Quel carteggio “riservatissimo” sulla Marina Militare

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Taranto 300x238Una serie di atti della Marina Militare, tra i quali il c.d. carteggio “riservatissimo”. La messa al bando dell’amianto nel nostro Paese risale al 1992, ma gli effetti letali della fibra killer erano ben noti alle istituzioni dall’inizio del ‘900, tant’è vero che le lavorazioni dell’amianto erano state dichiarate insalubri e per questo motivo vietate alle donne e ai fanciulli, e l’asbestosi era stata tabellata tra le malattie professionali che dovevano essere indennizzate, in forza della Legge 455/43.

Risulta nel II Rapporto Mesoteliomi di ONA Onlus: “In Italia, nel solo periodo dal 1945 al bando nel 1992, sono state prodotte 3.748.550 tonnellate di amianto grezzo, e ne sono state importate altre 1.900.885 tonnellate, che sono state utilizzate in oltre 3.000 applicazioni, determinando così più di 34.000.000 di tonnellate contenenti amianto, che sono in matrice friabile compatta e alcuni milioni di tonnellate (si stima tra 5 e 6) in matrice friabile. In più di 20 anni dall’entrata in vigore della legge 257/1992, che ha fatto divieto di estrazione, importazione, lavorazione e commercializzazione dell’amianto, sono state bonificate soltanto 500.000 tonnellate di materiali che lo contenevano, e cioè meno del 2% del totale: con questo ritmo saranno necessari più di 1000 anni per la completa loro rimozione”.

“Com’è possibile che sia stato permesso l’utilizzo dell’amianto in maniera così esponenziale e, soprattutto, perché è stato utilizzato dalla Marina Militare nonostante si sapesse del danno che provocava alla salute? Com’è possibile mettere al bando un minerale così dannoso per la salute umana solo con la Legge 257/92, dopo almeno 50 anni dall’entrata in vigore della Legge 455/43?”, si chiede l’Avv. Ezio Bonanni, Presidente Osservatorio Nazionale Amianto, legale di parte civile nel processo Marina Bis in corso a Padova e difensore di decine di ex militari e familiari dei deceduti. Lo Stato, gli enti pubblici e le aziende di Stato sono stati i maggiori utilizzatori di amianto, una strage prevedibile e, al tempo stesso, evitabile. È la tesi da sempre sostenuta dall’Avv. Ezio Bonanni, il quale ha depositato agli atti del processo penale Marina Bis che si celebra innanzi il Tribunale Penale di Padova una serie di atti, tra i quali il c.d. carteggio “riservatissimo”. Una interlocuzione tra i vertici della Marina, con alcuni scienziati dell’epoca.

La testata online Inchiostro Verde è tornata sull’argomento per fornire ai propri lettori i dettagli di una vicenda che meritava ben altra considerazione da parte di tutti (per consultare l’articolo http://www.inchiostroverde.it/63369-2/)

I RISULTATI DELL STUDIO

Al centro del carteggio c’è il primo screening sanitario effettuato nel 1969. Su 269 arsenalotti, risultò che il 10% degli esaminati era già affetto dalla malattia (mesotelioma o asbestosi) e un altro 16% presentava sintomi sospetti. Le due categorie più esposte alle fibre di amianto erano il saldatore e il carpentiere in ferro, mentre l’età media di rischio esposizione risultava di 28 anni.

“I primi risultati dello studio condotto su operai addetti a vari tipi di lavorazione in ordine al rischio di l’asbestosi – si legge in un documento della Direzione di Sanità della Marina Militare del 30 dicembre 1969 – hanno delineato una situazione di effettivo pericolo nei confronti di diverse categorie di lavoratori direttamente addetti alla manipolazione dell’amianto e indirettamente esposti alla inalazione della relativa polvere“. 

tARANTO 3 300x276Il dato sconcertante che emerge da questo carteggio, è che la Marina Militare, pur essendo a conoscenza della pericolosità dell’amianto ben ventidue anni prima della messa a bando della fibra killer, si limitò ad allontanare i 27 operai già colpiti da malattia, mentre i 42 casi classificati nel 1969 come «probabilmente affetti», continuarono a respirare la polvere letale. Una storia di inquietante silenzio che ancora oggi chiede giustizia.

