevo 24 anni e mi sembrava che la fortuna avesse cominciato a prendermi sul serio".

Dopo c'è stata una lunga e onorevole carriera.
"Lunga sì, con alti e bassi".

C'è qualcosa di cui si pente?
"Il mio lavoro ha tenuto conto di qualche compromesso. Sotto ricatto di un produttore girai per esempio Dagli Appennini alle Ande . Fu un viaggio bellissimo. Ma realizzai un brutto film".

Ricatto perché?
"Chi ha i soldi spesso vuole metter bocca. Ma non tutti i produttori erano così. Goffredo Lombardo, che finì protestato, è quello con cui ho lavorato meglio. Tra le tante cose girai con lui Tikoyo e il suo pescecane ".

Fu un film di grande successo.
"Goffredo, che aveva ereditato la Titanus, mi disse: ho letto un libro che parla di un'amicizia tra uno squalo e un ragazzo. Potrebbe diventare un film? Goffredo amava il mare e mi propose di girarlo alle Antille. Gli dissi guarda che la storia funziona se l'ambientiamo in Polinesia. Facemmo un sopralluogo e alla fine partimmo. Il problema era lo squalo e chi avrebbe sceneggiato la storia".

Lo squalo perché?
"Dovevamo addomesticarlo. Decidemmo di usare uno squalo finto. Fu Amilcare Rambaldi a realizzarlo. La prova generale avvenne nel mare di Ponza. Un disastro. Andava a fondo e per poco non morirono affogati i tecnici che dovevano assisterlo. Rambaldi era imperturbabile. Noi disperati. Disse semplicemente: non vi preoccupate ve lo spedisco a Tahiti. E così fece".

E a quel punto?
"Lo esibimmo sulla piazza principale nella curiosità degli isolani. Intanto la sceneggiatura era completata ".

Chi la scrisse?
"Italo Calvino. Gliela chiesi e dopo qualche insistenza riuscii a vincere la sua ritrosia. Gli piaceva quell'atmosfera fantastica da favola oceanica. Mi disse soltanto che lo squalo avrebbe dovuto strizzare l'occhio. Quello di Rambaldi a momenti neanche apriva la bocca. Decidemmo di usare un piccolo squalo vero. In quei posti è abbastanza normale che i bambini giocassero con questi animali. Buttammo in una piscina uno squalo tigre. Lo filmammo. Era totalmente disinteressato a noi".

E strizzò l'occhio?
"Bè sì. Chiuse l'iride e poi la palpebra. Sono tra i pochi pesci dotati di palpebra".

Con Calvino ha lavorato ancora?
"Per il mio programma L'Italia vista dal cielo gli chiesi di scrivere il testo sulla Liguria. Arrivarono poche pagine intense, chiare, bellissime. Parlavano di una regione complicata, cresciuta in altezza e in lunghezza. E di mille paesini inserrati l'uno nell'altro per proteggersi dal pericolo che arrivava dal mare. Oggi le acque sono un pericolo ben diverso. Ma Italo aveva capito tutto".

Lo dice con una certa ammirazione.
"Ho amato sia lui che Sciascia. Due forme di introversione e di genialità. Ma Sciascia era certamente più generoso ".

Nel senso?
"Rassegnato alla natura umana. I suoi silenzi non nascevano dal sospetto verso l'altro. Ma da una condizione tragica. Perciò se ne fregava. Chiedi e ti sarà dato. Italo, del quale divenni un po' amico, era esasperato dai rapporti con le persone. Un giorno gli dissi che mi sarebbe piaciuto portare sullo schermo Il barone rampante o Il visconte dimezzato. Mi guardò come se lo avessi insultato. Non devi chiedermelo mai più. Sono storie che devono restare sulla carta, disse con una voce rabbiosa che non ammetteva repliche".

Difendeva il suo lavoro.
"Ma sì, lo capisco. E poi, come seppi, prima di me decine di registi avevano chiesto la stessa cosa. Comunque ci rimasi male. Sono stato anche molto amico di Fernand Braudel che ha collaborato al mio lavoro sul Mediterraneo. Era una persona eccezionale. Generosa. Ironica. Disponibile a valutare le idee degli altri. Ho imparato molto dal suo lavoro di storico. Chi invece era insopportabile per tutta la sua prosopopea, era Jacques Cousteau. Lo conobbi e per tutto il tempo lo sentii sparlare di tutti e ribadire che lui era il migliore".

