Londra fallisce test balistico, missile diretto verso gli Usa

L'obiettivo del missile Trident era localizzato al largo della costa occidentale dell'Africa, ma per cause ignote avrebbe puntato la costa della Florida. Londra ha ordinato il silenzio stampa.

-Lun, 23/01/2017

Londra ha ordinato il silenzio stampa su un presunto test fallito avvenuto lo scorso giugno quando, per cause ignote, un missile balistico Trident II D5, lanciato da un sottomarino nucleare della Royal Navy, ha fatto rotta verso gli Stati Uniti.

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E’ questa l’indiscrezione rilanciata poche ore fa dal Sunday Times. La capacità deterrente della Royal Navy si basa si quattro sottomarini classe Vanguard, armati con missili balistici Trident-II D5 equipaggiati con testate Mirv/Marv. Lo scorso giugno, il sottomarino balistico a propulsione nucleare della Royal Navy, l’HMS Vengeance, durante una serie di test programmati, ha lanciato un missile balistico Trident disarmato. La quarta unità della classe Vanguard, prima di raggiungere Port Canaveral, in Florida, base statunitense utilizzata dalla Royal Navy per i test finali, ha subito interventi di manutenzione presso l’HMS Drake di Devenport. L’obiettivo del missile Trident era localizzato nel cosiddetto campo di tiro orientale, al largo della costa occidentale dell'Africa. Qualcosa però sembra essere andato storto: il missile sembrerebbe aver fatto rotta verso la costa della Florida. Il governo inglese ha ordinato il silenzio stampa sull’accaduto.

Il lancio di un missile balistico è un evento raro, ma molto pubblicizzato dal governo che lo effettua. Il Regno Unito ha lanciato soltanto cinque Trident nel XXI° secolo: ogni missile costa circa 21 milioni di dollari. Tuttavia, per il lancio del giugno scorso, la Royal Navy non ha rilasciato alcun report o video sul test di volo effettuato.

Secondo le fonti del Sunday Times, subito dopo l’espulsione del missile, sarebbe avvenuto un qualche tipo di malfunzionamento. Il Trident, invece di volare attraverso l’Atlantico, avrebbe fatto rotta verso la terraferma americana. Downing Street avrebbe immediatamente posto il segreto militare sull’operazione ed imposto il silenzio stampa sulle dinamiche del test. La componente Trident rappresenta la spina dorsale del deterrente strategico britannico: un malfunzionamento di un tale asset potrebbe portare a perdite inimmaginabili.

“Downing Street ha deciso di coprire il test fallito. Se l'informazione fosse stata resa pubblica, sarebbe stata messa in discussione la credibilità del nostro deterrente nucleare”.

Il governo britannico non conferma ne smentisce le indiscrezioni. In un breve comunicato sul blog del Ministero della Difesa inglese, si legge che “lo scorso giugno l’HMS Vengeance ha condotto un test di volo di ruotine: la prontezza al combattimento dell’equipaggio e dell’unità è stata certificata con successo. Il governo non fornisce ulteriori dettagli sulle operazioni sottomarine per ovvie ragioni di sicurezza nazionale”.

Nessun commento da Lockheed Martin, produttore dei Trident. La produzione dei D5 è al momento fissata a dodici missili l’anno.

Il primo ministro britannico Theresa May ribadisce la totale fiducia nel sistema di deterrenza nucleare del paese, ma per ben quattro volte ha evitato di fornire alla BBC una risposta diretta sulle indiscrezioni rilanciate dal Times.

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Secondo il Sunday Times, il “governo inglese avrebbe deciso di insabbiare il fallimento del missile balistico a causa dell’imminente dibattito che si sarebbe svolto poche settimane dopo in Parlamento per il voto cruciale sul futuro del programma deterrente nucleare della Gran Bretagna, pari a 40 miliardi di sterline”.

Cinque giorno dopo il suo insediamento a Downing Street, il nuovo primo ministro Theresa May, chiese alla Camera dei Comuni una mozione a sostegno del nuovo programma Trident.

Il Primo ministro scozzese Nicola Sturgeon ha chiesto di fare luce sulla vicenda. Il Partito Nazionale Scozzese preme per la soppressione della flotta Trident con sede a Faslane. Il leader laburista Jeremy Corbyn ha definito il fallimento del test come catastrofico.

