Editoriale-Rivista Marittima Ottobre2015

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Un interessante Editoriale a cura del C.V. Stefano Romano , Direttore della Rivista Marittima, inserito nel numero di Ottobre 2015.

Editoriale Ottobre 2015

Il conte Camillo Benso di Cavour, allora Presidente del Consiglio e Ministro della Marina, così scriveva nel 1861 nella nota preliminare al bilancio del Ministero della Marina: «Il sottoscritto preposto all’amministrazione delle cose di mare di uno Stato collocato in mezzo al Mediterraneo, ricco di invidiabile estensione di coste e di una numerosa popolazione marittima, sente il dovere di dare il più ampio sviluppo alle risorse navali del Paese, valendosi degli elementi di forza che ha trovato nella nuove province». All'indomani dell’unificazione nazionale chi governava il nostro Paese aveva dunque già ben chiara l’importanza degli spazi marittimi e di una efficiente marineria per lo sviluppo della nuova nazione. Sono passati oltre centocinquant’anni, ma ancora oggi, pur essendo l’Italia un paese a forte connotazione marittima, non sempre per il cittadino italiano è immediata la percezione delle nostre frontiere marittime ovvero degli spazi marittimi nazionali nonché dell’importanza degli stessi.

Nel numero di ottobre con l’articolo dell’ammiraglio Caffio sui «Mari d’Italia» viene esaminato proprio il regime giuridico esistente sui mari che bagnano la nostra penisola, ovvero i trattati stipulati e le questioni ancora aperte con i nostri confinanti marittimi. Come ricordato altre volte sulla nostra Rivista la questione dei confini territoriali non può risolversi nella scolastica analisi dei quattro stati, Francia, Svizzera, Austria e Slovenia, nostri confinanti al di là delle Alpi, ma deve necessariamente estendersi, per una effettiva comprensione degli interessi nazionali, anche agli spazi marittimi. Il saggio in questione offre quindi una interessante visione complessiva dei vari rapporti con gli altri paesi prospicienti i nostri mari (Slovenia, Croazia, Montenegro, Albania, Grecia, Malta, Libia, Tunisia, Algeria, Spagna e Francia) permettendoci di evidenziare i fenomeni inerenti il legittimo sfruttamento delle risorse marine nonché della loro protezione, unitamente al sempre più pericoloso fenomeno della «territorializzazione» del Mediterraneo che determina una riduzione delle acque soggette alla piena libertà di navigazione.

Il successivo articolo dell’ammiraglio Ferrante riprende l’idea di confine analizzandola sotto altri aspetti, in particolare alla luce degli attuali fenomeni migratori verso l’Europa e dei diversi comportamenti dei paesi sulla loro zona di frontiera: ecco dunque esaminato il differente aspetto dei confini terrestri e dei confini marittimi, le considerazioni sulla creazione di muri (duraturi o temporanei) sui confini terrestri, a fronte di una minore rigidità del confine marittimo dove anche altri aspetti assumono rilevanza, la salvaguardia della vita umana e gli aspetti umanitari, in particolare.

Da una parte dunque fenomeni di natura giuridica che, se non controllati, potrebbero di fatto portare a una quasi completa territorializzazione del Mar Mediterraneo, dall’altra gli avvenimenti degli ultimi anni, legati ai fenomeni migratori, comprensivi della significativa attività di soccorso umanitario, sottolineano fattori di instabilità sulla nostra «frontiera liquida» che comportano necessariamente flotte adeguate per il controllo non solo degli spazi marittimi sottoposti alla propria sovranità ma, più in generale, di diretto interesse nazionale.

Nel Mediterraneo alcuni paesi nordafricani, Algeria ed Egitto in particolare, stanno facendo importanti investimenti nelle costruzioni navali, come si può riscontrare riguardo alla Marina Egiziana nel relativo articolo all’interno della sezione tecnico-professionale. Tra i paesi occidentali la Marine Nationale godrà probabilmente dei benefici derivanti della revisione della Programmazione pluriennale avvenuta lo scorso giugno in Francia per i propri programmi di sviluppo dello strumento navale (Fremm, Sommergibili nucleari, Pattugliatori polivalenti).

