La Maddalena al via la campagna disinfestazione spiagge

disinfestazione

La Maddalena, parte il piano di disinfestazione delle spiagge: il calendario degli interventi

Sarà vietato l’accesso alle spiagge per 24 ore.

Partirà entro la fine del mese la campagna di disinfestazione delle spiagge a La Maddalena e Caprera. Verrà, infatti, effettuato un primo intervento di disinfestazione da zecche ed altri insetti nelle nei pressi delle spiagge maggiormente frequentate, lungo i camminamenti d’accesso e tra la vegetazione di retrospiaggia.

Il sindaco Luca Montella ha, in proposito, firmato l’ordinanza tramite la quale si dispone il divieto di accesso, transito e stazionamento, dalle 7 e per 24 ore, nei siti interessati dagli interventi di disinfestazione.

Gli interventi seguiranno il seguente calendario:

 – LUNEDI 26 marzo

  • Spiaggia Punta Nera, scogliera Baleno e spiagge Parco Padule
  • Punta Tegge fino alla spiaggetta denominata “casetta” a Nord-Est 
  • Spiagge Nido D’Aquila
  • Spiagge Cala Francese/Carlotto
  • Spiagge Cala Majore (Bassa Trinita)
  • Spiagge Abbatoggia (Morto, Strangolato, sbarra…)

  MARTEDI 27 marzo

  • Spiagge Monti d’a Rena
  • Spiagge Cardellino
  • Spiaggia Marginetto
  • Spiaggia Cala Lunga
  • Spiagge Cala Spalmatore/Costone
  • Spiagge zona acquedotto, Canile e Club Nautico 
  • Spiagge Villaggio Piras

 MERCOLEDI 28 marzo

  • Spiagge Ricciolina
  • Spiagge Penisola Giardinelli (Capocchia d’u Purpu, Isuleddu…)
  • Spiagge Cala Garibaldi
  • Spiagge Conigliera
  • Spiagge Stagnali
  • Pineta Grande Stagnali e parco giochi bambini

  GIOVEDI 29 marzo

  • Centro Educazione Ambientale Stagnali
  • Stazione Forestale di Stato Caprera
  • Parcheggio fotovoltaico
  • Spiaggia “Doggie Beach” e spiagge limitrofe
  • Spiaggia Banchina Porto Palma
  • Spiagge Cala Portese e Due Mari lato ovest
  • Spiagge Cala Andreani e Relitto
  • Spiaggia nord-ovest Punta Rossa
  • Batteria Punta Rossa

FONTE: Gallura Oggi logo 2

News varie dal mare, La Maddalena al via campagna disinfestazione spiagge

  • Visite: 1131

Ardito e Audace, demolizione in Turchia. La Spezia estromessa

La Spezia - Tre anni fa, la politica spezzina s’era infiammata, sull’opportunità o meno di avviare in Arsenale una nuova epoca di demolizioni navali, seppure “green”.

Bacino SpeziaIl fronte ambientalista aveva drizzato le antenne, s’era molto discusso. Piombino aveva tentato di farsi avanti, ma l’allora sindaco Massimo Federiciaveva sposato la novità, osteggiata invece dall’allora presidente del porto, Lorenzo Forcieri. Tutti e due Pd, visione opposta. Passate le elezioni, avviata la demolizione di nave Carabiniere, nessuno ne ha parlato più. Solo silenzio. Non sono stati diffusi nemmeno i dati, promessi in fase elettorale, sui costi e sui criteri di smaltimento. Oggi, quella che era stata presentata come una «esperienza pilota», pare avviata a concludersi. Ci sarà - pare - la demolizione di Nave Alpino: ma le due navi immediatamente dopo, nella lista delle demolizioni militari, prenderanno la via della Turchia. Si tratta di nave Ardito e nave Audace.

A smantellare i due cacciatorpedinieri gemelli, sarà la Instabul Shipyard. La prima a salutare il golfo, e l’Italia, sarà l’Ardito. L’addio è imminente. Dopo di che, toccherà all’Audace. In termini formali, si tratta di “rifiuti speciali”, codice Ocse GC 030. Partiranno con due distinti trasporti transfrontalieri, dall’Arsenale fino al distretto di Aliaga Izmir. In tutto, 7.500 tonnellate. L’accordo è stato sottoscritto dall’Agenzia Industrie Difesa. Il ministero turco ha espresso parere favorevole. La società ha depositato una fidejussione assicurativa, da 378.782 euro. La Provincia, attraverso il dirigente Marco Casarino, ha attestato la congruità della polizza, disponendo l’immediata comunicazione del ricevimento dei rifiuti, una volta effettuato il trasferimento. Le navi sono già state liberate dall’amianto.

Ardito AudaceIl capitolo delle demolizioni, passa dunque nelle mani della Turchia. Ci sarà chi tirerà un sospiro di sollievo, chi rimpiangerà. Certo è che La Spezia – dopo il grande accapigliarsi di tre anni fa – è rimasta a guardare: mentre ancora Piombino piange, e Taranto favoleggia di imitare il “modello spezzino”. Il dato di fatto, è che Ardito e Audace finiranno i propri giorni nella zona industriale di Aliaga, dove operano più di 20 siti di riciclaggio, con un migliaio di lavoratori, migranti interni. L’area risulta nella lista di quelle monitorate da Greenpeace, che nel 2002 aveva denunciato la mancanza delle tutele minime, per gli operai e l’ambiente.

