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Le tragedie nel Mediterraneo
Entrano nel vivo gli addestramenti. I primi: due equipaggi militari di Eunavfor, la San Giorgio e l’olandese Rotterdam, prenderanno a bordo un’ottantina di guardacoste di Tripoli e Misurata per spiegare che cosa si deve fare e soprattutto non fare. Ma la domanda resta la stessa: c’è una strategia politica per fermare i barconi? La risposta non cambia da anni: no. Tutto è lasciato alla capacità dei nostri militari, all’esperienza dei volontari, alla discrezionalità dei guardacoste magrebini
dal nostro inviato Francesco Battistini
TUNISI - Prima scena: una barchetta di legno, che nel buio si vede appena, occhi spaventati nel nero del Mediterraneo. L’altra notte, i volontari della Vos Hestia si sono dannati per soccorrere quel centesimo guscio scovato fra le onde al largo della Libia. Salirci, recuperare il recuperabile, navigare fino in Italia, sbarcare i corpi sommersi (cinque) e quelli salvati (duecento) dalle acque. Poi, quando non avevano ancora finito, via radio han sentito gracchiare un altro allarme: presto, c’è una seconda carretta in difficoltà, bisogna risalpare, rinavigare, risalvare, riportare… «A volte sembra di svuotare il mare col cucchiaio», si sfogano i volontari delle ong. Ma se nel cucchiaio finiscono vite e storie, benedetto chi svuota: «Cercare e salvare», dice Gillian Moyes di Save the Children, «per noi resta la priorità».

Presi a bastonate
Seconda scena: giovedì scorso, alle 2.30 di notte, c’è un altro barcone là in mezzo. E l’ong tedesca SeaWatch, in mano giubbotti e canotti, che sta provando a tirarlo fuori dai guai. Non è facile: i migranti sono terrorizzati, ogni movimento brusco può essere una tragedia. All’improvviso, compaiono i guardacoste libici. E quel che succede — ci son poche ragioni per dubitare che sia successo, a parte le deboli smentite dei tripolini — racconta d’un caos difficilmente governabile. I tedeschi si trovano nel mezzo d’una specie di spedizione punitiva. L’equipaggio della motovedetta libica, di quelle fornite in passato dall’Europa, tanto per intenderci, arremba gli immigrati, urla loro qualcosa in arabo, prende a bastonate chi prova a salvarsi aggrappandosi, scatena il panico a bordo. E infine fa proprio l’opposto di quel che si deve: spinge i poveretti su un lato dell’imbarcazione, provocando il rovesciamento. «La gente è caduta in mare — dice Ruben Neugebauer, portavoce di SeaWatch —, molti di loro non sapevano nuotare, crediamo che una trentina siano annegati. Mai vista un’operazione di soccorso del genere. Del resto, da questa parte di mondo è sempre molto complicato sapere chi fa che cosa…».