E l’Italia? La configurazione della Marina Militare sta cambiando: è purtroppo già in atto quel processo di ridimensionamento delle nostre unità navali che, a causa dell'invecchiamento della squadra navale, nel prossimo decennio vedrà la radiazione di ben 54 unità su 60 e che, pur considerando l’ingresso in linea delle unità già programmate attraverso il bilancio ordinario, porterà il numero delle navi della Flotta da 60 a 21. Da maggio ad oggi sono state ben cinque le dismissioni di unità navali della Marina Militare: il 30 settembre u.s. l’ultimo ammaina bandiera di nave Granatiere si aggiunge alle dismissioni delle corvette Minerva e Sibilla e dei cacciamine Lerici e Sapri.

Dunque, in funzione della vita operativa raggiunta dalle attuali unità navali, si sta concretamente realizzando il programma di riduzione sopra citato e, di conseguenza, si rende parallelamente necessario attuare il completamento del cosiddetto Programma Navale d’emergenza presentato la prima volta alle Commissioni Difesa congiunte della Camera e Senato nel giugno del 2013 dal Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio di squadra Giuseppe De Giorgi. Il programma prevede l’ingresso in linea di circa 30 navi entro il 2025 con un investimento stimato in circa 10 Mld € in 10 anni, integrato con l’ammodernamento delle linee di volo per le nuove unità navali.

Alla fine dello scorso anno è stato approvato un primo finanziamento pluriennale che ha dato l’avvio al citato programma. Tale investimento di complessivi 5.4 Mld €, con un significativo ritorno generale per l'economia del nostro Paese, non è tuttavia sufficiente a far fronte al consistente numero di radiazioni di unità navali nel prossimo decennio.

Occorre dunque completare il Programma Navale d’emergenza prevedendo quanto prima la seconda tranche del finanziamento necessaria per poter completare le linee dei pattugliatori, dei sommergibili, delle unità anfibie, logistiche e ausiliare e rinnovare quella dei cacciamine. Solo grazie a queste ulteriori realizzazioni il rinnovamento della nostra flotta potrà rivelarsi rispondente alle reali minacce e ai crescenti e diversificati compiti di sicurezza marittima che la Marina si troverà ad affrontare nel prossimo futuro e permetterà, in senso più ampio, al nostro Paese di preservare la propria capacità marittima nazionale.

Stefano Romano

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FONTE: RIVISTA MARITTIMA

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La scomparsa dell’esperto militare dimenticata da 15 anni in archivio

Davide Cervia, abilissimo conoscitore dei sistemi d’arma impiegati dalla Marina

Davide CerviaEra un uomo dalle mani d’oro, Davide Cervia. Gli piaceva creare: un piano di guerra elettronica come un piatto di ravioli. Era anche un militare attraente innamorato della sua vita: di sua moglie Marisa Gentile e dei suoi figli Erika e Daniele. Era stato proprio per loro che aveva rinunciato alla sua brillante carriera interrompendola per ritirarsi in una graziosa villetta di via Colle dei Marmi a Velletri, a coltivare l’orto, a seguire i suoi bambini. Nuova vita, nuovo lavoro, anche, in una ditta che produceva componenti elettronici. L’aveva voluta quella vita agreste, sebbene avesse un temperamento geniale e fosse conosciuto come uno dei massimi esperti in guerre elettroniche. Nato a San Remo nel 1959, dopo il diploma di perito elettrotecnico si era arruolato volontario come sottufficiale degli addetti agli armamenti tecnologici della Fregata missilistica Maestrale. Nel 1980, inoltre, aveva frequentato il corso di specializzazione che lo aveva qualificato esperto in guerra elettronica con la sigla ETE/GE. Era un abilissimo conoscitore dei sistemi d’arma impiegati dalla Marina militare, tra cui l’Otomat, venduto in 1.000 esemplari anche a Iraq e Libia. La famiglia ignorava le competenze specifiche di Cervia, evidentemente coperte da un segreto militare che lui rispettava. Nel 1984 si era infine congedato perché la vita militare lo allontanava dalla famiglia e le sue priorità, rispetto alle ambizioni giovanili, erano cambiate. In quella villetta orlata dai vigneti, nel silenzio della campagna romana, sognava di crescere i propri figli. Senza immaginare (o forse si che lo immaginava) di essere soggetto troppo prezioso per paesi come l’Iraq, la Libia, l’Iran e l’Arabia Saudita, quando era appena iniziata la guerra del Golfo ed un esperto di guerre elettroniche poteva far comodo. Di più: era indispensabile.