Forse nell'esplorazione dei mari lo era.
"Era bravo. Ma grazie ai mezzi illimitati che gli forniva la marina francese. Quello che io ho realizzato è sempre stato frutto di sforzi economici pazzeschi. Oggi se mi guardo indietro mi vedo come uno che ha interpretato un certo modo di viaggiare. Non c'era ancora il turismo di massa. Ma c'era già l'immaginario di massa. Sono stato in mezzo a queste due esigenze".

C'è stato in che modo?
"Mi mettevo nella condizione del bambino. Per capire gli altri. Per dir loro: ecco, guardate cosa c'è lontano dalle vostre case. Li invitavo a sognare. Ma per sognare devi educare la curiosità. Una volta a Roma conobbi un cacciatore di savana. Vidi che sparava su delle fotografie della fidanzata. Poi si calmò.
A quel tempo volevo girare un film sui popoli primitivi dell'Africa. E la conversazione finì su questo. Lui mi disse che aveva conosciuto una popolazione di pigmei che cacciava il bufalo e l'elefante con l'arco e le frecce. E poi mi disse: c'è una donna che vive in Somalia. Una bianca che può aiutarti nelle tue ricerche. Quella donna divenne mia moglie ".

E il film?
"Fu girato: L'alba dell'uomo . Raccontai un continente straordinario che oggi non c'è più. Anna, mia moglie, aveva il padre che viveva in Somalia. Fu ucciso in una delle ricorrenti stragi a Mogadiscio. Penso che quelle terre siano incapaci di prendere sonno. Non dormono più. Ma non vivono neanche più. Mi piacerebbe oggi raccontare tutto questo".

Perché non lo fa?
"Perché tranne qualche gloriosa prefazione nessuno più mi dice: Folco raccontaci una nuova storia. Non sono patetico. Ho un grande archivio. In parte donato ad Alinari. Dei figli che stanno avendo successo. E intatto è restato l'amore per Anna. Presto ci trasferiremo in campagna. Venderemo la casa romana. Non ho più molte cose che mi legano a questa città. Dove potrei immergermi, in quale acqua che non sia quella stantia del tempo che passa?"

Cosa vorrebbe dalla vecchiaia?

"Accidenti, cosa vorrei? Ho finito di scrivere un romanzo.

FONTE: Logo Rep.itCultura

News varie dal mare, Folco Quilici

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Morto Folco Quilici, l'ultimo documentarista.

folco quilici morto

Morto Folco Quilici, l'ultimo documentarista. Aveva 87 anni.

"Un italiano innamorato del suo Paese"

E' morto Folco Quilici, esploratore, documentarista, filmmaker, scrittore e giornalista. Si è spento stamani all'ospedale di Orvieto. Aveva 87 anni. 

Figlio del giornalista Nello Quilici e della pittrice Emma Buzzacchi, dopo aver iniziato un'attività di tipo cineamatoriale, si è specializzato in riprese sottomarine, diventando molto popolare anche al di fuori dei confini nazionali. Ha studiato regia presso il Centro sperimentale di cinematografia. Nel 2006, la Rivista FORBES lo ha inserito tra le cento firme più influenti del mondo grazie ai suoi film e ai suoi libri sull’ambiente e le culture. Era un collaboratore del Messaggero.

«Con Folco Quilici se ne va una delle figure più importanti del giornalismo, del documentarismo e della cultura italiana. Un pioniere in tutti i progetti che ha avviato, sempre anni avanti rispetto agli altri, un italiano innamorato del proprio paese e un ferrarese innamorato della propria terra in cui era l'erede della grande tradizione giornalistica del padre Nello». Così il ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini, ricorda il documentarista e scrittore morto oggi. «Ci mancherà - sottolinea Franceschini - ma i suoi lavori resteranno per sempre come guida e insegnamento per le giovani generazioni».

Fonte: Logo Leggo

News varie dal mare, Folco Quilici, Ultimo documentarista

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Grande successo de “Il fante di Marina”

SergioJacIl volume “Il fante di Marina”, dedicato alla storia di un corpo pressocché sconosciuto al grande pubblico, ha riscosso un alto numero di richieste. Abbiamo incontrato l'uomo che ha curato e permesso la realizzazione dell'opera, Sergio Jacuzzi, presidente e direttore tecnico dell'Associazione Edizioni Veterani San Marco.

Quante copie numerate sono state ordinate?

Stiamo per toccare le 500.

Tale successo fa pensare che ci fosse realmente bisogno di un volume simile...

Ho cominciato nel 2012, dopo la triste storia dei nostri due commilitoni catturati in India, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.