Aiutarli ad aiutare
Molti muoiono così. Di pasticci. Di superficialità. Di paura. Chi paga per il viaggio, spera di non essere intercettato dagli egiziani o dai libici. Ma «le missioni internazionali non sono eterne», è stata una delle dichiarazioni uscite anche dal vertice europeo di Bratislava sulle migrazioni. Ed è quindi ora che le navi di pattuglia, le più esperte dell’area, insegnino il difficile mestiere dell’Sos. Da questo mercoledì mattina, entrano nel vivo gli addestramenti. I primi: due equipaggi militari di Eunavfor, la San Giorgio e l’olandese Rotterdam, prenderanno a bordo un’ottantina di guardacoste di Tripoli e di Misurata per spiegare che cosa si deve fare, e soprattutto non fare. «Il nostro obbiettivo non cambia» nonostante l’ultimo episodio, dichiara sicuro Antonello De Renzis Sonnino, il portavoce dell’operazione: sempre oggi, i ministri Nato si riuniscono per decidere chi vuole unirsi all’Italia e agli altri Paesi di “Sophia”. La tragedia dell’aereo Eunavfor precipitato a Malta, e le polemiche intorno a una missione che non convince tutti, non bastano a mutare rotta». «Non ci occuperemo di respingimenti — spiegano dal ministero della Difesa — insegneremo solo gl’interventi di salvataggio. I militari libici verranno addestrati a effettuare specifici compiti che definiamo non-combat»: tradotto, li aiuteremo ad aiutare, proprio per evitare disastri come quello di giovedì notte. Il training quotidiano, messo a punto dal quartier generale dell’ammiraglio Enrico Credendino, è diviso in tre «pacchetti»: le tecniche d’accostamento, le parole da usare coi megafoni, i metodi d’evacuazione, il pronto intervento sui feriti… La scuola di soccorso durerà diverse settimane, un po’ sul modello di quanto già sperimentato assieme alla Marina tunisina (che infatti ha imparato a far da sé: l’altroieri, ha soccorso al largo di Djerba un gruppo d’immigrati che stava affondando), e prelude alla fornitura di barche e di mezzi da consegnare al governo tripolino di Al Serraj, di fatto l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale. «Nell’instabilità libica, con almeno tre Marine militari e decine di milizie diverse a operare, qualche rischio in effetti c’è – dice una fonte italiana sul terreno -. Non sappiamo se quel che trasmettiamo oggi possa finire, domani, nelle mani d’altri. Ma non abbiamo molte scelte. La situazione è tale da non permettere rinvii».

L’anno dei record
Il 2016 non è ancora finito ed è già l’Annus Horribilis dei morti nel Mediterraneo Centrale: 3.100 in nemmeno dieci mesi, mai così tanti. Sfiniti, asfissiati, annegati, disidratati, bruciati, assiderati. A volte, morti che camminano: in Calabria, la scorsa settimana è sbarcata dalle navi di soccorso una madre nigeriana, dalle braccia le erano scivolati nel nero del mare i due bambini, tre e quattro anni, e non faceva che ripeterne i nomi in balìa dello choc… Con la chiusura in primavera della Balkan Route, dalla Turchia verso la Germania, il Canale di Sicilia è tornato a essere il ventre molle dell’Europa. Lo dicono i dati del Viminale e queste settimane d’ottobre, di mare calmo e di partenze affollate: in un solo mese, le navi hanno soccorso ventimila persone, e si prevede che per novembre si saranno già toccate le quote più alte degli anni scorsi.

La strage dei bambini
Nel record, ce n’è un altro ancora peggiore: quello dei bambini soli. Gli orfani del Canale. Ventimila solo nel 2016. Qualcuno arriva morto, come una bimba di 8 anni che è stata calpestata nella calca d’un salvataggio nell’ultimo weekend. Nel 90 per cento dei casi sono piccoli che non hanno più nessuno e — altro che le barricate nel Ferrarese — cinquecento sono stati sistemati solo in questi giorni in Sicilia: l’isola ne ospita seimila, il 40 per cento di tutti quelli approdati in Italia. Secondo una denuncia dalla Caritas di Palermo, molti spariscono poi nel nulla, durante i trasferimenti da un campo all’altro: «Ogni settimana ne vediamo a centinaia — dice Sabrina Avakian, distaccata dall’Unicef nei centri accoglienza della Calabria —. Neonati, ragazzini, adolescenti che non sanno nemmeno dove sono finiti. Soli al mondo. Molti hanno subìto traumi, hanno visto annegare persone, alcuni hanno addosso le ustioni causate dal carburante dei gommoni». Occuparsene ha un costo emotivo (ed economico) molto alto: in media ci vuole almeno un anno, prima di riuscire a dare a un bambino un minimo d’assistenza adeguata.