ATTESO A CASA NON TORNA PIÙ

È il 12 settembre ’90, un pomeriggio soleggiato che guarda al tramonto con garbo. Davide Cervia è atteso dalla famiglia alle 17,30, come ogni giorno. Lui finiva il lavoro, tornava a casa, si dilettava in lavori manuali o nelle ricette liguri che amava preparare. Da un mese sembrava teso, aveva acquistato un fucile dicendo che gli serviva per banalità. Pochi giorni prima un corto circuito aveva rischiato di incendiare la sua auto, una Golf. La moglie, in quell’occasione, l’aveva visto piangere. Per la prima volta. E sempre in quel periodo, aveva scoperto un buco nella recinzione di casa. Qualunque preoccupazione avesse, non l’aveva condivisa con i familiari. Quel pomeriggio lo aspettava la figlia Erika, voleva fargli vedere come era riuscita ad andare in bici, ma Davide non fece ritorno a casa. La moglie, insieme al padre, va cercarlo. Batte la strada che arriva ad Albano, quella che percorre di solito il marito. Niente. Di lui non vi è traccia. Il giorno dopo viene denunciata la sua scomparsa: la foto di Davide viene perduta, non viene presa la targa dell’auto. Inciampi, si dirà. Il tempo corre inesorabilmente e 4 mesi dopo il suo nome compare nella lista passeggeri del volo Parigi-Il Cairo, biglietto prenotato dal Ministero degli esteri francesi. Si tratta di un’omonimia, verrà detto ai familiari. Ufficialmente si parla di un allontanamento volontario, magari Cervia aveva un’altra donna, di cui però non v’è traccia. La sua vita coniugale è senza ombra. Gli eventi si accavallano come nella peggiore delle spy story. Tre testimoni riferiscono di un rapimento dell’uomo avvenuto davanti alla sua abitazione. Una macchina verde lo ha prelevato mentre lui gridava aiuto, uno dei rapitori (un biondino) si è messo alla guida della Golf. Le due automobili sono sfrecciate a gran velocità allontanandosi da via Colle dei Marmi. A fornire queste rivelazioni è un vicino di casa, oggi purtroppo deceduto. Un autista dell’Acotral aggiungerà di aver visto le due auto e in una di queste, due uomini sul sedile posteriore cercare di nascondere il corpo di un terzo. Il tre gennaio 1991, alla moglie di Cervia arriva un misterioso biglietto d’auguri di Natale, che contiene la spiegazione di quanto successo: suo marito, un «Ge» (tecnico di armi elettroniche) è stato rapito. Ma le missive senza mittente si susseguono: chi dice che sia morto in un bombardamento a Bagdad, chi assicura alla famiglia dello scomparso che egli sia prigioniero in Arabia Saudita. E un anno dopo, in via Somalia a Roma, viene ritrovata la Golf del militare. Qualcuno dirà di aver visto un biondino parcheggiarla in quella strada. Tutto è in ordine nell’automobile: sul sedile del passeggero c’è ancora, rinsecchito, il mazzo di fiori che ha comprato alla moglie per il loro anniversario. Aveva fatto di più Davide: aveva consegnato una foto del loro matrimonio a un fotografo per farne un quadro. Non sono questi i gesti di un uomo che voglia scappare dalla famiglia come un sedicente amico va a dire in televisione, per poi svelare che quel che ha detto è un cumulo di menzogne. No, la sparizione volontaria non appare plausibile.