L’organizzazione non governativa Shipbreaking Platform, nel 2015 ha dato atto dei miglioramenti, ma ha segnalato che ci sono stati ben 11 casi di infortunio mortale in 5 anni. Secondo il report, rilanciato da Legambiente, le demolizioni avvengono soprattutto fra India, Bangladesh, Pakistan, Cina e Turchia, dove le tutele ambientali e lavorative sono inferiori, ed i costi risultano vantaggiosi, per gli europei. In Bangladesh è emerso un contesto di sfruttamento del lavoro minorile, con salari da fame e nessun dispositivo di protezione. Risulta difficile perfino ottenere dati sulle vittime. La Turchia risulta invece aver aperto all’accesso di ricercatori indipendenti, consulenti ed esperti, avviando una cooperazione con i governi europei, in ambito di smantellamenti militari. Certo è che persiste «un inadeguato monitoraggio ambientale», accanto all’elevato tasso di infortuni.

FONTE: Logo Laspezia Secolo

 

Ecco le foto postate da Alessandro Achille Burla su Facebook della partenza dell'Ardito per il cantiere della demolizione in Turchia

 

  • Ardito
  • Ardito1
  • Ardito10
  • Ardito2
  • Ardito3
  • Ardito4
  • Ardito5
  • Ardito6
  • Ardito7
  • Ardito8
  • Ardito9

News Marina Militare,, Smantellamento Ardito e Audace in Turchia

  • Visite: 4060

Scoperti in Nordafrica 14 relitti della Seconda Guerra Mondiale

sommergibile foca 670x274

Quattordici relitti della Seconda guerra mondiale scoperti a Tabarka, in Tunisia, e a Marsa El Hilal, in Libia, saranno presentati giovedì prossimo, alle 17, da Jean Pierre Misson nella sede dell’associazione Amici della Soprintendenza del mare all’Arsenale della Marina Regia a Palermo. Saranno proiettati documenti storici relativi all’identificazione dei relitti del Regio Sommergibile Foca, del sommergibile Urge della Royal Navy, della petroliera Picci Fassio, del sommergibile della Regia Marina italiana Argonauta, del cacciatorpediniere britannico Hms Quentin e di altri sommergibili italiani e britannici affondati lungo le coste del nordafrica. L’evento, organizzato dalla Soprintendenza del Mare in collaborazione con l’associazione Amici della Soprintendenza del Mare, grazie alle ricerche effettuate da Jean Pierre Misson nei fondali libici e tunisini, cercherà di aggiungere un tassello alla storia e alla memoria di tanti uomini che hanno perso la vita durante la Seconda guerra mondiale. Ingegnere nel settore delle telecomunicazioni, Jean Pierre Misson ha lavorato in Libia negli anni Sessanta del secolo scorso occupandosi di ponti radio governativi. In quel Paese è tornato nel 2012 su invito del Libyan Department of Antiquities per contribuire all’addestramento di personale locale nella ricerca archeologica subacquea con tecniche innovative. Attraverso un lungo e paziente lavoro, sorretto da una profonda passione per la ricerca subacquea, Misson ha potuto finora identificare i relitti dei sommergibili Urge, Argonauta e Foca e della nave cisterna Picci Fassio. Dopo Marsa el Hilal, la sua base operativa per nuove esplorazioni al largo della costa nordafricana è diventata Tabarka, in Tunisia.

FONTE: Logo Secolo italia

 

News Marina Militare,, 14 relitti della Seconda Guerra Mondiale

  • Visite: 1259

Il mistero dell’affondamento della corazzata Giulio Cesare

Cesare 04

di Angelo Paratico

Conoscevo bene Luca Birindelli, tragicamente scomparso qualche anno fa. Un pioniere del commercio e dell’industria italiani all’estero, che aveva fondato degli studi legali a Hong Kong, Shanghai e Pyongyang, in Corea del Nord.
Un giorno, a Hong Kong, mentre eravamo a pranzo al ristorante Gaia di Paolo Monti, gli chiesi se davvero suo padre avesse affondato la corazzata Giulio Cesare, che al termine della guerra era stata ceduta all’URSS. Ricordo che rimase con una forchettata di spaghetti a mezzaria, mi guardò sorpreso e mi chiese di che diavolo stessi parlando. Glielo spiegai, ma lui scosse il capo, chiedendo la data dello scoppio. Gli dissi un’ora e mezza dopo il 28 ottobre 1955.
“Io ero in fasce, ma la data 28 ottobre, anniversario della marcia su Roma, è davvero sospetta…comunque, non ce lo vedo proprio mio padre dare un bacio a mia madre, uscire di casa, incontrare Borghese e gli altri, poi tornare tranquillamente indietro, dopo aver fatto saltare una nave da guerra russa in Crimea.” Ma promise di chiedere a suo padre.
Qualche mese dopo, durante il suo successivo passaggio nella ex colonia britannica, mi raccontò che gliene aveva parlato, ma che lo aveva visto stranamente evasivo e reticente, rifiutando ogni commento; un fatto strano per lui, ex uomo d’azione confinato fra quattro mura e sempre alla ricerca di qualcuno con cui chiacchierare, per vincere la noia quotidiana.

Suo padre era la medaglia d’oro ammiraglio Gino Birindelli (1911-2008). Con Teseo Tesei, Elios Toschi, Emilio Bianchi e Luigi Durand de la Penne fece parte della flottiglia MAS e il 30 ottobre 1940 violò la base di Gibilterra. Solo un’avaria al suo mezzo subacqueo lo costrinse a riemergere e consegnarsi agli inglesi. Fu liberato dalla prigionia alla fine del 1943 e si unì ai badogliani, essendo un convinto monarchico. Al termine delle ostilità prese il comando del Battaglione “San Marco” e della corazzata Italia. Dal luglio 1954 ebbe il comando dell’incrociatore Montecuccoli, con il quale, dal 1º settembre 1956 al 1º marzo 1957, effettuò una crociera di circumnavigazione del globo.