Come ai tempi di Gheddafi
La domanda è sempre la stessa: c’è una strategia politica per fermare i barconi? La risposta non cambia da anni: no. Tutto è lasciato alla capacità dei nostri militari, all’esperienza dei volontari, alla discrezionalità dei guardacoste magrebini. Oggi, certifica l’Onu, sono registrati 313.236 sfollati interni libici, 256.690 migranti economici dall’Africa subsahariana, 100.569 profughi di guerra siriani, iracheni, eritrei. Senza contare tutti quelli non registrati, naturalmente. In base ai famosi accordi col Rais, allora venivano fermati quasi tutti lì: a subire torture, vessazioni, ricatti d’ogni genere. Col mondo che fingeva di non vedere. A Misurata, denunciava allora l’Onu, si stipavano le persone a decine in celle minuscole e senza letti, un buco nel pavimento come cesso, e «ci sono centinaia di detenuti eritrei — si leggeva allora sul rapporto — rinchiusi da più di tre anni, senza aver commesso alcun reato, senza il diritto a una difesa legale».
Centri come lager
E ora? Idem. L’unica differenza è che si salpa. Perché il resto, i segni delle sevizie, è ogni giorno sotto gli occhi dei soccorritori: guineani, gabonesi, somali sono costretti a prigionie anche d’un anno, in posti come lo stesso campo di Misurata che offre (si fa per dire) due docce e due wc ogni 500 reclusi, qualche straccio in terra a far da materasso, un piatto di riso e acqua torbida, spesso imbevibile. Poche ore fa, in Sicilia, i medici hanno visitato poveretti con segni di bastonate e d’arma da fuoco, feriti dai trafficanti prima di partire. A Catania, s’è scoperto che le nigeriane mandate a prostituirsi devono sottoporsi perfino ai riti voodoo. «Ci sono migranti così deboli — hanno raccontato alcuni salvati ai medici di Msf – da non essere in grado d’imbarcarsi: magari hanno pagato, ma devono rinviare la partenza perché non ce la fanno più…».

I soldi ai Paesi d’origine
Aiutarli in mare. O magari prima, evitando che arrivino alle coste. L’Interpol segnala che sui barconi, più che i terroristi, sono tornati a navigare i carichi di droga: tutta roba che sale dal deserto. Dopo gli ultimi vertici, l’Ue ha deciso d’aprire uffici alle fonti delle migrazioni: Senegal, Niger, Mali, Nigeria, Etiopia. E per assistere questi cinque Paesi, a bassissimo reddito, stanzierà meno di 500 milioni di euro: un ottavo di quanto dato (o promesso) alla ricca Turchia di Erdogan. Basta? Ovvio che no: come per le motovedette libiche, addestrate dai nostri militari perché si carichino la responsabilità dell’aiuto, così bisognerebbe fare per i governanti di quei Paesi. Cacciando gl’incapaci, investendo in qualcosa di meglio. Il Vaticano ha lanciato negli ultimi mesi una campagna contro il land grabbing in questa parte d’Africa occidentale: è la svendita delle terre dei contadini, politici corrotti che la depredano per darla alle multinazionali americane ed europee (anche italiane), stravolgendo coltivazioni secolari, trasformandole in affari più redditizi, facendo soldi facili col biocarburante. È anche per questo sfruttamento senza limiti che la povera gente se ne va da Paesi come la Guinea, ormai in saldo, e viene a morire nel mare nostro. È anche dopo questi saccheggi che liquidiamo questi migranti come «economici», considerandoli meno urgenti dei profughi di guerra. Loro fuggono e basta: non basteranno i nuovi guardiani del mare, a salvarli.
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News Marina Militare,, Marina Militare, Libia, Profughi
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Sono unità navali ad alta velocità e saranno costruite a Sarzana per la Marina militare.Una commessa da 40 milioni.
La Spezia - Una commessa da 40 milioni per Intermarine. La notizia rimbalza da Euronaval, la più importante esposizione mondiale di sistemi di difesa navali che si tiene in questi giorni a Parigi, e porta una ventata di ottimismo nel cantiere sarzanese. Intermarine, controllata del Gruppo industriale Immsi S.p.A., rende noto di aver avviato la produzione con le relative attività di laminazione di due unità navali polifunzionali ad alta velocità destinate alla Marina Militare, con cui ha sottoscritto un contratto di fornitura.