LE PISTE SEGUITE

La Procura generale presso la Corte d’appello di Roma, pur confermando il rapimento, il 5 aprile 2000 archivia il fascicolo, rassegnandosi all’impossibilità di individuare i colpevoli. Una delle piste seguite portava alla Russia, e sembrava legarsi al furto di tecnologie militari e alla vendita di tali segreti al KGB. Nel 2012 la famiglia, dopo essere stata inondata di messaggi intimidatori tra cui un attentato nell’ambito del quale è stata fatta esplodere la finestra di una dependance della villa di Velletri, darà vita a una causa civile contro il ministero della Difesa italiana. «Non vogliamo risarcimenti perché nessuno ci ridarà Davide, ma almeno ottenere giustizia». I figli sono cresciuti, la moglie del militare ha dovuto patire l’assenza del marito, il dolore suo e dei figli e la paura. E, ancora di più, ha dovuto affrontare l’incertezza, che permea di ombre qualunque scomparsa, specie questa che a distanza di venticinque anni, non ha prodotto nulla, fuorché ulteriori dubbi. Un mistero che difficilmente sarà svelato.

Angela Di Pietro

FONTE: Logo Tempo

News Marina Militare,, Davide Cervia

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Putin minaccia l’India “Riportate i marò in Italia”

Putin minaccia l’India “Riportate i marò in Italia”


20 Novembre 2015

Amicizia e complicità sempre più ufficiale tra Italia e Russia, così Renzi ha deciso di chiedere l’aiuto a Vladimir Putin che prontamente ha dichiarato “L’Italia è un paese pronto a proteggere i propri cittadini e che intende continuare a battersi con determinazione per la liberazione dei due marò”. Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella interviene in quello che è l’ultimo braccio di ferro sul futuro dei nostri marò. Vladimir Putin “l’India dovrà restituire i marò all’Italia oppure dovrà vedersela con me”, così ha annunciato il presidente russo dopo che Nuova Delhi ha deciso di dare battaglia nell’udienza del 18 dicembre al Tribunale internazionale del diritto del mare (Itlos) di Amburgo, quando sarà esaminata la richiesta italiana di misure cautelari a favore di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, la politica italiana (e in particolar modo il governo) ha avuto un sussulto e si è schierata al fianco dei due fucilieri di Marina accusati di aver ucciso due pescatori keralesi nel febbraio 2012 mentre erano in servizio antipirateria a bordo della petroliera Enrica Lexie.

Putin Maro

“Confermo l’impegno del governo a difendere le loro ragioni nelle sedi internazionali che abbiamo deciso di attivare”. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni (a parole) sembra determinato a tener testa all’India. Nella seduta che durerà due giorni Nuova Delhi contesterà, infatti, la competenza del tribunale ad occuparsi del caso, si opporrà alle misure cautelari (il rientro di Girone in Italia, la permanenza di Latorre in patria) e rivendicherà la sua giurisdizione sulla vicenda. “L’Italia farà valere con determinazione le sue ragioni nell’intento di addivenire ad una soluzione positiva della vicenda”, fa sapere il capo della Farnesina ricordando che la procedura arbitrale avviata dall’Italia ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare è vincolante per l’India, che ha già comunicato la nomina del proprio arbitro nei termini e nei tempi previsti. A difendere le ragioni dell’Italia nell’udienza di Amburgo sarà l’equipe giuridica anglo-italiana guidata da sir Daniel Bethlehem e sir Michael Wood, entrambi in passato consiglieri giuridici del Foreign Office britannico e massimi esperti di diritto internazionale marittimo.