L’IMPEGNO A NON DIVULGARE I DATI

Fu il dottor Luigi Ambrosi, direttore della Cattedra di medicina del lavoro dell’Università di Bari, a chiedere, nel giugno del 1968, all’allora direttore di Marisan di “poter condurre uno studio scientifico a carattere epidemiologico-statistico ed ambientale sull’Arsenale di Taranto”. Tale studio sarebbe stato svolto in collaborazione con la Clinica del Lavoro di Milano, il cui direttore, prof. Vigliani, stava già conducendo analoghe indagini nell’Arsenale M.M. di La Spezia, con la collaborazione dell’Istituto di Medicina del Lavoro di Genova”.

Lo stesso prof. Ambrosi “dava ampie rassicurazioni circa il carattere squisitamente scientifico di tali indagini, i cui risultati sarebbero rimasti a disposizione esclusivamente della Direzione di Sanità M.M. e non sarebbero stati forniti ad alcun ente, di qualsiasi genere, estraneo ad essa”. In una lettera datata 17 gennaio 1970, si confermava “il carattere squisitamente scientifico di tali indagini i cui risultati non saranno forniti ad organizzazioni sindacali o politiche, ma resteranno a disposizione esclusivamente della Direzione di Sanità Militare Marittima”. E già questo impegno lascia sconcertati, visto che si trattava di dati che avrebbero interessato la salute e la vita di tanti uomini in carne ed ossa.

Primo argomento di tale studio fu l’asbestosi e quindi le lavorazioni che ad essa conducevano. L’indagine “fu condotta principalmente da

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alcuni assistenti del prof. Ambrosi, talvolta con l’intervento del professore stesso. Quindicinalmente essi venivano a Taranto, muniti delle attrezzature necessarie e sottoponevano a visita specialistica gruppi di operai”.Il 18 febbraio 1969, il prof. Ambrosi avanzò concrete proposte “per un intervento della sua equipe per una azione sistematica di controllo su tutti i dipendenti”. Da parte sua, Marisan propose “al solo scopo di contenere la spesa entro i limiti dei fondi stanziati per l’assistenza sanitaria agli operai, di attuare inizialmente gli accertamenti specialistici per campione”.

Nel momento in cui venne fuori la gravità della situazione tra i lavoratori, la reazione della Marina Militare fu questa:  «E’ in corso, in collaborazione con la sala medica, azione intesa ad allontanare dal posto di lavoro gli elementi più colpiti, tale azione dovrà essere opportunamente differita nel tempo per evitare allarmi eccessivi ed ingiustificati». La sconcertante raccomandazione è contenuta in una lettera datata 14 febbraio 1970, anch’essa classificata come “riservatissima”. Il mittente è la Direzione Generale dell’Arsenale della Marina Militare – Direzione Lavori Generali; il destinatario Navalcostarmi di Roma.

Taranto 5 300x149Su queste basi, l’Avv. Ezio Bonanni, Presidente ONA Onlus e legale di decine di vittime e loro familiari, si è costituito parte civile nel processo Marina Bis presso il Tribunale di Padova. La cosa più eclatante è che ha chiesto ed ottenuto la chiamata del Ministero della Difesa come responsabile civile, per la condanna in solido con gli imputati, al risarcimento dei danni. La cosa altrettanto eclatante è che tutti gli imputati, alti ufficiali, sono accusati di aver procurato la morte di decine di marinai eppure sono difesi dall’Avvocatura dello Stato, a spese dei contribuenti.

L’Osservatorio Nazionale Amianto, attraverso l’Avv. Ezio Bonanni, ha ottenuto dal Tribunale di Cagliari, in funzione di Magistratura del Lavoro, l’accoglimento di tale tesi giuridica (sentenza n. 917/16): una equiparazione alle vittime del terrorismo, che la dice lunga sulle responsabilità dello Stato. È singolare che nel citato carteggio ci si preoccupi di “evitare allarmi eccessivi ed ingiustificati”. Non la pensa così l’Avv. Bonanni che preannuncia una serie di nuove azioni giudiziarie, anche in sede civile, e in sede amministrativa/previdenziale, in merito alla equiparazione alle vittime del terrorismo.