La Marina Militare, grazie comunque allo sforzo e all’attenzione del governo italiano, del parlamento e secondo le indicazioni del Ministro della difesa, vuole incrementare le capacità già esistenti, per soddisfare il requisito di potenziamento del controllo dei traffici marittimi, contrasto del traffico di esseri umani, difesa in ambienti di minaccia asimmetrica e pirateria ed evacuazione di personale da aree di crisi. Il tutto nel quadro dei disposti del programma di rinnovamento delle linee operative delle unità navali che permetterà, almeno in parte, di supplire alla crescente obsolescenza della flotta con mezzi all’avanguardia, di elevato contenuto tecnologico, con spiccate capacità duali e sicuramente più rispettosi dell’ambiente.
Tale tipologia di nave è in grado di assolvere missioni diversificate e con brevissimo preavviso, coprire distanze elevate in tempi contenuti, e quindi si è rivelata particolarmente idonea ad intervenire anche in supporto alle operazioni di controllo dei flussi migratori.
Le navi saranno progettate e costruite da Intermarine facendo ricorso alle più avanzate tecnologie disponibili e di provata efficacia in ambito navale come, ad esempio, l’uso di materiali compositi avanzati per la costruzione delle strutture, sofisticati equipaggiamenti per l’abbattimento delle segnature acustiche e gli infrarosso, oltre all’eliminazione delle interferenze elettromagnetiche.
Intermarine ha maturato una solida esperienza e conoscenza delle problematiche inerenti la progettazione e costruzione di navi militari speciali con requisiti operativi molto stringenti, imponendosi sul mercato internazionale grazie all’ottima reputazione guadagnata con la fornitura alle più prestigiose Marine Militari mondiali di navi molto speciali come i cacciamine.
L’Unpav è lunga fuori tutto 40 metri, larga 8 metri, ed è spinta da un sistema combinato di motori diesel accoppiati a propulsori a getto. L’impianto della propulsione consente la condotta della nave in diversi assetti di navigazione e operativi, garantendo una elevata flessibilità di impiego. Le navi saranno progettate in accordo ai regolamenti del Registro navale italiano per tutti gli aspetti più importanti riguardanti la sicurezza sia della piattaforma sia del personale impegnato nelle varie operazioni.
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News Marina Militare,, Intermarine, Navi anti scafisti
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Dal sito di Repubblica.it/Bari una splendida sequenza di immagini mozzafiato delle grotte del Salento
Cinquanta chilometri di costa rocciosa salentina, una litoranea di panorami mozzafiato, un progetto fotografico durato tre anni. È un omaggio alle terre di origine dell'autore, tra grotte, cunicoli sottomarini e storie di pescatori. Giorgio Nuzzo raccoglie per il suo portale Imagine31 le foto di un Salento da scoprire, partendo dalla sua Marittima, tra Otranto e Santa Maria di Leuca. "Vorrei partire da una citazione: 'Vallo a spiegare, il mare, a chi non ci è nato' - racconta - per assaporare la bellezza di questa costa bisogna scendere in mare, in barca, a piedi e delle volte anche in canoa, ed è qui che le grotte, spesso nascoste, fanno la loro comparsa". A essere ritratte in questo miscuglio di scoglio, azzurro dell'acqua e effetto sorpresa sono: grotta Zinzulusa, grotta Palummara e grotta Azzurra a Castro; grotta Verde nel comune di Andrano; grotta dei Monaci a Tricase; grotta della Bocca del Pozzo, laghetto della Bocca del Pozzo, grotta degli Innamorati e grotta delle Cipolliane a Gagliano del Capo (Gianvito Rutigliano)
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Salento,, News varie dal mare, Nuzzo, Grotte
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Dalla pubblicazione di Settembre/Ottobre della rivista "Marinai d'Italia" l'editoriale del Presidente Nazionale
Editoriale del Presidente Nazionale
Così vogliamo reagire...