“Davanti all’Itlos – ha spiegato l’Additional Solicitor General P.S. Narshima – sottolineeremo che solo l’India ha la giurisdizione per processare i reati commessi nel Paese e che il Tribunale non può interferire in questo”. “L’India – ha aggiunto il magistrato – sosterrà anche che l’Italia non ha esaurito tutte le procedure locali a disposizione, un requisito necessario prima di presentare istanze all’organismo di Amburgo”. Infine Nuova Delhi obietterà che “non vi sono circostanze stringenti tali da richiedere qualsiasi adozione di misure provvisorie” nel caso che coinvolge Latorre e Girone. Tuttavia, al di là delle precisazioni della Farnesina, anche altre fonti interpellate dall’Ansa a Nuova Delhi tendono ad escludere l’ipotesi che l’India possa contestare “a priori” il diritto del Tribunale di Amburgo di esaminare l’istanza italiana. Aderendo alla Convenzione Unclos infatti, entrambi i Paesi accettano come vincolante l’azione sia della Corte permanente di arbitrato (Cpa), derivante dalla sezione VII, sia dell’Itlos. La stessa sentenza che il Tribunale di Amburgo emetterà dopo le udienze del 10 e 11 agosto avrà una prima parte in cui i giudici ribadiranno (o no) la loro competenza a trattare la questione, e poi una seconda di verdetto sulle richieste italiane. È molto probabile quindi che l’India ripeterà davanti al collegio giudicante tutte le osservazioni anticipate dall’Additional Solicitor General nell’intervista a The Hindu. Anche se non sono daescludersi sorprese da parte indiana, perché in generale non è prassi comune che una parte espliciti in anticipo la strategia difensiva, perdendo così l’effetto sorpresa.

di Ermes Maiolica

FONTE: Logo rainewsitalia

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Così la Marina Militare riparte. Parla l’ammiraglio De Giorgi

Giuseppe De Giorgi
 
Conversazione di Formiche.net con il Capo di Stato Maggiore della Marina, Giuseppe De Giorgi
 

Era la fine del 2013 quando Giuseppe De Giorgi, classe 1953, Capo di Stato Maggiore della Marina, ne prospettava l’estinzione senza un pronto intervento del governo. Un grido che non è rimasto inascoltato e che ha dato la sveglia all’esecutivo, che si è mosso. Il rimedio al declino è arrivato sotto forma di maxicommessa da quasi 6 miliardi di euro, per la costruzione e varo di una decina di nuove unità navali. Un intervento visto come una benedizione dal cielo dalla Marina, da tempo impegnata nella dismissione dei mezzi più datati. L’ultimo ammainabandiera è stato quello del pattugliatore Granatiere, nelle acque di Taranto. Senza rinforzi, la cura dimagrante avrebbe nel tempo ucciso la Marina, rendendo impossibile il controllo del mare e il soccorso ai migranti che ogni giorno sbarcano sulle nostre coste. De Giorgi ha accettato di raccontare a Formiche.net la genesi dell’intervento a sostegno della Marina, tracciando anche il profilo della Marina del futuro, alle prese tra esigenze di spesa e svolgimento della propria missione.

QUANDO LA MARINA RISCHIAVA DI SCOMPARIRE

“L’invecchiamento e la necessaria radiazione di un elevato numero di navi entro i prossimi 10 anni”, spiega l’ammiraglio, “stava delineando l’estinzione della capacità operativa della Marina Militare e, di conseguenza, della Difesa. Infatti, dopo l’ultima legge navale degli anni Settanta, l’Italia non aveva più avviato programmi di costruzione navale, se non per la recente realizzazione delle fregate multiruolo Fremm. Il governo e il Parlamento hanno pertanto deciso di finanziare una prima tranche di 5,4 miliardi di euro per il rinnovamento della flotta, che consentirà di costruire in Italia nuove unità navali, compresi i Pattugliatori Polivalenti di Altura”.Si tratta, precisa De Giorgi, “di nuovi pattugliatori che saranno unità navali multifunzionali in grado di assolvere simultaneamente anche i compiti di una corvetta, di un cacciatorpediniere e di una fregata”.