La ridondanza inglese

La politica strategica inglese si basa sui missili Trident, costantemente aggiornati da 46 anni. Ogni sottomarino classe Vanguard ne trasporta sedici per 200 testate nucleari a rientro multiplo indipendente. La ridondanza inglese si basa su un sottomarino strategico a propulsione nucleare sempre in navigazione a copertura di possibili bersagli, uno in riserva e due in addestramento. La più grande base missilistica della Gran Bretagna si trova in Scozia ed ospita l'intera forza strategica inglese. Dal 1998, il Trident rappresenta l’unico sistema deterrente nucleare della Gran Bretagna. Sebbene relativamente moderni, i sottomarini a propulsione nucleare classe Vanguard, entrati in servizio nel 1990, necessitano di continui interventi di manutenzione. Il comando centrale dei Vanguard si trova in Scozia, nella base di Clyde nota come Faslane. I Vanguard saranno sostituiti nel 2030/2035 da una nuova classe di sottomarini balistici, mentre il governo continuerà a supportare l’asset basato sui Trident, pena la fine della capacità deterrente sub-lanciata inglese. Oltre alla manutenzione, riparazione, ricertificazione dei missili e controllo rilascio testate, ai Trident sarà implementato l’intero pacchetto dati del sistema di guida MK6 LE che andrà a sostituire il precedente risalente agli anni ‘80. Gli USA hanno già siglato tale contratto per un valore di 300 milioni di dollari. I Trident II / D5 armeranno anche i nuovi sottomarini strategici inglesi.

Il problema dell'affidabilità dell’arsenale nucleare della Royal Navy

Tra il 2008 e il 2013, il Ministero della Difesa inglese ha registrato 316 incidenti di sicurezza nucleare. Questa definizione generale include sia la contaminazione radioattiva che le carenze nei protocolli di sicurezza standard. Tre quarti dei 262 incidenti registrati tra il 2008 ed il 2012 sono imputabili ad un errore umano. Nella base di Clyde nota come Faslane, si sarebbero verificati la maggior parte degli incidenti che, secondo il Ministero della Difesa inglese, non hanno mai causato danni a militari e civili. Nella base inglese di Devonport (poco distante dalla città di Plymouth), la più grande base navale in Europa occidentale, si sono verificati alcuni incidenti, compresa la perdita di alimentazione per 90 minuti al sistema di raffreddamento del reattore di un sottomarino nucleare. Preoccupazioni confermate anche da un documento del 2011, precedentemente classificato e poi reso pubblico, sulla pericolosità dei reattori nucleari dei sottomarini basati a Devonport. Nonostante lo scafo di un sottomarino sia progettato per contenere la maggior parte del materiale radioattivo all'interno, qualche perdita è ritenuta probabile. Se un sottomarino nucleare dovesse esplodere a Devonport, contaminerebbe nell’immediato un’area di due chilometri, raggiungendo Plymouth. Il problema dei reattori ad acqua pressurizzata è noto. Qualora cedesse il circuito primario, si potrebbe verificare un immediato aumento della temperatura del reattore con possibile rilascio di radiazioni dal nocciolo. Un episodio simile, per intenderci, alla tragedia del K-19, nel 1961. A Devonport gli inglesi hanno ancora otto sottomarini dismessi per un totale di 25 tonnellate di barre di combustibile nucleare. Ed il numero dei sottomarini nucleari dismessi continuerà ad aumentare, considerando che altri quattro battelli giungeranno a Devonport entro i prossimi sette anni.

Le Lettere di Ultima Istanza

Al momento del suo insediamento, il Primo ministro inglese, a cui è conferita la capacità di ordinare un attacco nucleare, scrive a mano le quattro “Letters of last resort”. Ogni lettera rappresenta l'incertezza del deterrente ed è immediatamente riposta dai servizi segreti nella cassaforte della sala di controllo di ogni sottomarino. Il comandante del sottomarino deve avere una ragionevole certezza che un disastro nucleare abbia colpito il Regno Unito. Qualora fallissero i tentativi di entrare in contatto con il Comando Navale e se non venissero captate le principali emittenti radio inglesi, come i programmi sulla BBC Radio 4, il comandante del sottomarino aprirà il documento sigillato.