Mi sono accorto che non esisteva quasi nulla sulla nostra storia, solo un sito (www.btgsanmarco.it) dell’amico Leone Alfredo De Felice, che con molti sacrifici e caparbietà ha messo in atto una ricerca encomiabile sulla nostra storia.

In seguito, coinvolgendo l’Ufficio Storico della Marina Militare, sono venuto in possesso di un libro realizzato nel 1988 dal mitico Leone, ammiraglio Fulvi, che nella Seconda Guerra Mondiale comandò il IV Battaglione San Marco, in Francia, ed in seguito il Battaglione Caorle del San Marco/Raggruppamento Folgore, nella Guerra di Liberazione. Fu coadiuvato da 3 persone di spessore: Giuliano Manzari, Tullio Marcon e Ottorino Ottone Miozzi. Realizzarono un libro molto interessante: “le fanterie di marina italiane”.

Leggendo il testo ed approfondendo l’archivio storico documentale cartaceo del Ufficio Storico della Marina, mi sono accorto di quanti documenti sconosciuti e fotografie erano disponbili e di quante lacune tutti noi appartenenti al San Marco avevamo.

Esisteva una profonda ignoranza della dimensione “fante di marina”.

Cosa ha scoperto?

Che il reparto ha origini tecnico/militari antichissime. Il nostro nome San Marco se lo sono meritati i nostri avi che - con il coraggio dei Leoni e l’attaccamento all’amor patrio - hanno donato tutto il loro orgoglio di marinai combattenti per liberare Venezia e l’Italia dall’invasore austro-ungarico, nella Prima Guerra Mondiale.

VolumeÈ necessario capire che questo volume è frutto di collaborazioni storiche di studiosi e ricercatori della nostra storia di fanti di marina. Personaggi ed Editori che sono lo spessore di questo volume e che meritano un ringraziamento da me e da tutti i lettori che, dopo averlo letto, saranno felici di sapere tutto del mitico San Marco e delle sue origini storiche. Con metodo scientifico gli autori hanno lavorato senza voglia di strafare, ma di argomentare con precisione.

Abbiamo escluso molti dettagli e molte imprecisioni inutili, mettendo in evidenza tutto quello che troverete documentato, per chiarire il rispetto della nostra antica storia di combattenti pacifici.

"Pacifici"?

Sì, lo ripeteremo sempre, noi siamo pacifici, sia per l’addestramento e l’educazione marinara che riceviamo dai nostri superiori, dal primo momento che mettiamo le nostre divise, sia dall’educazione militare di essere guerrieri.

Il nostro modo di essere pacifici, sempre dimostrato sia in pace che in guerra, ha esaltato ed esalterà tutti i Leoni (specifica che ritornerà sempre come definizione militare, unica), per il nostro antico simbolo del Leone Alato di San Marco che glorifica il nostro cuore, perché ricevuto dai cittadini di Venezia che hanno riconosciuto in questo reparto militare marinaro un valore aggiunto per la difesa della loro bellissima e unica città.

Venivamo da una disfatta simbolica chiamata Caporetto, venivamo da una paura che le nostre terre conquistate nei secoli con pazienza italica venivano invase dagli austroungarici, che nulla avevano a che fare con il popolo italiano dalle mille e poliedriche culture secolari.

Non vogliamo confusioni in merito, vogliamo solo dedicare a tutti gli italiani la nostra pertinenza militare del “fante di marina” che appartiene solo alla Marina Militare e a tutti coloro che hanno partecipato nel bene e nel male a fare di questo San Marco un nobile ed unico reparto militare chiamato con il nome di un Santo e che ci rappresenta con il re della savana con le ali, una rarità unica nel mondo militare e che indica esattamente che i Leoni di San Marco sono quelli che sono: onesti, ubbidienti, eroici, familiari ed eccentrici, nel loro modo di vivere una vita che condivide questo suo essere eccellente ed unico.

Dedichiamo insomma a tutti i Leoni, a tutti i marinai, a tutti i reparti militari italiani ed esteri, ai curiosi questa utile conoscenza su chi siamo, cosa facciamo e cosa faranno i nostri futuri fratelli in arme.