 

FONTE: notiziario ona banner

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Fincantieri: al via i lavori per l’unità anfibia multiruolo (LHD)

120717 fincantieri 1( di Fincantieri)  12/07/2017 - Si è svolta oggi presso lo stabilimento stabiese di Fincantieri la cerimonia per il taglio della prima lamiera, che dà il via ai lavori dell’unità anfibia multiruolo (LHD ovvero Landing Helicopter Dock).

La nuova unità sarà consegnata nel 2022 e rientra nel piano di rinnovamento delle linee operative delle unità navali della Marina Militare deciso dal Governo e dal Parlamento e avviato nel maggio 2015. Oltre alla realizzazione della LHD - di cui oggi si avviano ufficialmente i lavori - il programma pluriennale prevede la costruzione di sette Pattugliatori Polivalenti d’Altura (PPA) con ulteriori tre in opzione e dell’unità di supporto logistico (LSS) “Vulcano”.

La LHD sarà certificata da RINA Services in accordo con le convenzioni internazionali per la prevenzione dell’inquinamento sia per gli aspetti più tradizionali come quelli trattati dalla Convenzione MARPOL, sia per quelli non ancora cogenti, come la Convenzione di Hong Kong dedicata alla demolizione delle navi.

Caratteristiche dell’unità: LHD - Landing Helicopter Dock

L’unità avrà una lunghezza di circa 200 metri, una velocità massima di 25 nodi, e sarà dotata di un sistema di propulsione combinato diesel e turbine a gas (CODOG) e potrà ospitare a bordo oltre 1000 persone di cui più di 700 come personale trasportato militare o civile.

120717 fincantieri 4La LHD ha la sua missione principale nel trasporto di personale, veicoli e carichi di varia natura e nel trasferimento a terra degli stessi in aree portuali tramite i sistemi di bordo e in zone non attrezzate tramite imbarcazioni di varia natura (tra cui spiccano le piccole unità da sbarco tipo LCM con capacità di carico fino a 60 tonnellate, quattro delle quali possono essere ricoverate, varate e recuperate tramite un bacino allagabile situato nella poppa della nave).

Il profilo di impiego militare della LHD prevede il trasporto e lo sbarco, in zone attrezzate e non, di truppe, veicoli militari e attrezzature logistiche utilizzando le apparecchiature e i mezzi di trasferimento in dotazione.

Il profilo di impiego civile prevede:

  • supporto sanitario e ospedaliero
  • trasporto e sbarco anche in zone non attrezzate di personale e mezzi di soccorso ruotati o cingolati
  • fornitura a terra di acqua potabile tramite dissalatori di bordo o depositi nave
  • fornitura di corrente elettrica a terra per una potenza di 2000 kw e distribuzione della stessa tramite unità di conversione e distribuzione conteinerizzate
  • possibilità di ospitare a bordo personale specialistico o di ricoverare personale civile fino a 700 unità più un numero analogo in unità abitative conteinerizzate  
  • base per operazioni di soccorso tramite elicotteri e battelli di dotazione organica

Dotata di ampie aree di imbarco carico all’interno (circa 4500 mq tra bacino-garage e hangar-garage) e di un ponte continuo scoperto idoneo a ricevere veicoli ruotati di vario tipo, containers ed elicotteri, l’unità può assolvere a molteplici missioni sia di tipo militare che civile.

Le varie aree di stivaggio del carico sono accessibili tramite rampe poppiere e laterali, e la movimentazione del carico sarà affidata a rampe interne ed elevatori.

Sarà presente a bordo un ospedale completamente attrezzato, con sale chirurgiche, radiologia e analisi, gabinetto dentistico, e zona degenza per 28 ricoverati gravi (ulteriori ricoveri sono possibili in moduli container opportunamente attrezzati.

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FONTE: Logo difesaonline

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Russia-Libia-Italia

Portaerei russa

L'Italia ha ricevuto da Trump la “benedizione” per essere protagonista in Libia: spetta infatti al nostro paese la leadership sul dossier Libia.

Quanto ribadito nell'imminenza del G7 di Taormina si inserisce però in un quadro internazionale caratterizzato dal fatto che i Russi sono tornati nel Mediterraneo. E non certo per andarsene. Prima la riconquista della Crimea, storico passaggio verso i mari caldi, poi l'intervento in Siria, la riattivazione della base navale di Tartus, la costruzione della base aerea di Humaymim segnano il grande ritorno dei Russi sul nostro mare.