Il contenuto di quelle lettere rappresenta l’ultimo ordine diretto del governo britannico, che si ritiene possa essere stato cancellato da un attacco nucleare preventivo. Il vertice dell’autorità politica, il Primo ministro (vi è anche una seconda figura designata non pubblica), concede all’autorità militare, il comandante del sottomarino, la completa autonomia decisionale sul lancio dei missili strategici e consigli, come quello di mettere l’unità sotto il comando degli Stati Uniti (qualora esistessero ancora) o di fare rotta verso l’Australia.

Quelle lettere rappresentano sia il testamento di chi le scrive che l’ordine di ritorsione contro chi ha presumibilmente cancellato la Gran Bretagna.

FONTE: logo giornale.it

 

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Sub mezzanese trova nell'Adriatico relitto di guerra

Andromeda

Foto d'epoca della torpediniera Andromeda (collezione Erminio Bagnasco) (BATCH)

 Riccardo Verzè. 06.01.2017

«Il cuore ha iniziato a battere forte». Massimiliano si immerge negli abissi da oltre 20 anni. Ma questa volta davanti a lui c’è qualcosa di nuovo: il relitto di un torpediniere italiano affondato nel 1941 e mai esplorato da nessuno. «A quel punto abbiamo cominciato ad avvicinarci».

Massimiliano Canossa ha 42 anni, vive a Mezzane di Sotto con la moglie e i tre figli ed è istruttore subacqueo dal 1996, oltre ad avere un negozio di attrezzature sub a Caldierino. Fa anche parte della «Iantd Expeditions», specializzata nell’esplorazione di relitti e grotte sottomarine. E che ha da poco fatto tornare alla luce un pezzo di storia italiana sparito nell’Adriatico.

LA REGINA MARGHERITA. Dall’8 all’11 dicembre la Iantd è stata ospitata in Albania per commemorare i cento anni dall’affondamento della nave da battaglia «Regina Margherita», scomparsa assieme a 674 marinai italiani nella baia di Valona l’11 dicembre 1916, probabilmente dopo aver urtato delle mine.

Massimiliano, vice capo spedizione, e altri sei sub (Cesare Balzi, Michele Favaron, Beni Haxhiaj, Edoardo Pavia, Mauro Pazzi e Igli Pustina) si sono immersi a 66 metri di profondità per studiare, fotografare e filmare la corazzata. «Erano passati oltre dieci anni dalla mia prima immersione su questo relitto», racconta Canossa, «si trova più o meno nelle stesse condizioni di allora, la poppa è ben visibile, e si può ancora leggere parte del nome Regina Margherita. Scendendo ho intravisto la sagoma che si alzava dal fondo, non ho potuto fare a meno di fermarmi per qualche minuto e pensare alle centinaia di marinai morti esattamente lo stesso giorno di 100 anni prima. Ho provato un grande onore nel poter commemorare ancora una volta l’ammiraglia della flotta Italiana».

L'ANDROMEDA. Ma per Massimiliano l’emozione più forte doveva ancora arrivare: nel corso della spedizione infatti è stato anche localizzato, ad est della penisola del Karabrun, quello che si supponeva essere il relitto della torpediniera italiana «Andromeda», affondata nella notte fra il 16 e il 17 marzo 1941 dagli aerei inglesi.

«Io e Cesare siamo scesi per primi», racconta Canossa, «seguendo la cima che avevamo preventivamente lanciato sul presunto punto segnato dal Gps. Siamo arrivati sul fondo fangoso a 55 metri di profondità senza trovare nessun relitto ma, dopo qualche secondo, gli occhi si sono abituati al buio e guardandoci intorno abbiamo visto un’imponente sagoma scura a pochi metri da noi». Con il maremoto di emozioni dei primi esploratori di un nuovo mondo, si sono avvicinati: «Abbiamo visto subito il cannone da 100mm della Oto, caratteristico di questa nave da guerra. Inoltre, esplorando la nave, abbiamo scovato anche gli altri due cannoni di poppa. Infine, a prua, abbiamo riconosciuto la Stella d'Italia».

Era proprio l'«Andromeda»: un’identificazione poi confermata, immagini alla mano, dall’associazione Amici del Museo e della Storia di La Spezia. Per un sub, un’esperienza da lasciare senza parole: «Non è facile descrivere l’emozione che si prova nello scoprire un nuovo relitto. Abbiamo esplorato un luogo dove nessun altro si era mai immerso prima».