 (Per richiedere l'opera numerata con dedica, inviare un'email a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)

FONTE: Logo difesaonline

 

News Marina Militare,, Il fante di Marina

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Ecco le navi romane del metrò di Napoli salvate in un metro d’acqua dolce

Relitti Navi Romane

Le immagini inedite degli eccezionali reperti ritrovati durante i lavori della metropolitana e custoditi in un deposito a Piscinola

Le due barche d’epoca romana lunghe 11 metri, ritrovate nel 2004 a piazza Municipio durante gli scavi per la metropolitana, ora sono sommerse dall’acqua. Un metro d’acqua dolce copre per intero i due reperti ritrovati interi e conservati in due grandi vasche, all’interno di un capannone costruito apposta nei depositi della metro a Piscinola, aperto in esclusiva per “Repubblica”. Vasche svuotate e riempite ogni due settimane, regolate alla temperatura costante di 8 gradi da un impianto di raffreddamento. È l’unico modo per non farle sbriciolare, l’unica possibilità di conservazione nell’attesa del restauro. Custodite per millenni in acqua, a tre metri sotto il livello del mare, sono ritornate a mollo. Protette dall’occhio delle telecamere di un impianto di videosorveglianza, telecamere puntate e guardianìa all’ingresso.

I relitti delle navi recuperati nello scavo della metropolitana di piazza Municipio a Napoli

 Un patrimonio da tutelare, in attesa che tutti possano vederle in un museo. «Si tratta di ritrovamenti eccezionali – spiega Daniela Giampaola, funzionario responsabile del centro storico di Napoli per la sezione archeologica della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e paesaggio di Napoli – perché è generalmente rara la conservazione di reperti organici in legno antichi che normalmente deperiscono se non inseriti in ambiente umido. In piazza Municipio la presenza della falda acquifera ha preservato i relitti nel corso dei secoli, sino al momento dello scavo».

I legni in resina, consumati ma intatti nella forma a scafo, si vedono chiaramente nello specchio d’acqua che li circonda. Sono 7 in tutto le barche affondate e ritrovate nel fango degli scavi della metropolitana a piazza Municipio tra il 2003 e il 2005. Soltanto una, la più piccola, è in restauro all’Istituto centrale di Roma. Le altre sono conservate tutte in queste vasche speciali, due intere, le altre in pezzi perché rinvenute in pessime condizioni e per questo smontate dopo un accurato scavo ed il rilievo analitico con il laser scanner. Frammenti separati, catalogati, sommersi anch’essi da un metro d’acqua in vasche refrigerate. «I relitti sono stati trovati nel nodo di interscambio di Municipio tra le stazioni di linea 6 e linea 1 ed il porto attuale – prosegue la Giampaola - Ben altra complessità ha avuto il recupero delle grandi e ben conservate imbarcazioni rinvenute nel 2004 nell’area della stazione di linea 1. Sono state prelevate intere, inserite in un guscio di vetroresina, a sua volta collocato in una struttura di acciaio. Ricordo ancora con piacere il giorno del sollevamento delle barche dallo scavo e del loro trasporto: una sorta di festa popolare con le principali istituzioni ed i cittadini. In Italia questi rinvenimenti sono stati pochi, per citarne solo alcuni: Comacchio, Portus, Nemi, Pisa».

Migliaia di reperti archeologici sono conservati qui, nei capannoni di Piscinola, nelle centinaia di cassette gialle sugli scaffali. Nella stanza dei marmi, con la gru che li sovrasta pronta a spostarli, si vedono i capitelli, i fregi, le cornici del tempio isolimpico (tutti ricoperti da teli verdi) ritrovato sotto la fermata della metro Duomo. Nella stanza delle ceramiche ci sono i vasi dell’artigianato napoletano e di quello importato dall’Africa e poi tantissimi oggetti di vita quotidiana: pettini, borsette in cuoio, ciotoline, iscrizioni, cucchiai, suole di scarpe, oggetti nautici. Tutti destinati a essere esposti in un museo dedicato, possibilmente nei pressi della stazione Municipio ma all’interno di una costruzione a sé stante. Le barche sono troppo grandi per essere collocate nella stazione, né tantomeno c’è lo spazio per esporre l’enorme patrimonio rinvenuto. Da tempo si parla di un museo dedicato agli scavi ma finora, nulla di concreto. «L’indagine ha consentito di ricostruire la storia del bacino portuale da età arcaica – spiega il funzionario - ellenistica, romana fino all’età medievale e post medievale. Una delle barche è in corso di restauro all’istituto centrale del restauro del Mibact. In collaborazione con lo stesso istituto è stato avviato il progetto di restauro degli altri relitti con stanziamenti ministeriali ammontanti a 400 mila euro». Così si quantificherà il finanziamento utile per il restauro definitivo.