Ai tempi dell'Urss in Mediterraneo c'erano 50 navi e diversi sottomarini nucleari. Oggi i Russi si presentano in un'altra veste finalizzata al controllo marittimo ed alla proiezione di forza a terra (power projection ashore). Il ritorno della portaerei Kutzenotov che in futuro sarà affiancata da due grandi portaerei da 70.000 tonnellate è uno degli esempi di questo nuovo scenario.

D'altronde il Mediterraneo è da sempre la porta di ingresso che conduce dall'Oriente in Europa e la cerniera con l'Africa. Tutte aree di grande valore strategico ed economico, basti pensare ai grandi giacimenti di gas naturale tra Egitto, Israele e Cripro, a quelli probabilmente presenti nel basso adriatico.

Alla Marina Russa non possono bastare le basi presenti in Siria per ottenere un ruolo dominante nel Mediterraneo e così è stata individuata nella Libia la collocazione ideale per una base dall'alto valore strategico, probabilmente situata a Derna: i buoni fondali, la vicinanza all'Egitto, il dominio sulla Sirte con i relativi terminali petroliferi la rendono ideale con l'ulteriore vantaggio di essere in mano all'Isis, ulteriore piatto d'argento per Putin. Paese ricco di gas, poco popolato, suddiviso in tre aree distinte, la Libia è priva di un governo centrale e senza un custode occidentale di riferimento.

La Russia, per rafforzare la sua influenza nell'area, è riuscita ad opporsi alle richieste italiane avanzate all'Onu di poter operare in acque territoriali libiche per contrastare le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani. Sempre i Russi avevano già ostacolato il passaggio alla fase di addestramento e tutela a favore della Marina-Guardia Costiera libica previsto dall'operazione Eu Sophia a guida italiana. Allo stesso tempo la Russia sta mettendo in piedi anche una serie di accordi commerciali, fondamentali dal punto di vista strategico, come quello con la National Oil Corporation, la principale compagnia libica.

L'Italia quindi rischia di perdere la sua libertà di azione in Libia, nonostante le dichiarazioni di Trump. Ecco perché diventa fondamentale la creazione di un governo libico solido, anche per la gestione dei flussi migratori diretti in Italia. Al momento, di fatto, appare inevitabile trattare con i Russi. Diventa dunque facilmente comprensibile l'atteggiamento espansivo di Gentiloni nei confronti di Putin, da lui definito un player fondamentale per la questione libica.

Oggi, dobbiamo prendere atto, anche dopo gli esiti del G7 di Taormina, che il nostro Paese dovrà afforntare da solo la questione dei migranti e più in generale la tutela dei nostri interessi nel Mediterraneo, pagando la non definizione di una strategia marittima ad ampio respiro. Dall'estate 2016 le nostre navi sono state ritirate anche dal Mediterraneo centrale dove operavano costantemente 5 unità di superficie.

Il Ministero della Difesa sembra non avere purtroppo la consapevolezza del destino marittimo dell'Italia continuando sulla linea di riduzione della flotta, tagliando i fondi per le attività in mare come mai accaduto prima nella storia post bellica. Bisognerebbe invece rafforzare il rapporto con la Marina Tripolina anche con operazioni coordinate nelle acque litoranee-costiere con l'apertura di ospedali, la gestione congiunta di campi profughi, l'attivazione di corridoi umanitari sotto la nostra supervisione.

La nostra flotta andrebbe utilizzata nelle sue più ampie modalità d’impiego sia in chiave di “hard power” che di “soft power". La sicurezza del Mediterraneo e la sua economia sono e saranno la nostra principale sfida e risorsa.

FONTE: Logo sito Degiorgi

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Migranti, ammiraglio Picchio brutale: “Un disegno contro l’Italia, serve intervento militare”

ammiraglio Picchio

Il ministro degli Interni Marco Minniti è tornato dal vertice con Francia e Germania con in tasca un accordo generico su un “codice comune” sulle Ong attive nel soccorso dei migranti in Mediterraneo. La verità è che il faccia a faccia è stato interlocutorio, se non negativo: il presidente francese Macron non intende cedere infatti sul no ai migranti economici e la linea dura che si traduce sullo stop al passaggio di extracomunitari tra Ventimiglia e Mentone.