NAVI A MISURA DI SPENDING REVIEW

L’ammiraglio si sofferma poi sulle qualità dei nuovi mezzi, decisamente più efficienti e risparmiosi dei precedenti. “Saranno unità navali più economiche con ridotti costi di esercizio (inferiori del 30%), in virtù anche del ridotto numero di personale imbarcato e utilizzeranno bio-fuel garantendo una minor dipendenza dai prodotti petroliferi e grande attenzione alla salvaguardia dell’ambiente. L’approvazione di una seconda tranche di investimenti comporterebbe poi la piena realizzazione del programma navale, consentendo il completamento del processo di rilancio già avviato ed eviterebbe così al Paese l’estinzione della propria Marina”.

TRA ISIS ED EMERGENZA IMMIGRAZIONE

C’è poi l’altro capitolo importante, quello più pratico. La gestione dell’emergenza immigrazione e il contrasto al terrorismo. Per affrontarle, l’Italia non può fare a meno della Marina. “L’attuale scenario internazionale è caratterizzato da numerosi fattori di instabilità, focolai di crisi e minacce che inevitabilmente si riverberano sul bacino mediterraneo e ne influenzano le attività marittime. Infatti, l’indebolimento di alcune strutture statuali verificatosi a seguito del fallimento delle Primavere arabe, unito alla crescente spinta demografica e all’estensione del fondamentalismo islamico e dei correlati fenomeni terroristici in alcuni Paesi del nord Africa/del Medio Oriente registratisi nel recente periodo, hanno contribuito ad innalzare drasticamente i flussi migratori verso l’Europa, ponendo pertanto nuovamente l’attenzione dell’intera comunità internazionale sul bacino Mediterraneo”, spiega l’ammiraglio. “La Marina Militare riveste un ruolo fondamentale in questo, in quanto uomini e mezzi vengono quotidianamente impiegati per assicurare la sicurezza e la prosperità del Paese e dell’Ue: Eunavformed, Vigilanza Pesca, Operazione Mare Sicuro e Triton sono solo alcuni dei contesti operativi in cui le nostre già vetuste unità navali vengono e verranno sempre più impiegate”.

TUTTI I VANTAGGI (ANCHE ECONOMICI) DI UNA MARINA 2.0

La spesa sostenuta dallo Stato sarà comunque ben remunerata, anche grazie alla tecnologia delle nuove unità. Secondo De Giorgi “la necessità di impiegare unità navali che possano assolvere simultaneamente differenti ruoli, come i Pattugliatori Polivalenti di Altura, sta diventando sempre più rilevante ed il finanziamento stanziato rappresenta un cospicuo investimento per il Paese, nonché un salto generazionale per la Marina Militare”. De Giorgi vede nella costruzione delle nuove navi “il tentativo di privilegiare totalmente il made in Italy, un ritorno per lo Stato con un moltiplicatore equivalente a 3,6 per ogni euro investito, ma anche un know-how da esportare all’estero, in quei Paesi che stanno rinnovando e potenziando la loro flotta come ad esempio Angola, Perù, Mozambico, Brasile ed altre nazioni del Golfo Persico”. Ecco perché “in questo contesto di economicità rientra, in ambito Difesa, anche il processo di integrazione del corpo della Capitaneria di Porto nella Marina Militare, teso ad ottimizzare le risorse disponibili di uomini e mezzi della Forza Armata per assolvere sinergicamente tutti i compiti istituzionali, fornendo al contempo un elevato contributo per risollevare l’economia italiana”.