«Sono previsti anche fondi Cipe stanziati per la realizzazione del parco archeologico di piazza Municipio dove saranno sistemati i resti di tutte le epoche emersi dallo scavo». Alcuni reperti sono stati in mostra al museo Archeologico: «La mostra dal titolo “ Stazione Neapolis : I Cantieri dell’archeologia” – conclude la Giampaola - è stata realizzata nel 2005 e riallestita nel 2014. Purtroppo al momento è chiusa ma proprio in quella mostra al Mann lo scavo di Municipio è restituito attraverso il modello di uno dei relitti portati alla luce e di una grande vetrina che simula i fondali del porto con una scelta dei reperti rinvenuti, dal V secolo a. C. al V secolo d. C».

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FONTE: Logo Rep.it Napoli

 

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Cervia-Sposalizio del mare

Manifesto cervia sposalizio

Lo Sposalizio del Mare si ripropone a Cervia dal 1445. Rito dell'anello, riscoperta delle tradizioni, stand gastronomici ed eventi
Di tradizione molto antica, è una delle manifestazioni più sentite dalla città. Giunta alla sua 574^ edizione non perde il suo fascino, con la celebrazione dell'antico rito in mare e la sfida della pesca dell'anello dove i giovani cervesi si contendono il "trofeo" che promette fortuna e prosperità.

Da non perdere inoltre gli eventi che precedono la giornata della cerimonia in mare: dalla Cursa di Batell, regata storica con imbarcazioni armate al terzo, al Trofeo dell'anello, gara di tiro con l'arco, oltre a mostre, spettacoli e mercatini.

Che cos'è lo Sposalizio del Mare?
"Benedici o Signore il Mare Adriatico, in cui i cervesi e quelli che fanno affari con essi sono soliti navigare.... Benedici queste acque, le navi che le solcano, i remiganti, i nocchieri, gli uomini, le merci........"

Pescatori in mare

Con queste parole ricche di enfasi, recitate dall'Arcivescovo della Diocesi di Cervia, la località balneare della Riviera Adriatica dell'Emilia Romagna fa festa e rende gratitudine all'Alto Adriatico per i ricchi doni che da sempre le offre: i frutti della pesca, ma anche quel sale che ha reso Cervia celebre ovunque. È lo "Sposalizio del Mare", rievocazione storica, tra le più antiche d'Italia, di un antico rito risalente al 1445, in cui Cervia si "congiunge" simbolicamente con il mare che la bagna. Rispetto allo "Sponsale Veneziano", la valenza simbolica dello Sposalizio cervese si è rafforzata nel tempo e i suoi auspici sono oggi divenuti un'aspirazione che coinvolge tutte le popolazioni e tutti i viaggiatori dell'Adriatico, in una visione di eterna fratellanza tra i popoli.

Corteo storico

"Il rito da noi si svolge solitamente in questo modo: al pomeriggio del giorno dell'Ascensione, al suono festoso delle campane della Cattedrale e ai rintocchi di quella della Torre comunale, il Vescovo col suo clero esce solennemente dalla chiesa e si incontra sulla piazza antistante col Sindaco e varie altre autorità. Il corteo, che così si forma e su cui dominano la croce vescovile ed il gonfalone comunale, avanza, accompagnato dalla banda musicale, verso il porto dove sono in attesa varie imbarcazioni grandi e piccole. In una barca prende posto il Vescovo col suo clero, in un'altra le autorità civili, mentre nelle rimanenti sono già stipati molti spettatori. Si forma così un corteo di barche che, dopo aver percorso tutto il canale del porto, fra due ali di popolo assiepato sulle rive, finisce per ancorarsi un poco al largo. Il Vescovo prende allora l'anello in cui internamente sono incise le parole: "Cervia Sposalizio del mare, anno..." e dopo aver pronunciato le parole di rito fra cui: "... benedici, Signore, a queste acque, alle navi che le solcano, ai naviganti, nocchieri, uomini, alle merci e a tutte le cose che si trasportano per mare... ", getta legato ad un nastro l'anello nelle onde. Subito vigorosi nuotatori si tuffano e poco dopo il più fortunato di loro riemerge con l'anello che ormai gli appartiene e terrà come ricordo o come fede nuziale per quando si sposerà." (Testo di Umberto Foschi)

Pescatore dell'anello con Vescovo e Sindaco

Come nasce?
La vicenda a cui il rito si ispira vede protagonista Pietro Barbo, Vescovo di Cervia, poi divenuto Papa Paolo II, che il giorno dell'Ascensione del 1445, di ritorno da un'ambasciata a Venezia, fu sorpreso in mare da una tempesta. La storia narra che il Vescovo placò le acque, portando così in salvo nave ed equipaggio, dopo aver gettato in mare il suo anello. Ancora oggi Cervia ne rivive l'atmosfera, conservandone il ricordo e le tradizioni ad esso legate.