Veniamo ora alla Giulio Cesare. Una nave di battaglia della classe Cavour, varata nel 1911 e che, dopo essere stata riammodernata nel 1937, dislocava a pieno carico 29.000 tonnellate.
In seguito, con l’armistizio del 8 settembre 1943, il Re ordinò alla flotta di consegnarsi agli inglesi a Malta. La Giulio Cesare, scortata dalla torpediniera Sagittario e dalla corvetta Urania, uscì da Pola si diresse verso Malta. Li attendeva un sommergibile tedesco fuori dal porto ma la Sagittario gli si buttò contro per speronarlo e permise alla corazzata di allontanarsi, con il siluro tedesco che esplose sugli scogli. Mentre navigavano davanti ad Ancora si ebbe un ammutinamento del suo equipaggio, che non voleva arrendersi agli inglesi e, armi alla mano, si preparano all’autoaffondamento. Ma il comandante Carminati riprese in mano la situazione, giurando ai propri uomini che, in caso di consegna agli inglesi, egli l’avrebbe autoaffondata. Il giorno dopo furono attaccati da Ju 87 Stuka ma la loro contraerea li respinse. Arrivati all’altezza di Taranto finirono la nafta e furono rimorchiati in porto dagli inglesi, dove giunsero l’11 di settembre e i capi dell’ammutinamento furono arrestati.

Alla fine della guerra, l’URSS a differenza delle altre potenze vincitrici non volle rinunciare ad appropriarsi di varie unità della nostra Marina. Questa cessione creò un grosso malcontento fra le nostre forze armate, al punto che furono disposte ispezioni subacquee ogni mezzora per evitare che gli uomini-rana della Flottiglia MAS le facessero saltare, come avevano minacciato di fare.
Oltre alla Giulio Cesare e la Cristoforo Colombo, i russi ottennero l’incrociatore Emanuele Filiberto, i cacciatorpediniere Artigliere e Fuciliere, le torpediniere Classe Ciclone Animoso, Ardimentoso e Fortunale, e i sommergibili Nichelio e Marea, oltre al cacciatorpediniere Riboty, ed altro naviglio leggero, quali MAS e motosiluranti, varie vedette, navi cisterna, motozattere da sbarco, una nave da trasporto e dodici rimorchiatori. Addirittura i sovietici avevano cercato di ottenere una delle nostre due moderne corazzate della classe Littorio, non ritirate da Stati Uniti e Inghilterra, e queste furono lasciate all’Italia solo dopo che garantimmo che le avremmo demolite.
La Giulio Cesare fu consegnata ai sovietici assieme al Artigliere e a due sommergibili nel porto albanese di Valona, con 900 tonnellate di munizioni, che comprendevano anche 1100 colpi per i cannoni principali e l’intera dotazione di 32 siluri da 533mm per i due sottomarini. Il nuovo nome della nostra corazzata divenne “Novorossijsk” e fu destinata a Odessa sul Mar Nero, che raggiunse il 26 febbraio 1949.

La sera del 28 ottobre 1955, la Novorossijsk ormeggiò a una boa nella baia di Sebastopoli a 100 metri dalla riva. La profondità del mare era di 17 metri, con ulteriori 30 metri di melma. A bordo vi erano un migliaio di marinai.
Alle ore 1:30 della notte del 29 ottobre, un’esplosione, della potenza stimata fra 3.000 e 5.000 kg di TNT sotto allo scafo squarciò la corazza, dal ponte inferiore fino al ponte del castello di prua, aprendo un enorme falla nella carena. Subito persero la vita circa 200 uomini dell’equipaggio, alle 2:00, il comandante Ovčarov ordinò di rimorchiare la nave in un punto meno profondo ma alle 2:32 la nave s’inclinò, mentre i rimorchiatori la trainavano e dopo 10 minuti, s’inclinò a babordo affondando da prua. Alle 4:15 si capovolse, con centinaia di marinai che si trovavano sul ponte, che caddero in acqua e che finirono schiacciati dallo scafo, mentre molti altri restarono intrappolati nei compartimenti della nave.
L’imperizia degli ufficiali e l’impreparazione dei soccorsi ampliarono i termini di quella tragedia, con perdite altissime di vite umane: 604 uomini! Questo forse spiega la ritrosia di Gino Birindelli e di altri componenti di questa missione.

Mosca, dapprima, disse che c’era stato un incendio bordo, e poi parlarono di una mina tedesca non disinnescata, dimenticata in quel porto. E in effetti ne rinvennero alcune, successivamente anche se il punto di ormeggio della Giulio Cesare era già stato bonificato. Alcuni alti ufficiali sovietici furono degradati e puniti, ma poi cadde la cappa del segreto militare e non se ne parlò più sino agli anni ottanta
Alla fine di dicembre del 1999, Vladimir Putin ha premiato sette marinai superstiti della corazzata, decorandoli con un decreto presidenziale.
L’ipotesi di un sabotaggio straniero vien giudicata palusibile da alcuni storici russi ed è stata recentemente rievocata dalla rivista russa Itoghi nel 2005, in occasione del cinquantenario dell’incidente. Il giornalista Luca Ribustini nel 2014 scrisse il libro “Il mistero della corazzata russa – Fuoco, fango e sangue”, cercando di ricostruire quella vicenda e attribuendo agli uomini della Xma MAS questo affondamento.