Il pensiero di noi tutti, Marinai d’Italia, è andato e va tuttora alle 297 vittime ed alle migliaia di sfollati a causa del terribile terremoto che il 24 Agosto ha devastato città e paesi del Lazio, Umbria e Marche. Ammainiamo i nostri vessilli, ci stringiamo solidali ai parenti delle vittime, esprimiamo tuttala nostra tristezza e, come sempre, faremo tutto quello che possiamo fare per contribuire al soccorso ed alla ricostruzione. Così vogliamo reagire, perché di parole ne abbiamo sentite a profusione, promesse a vagonate, buoni propositi come se piovesse,per non parlare delle insulse, inutili e fasulle interviste a scampati e soccorritori.
È stato il solito dopo-evento luttuoso già visto e rivisto, con pantomime di promesse di tasse rinviate, scarichi di responsabilità e insopportabili polemiche fra centro, centro- destra, centro-sinistra, centro un po’ più centro ma con un occhio a sinistra, destrapiù a destra del centro destra e così via!
Dal dramma, si è anche detto che sia venuta fuori l’Italia migliore, quella “campione nell’emergenza”. Ma ciò non riesce ad inorgoglirmi, perché rivela viceversa che non siamo capaci di organizzare in modo lineare, normale ed onesto il nostro quotidiano. Serve sempre un terremoto, servono sempre i morti per ricordarci che occorrerebbe fare ed operare “prima” e non fregiarci poi del titolo di campione nell’emergenza! Con ciò non intendo affatto sminuire l’impegno profuso dai tanti che in questi giorni si sono prodigati sia sul posto, senza risparmio di energie, senza orario, senza nulla chiedere in cambio, così come quanto fatto da coloro che hanno profuso energie nel raccogliere, selezionare e distribuire cibo, vestiario, denaro
a quanti hanno perso tutto.
Ma se non rinunceremo al nostro primato di campioni nelle emergenze per diventare finalmente seri ed oculati nella normale quotidianità, nelle programmazioni, nei controlli, allora temo che alla prossima scossa (perché, purtroppo, l’Italia ne è soggetta per sua conformazione) ci ritroveremo con altre vittime e con altri soldi, vestiti da raccogliere e accise da pagare. Ormai è chiaro a tutti che gli interventi di soccorso e la ricostruzione costano molto più di una ordinaria manutenzione e tutti noi, che oggi piangiamo e contribuiamo, dovremmo davvero tirar fuori uno scatto d’orgoglio chiedendo a chi ci amministra il coraggio di scelte lungimiranti, l’imposizione di regole e controlli e denunce delle irregolarità.
Saranno anche prese di posizione contro consolidate cricche e camarille (che portano voti) ma avranno l’assenso e l’appoggio di tutta la parte sana del Paese, quella che crede che l’impegno civico sia dovere di ciascuno e di tutti. Da buon marinaio, spero che davvero non ci sidimentichi – come purtroppo la storia ci insegna – delle povere vittime di Amatrice, di Accumoli, di Arquata e degli altri paesi colpiti, di coloro che hanno perso anche le proprie radici con la casa rasa al suolo. Noi siamo reduci da un servizio reso alla Patria, alla collettività, di cui nessuno (o quasi) ci è riconoscente, relegati come sono i soldati in un angolo del dimenticatoio nazionale. Ecco perché capiamo bene il timore ed il terrore espresso con quell’urlo lanciato, nel corso dei funerali delle vittime del sisma, alla schiera di politici colà (ovviamente e in massa) accorsi: non dimenticateci! Ho letto, poco tempo fa, di un anziano ex-Sergente Maggiore del British Army, Abbot Cooney, già combattente in Africa ed in Sicilia durante la seconda guerra mondiale, morto in solitaria malinconia in una casa di cura di Leeds. Una delle persone che lo avevano assistito ha lanciato un appello sulla stampa: diamo a questo veterano almeno l’addio che si merita! “Non ci sarà nessuno della sua famiglia ai funerali – ha scritto – e mi fa paura il fatto che un uomo che ha servito il suo Paesepossa essere sepolto da solo”. L’appello è stato raccolto da migliaia di persone, non solo reduci di guerra ma anche semplici cittadini, studenti, operai: ne è venuto fuori un funerale degno di un grande uomo. Ecco, così mi piacerebbe che accadesse anche da noi, perché anche in ogni angolo d’Italia ci sono persone perbene, che non dimenticano che gratitudine, generosità, solidarietà, onestà e vicinanza dovrebbero far parte convinta, continua, quotidiana, del patrimonio genetico di un intero popolo che tale si dice, non solo nelle emergenze e non solo dei Marinai.