08/11/2015

FONTE: Logo Formiche

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Più giovani vi imbarcherete e meglio è

“PIÙ GIOVANI VI IMBARCHERETE E MEGLIO È: DOVRETE FARE SQUADRA. SOLO SULLA NAVE SI DIVENTA MARINAI”

Marinai imbarcati

(di Alessandro Guarducci)

LIVORNO. 511 allievi e allieve (307 dei corsi normali, 150 di quelli applicativi, 35 per i ruoli speciali e 19 in quelli a nomina diretta), di cui 18 stranieri. Sono questi i gradi numeri dell’Accademia Navale dove ieri mattina si è svolta la cerimonia inaugurale dell’anno accademico 2015 - 16, per la formazione militare di tutti futuri ufficiali di Marina.

La cerimonia e' stata presieduta dal Capo di stato maggiore della Difesa, Claudio Graziano, e dal Capo di stato maggiore della Marina Giuseppe De Giorgi (che ha formalmente dato inizio all’anno universitario), alla presenza del comandante dell'Accademia Maurizio Ertreo, che ha salutato gli allievi nel discorso di apertura, del corpo docente e delle varie autorità civili e militari.

Il contrammiraglio Ertreo, che celebrava praticamente anche il suo primo anno alla guida dell’Accademia Navale (era arrivato poche settimane prima dell’inizio del passato anno accademico), ha voluto sottolineare l’importanza di questa istituzione che è entrata nel suo 134° anno di vita. «La Marina non ha mai smesso di pensare al proprio futuro neanche negli anni più tragici e bui del nostro Paese - afferma ricordando il drammatico epilogo della seconda guerra mondiale - e non lo fa certamente adesso: qui si prepara la classe dirigente che dovrà affontare le sfide attuali e quelle prossime».

 Cariche di entusiasmo e di passione le parole pronunciate dall’ammiraglio De Giorgi. «Ho voluto che il corso di studi scendesse da cinque a tre anni - dichiara - perchè più giovani vi imbarcherete e meglio è: dovrete fare squadra, assumervi le vostre responsabilità, affermare la leadership e appartenere all’equipaggio. Solo sulla nave si diventa marinai. E per me, essere un marinaio è l’orgoglio più grande. Poi tornerete a studiare per la specializzazione».
 Il generale Graziano ha chiuso la cerimonia. «Cultura e valori sono il vostro patrimonio più grande - ha detto Graziano - La cultura e' fondamentale per saper fare, per saper discernere e per saper governare. Così come fondamentale per la Marina e' la vostra passione, l'energia giovanile e moderna. Le amicizie che nascono durante gli studi durano spesso per tutta la vita. Fatene tesoro. Il gruppo vincerà sempre. Non seguite mai la rotta dell'individualismo. Ora più che mai, con le forze armate chiamate ad affrontare nuove sfide e nuove crisi come il terrorismo dell’Isis»

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Marò, ora l'India ammette: I proiettili non erano loro

E spunta la truffa dei testimoni fotocopia

La perizia: pallottole troppo grandi per essere dei fucilieri. A cui si aggiungono testimonianze fatte con "copia e incolla"

Che il processo messo in campo dall'India nei confronti dei due fucilieri di marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, fosse al limite del ridicolo, non è una novità.

gironelatorre

Ma dalle carte che i legali indiani hanno consegnato al Tribunale internazionale per il diritto del mare di Amburgo, emergono alcuni dettagli sconcertanti.

Non soloquelle testimonianze fotocopia rilasciate da alcuni pescatori sopravvissuti il giorno in cui Valentine Jelastine e Akeesh Pink persero la vita, ma soprattutto l'allegato numero 4 che riporta l'autopsia svolta sul corpo dei due pescatori uccisi. Sembrava essersi persa nei cassetti dei tribunali indiani, e invece è rispuntata ad Amburgo. Nel documento, la prova che i proiettili che hanno colpito a morte i due indiani non sono quelli in dotazione ai marò.