FONTE: Logo Corrieredellasera

 

News Marina Militare,, Corazzata Giulio Cesare

  • Visite: 1362

«Quella notte del 1955 gli italiani affondarono la corazzata sovietica»

Poco meno di sessant’anni fa, la notte fra il 28 e il 29 ottobre 1955, in piena Guerra fredda, la più grande corazzata della flotta sovietica, il “Novorossiysk”, saltò in aria e...

di Pietro Spirito

Quellidel55Poco meno di sessant’anni fa, la notte fra il 28 e il 29 ottobre 1955, in piena Guerra fredda, la più grande corazzata della flotta sovietica, il “Novorossiysk”, saltò in aria e affondò mentre era all’ormeggio nel porto di Sebastopoli, in Crimea, provocando la morte di oltre seicento marinai. Le autorità sovietiche dissero che l’esplosione era stata causata da una mina tedesca, un residuato bellico finito chissà come a contatto con la nave alla fonda. Altre versioni non accreditate parlarono invece di un sabotaggio, un vero e proprio atto di guerra che aveva come obiettivo la corazzata. Che non era una nave qualsiasi, bensì la nave da battagliaGiulio Cesare”, la perla della flotta della Marina militare italiana, ceduta ai sovietici assieme ad altre unità quale risarcimento di guerra come previsto dal Trattato di Pace, lo stesso che aveva ceduto alla Jugoslavia l’Istria e la Dalmazia.

Chi diceva che ad affondare la corazzata non fosse stata una mina vagante ma un commando di sabotatori, indicava anche con precisione i responsabili: gli ex incursori della Xª Mas di Junio Valerio Borghese, gli stessi Uomini Gamma dell’unità speciale d’assalto della Marina italiana che nel corso del secondo conflitto mondiale avevano dato molti grattacapi agli Alleati, colando a picco o danneggiando decine e decine di navi, tra cui l'incrociatore York e le navi da battaglia Queen Elizabeth e Valiant, meritandosi una valanga di medaglie d’oro. Ma come, a dieci anni dalla fine della guerra la Xª Mas non era stata smantellata? La risposta è complessa. Dopo l’8 settembre 1943, i reparti della Decima in parte rimasero fedeli al Regno del Sud combattendo al fianco degli Alleati, in parte seguirono Borghese e aderirono alla Rsi. Con Borghese la Decima divenne una unità militare principalmente di fanteria di marina, con reparti di naviglio sottile dotati di Mas e l'obiettivo di continuare la lotta contro gli Alleati. Ma l’arruolamento venne aperto a chiunque, frotte di giovani esaltati e violenti si precipitarono a indossare la divisa della Decima, e molti reparti furono impiegati nella lotta antipartigiana (in Liguria, Langhe, Carnia, Val d'Ossola etc.), macchiandosi di efferatezze come la cattura di ostaggi fra i civili, torture sui prigionieri e fucilazione sommaria di partigiani (o civili ritenuti tali) catturati. Una macchia indelebile su quella che era stata l’unità di eccellenza della Marina, macchia che Borghese non aiutò certo a cancellare. Com’era possibile, dunque, che ex appartenenti alla Decima fossero in grado di affondare una corazzata in acque sovietiche, e a dieci anni dalla fine del conflitto?

La vicenda del “Novorossiysk”. ex “Giulio Cesare” è stata a lungo archiviata come uno dei tanti misteri dei tempi della Guerra fredda. A rilanciare adesso, e supportare, la tesi dell’attentato compiuto da incursori italiani - tesi per altro più volte avanzata negli anni e sempre smentita - è il giornalista Luca Ribustini, che nel libro “Il mistero della corazzata russa - Fuoco, fango e sangue” (Pellegrini Editore, pagg. 141, euro 15,00)ricostruisce sulla base di nuovi documenti scovati negli archivi soprattutto della Marina militare non solo l’affondamento della nave, ma anche il clima, il modus operandi e le trame segrete che fanno da contorno all’esplosione che mandò a picco il “Novorossiysk”. Il libro viene presentato domani, alle 17.30, alla Casa del combattente in via XXIV Maggio a Trieste, dal regista della Rai Luigi Zannini con il giornalista Andrea Vazzà, presente l’autore.

Ed è uno scenario inquietante quello che emerge dal libro di Ribustini, solo in parte già noto: la messa in atto di azioni di spionaggio, a volte di sabotaggio, verso i Paesi socialisti, maturate in stretto connubio fra Cia e servizi segreti italiani, con l’appoggio e la copertura delle Forze armate. Insomma quel milieu fitto e fosco in cui crebbero organizzazioni paramilitari come Gladio e che fa da prodromo, vent’anni più tardi, all’ancora più oscura stagione delle “stragi di Stato”. Ribustini inizia la sua indagine da una rivelazione: la battuta, durante un’intervista nel 2013, di un ex incursore della Xª Mas, Ugo D’Esposito. Alla domanda “Ugo, secondo lei come è affondata la corazzata Giulio Cesare?”, la risposta è lapidaria: “Siamo stati noi. Noi della Xª Mas”. Siccome D’Esposito non partecipò direttamente all’operazione, Ribustini inizia la caccia alle prove. Intervista i naufraghi russi scampati al naufragio del “Novorossiysk”, scandaglia archivi, cerca testimonianze ovunque. Ma trova più silenzi che conferme. Finché una serie di documenti non svela «che già dal 1949, dunque sei anni prima del fatto, il Ministero dell’Interno era perfettamente informato dell’esistenza di “un’organizzazione” preposta all’affondamento del Giulio Cesare». «Fatto ancora più grave - aggiunge Ribustini - è che l’organizzazione aveva a disposizione mezzi e uomini in grado di condurre una vera e propria “azione di guerra” con l’ausilio di “elementi fiduciari” della Marina Militare, dunque delle istituzioni italiane, che avrebbero offerto appoggio logistico per l’operazione di sabotaggio».