Amm. Paolo Pagnottella
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News Marina Militare,, Editoriale , Pagnottella, Marinai d'Italia
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Domenica la Barcolana, la regata che sogna quota 2 mila barche.La città propone in “banchina” 150 eventi tra concerti, libri, mostre
La festa del vento a Trieste è già cominciata con Álvaro Soler che ha trascinato in piazza Unità ventimila persone. Ma non vi preoccupate, perché la città si è preparata al suo weekend più cool dell’anno con un cartellone delle grandi occasioni, che culmina nella regata più pop del Mediterraneo.
E’ la Barcolana, dal nome della frazione che accoglie chi raggiunge il capoluogo giuliano dalla Costiera, dove è nata nel 1969 su idea della Società velica Barcola Grignano, che fa da cerimoniere. La competizione si tiene ogni anno nella seconda domenica d’ottobre e deve il successo alla sua formula democratica: è aperta a tutti e tutti partono dalla stessa linea, tracciata appunto davanti a Barcola. Chi arriva in fondo al percorso per primo, vince.

Detta così, potrebbe essere anche niente. Ma se ad aspettare lo start ci sono 1969 barche, come è stato nel 2011; be’, allora. Una distesa di vele incredibile. E trovarsi in mezzo a questo spettacolo, lo è ancora di più. Magari chiedendo acqua a campioni che mai si potrebbero sfidare (Land Rover porta Ben Ainslie, cinque medaglie olimpiche, impegnato nell’America’s Cup con i colori britannici).
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Il Demanio ha deciso di renderli fruibili per usi che non siano quelli per cui furono edificati proprio mentre sta crescendo la domanda di soggiorno vacanziero in alcuni delle strutture distribuite lungo le coste e nelle isole italiane
Lentamente, l'Italia riscopre il potenziale del turismo. Una voce che - da sola - vale il 10,2% dell'economia della Penisola. Quasi 160 miliardi di euro l'anno, frutto di 57,9 milioni di viaggi con pernottamento registrati lo scorso anno dall'Istat e di altri 67,3 milioni di viaggi senza pernottamento. In media, nel 2015, chi ha visitato l'Italia in vacanza ha dormito fuori casa per 6,2 giorni, chi lo ha fatto per lavoro per 3,4 giorni.
Merito anche di una ricettività ormai completa, capace di soddisfare tutti i gusti e tutte le tasche. Dagli alberghi boutique a quelli a per famiglie; dai campeggi ai villaggi turistici; dagli appartamenti in affitto agli agriturismi, ma non mancano gli ostelli, le case per ferie, i rifugi di montagna e i bed & breakfast.
E adesso, in concomitanza con la disponibilità dell'Agenzia del demanio a renderli fruibili per usi che non siano quelli per cui furono edificati, sta crescendo la domanda di soggiorno vacanziero in alcuni dei 110 fari distribuiti lungo le coste e nelle isole italiane. Certo si tratta ancora di poche strutture, ma i numeri sono destinati a crescere per non perdere un trend positivo. Sono stati infatti pubblicati i bandi di gara per la concessione da 6 a 50 anni di 11 fari di proprietà dello Stato, 7 dei quali gestiti dal demanio stesso e 4 dal ministero della Difesa, ubicati in Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Toscana.
La loro destinazione dovrà essere coerente con gli indirizzi e le linee guida del progetto Valore Paese - Fari: potranno accogliere iniziative ed eventi di tipo culturale, sociale, sportivo e per la scoperta del territorio, oltre ad attività turistiche, ricettive, ristorative, ricreative, didattiche e promozionali. La ricaduta economica sui territori è stimata in 20 milioni di euro e darà occupazione ad un centinaio di operatori. Una delle prime nazioni a comprendere il valore di questo tipo di turismo è stata la Croazia, oggi leader in Europa. Altre nazioni offrono tuttavia tale ricettività: dalla Gran Bretagna alla Scozia, alla Norvegia, fino al Canada, agli Stati Uniti e all'Australia.