FONTE: LOgo Arena

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Ecco a cosa serve la Marina Militare...

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Editoriale del Presidente Nazionale-Ottobre/Novembre

Ecco a cosa serve la Marina Militare...

Non desidero dissertare di politica estera e di difesa italiana, sarebbe incongruente con la linea che il “giornale” ha sempre mantenuto. Credo però che sia necessario fare, ogni tanto, un punto su quanto sta accadendo in Italia ed in Europa, in relazione soprattutto al cosiddetto “fronte sud”, quello mediterraneo per intenderci.
Abbiamo assistito, fra il 2004 ed il 2008, ad una decisa svolta dell’interesse politico, militare ed economico sia della UE sia della NATO verso l’area continentale dell’Europa, verso Nord e verso Est, mettendo così in secondo piano i problemi dell’area mediterranea. Il recente vertice della NATO agli inizi di luglio scorso, non a caso svoltosi a Varsavia, era stato architettato proprio per dare consacrazione a questa visione, una specie di “prolungamento postumo della guerra fredda”, come è stato autorevolmente definito (e come ancor oggi si materializza con la prossima dislocazione di forze NATO – italiane comprese – al confine con la Russia).
Invece, la realtà quotidiana e soprattutto la comparsa e la virulenza dell’ISIS hanno costretto (obtorto collo per i paesi del Nord Europa e gli USA) a volgere di nuovo e con attenzione lo sguardo al “muro liquido” che corre dalla Turchia alla Spagna, Italia al centro, appunto il Mar Mediterraneo.
Molti, troppi, si erano illusi che potesse essere perfino ignorato quello che accade qui, dal fenomeno epocale della migrazione (con relativi business e morti) al virus letale (e globale) del sedicente Stato islamico. Così mi pare che il nostro Mare rivendichi oggi, prepotentemente, lo si voglia o meno, il suo ruolo centrale nella storia dei popoli.
Prendiamo ad esempio le crisi siriana, “una crisi mediterranea che dovrebbe interessare l’Europa molto più di quanto interessi gli USA”, scrive giustamente Sergio Romano, ma i membri della UE anziché ricercare iniziative comuni si muovono in maniera slegata, separatamente, con strategie individuali come già fecero in Libia. Si può solo far finta che quanto qui accade interessi solo Italia e Grecia e non anche Germania e Norvegia e quindi un coordinamento delle politiche mediterranee rimane in una sorta di limbo caritatevole concesso ai derelitti sobborghi poveri europei. Così l’Europa mi sembra spaccata in due, con un’attenzione soverchiante e fuori fase (cioè contraria ai nostri interessi, specie energetici) verso la Russia, in ossequio al mai sopito antagonismo americano ed una trascuratezza miope e suicida verso le problematiche mediterranee.
Ora spero che le cose e le esigenze vadano nuovamente ognuna nella sua propria casella, anche se il ritorno alla realtà dovesse creare problemi ad alcuni (soprattutto ai centro e nord europei). Occorre cioè riprendere rapidamente (e prima si farà meglio sarà per tutti) la via di una strategia consensuale contro il terrorismo e di una politica comune verso il preoccupante ed ormai indifferibile, date le proporzioni bibliche che ha assunto, fenomeno delle migrazioni. Per quest’ultimo bastano le parole del ministro degli Interni, Alfano, che ha affermato che l’Europa finora ci ha preso in giro?
Allora dovremo fare da soli, cominciando con qualche provvedimento restrittivo, visto che anche il Consiglio Europeo dello scorso giugno ha sancito che bisogna porre un freno agli ingressi e rimpatriare coloro che non sono profughi (chiosando pertanto che questi, cioè i clandestini, sono la stragrande maggioranza).
Per il terrorismo mi sembra appropriato riportare le parole del sociologo Oliver Roy, che ha affermato che “il jahidismo è l’unica ideologia globale” antisistema (occidentale, il nostro insomma) oggi in circolazione, al cui servizio sono accorsi da ogni dove fino a creare “la più numerosa legione straniera mai conosciuta”. Per combatterla, serve un coordinamento vero, meno chiacchiere e più fatti, meno distinzioni fra Est, Ovest, Nord e Sud Europa.
La sfida sarà prolungata e richiede perciò un “pensiero lungo”, almeno tanto quanto quello sanguinario ed aberrante dell’ISIS, se lo si vuole battere. In questo, che è l’unico conflitto che oggi ci riguarda davvero e da vicino ma ancor più lo sarà nel futuro prossimo venturo, quello che vedrà impegnati i nostri figli, il Mare nostrum, sempre lui, avrà il ruolo centrale e
cruciale e l’Italia, lo si voglia o meno, ne è per motivazioni naturali il centro geografico e l’avamposto.
Ecco allora a cosa serve la Marina Militare, spiegato anche ai più somari quando plaudono alla riduzione dei suoi uomini e mezzi o che vorrebbero vederla definitivamente trasformata in (disarmata) “Pia Opera di salvataggio” di poveri naufraghi.