"Negli ultimi anni il Vescovo aggiunge alle tradizionali parole della benedizione anche un pensiero propiziatore alle migliaia e migliaia di bagnanti ed operatori turistici che nell'imminente estate gremiranno la spiaggia e gli alberghi e si bagneranno nelle acque del nostro mare. Nel 1986 la tradizionale cerimonia ebbe un protagonista d'eccezione: Giovanni Paolo II che, alle antiche parole di benedizione, aggiunse delle nuove rivolte, lontano, di là del mare a tutti gli uomini di buona volontà amanti della pace e della concordia.

Mi pare interessante ricordare che nel passato il rito religioso era accompagnato da varie altre manifestazioni. Si legge, infatti, in un manifesto del 1857 che quel giorno si teneva anche una regata o meglio una corsa di battelli, che si concludeva con due premi: al primo arrivato sei scudi e quattro al secondo; seguiva una tombola in piazza che metteva in palio 100 Napoleoni d'oro; vi era poi la corsa dei cavalli berberi con premi di scudi 32 per il primo arrivato al traguardo, 12 per il secondo e 6 per il terzo. La sera poi era tutto uno sfavillio in cielo di fuochi artificiali, mentre tutte le case della città venivano illuminate. Le feste allora non erano molte e quelle poche erano celebrate con un impegno veramente straordinario.

FONTE: Elio Di Ruscio Facebook

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Riscaldamento globale e tartarughe marine

Amm DegiorgiAumentano le temperature e nascono più tartarughe femmine. Il sesso infatti delle tartarughe verdi della Grande barriera corallina australianadipende infatti dalla temperatura di incubazione delle uova. Più è caldo e più c'è la possibilità che nasca una femmina. A questa conclusione sono arrivati i ricercatori del Noa, l'Agenzia americana per le meteorologia ed il clima in uno studio condotto insieme all'università della California ed al Fondo Australiano per la natura: sono state prese in considerazione due popolazioni di tartarughe marine e si è visto come il rischio di una completa femminizzazione sia piuttosto alto. Le tartarughe verdi che si trovano più a Sud nella grande barriera corallina fanno registrare un tasso di femminizzazione che varia dal 65 al 69% mentre più a Nord, in un ambiente con temperature decisamente più alte, le femmine rappresentano il 99,1% degli esemplari giovani il 99,8% dei subadulti e l'86,8% degli adulti. Dunque siamo vicinissimi al 100%. Per ogni maschio ci sono ben 116 femmine. Lo studio è stato pubblicato nella rivista Current Biology: «La combinazione dei nostri risultati con i dati sulla temperatura mostra che le colonie di tartarughe verdi della Grande barriera corallina settentrionale stanno dando alla luce principalmente femmine da oltre due decenni, e che la completa femminizzazione di questa popolazione è possibile in un prossimo futuro».
Camryn Allen, biologo marino si mostra piuttosto preoccupato «Considerando che il sesso delle tartarughe marine dipende dalla temperatura alla quale l'uovo viene incubato e considerando che le temperature più calde producono più femmine, siamo quasi certi che siano i cambiamenti climatici possano causare questo effetto. La temperatura che producono il 50% di maschi e il 50% di femmine di tartarughe marine è di circa 29°. Qualsiasi variazione di circa uno o due gradi potrebbe rischiare di produrre tutte femmine o forse la morte embrionale. Le temperature medie nella Grande Barriera Corallina hanno infatti superato di gran lunga quella temperatura 'cardine'».
Le associazioni ambientaliste come il WWF australiano sono molto preoccupate. Alle autorità governative australiane sono state chieste politiche ambientali in grado di salvaguardare l'ecosistema della barriera corallina. In attesa di mettere a punto politiche che ovviamente dovranno vedere il coinvolgimento dei Paesi di tutto il mondo si potrebbe nel breve periodo mettere a punto dei sistemi per cercare di abbassare le temperature del nido delle tartarughe cercando di ricreare condizioni adatte ai piccoli maschi: l'utilizzo di tele ombreggianti sulle spiagge potrebbe essere un passo in avanti anche se non certo una soluzione definitiva.
tartarughe marine
 

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Diritti su lavoro e salute dei militari- Assodipro

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DIRITTI SU LAVORO E SALUTE DEI MILITARI. DOPO IL SUICIDIO del Graduato dell’Esercito di pochi giorni fa, LETTERA AD ASSODIPRO su strade sicure .