Le deposizioni

Come riporta il Quotidiano Nazionale, in un articolo a firma di Lorenzo Bianchi, le testimonianze di chi avrebbe assistito alla morte dei due pescatori si assomigliano eccessivamente. Come se nell'essere redatte fossero state scritte dalla stessa mano e opportunamente falsificate in modo da dimostrare la colpevolezza di Latorre e Girone. Dopo gli eventi del 15 febbraio 2012 al largo delle coste del Kerala, i testimoni dichiarano che gli assassini sono i "sailors", i marinai, facendo nome e cognome dei due marò. Le testimonianze, allegate tra le carte che l'India ha depositato ad Amburgo, sono contenute nell'allegato 46.

A rilasciarele sono il comandante del peschereccio, Freddy Bosco (34 anni), e il marinaio Kenserian (47), i quali dichiaro "onestamente e con la massima integrità" che la loro imbarcazione "finì sotto il fuoco non provocato e improvviso dei marinai Massimiliano Latorre e Salvatore Girone della Enrica Lexi".

Il primo campanello d'allarme riguarda proprio il duplice errore riportato nei verbali. Entrambi i marinai, infatti, avrebbero sbagliato a pronunciare il nome della nave difesa dai Marò, che infatti si scrive "Lexie". Ora, la cosa più probabile è che entrambe le dichiarazioni siano state scritte dalla stessa persona con una sorta di "copia e incolla" necessario per far coincidere le due versioni.

Ma non sono solo queste le corrispondenze. Altri passaggi sembrano scritti con la carta carbone. Secondo i due testimoni, i "tiri malvagi" hanno provocato la "tragica morte dei cari amici e colleghi Valentine, alias Jalestin, e Ajesh Binke". Anche sulle loro condizioni dopo l'evento, la versione coincide in maniera sospetta. I due pescatori avrebbero subito una "indicibile miseria e una agonia della mente, una perdita di introiti. La nostra ordalia non è finita".

Secondo Luigi Di Stefano, perito di parte che ha seguito la vicenda di Ustica, l'India non avrebbe dovuto consegnare queste carte al Tribunale di Amburgo. Che non aveva il compito di giudicare le responsabilità dei Marò, ma solo quale fosse il Paese legittimato a tenere il processo. Un modo quindi per ribadire la colpevolezza non dimostrata di Latorre e Girone, mossa che però ha fatto calare un velo di legittima dubbiosità sulla veridicità delle testimonianze.

Il proiettile

Non è tutto. Perché il più interessante dei documenti consegnati dai legali indiani ai giudici di Amburgo è l'autopsia che l'anatomo patologo K. S. Sasika fece sui due pescatori uccisi. Nella seconda pagina dell'allegato 4, infatti, si legge che il proiettile estratto dal cervello di Jalestine è troppo grande per essere uscito dalle armi dei fucilieri di marina. Quello misurato dal medico aveva un'ogiva di 31 millimetri, una circonferenza di 20 millimetri alla base e di 24 nella zona più larga. Le munizioni in dotazione ai Marò, invece, sono dei calibro 5 e 56 Nato. Il proiettile italiano misura solo 23 centimetri, quindi è evidente che quello estratto dalla testa del pescatore non possa essere stato esploso dai mitra Minimi e Beretta Ar 70/90 di Latorre e Girone.

Infine, dalle carte si evince che il Gps del Saint Antony dove hanno trovato la morte i pescatori venne fatto recapitare dal capitano dell'imbarcazione non il giorno in cui attraccò al porto, ma solo 8 giorni dopo. Conservando tutto il tempo necessario a manometterne i dati.

FONTE: Logo IlGiornale

News Marina Militare,, India,, Girone, Latorre, Truffa

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