FONTE: logo marinaiditalia138

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Erika, Valeria e le altre: «Noi, pioniere, nel sottomarino»

Sott’acqua per mesi, senza poter comunicare con la famiglia: in missione, spesso segretissima, sul fondo degli oceani, una doccia in 30. Abbiamo incontrato le sommergibiliste della Marina Militare. Per scoprire chi sono. E cosa le spinge. Sotto sotto

 
sommergibiliste
 
 Ha dieci anni, vive a Ostuni, in provincia di Brindisi, ed è la prima e unica bambina in Italia, almeno per ora, che possa sbalordire i compagni di scuola, surclassando qualunque altra vanteria infantile: «Dove lavora la mia mamma? Nei sottomarini». L’effetto sull’uditorio è assicurato, ma la prerogativa ha un prezzo: la sola mamma sommergibilista della Marina Militare, Valeria Fedele, 32 anni, fende gli abissi per buona parte dell’anno, comunica con la famiglia attraverso un paio di stringate e-mail settimanali, non può mai rispondere a domande banali, tipo “dove sei?” o “cosa stai facendo?”, tantomeno svelare l’obiettivo delle sue missioni; e le capita di non sentire la voce di sua figlia per due mesi consecutivi.
 
sommergibiliste04Valeria Fedele, 33 anni, è l’unica mamma sommergibilista della Marina: sua figlia vive a Ostuni.
«Tutta la famiglia mi sostiene», racconta. (photo: Niccolò Rastrelli)
 
Proprio come in questo principio di inverno, quando l’U-212A “Salvatore Todaro” della Marina Militare è da poche ore riaffiorato nel porto di Taranto, dopo una delle sue lunghe e segrete immersioni nelle profondità del Mediterraneo (o magari oceaniche), e il sottocapo elettricista Valeria non vede l’ora di saltare sulla terraferma e di precipitarsi a casa, dopo 60 giorni di assenza: «Per fortuna in famiglia mi appoggiano tutti, invogliandomi a fare sempre di più e, a casa, mi garantiscono una collaborazione a 360 gradi». Valeria mantiene ancora un po’ del suo lessico militare, dopo oltre otto settimane di servizio senza interruzioni. Il rompete le righe arriva subito dopo l’ultima corvée: qualche minuto in posa per le foto che riuniscono, quasi al completo, il personale femminile delle forze subacquee della Marina.
 
sommergibiliste01Spazi angusti e privacy ridottissima non scoraggiano le ragazze: Domenica Ruggiero,
barese, 27 anni, sottufficiale radarista. (Photo Niccolò Rastrelli)
 

Sono sette, un’ottava è in arrivo, esattamente come i sommergibili che compongono la flotta nazionale, sette più uno, in fase di allestimento finale a La Spezia. E sono le prime donne, nei 76 anni di attività della Scuola Sommergibili di Taranto: la prospettiva di dover un giorno allevare un figlio per e-mail non le spaventa, né toglie loro la voglia di mettere su famiglia. Ma adesso il loro mondo, il loro futuro, la loro passione sono racchiusi nella pancia di un sottomarino: un prodigio dell’ingegneria navale italo-tedesca, d’accordo, ma comunque dotato di un’unica, angusta doccia per 30 persone, di brande spartane, di una modesta privacy, sommariamente protetta da qualche tendina, e di ripide scalette a chiocciola che richiedono l’agilità di un gatto per spostarsi da un punto all’altro dello scafo.