Che la cessione all’Unione Sovietica di tante unità della Marina, a cominciare dal “Giulio Cesare”, come risarcimento di guerra non andasse giù non solo ai nostalgici del regime ma anche alla stessa Marina e ai servizi angloamericani, era cosa nota. Al punto che il timore di sabotaggi prima della cessione costrinse la polizia italiana a piantonare le navi. Ribustini ricorda fra l’altro il caso dei “ragazzi della Colombo” un gruppo di studenti che avevano militato nella Decima di Borghese, arrestati, processati e condannati nel 1949 per aver tentato di far saltare in aria la nave scuola “Cristoforo Colombo”, anche questa destinata ai sovietici.

Ma ciò che il libro di Ribustini svela è in particolare l’attività di spionaggiocompiuto negli anni Cinquanta a bordo di navi mercantili italiane destinate ai porti sovietici, specie in Crimea. Elementi della Marina militare venivano imbarcati sui mercantili come mozzi o altro personale civile, per non meglio precisate “missioni riservatissime” nelle acque del Mar Nero. E proprio la notte tra il 28 e il 29 ottobre 1955 nel porto di Sebastopoli c’erano diversi mercantili italiani che dopo l’esplosione «salparono in tutta fretta», come testimoniano i marinai russi sopravvissuti all’affondamento del “Novorossiysk”. Alla fine della sua inchiesta Ribustini non riesce a trovare le prove che ad affondare la corazzata sovietica - sia per ragioni “di vendetta” che per ragioni squisitamente strategiche, visto che la stessa Nato temeva l’impiego sulla nave di proiettili tattici a testata nucleare - siano stati ex incursori della Decima con l’appoggio della Marina militare. Troppe bocche cucite e soprattutto troppi documenti svaniti nel nulla. Ma la tesi del sabotaggio italiano ne esce rafforzata.

FONTE: Logo Ilpiccolo Trieste

News Marina Militare,, Quella notte del 1955 ..., Corazzata Giulio Cesare

  • Visite: 1785

Il business della demolizione navale, tra sfruttamento e nuove opportunità

Demolizioni navali

In media una nave mercantile ha una vita media utile di trent’anni, prima di essere rottamata. I dati del rapporto 2016 della ONG “Shipbreaking platform” ci rivelano così che ogni anno circa mille navi raggiungono la fine del loro ciclo di vita e vengono smantellate per recuperare l’acciaio e altri materiali. Molto spesso, però, ciò avviene sia senza rispetto dell’ambiente marino e dello smaltimento corretto dei vari rifiuti tossici sia della stessa sicurezza dei lavoratori. Più del 60% delle grandi navi arrivate a fine servizio finisce in Asia meridionale per la rottamazione dove, tra le spiagge dell’India, del Bangladesh e del Pakistan, vengono demolite pezzo dopo pezzo manualmente da lavoratori per lo più migranti con un prezzo fin troppo pesante sull’ambiente e sulla salute delle persone. Bassi salari, regolamentazione inesistente, scarsa attenzione ai problemi ambientali: questi i motivi principali che hanno determinato la delocalizzazione dell’attività in questi Paesi. Caratteristiche che rendono oggi la demolizione navale, o ship-breaking, una delle attivitàpiù rischiose al mondo.Plance, eliche, timoni e catene, adagiati in un basso fondale sabbioso pieno di fango e liquidi oleosi: intorno agli scheletri di vecchie petroliere, navi passeggeri, etc. si avvicendano decine di lavoratori che, per una paga minima e in condizioni di lavoro precarie, rischiando la vita tra le sostanze tossiche rimaste nei serbatoi delle imbarcazioni.

Nato nel 1969 e con un’estensione di circa 20 km lungo la costa, uno dei più grandi cantieri di demolizione navale al mondo si trova nei pressi della cittàportuale di Chittagong, in Bangladesh e dà lavoro ad oltre 200.000 persone. Un cantiere che ha attirato, più volte, anche l’attenzione di grandi associazioni come Greenpeace, la Federazione internazionale dei diritti umani e la YPSA (Young Power in Social Action). Qui il processo di smantellamento risulta, infatti, particolarmente impegnativo ed estenuante soprattutto a causa delle condizioni lavorative pessime in cui si trovano i vari lavoratori. Fra loro ci sono non solo adulti a rischiare la pelle, ma anche bambini, impiegati per raggiungere i tunnel e cunicoli più angusti, a svitare bulloni, spezzare rivetti, rompere le saldature, in modo da recuperare la maggior quantità di metallo possibile: soprattutto ferro. Ogni anno sono milioni di tonnellate i materiali che vengono recuperati in questi cantieri di fortuna, senza riguardo alcuno per l’ambiente: ad esempio tra le tante navi riciclate si trovano anche petroliere che vengono smantellate gettando in mare i residui tossici come il fondo delle cisterne con il greggio raggrumato. Nelle navi sono presenti anche amianto e altre sostanze pericolose che finiscono in mare. Decine di demolitori rimangono infortunati per incidenti connessi a questo lavoro. A Chittagong si muore, inoltre, schiacciati dall’acciaio, cadendo da grandi altezze o investiti da esplosioni di materiali infiammabili. Il tutto, per uno stipendio pari a 20-40 centesimi l'ora, per circa 10-11 ore al giorno, in uno dei paesi più poveri al mondo dove il reddito annuo pro capite fatica a superare i 1100 euro. Quello che dal 2004 al 2008 venne considerato come il più grande cantiere navale del mondo, infatti, nonostante l’enorme mole di navi demolite, non è ancora stato capace purtroppo di organizzarsi in una moderna industria di recupero.