Il Ministero Difesa non risponde, aiutateci voi :” Certo di una vostra collaborazione per migliorare la nostra situazione lavorativa e, nel lungo termine, di salute”.

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Assodipro Presidenza Nazionale . Salvatore Rullo    

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Dopo il nostro ultimo articolo che rispecchia il nostro costante impegno sul tema dei Diritti dei militari su Lavoro e Salute, inerente anche i SUICIDI ultimi recenti di 2 Carabinieri e di un Graduato dell’ Esercito Italiano, suicida durante il suo turno di servizio nell’ operazione “ Strade Sicure “ a Roma, abbiamo ricevuto messaggi, telefonate e segnalazioni importanti che stiamo approfondendo per dare il massimo aiuto possibile.

Come ASSODIPRO continuiamo le nostre battaglie democratiche per migliori diritti su lavoro e salute dei militari con le nostre azioni, articoli , iniziative politiche e informazione  per DARE VOCE E TUTELA A CHI VOCE E DIRITTI NON HA. I cittadini lavoratori in uniforme non possono continuare ad essere trattati da “ numeri per fare numero e immagine “ – “ numeri da spremere senza diritti e tutele per fare carriera “ – “ numeri, spesso anche lavoratori a tempo determinato senza diritti “ – numeri senza veri organi di rappresentanza e tutela sindacale .

PUBBLICHIAMO LA LETTERA CHE ABBIAMO RICEVUTO che ci dipinge un quadro di lavoro senza diritti minimi che va evidenziato, approfondito e risolto, dalla Politica ( il ministero Difesa pare non risponda ) e dai Vertici e comandi di vari livello che appaiono  troppo attenti a “ immagine, numeri e risultati di carriera “ che, crediamo, si possono ottenere senza trattare le persone come numeri e senza incidere sul loro stato fisico, lavorativo e di salute fino a creare situazioni di stress che possono portare a gesti gravi. LE DOMANDE FATTE IN QUESTA LETTERA, che noi di ASSODIPRO facciamo nostre e rilanciamo,  MERITANO ANALISI E RISPOSTE CON SOLUZIONI  IMMEDIATE, appaiono, tra l’altro, oltre che richiesta legittima di rispetto per i diritti e dignità che deve avere ogni lavoratore, cose modificabili in poco tempo a favore degli operatori , che NON SONO NUMERI DA USARE, e del loro lavoro. .  

Cara Associazione Assodipro 

Mi rivolgo a voi poiché noi militari noi possiamo esprimere liberamente il nostro pensiero perchè il nostro status ce lo vieta. Quindi dopo aver fatto appello alla segreteria del ministero della difesa ora scrivo anche a voi.

Mi presento sono un militare dell’esercito effettivo presso il XXXXX  e impiegato da più anni sia all’estero che in patria nell’operazione “strade sicure’. Ed è proprio a proposito di quest’ultima che vi scrivo questa mail.

In primis vi chiedo il perché a differenza di altre forze armate noi come esercito siamo gli unici a dover assolvere questa operazione senza il concorso di marina ed aeronautica che in altri paesi europei concorrono anch’esse a difesa del territorio.

Come secondo punto vi vorrei chiedere il perche noi solamente chiamati ad assolvere in patria il ruolo di agenti di pubblica sicurezza dobbiamo indossare G.A.P. ( giubbotto anti proiettile ) dal peso sol’esso di quasi 15kg e arma lunga ( dal calibro 5,56 il quale uso in città risulterebbe anche dannoso poiché dalla gittata troppo lunga ) e pistola per arrivare ad un peso totale di quasi 22 kg .

Ad Assodipro chiedo di darmi voce sul perchè siamo gli unici a dover sostenere turni di sei ore in PIEDI senza la possibilità di sederci o alternarci con il nostro coppio su di un mezzo spesso e dico spesso derisi da altre forze di polizia che a volte operano in concorso con noi che possono stare nei loro mezzi sia d’estate che di inverno senza giubbotto antiproiettile e senza fucile…..e allora mi chiedo : sono anche loro di carne e ossa? Allora se è legittimato il nostro equipaggiamento perché anche loro non lo indossano o perché noi non possiamo fare come loro?

Perche  scendo nel dettaglio, è comprovato che anche un individuo in perfetto stato fisico dopo tre ore che è in piedi immobile “come vogliono i nostri superiori ” con 22 kg sulle spalle e sulla schiena non ha più la sua efficienza operativa non essendo più utile alla causa in caso di necessitá.