Non ci sono oblò attraverso i quali scrutare le meraviglie dei fondali, come le spettacolari visioni offerte al Capitano Nemo dalle vetrate del suo Nautilus, ma i due periscopi, la sala di controllo con i monitor dai riflessi verdini, i tubi lanciasiluri possono effettivamente risvegliare fantasie da Caccia a ottobre rosso. Le ragazze fanno qualche cenno d’assenso, con l’indulgenza che si concede ai profani, ma ad appena 26 anni, come Erika Benemerito, sottotenente di vascello, hanno già alle spalle anni di Accademia navale e un curriculum che poco concede alle ingenuità hollywoodiane.

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Erika Benemerito, 26 anni, sottotenente di vascello, è stata la prima donna ammessa:

ha seguito le orme di suo padre, anche lui sommergibilista. (photo Nicolò Rastrelli)

Nel 2012 Erika era un’allieva di terza classe, al corso per ufficiali di Livorno, quando un ammiraglio venne a raccontare una specializzazione che lei, a dire il vero, aveva nel sangue: «Mio padre è ufficiale di Marina e sommergibilista» ammette subito: «Quindi sono sempre stata affascinata dall’aspetto professionale e operativo della flotta subacquea, che però era ancora preclusa alle donne». Così Erika alzò la mano e domandò senza tanti preamboli: «C’è l’intenzione di aprire anche al personale femminile, visto che altre Marine della Nato l’hanno già fatto?». L’ammiraglio dissimulò l’imbarazzo: «Forse. È un’ipotesi…». E continuava a esserlo quando Erika, finita l’Accademia, fu destinata alle navi. Mai sottovalutare l’ostinazione della figlia di un sommergibilista e di alcune delle sue commilitone: Erika è stata la prima a rompere la barriera, a superare le visite mediche e oculistiche, il test della camera iperbarica, lo scoglio dei test psicoattitudinali e a terminare il tirocinio basico di 7 settimane alla Scuola Sommergibili di Taranto.

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Martina Petrucci, 24 anni, originaria di Camaiore, l’ultima arrivata (a sinistra),

e Francesca De Filippis, 23 anni, di Lecce. (photo Niccolò Rastrelli)

Doco dopo è stata raggiunta dalla parigrado Elena Varagnolo, 25 anni, di Chioggia, e da Valeria Fedele: «Eravamo la novità e siamo state accolte bene», racconta Erika. «Ma era chiaro, fin dal principio, che eravamo noi a doverci adattare all’ambiente e non il contrario, come accade invece sulle navi». Comunque la via degli abissi era aperta anche per Domenica Ruggiero, barese di 27 anni, sottufficiale radarista, Francesca De Filippis, 23 anni di Lecce, e la tirocinante Martina Petrucci, 24 anni, di Camaiore (Lucca). Che sarà pure l’ultima arrivata, ma non nasconde le sue ambizioni: comandare un giorno il suo sommergibile. Il sogno, per lei o per un’altra donna, potrebbe realizzarsi entro il 2025 o 2026, secondo le stime dell’attuale comandante del “Todaro”, il tenente di vascello Giorgio Marini Bettolo.

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Elena Varagnolo, 25 anni, di Chioggia. Il sottomarino può stare fino a dieci giorni senza riaffiorare. (photo Niccolò Rastrelli)

Per i vertici della Marina deve essere stato, però, almeno all’inizio, un grattacapo non da poco: «Non abbiamo praticamente modificato la nostra logistica, all’interno del sottomarino» premette il comandante della Flottiglia Sommergibili di Taranto, Stefano Russo: «La promiscuità si risolve con qualche accorgimento: per esempio al locale doccia adesso si va vestiti oppure in accappatoio. Ma l’approccio degli equipaggi maschili si è dimostrato molto maturo. Il messaggio alle colleghe è: tu per me non sei una donna, sei un sommergibilista. Del resto le relazioni a bordo non sono ammesse».

I “monaci” dell’universo subacqueo osservano del resto anche la regola del silenzio, quando sono sull’obiettivo: «Perfino la voce umana può permettere all’avversario di individuarci e noi dobbiamo essere invisibili», spiega il comandante del Todaro. Unica deroga, nelle pause di relax, le cuffiette per la musica. Senza cellulare, senza internet, senza Facebook: «Qui sotto» dice Francesca «siamo come una famiglia che, finito il lavoro, ritrova il piacere della conversazione».

FONTE: logo iodonna

 

 

 

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