Gran parte delle navi smantellate provengono da paesi ricchi che spediscono in questo angolo di mondo, anche illegalmente, la loro “immondizia”con accordi pre-smantellamento presi da mediatori senza scrupoli che comprano le navi in disuso dagli armatori e le rivendono ai padroni dei cantieri navali. È record il numero di navi di proprietà europea spiaggiate in Asia meridionale: l'84 per cento di quelle demolite sono finite sulle coste dei tre paesi asiatici. La Germania è il primo paese al mondo a spedire le navi da demolire sulle spiagge asiatiche se si guarda al rapporto tonnellaggio-navi demolite. L'anno scorso, su cento navi demolite, 98 sono finite sulle coste di India, Pakistan e Bangladesh. Segue la Grecia con il maggior numero di navi vendute in Asia meridionale, 104. Tra i Paesi che ogni anno contribuiscono all’inquinamento del sub-continente indiano c’è anche l’Italia. Negli ultimi sette anni, circa 90 navi appartenenti ad armatori italiani sono state smantellate sulle spiagge dell’Asia meridionale.

Oggi un accordo dell'International Maritime Organization, in vigore dal 2015, stabilisce che le grandi navi debbano essere bonificate, cioè private di tutti i materiali e i liquami tossici, prima di essere avviate verso i cantieri di demolizione. Ma la legge, purtroppo, viene oggi spesso aggirata con l’adozione al momento opportuno dellacosiddetta “Flag of Convenience”(bandiera di convenienza), ossia vendendo le navi da dismettere ai cosiddetti “cashbuyer” (coloro che comprano in contanti) che battendo una bandiera non europea, ma di piccoli Stati, divengono i nuovi proprietari della nave per occuparsi del suo smaltimento. In questo modo gli armatori risultano non imputabili di nulla, perché non risulta che abbiano mandato alcuna nave a essere smaltita.

L’Europarlamento ha creato nuove regole per l’eco-riciclo delle vecchie navicon una norma che prevede che le navi targate europee (si parla di oltre mille navi da rottamare nei prossimi anni) vengano smantellate solo in strutture ”certificate”, incluse in una lista Ue. Potrebbe aprirsi così un’opportunità per i porti italiani di attrezzarsi adeguatamente e di candidarsi per entrare nella lista dei siti certificati dall’UE per la rottamazione e il riciclo dei materiali recuperati dalle vecchie navi.

FONTE: Logo Amm Degiorgi oro

News varie dal mare, Demolizioni navali businnes e opportunità

  • Visite: 1438

Il Museo Navale di notte e Nave Bergamini di giorno, aperture per San Giuseppe

Bergamini

Il Museo Navale di notte e Nave Bergamini di giorno, aperture per San Giuseppe

Torna la Notte Bianca tra polene e mezzi d'assalto, mentre dal pomeriggio una passerella accompagnerà dentro la Fremm.
La Spezia - E' ormai quasi un classico di San Giuseppe il tour notturno del Museo Tecnico Navale della Spezia in occasion della Notte Bianca. Appuntamento sempre di grande fascino che si accompagna a una serie di celebrazioni per il patrono cittadino che coinvolgeranno anche la base navale cavouriana. Sabato 17 e lunedì 19 marzo alcune delle principali strutture dell'arsenale della Marina Militare saranno infatti aperte al pubblico.

Si parte con il Museo Navale, per l’occasione accessibile gratuitamente al pubblico dalle 18 alle 00.30 di sabato 17 marzo. Le visite guidate partiranno alle 19, 21 e 22. Altra apertura con orario continuato è prevista per lunedì 19 dalle 8.30 alle 19.30. Sempre sabato 19 marzo sarà inoltre aperta la porta principale dell’arsenale marittimo, con accesso pedonale, dove sarà possibile visitare Nave Bergamini, una delle fregate multimissione in servizio presso la squadra navale di stanza alla Spezia, dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18, presso la Banchina Scali. Invece dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 17 sarà visitabile l’officina congegnatori di Marinarsen La Spezia.

Infine lunedì 19 marzo alle 10 una messa presieduta dal vescovo Luigi Ernesto Palletti all’interno della Sala Vespucci dell’ex scuola allievi operai dell’arsenale, alla quale parteciperanno le massime autorità civili, religiose e militari della provincia. Al termine della funzione religiosa saranno consegnate alcune targhe-ricordo al personale che nel corso degli anni di servizio nell’amministrazione Difesa si è particolarmente distinto per l’attaccamento alla professione.


13/03/2018 12:27:26

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

News Marina Militare,, La Spezia, S. Giuseppe, Visite Arsenale e Bergamini

  • Visite: 1434

La Spezia non abbandona l’idea del sommergibile “da esposizione”

Da Vinci

È nei piani del comune

La Spezia - «L’idea del sommergibile è suggestiva ed è nei piani del Comune. Certamente bisogna essere realisti. Ci sono costi importanti di installazione e, soprattutto, di successiva gestione. Ricordiamo che da quest’anno il bilancio sconta 2 milioni in più di costi manutentivi per le numerose opere pubbliche realizzate di recente tra cui la nuova piazza Verdi e la Mediateca oltre alla biblioteca Beghi del Canaletto»: lo ha detto Pierluigi Peracchini, sindaco della Spezia sul progetto “Da Vinci”.

«Il sommergibile costa 2 milioni di euro - ha ripreso - Nel bilancio del Comune ne abbiamo trovati preventivati 750 mila, peraltro non liquidi perché da reperire con alienazioni». E ha aggiunto: «I fatti sono questi di certo ci stiamo lavorando ma bisogna è necessario valutare come mettere insieme la parte mancante e soprattutto dove posizionare la struttura. Calata Paita avrebbe dei tempi lunghissimi. La zona migliore è senza dubbio quella del museo navale e dell’Arsenale ma bisogna accordarsi con la Marina militare che è anche la proprietaria del “Da Vinci”».