 E mi sento di aggiungere che sei ore in piedi con questo peso ci portano incontro a patologie legate alla postura e alla spina dorsale rendendo credetemi il servizio in taluni casi davvero straziante.

Infine vado a toccare il punto delle ore.

Spesso siamo chiamati a svolgere turni in quinta lavorando anche di notte e festivi accumulando ore di recupero che però ci vengono pagate solo nella formula delle 15 ore mensili facendo di tutto un brodo non calcolando ore festive e notturne ( come invece viene calcolato per esempio in polizia o citando un’altra forza armata i cc ) 

Certo di una vostra collaborazione per migliorare la nostra situazione lavorativa e nel lungo termine di salute.

 Spero possiate portare il nostro appello dove noi non possiamo portarlo poichè impossibilitati e spesso non ascoltati dai nostri superiori ostinati a passare sulla nostra SALUTE mentale e fisica pur di esprimere una forza d’immagine e una parvenza di operatività sul territorio che non rispecchia quella dei nostri stati d’animo !

Confidando in una vostra più celere risposta vi ringrazio anticipa mente.

Lettera firmata

FONTE: Logo Assodipro

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Osare l'inosabile, la “Beffa di Buccari” del 10 febbraio 1918

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Un'azione che entrata nella storia del nostro Paese compiuta da 'Marinai' che si spinsero oltre

12 febbraio 2018 Leonardo Merlini -

​Dopo il forzamento di Trieste, e l'affondamento della corazzata Wien, all'inizio del 1918 fu decisa la realizzazione di una nuova operazionedi forzamento, ancora più audace, da realizzarsi nella Baia di Buccari, incastonata all'interno di uno stretto canale in prossimità delle principali basi avversarie.

Il 4 febbraio 1918 un idrovolante effettuò una ricognizione su Pola, Fiume e Buccari, al termine della quale riportò un importante materiale fotografico dove si evidenziava la presenza a Pola di 4 "Viribus", 3 "Radetzki", 3 "Erzherzog", una "Monarch", due esploratori e vari cacciatorpediniere, di 23 piroscafi nel porto di Fiume e di 4 navi a Buccari.

La notte tra il 10 e l'11 febbraio si passò a un'azione di sorpresa per distruggere il naviglio militare e mercantile che si trovava nella Baia di Buccari.

I MAS94,95 e96 al comando del capitano di fregata Costanzo Ciano, sostenuti da tre gruppi navali di cacciatorpediniere ed esploratori in funzione di scorta, effettuarono al rimorchio di torpediniere il lungo percorso tra le due coste adriatiche, per circa 25 miglia attraverso canali ristretti tra le isole nemiche navigando poi per arrivare notte tempo al lancio contro i quattro mercantili alla fonda, che avvenne regolarmente senza reazione da parte avversaria. Le unità attaccanti ripresero quindi la via del rientro giungendo indenni ad Ancona. Le navi austriache, tuttavia, protette da reti antisiluri non riportarono danni.

Il poeta Gabriele D'Annunzio, a bordo del MAS 96 al comando del capitano di corvetta Luigi Rizzo, lanciò nella baia tre bottiglie contenenti un messaggio di scherno che diede all'azione l'appellativo di "Beffa di Buccari".

Anche se non furono provocati danni, infatti, l'impresa costrinse il nemico a impegnarsi nella ricerca di nuove strategie di difesa e di vigilanza, ed ebbe "una influenza morale incalcolabile". Dopo Buccari, addirittura, il Comando della Marina austriaca tentò un attacco diretto contro i MAS all'ormeggio in Ancona, avendo constatato che non c'erano altre possibilità di colpire con decisione la nuova arma. Tuttavia questo tentativo fallì e l'operazione si concluse con la resa degli austriaci.

FONTE: Logo Notiziario online

News Marina Militare,, La beffa di Buccari

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I mari più belli del mondo. 35 acque chiare in cui nuotare prima di morire

Chi non ha mai sognato di trovarsi in uno di questi luoghi? Il blog Daily News Dig ha fatto una lista di 35 posti nel mondo con le acque più chiare. In queste foto caricate dagli utenti le barche sembrano volare e l'azzurro dell'acqua è quasi acceccante.

Dalle Hawaii alla Francia, dall'Argentina alla Grecia, la grande protagonista di queste immagini è l'acqua. E voi vi immergereste in questi mari?

FONTE: Logo Huffinpost

News varie dal mare, I mari più belli del mondo

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