Nel 2015 la UE ha regalato alle Ong 1,2 miliardi di euro

Secondo l’ammiraglio Alessandro Picchio, già consigliere militare dei governi di Silvio Berlusconi e Mario Monti, la questione è torbida.

“C’è un disegno contro l’Italia”, spiega al Messaggero puntando il dito contro quelle Ong che fanno gli interessi non dei migranti, ma di chi le finanzia. “Il problema va risolto in Africa dall’Onu e dall’Unione europea”.

“Nel Mediterraneo – spiega l’ammiraglio – ci sono organizzazioni che con la scusa di essere non governative, si lasciano guidare da uno spirito anarchico. Potrebbero presentarsi davanti a un porto francese o spagnolo o perfino del Nord Europa. Sono navi che in teoria non hanno uno Stato di riferimento, ma chi le finanzia, e i finanziatori spesso non sono italiani.Chi vuol creare difficoltà all’Italia? Da un lato le Ong seguono proprie logiche, dall’altro sottostanno a interessi finalizzati a ostacolare il nostro Paese“.

Una delle chiavi è il fallimento degli accordi bilaterali firmati a suo tempo con i Paesi nordafricani per limitare i flussi. “Hanno smesso di funzionare dopo la guerra in Libia, destabilizzata da Paesi come Francia e Gran Bretagna per non lasciare all’Italia il petrolio libico”.

Oggi come allora, cambiano i soggetti ma la regia sembra sempre la stessa, così come il fine: mettere in difficoltà il nostro Paese. “Se salvo gente in mare in teoria devo portarla nel porto più vicino, cioè in Tunisia o a Malta o nel porto verso cui sono diretto. Le Ong non possono sempre sbarcare negli stessi porti che neppure sono i più vicini. Altrimenti c’è un disegno. Non è un caso che le Ong sbarchino sempre da noi. Le nostre difficoltà fanno comodo a certi cari cugini”.

Serve l’intervento di Francia e Germania, dunque, decisive nell’Ue e nell’Onu: “Se lo vuole un gruppo di Stati importanti, le decisioni vengono prese e le missioni finanziate”, assicura Picchio, che poi ipotizza anche interventi militari:

La stabilizzazione della Libia dovrebbe farla l’Italia, che sa parlare e trattare con tutte le tribù. Un intervento militare si può invece fare nei Paesi dell’Africa subsahariana dai quali i profughi provengono”.

liberoquotidiano.it

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Il piano della Boldrini (ONU) per la grande invasione e sostituzione etnica

Perché la Boldrini ci tiene tanto che l’Europa accolga i migranti? Lo ha spiegato pochi giorni fa. È andata in visita a Palermo e ha spiegato che l’integrazione degli stranieri è la cosa più bella del mondo.

Il documento ONU sulla sostituzione etnica lo trovate qui >>>

la migrazione di sostituzione si riferisce alla migrazione internazionale di cui un Paese avrebbe bisogno per prevenire il declino della popolazione e l’invecchiamento della popolazione derivante dai bassi tassi di fertilità e di mortalità, provocati dall’ONU stessa

L’ONU vuole un «rimpiazzo» in Italia: 26 milioni di immigrati entro il 2050

Nel 2050 un terzo della popolazione italiana sarà composta da immigrati. Stranieri sbarcati nel Belpaese per lavorare e figli e nipoti dei migranti che in questi giorni il Mediterraneo sta rovesciando sulle nostre coste.

Nello studio «Replacement Migration: is it a solution to declining and ageing populations?», redatto dal Dipartimento degli Affari sociali ed economici dell’Onu vengono analizzati i movimenti migratori a partire dal 1995 e, attraverso modelli matematici, vengono prospettati diversi scenari che disegnano per l’Italia la “necessità” di far entrare tra i 35.088.000 e i 119.684.000 di immigrati per “rimpiazzare” i lavoratori italiani. Visto che tra 36 anni gli over 65 saranno il 35% della popolazione e presupposto che il tasso di natalità per donna resti fermo a 1,2 bambini (negli Anni Cinquanta la media era 2,3).

FONTE: logo imolaoggi

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