Ha concluso Peracchini: «Ricordiamo che il Comune ha un bilancio appesantito da 48 milioni di euro di debiti e tantissimi crediti da esigere ogni operazione va pensata bene per non gravare ulteriormente sulle tasche dei contribuenti», ha aggiunto Peracchini. Il tema sommergibile, uno dei tormentoni spezzini ormai da anni, è emerso di nuovo nei giorni scorsi durante un meeting organizzato alla Spezia dall’associazione Museo Navigante. L’iniziativa realizzata per la promozione dei musei del mare e della marineria d’Italia ha visto l’approdo in città della goletta Oloferne.

FONTE: Secolo XIX

News Marina Militare,, La Spezia, Sommergile Da Vinci

  • Visite: 1160

Il migliore farmaco del mondo è gratis: si chiama mare!

Farmaco Mare

Se ancora ce ne fosse bisogno, sono tantissimi gli studi scientifici che confermano che il più grande farmaco gratuito è… il mare.

LA BARCA E’ IL LUOGO IDEALE PER LA “TALASSOTERAPIA”
La cosiddetta “talassoterapia” (mediante l’assorbimento delle sostanze contenute nell’acqua marina, – oligoelementi e sali – si favorisce il ripristino dell’equilibrio organico e il corpo diventa più forte e resistente alle aggressioni esterne) è ormai sempre più utilizzata. E non c’è niente di meglio della vita in barca per trarne beneficio e prevenire molte patologie. Anche solo facendo un bagno: il massaggio dell’acqua attiva la circolazione, la salsedine libera le vie respiratorie e riduce le forme allergiche.

PER I POLMONI
Ma entriamo nel dettaglio. Inalando l’aria di mare, che contiene una quantità di sali minerali come il cloruro di sodio e di magnesio, lo iodio. Il calcio, il potassio, il bromo e il silicio, vengono liberate le vie respiratorie e i polmoni ne beneficiano. Questo, in breve, fa sì che si allevino:

– allergie respiratorie
– sinusiti
– asma
– convalescenze da raffreddore, e altre malattie respiratorie
– problemi causati dal fumo
– intossicazioni da agenti chimici

PER LE OSSA
Assumendo le sostanze contenute nell’acqua di mare, si riparano i danni delle ossa e si riducono i dolori di:

– lussazioni
– distorsioni
– fratture
– artrosi
– dolori articolari
– osteoporosi
– spondilosi
– malattie reumatiche
– rachitismo

PER LA PELLE
Con il mare si riduce l’incidenza delle malattie e allergie della pelle:

– psoriasi
– eczemi
– dermatiti
– acne seborroica

IL MARE PER… TUTTO IL RESTO
Grazie al mare migliorano gli stati anemici, le malattie ginecologiche, l’ipotiroidismo e il linfatismo. Molto importante, il mare aiuta anche a combattere gli stati depressivi. Pare anche che migliori il metabolismo e rafforzi le difese immunitarie. E ancora, a contatto con il mare (da www.tuttorete.info):

Si riduce la ritenzione idrica. L’acqua di mare contiene una concentrazione di sali minerali. Tramite l’osmosi vengono eliminati i liquidi in eccesso attraverso la pelle e con le urine. Ne beneficiano le gambe che appaiono notevolmente sgonfie.
Vengono eliminati i chili di troppo. In questo periodo di mare, il corpo appare più asciutto e pur mangiando di più, si perde peso. Questo accade perché il metabolismo funziona alla grande.
Migliora il sistema circolatorio. Con la pressione dell’acqua sul corpo, la temperatura e il movimento dell’acqua, la circolazione sanguigna ne beneficia.
Migliora il tono muscolare. Il nuoto è un toccasana per tutto il corpo. Rilassa i muscoli, allontanando lo stress. Scioglie le contratture accumulate. Migliora la mobilità alle articolazioni bloccate da forme di artrosi e artrite.

FONTE: Logo Barcheamotore

 

News varie dal mare, Il milior farmaco

  • Visite: 3494

L’Atlantic il “cacciatore di sommergibili” verso la musealizzazione

Arrivo a Pratica team smontaggio Atlantic per musealizzazione 9

L’Atlantic il “cacciatore di sommergibili” vola verso la definitiva collocazione storica

Lunedì 5 marzo 2018, hanno avuto inizio i lavori di configurazione del Velivolo Breguet Atlantic MM 40118/03 allo scopo di poterlo movimentare dall’Aeroporto di Pratica di Mare al Museo Storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle.

L’Atlantic, proveniente dalla base madre di Sigonella, è giunto a Pratica di Mare lo scorso 22 novembre a seguito dell’ultimo volo dopo oltre 45 anni di attività al servizio del Paese.

In tal senso, vista la grande dimensione del “Cacciatore di Sommergibili”, com’è noto nell’ambito Antisom l’Atlantic, la base romana è stata scelta come luogo intermedio per lo smontaggio e il successivo viaggio via terra verso il museo di Vigna di Valle dove l’aeroplano sarà riassemblato e consegnato alla storia.

I lavori saranno coordinati dall’11° Reparto Manutenzione Velivoli (RMV) ed effettuati da un team di specialisti di personale dello stesso RMV e del Gruppo Efficienza Aeromobili del 41° Stormo di Sigonella.

Il team, giunto a Pratica di Mare proprio con il successore dell’Atlantic, il velivolo P-72A, è stato accolto dall’Ispettore dell’Aviazione per la Marina, Generale di Brigata Aerea Amedeo Magnani, e dal Comandante della 9^ Brigata Aerea ISTAR-EW di Pratica di Mare, Generale di Brigata Aerea Roberto Preo.