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News Marina Militare,, Fari, Demanio
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E' di Camaiore e ha 24 anni: fa parte del gruppo delle sette pioniere che hanno preso servizio dentro un sommergibile a Taranto
di Francesca Caselli

CAMAIORE. Bellezza mediterranea, colori scuri, occhi profondi, Martina sembra possedere tutte le qualità per fare carriera nel mondo della moda. Ha l'avvenenza e un sorriso smagliante. Ma in realtà lei è molto lontana da quel mondo. Ha 24 anni compiuti il mese scorso, è camaiorese di nascita ma al momento la sua casa è la Puglia. Martina Petrucci è infatti una delle sette militari arruolate per la prima volta in un sommergibile della Marina Militare (tutte di età compresa tra i 24 e i 28 anni), un traguardo che la riempie di emozione e di ambiziose aspettative per il futuro. Lei tra le pioniere in divisa.Dopo tre anni di Accademia Navale a Livorno, Martina si è laureata l'estate scorsa in “Scienze Marittime e Navali” all'Università di Pisa ed è attualmente ufficiale di vascello del Corpo dello Stato Maggiore e apprendista sommergibilista. In questo momento, infatti, sta svolgendo a Taranto il tirocinio della durata di tre mesi che le consentirà di diventare sommergibilista a tutti gli effetti: un percorso che prevede un mese e mezzo di teoria a cui segue un mese e mezzo di pratica “on board”. Un percorso lungo caratterizzato da tanta passione e sacrifici.
Martina si è diplomata nel 2011 presso il prestigioso istituto tecnico nautico “Artiglio” di Viareggio, scuola professionale che forma giovani comandanti e ufficiali della marina mercantile, garantendo eccellenti specializzazioni nelle diverse ramificazioni che questo settore comprende.
Proprio da qui comincia la sua strada, fatta di studio, tanta dedizione e tempo speso per intraprendere la carriera militare che la appassiona dai tempi delle superiori. Un percorso in salita che ha condotto questa ragazza assai determinata a raggiungere uno dei traguardi più importanti che in questa carriera si possa pensare di ottenere, specialmente quando si è una giovane donna.
«Ho scelto di diventare sommergibilista da quando, nel 2014, questo indirizzo è stato aperto anche alle donne. Ho espresso la mia preferenza in questa direzione e dal Comando sono stata accontenta - ha detto la Petrucci - Ho dovuto fare diverse visite mediche e un test di idoneità per essere ammessa e adesso mi preparo alla mia prima esperienza a bordo».
Martina è una ragazza elegante e femminile che ha scelto la carriera militare, convinta del fatto che non esista alcuna incompatibilità fra l’essere donna e questo tipo di impiego. Una versione moderna del soldato Jane, senza perdere quel tratto femminile che la contraddistingue.
«Quando indosso la divisa mi sento uguale ai miei colleghi uomini - dice Martina - Essere donna fa parte della mia natura ed io mi sento tale a prescindere dal mio lavoro. La divisa non è una negazione della mia femminilità».
La battaglia per l’inclusione delle donne nei sommergibili è stata iniziata nel 2012 da Erika Benemerito (ventiseienne originaria di Venezia, sottotenente di vascello) quando, giunta al terzo anno di accademia, ha iniziato a battersi affinchè alle donne fosse permessa la carriera a bordo di un sommergibile, considerato dagli addetti ai lavori “l’eccellenza” della Marina Militare.
Insieme a lei altre sei ragazze, tutte fiere del proprio ruolo. Martina non dimentica la sua età: sul suo profilo Facebook posta i selfie, le immagini con le amiche e le serate spensierate d’estate: oltre a quelle in cui sfoggia - manco a dirlo - la sua divisa tanto voluta e desiderata.
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News Marina Militare,, Donne sommeribiliste, Martina Petrucci, Camaiore