Il Colonnello Carlo Rubino, Direttore dell’11° RMV, nel sottolineare che il proprio Ente ha curato la manutenzione di 3° Livello Tecnico dell’Atlantic per 35 anni, ha ricordato le sensazioni dell’ultimo volo del velivolo e la sfida futura: “…lo abbiamo accompagnato sino al suo ultimo volo il 22 novembre scorso, conoscendone ogni dettaglio ed ogni particolare, ogni pregio ed ogni difetto di questa macchina. Ora ci hanno chiesto di raccogliere l’ennesima sfida: disassemblare un aeroplano di 32 metri di lunghezza, 36 metri di apertura alare e 26 tonnellate di peso per renderlo trasportabile e rimontarlo, perfetto e restaurato in ogni dettaglio, presso il Museo Storico dell’AM di Vigna di Valle. Una sfida che il Reparto, congiuntamente al personale tecnico del 41° Stormo ha accettato, per celebrare degnamente la storia di questa macchina stupenda che ci ha accompagnato nella nostra storia e che è stato e sempre sarà parte di noi stessi”.

Atlantic in dirittura pista a Pratica di Mare

Atlantic accompagnato da P72 verso Pratica di Mare

Il Colonnello Francesco Frare, Comandante del 41° Stormo Antisom e dell’Aeroporto di Sigonella, riguardo alla musealizzazione dell’Atlantic ha detto che: “E’ la giusta vetrina per un velivolo che dai tempi della guerra fredda, senza aver mai sacrificato vita umana, ha rappresentato per la Nazione un sicuro punto di riferimento”. Inoltre, ha aggiunto “ricordo con emozione quando da ragazzino correvo lungo le spiagge della Sardegna con la speranza di incrociare con lo sguardo il volo lento e familiare degli Atlantic che decollavano dalla base di Elmas per poi scomparire in mare aperto. Oggi a distanza di decenni, mi riempie di orgoglio il fatto che proprio quel ragazzino, ora Comandante del 41° Stormo, ha pilotato l’Atlantic durante l’ultimo volo verso Pratica di Mare lo scorso 22 novembre”.

Il Generale Magnani, nel rivolgersi agli uomini del 41° Stormo e del 11° RMV ha detto che “questo è il momento di buttare il cuore oltre l’ostacolo e di consegnare definitivamente alla storia il nostro meraviglioso Aeroplano: non sarà affatto facile, ma dobbiamo farcela. Desidero inoltre ringraziare il Generale Preo per la squisita disponibilità con cui ha accettato di condividere con Noi Cacciatori di Sommergibili questa bellissima sfida”.

Il BR-1150 Atlantic, un biturboelica da pattugliamento “ognitempo” prodotto in Europa, è stato destinato principalmente alla scoperta, al tracciamento e alla neutralizzazione dei sottomarini e secondariamente alla ricognizione marittima in generale. Tutto questo grazie alle capacità peculiari del velivolo in termini di autonomia, attitudine al volo a bassissima quota e disponibilità di molteplici sensori e apparati di comunicazione che gli hanno permesso di pattugliare agevolmente aree molto vaste altrimenti non esplorabili se non con l’impiego di numerosi altri mezzi navali ed aerei

Il primo dei 18 “Atlantic” destinati ai Reparti Antisom fu consegnato al 41° Stormo il 27 giugno 1972. Di questi 18 velivoli, 9 andarono in dotazione al 41° Stormo e 9 al 30° Stormo di Cagliari Elmas. Il 1° agosto 2002, in seguito allo scioglimento del 30° Stormo, la Componente è stata accorpata nell’ambito del 41° Stormo divenendo l’unica realtà Antisom delle Forze Armate Italiane.

Nel tempo, pur mantenendo tutte le proprie peculiarità e capacità, è passato da un’attività prevalentemente antisommergibili e antinave, tipica della “guerra fredda”, ad un’attività di controllo del traffico mercantile, di pattugliamento e di ricognizione ottica ed elettronica delle aree d’interesse, anche nell’ambito delle operazioni contro il terrorismo internazionale nonché ad un’attività volta al controllo dei flussi d’immigrazione clandestina nel mediterraneo, garantendo giornalmente la copertura di ampie zone d’interesse, la tempestiva localizzazione dei profughi in mare, l’allertamento degli organi preposti e un costante e pronto intervento SAR (ricerca e soccorso) in caso di sinistro marittimo e naufragio degli stessi.

Fonte e photo credits: UCOM Aeronautica Militare

  • Arrivo-a-Pratica-team-smontaggio-Atlantic-per-musealizzazione-1
  • Arrivo-a-Pratica-team-smontaggio-Atlantic-per-musealizzazione-2
  • Arrivo-a-Pratica-team-smontaggio-Atlantic-per-musealizzazione-4
  • Arrivo-a-Pratica-team-smontaggio-Atlantic-per-musealizzazione-6

FONTE: AVREP Logo SitoWeb b

News Marina Militare,, Atlantic il cacciatore di sommergibili

  • Visite: 1178

Ti piace l'articolo? Condividilo

Facebook Twitter

Non arrenderti mai amico mio, impare a cercare sempre il sole, anche quando sembra che venga la  tempesta ... e lotta!

Mi trovate anche nei Social

Disclaimer

Si dichiara, ai sensi della legge del 7 Marzo 2001 n. 62 che questo sito non rientra nella categoria di "Informazione periodica" in quanto viene aggiornato ad intervalli non regolari. Le immagini dei collaboratori detentori del Copyright © sono riproducibili solo dietro specifica autorizzazione. Il contenuto del sito, comprensivo di testi e immagini, eccetto dove espressamente specificato, è protetto da Copyright © e non può essere riprodotto e diffuso tramite nessun mezzo elettronico o cartaceo senza esplicita autorizzazione scritta da parte dello staff di ”Il Mare nel cuore”
Copyright © All Right Reserve

Su questo sito usiamo i cookies. Navigandolo accetti.